Spalanca gli occhi e si tira a sedere
di scatto, portando
con sé la coperta e ricevendo in cambio un mugugno
infastidito da parte del
marito che, dopo averle lanciato un’occhiata di rimprovero, le dà le spalle
e torna a dormire.
Assottiglia gli occhi e ricambia
l’occhiataccia, corrugando
le sottili sopracciglia. I lunghi capelli neri le ricadono sulle spalle
e le
sfiorano il viso.
Sbuffa e afferra il pettine posto sul
comodino. Con una
serie di complicati movimenti si lega i capelli e, dopo aver afferrato
la
vestaglia, scende dal letto.
Nella penombra della stanza riesce a
distinguere le ombre
dei mobili e, con calma, raggiunge la porta, non curandosi di fare
rumore, tanto sa che la sta ascoltando.
Fa pressione sulla maniglia e
l’alta porta si spalanca. Lascia
la stanza lanciando un’ultima occhiata al letto matrimoniale
e poi richiude la
porta alle sue spalle.
Si ritrova nel lungo corridoio del
palazzo, illuminato qua e
là da qualche sporadica torcia.
Si porta una mano sul ventre e
stringe tra le dita affusolate
la stoffa sottile dalla vestaglia per poi avviarsi.
Cammina svelta, ripercorrendo
mentalmente il percorso che
deve fare e che, da un anno a quella parte, fa quasi ogni notte. Fa
vagare lo
sguardo sulle mura, cogliendo con la coda dell’occhio i
ritratti dalle varie
famiglie reali che si sono succedute nel corso degli anni. Sorride
soddisfatta,
consapevole del fatto che presto ci sarà anche la sua
lì a far compagnia alle
altre.
Dopo una manciata di minuti arriva a
destinazione e si
acciglia notando che non c’è nessuno a guardia
della porta. Sospira, proprio
non riesce ad approvare queste prese di
posizione del marito.
Con delicatezza abbassa la maniglia
della porta e la attira
verso di sé, facendola aprire. Si infila nella fessura
venutasi a creare e poi
riaccosta la porta al battente, premurandosi di non far rumore.
La stanza è più
piccola della sua, e affaccia su un altro
lato del giardino, ma, riflette, è più accogliete.
Soppesa i passi, rendendoli i
più lievi possibile e si ferma
al centra della camera. Poggia una mano sulle sbarre della culla e vi
si piega.
I capelli le ricadono in avanti, andando a solleticare il viso paffuto
del
bambino che sonnecchia placido sotto la coperta che riporta il marchio
della
Nazione del Fuoco.
Zuko socchiude gli occhi e poi li
spalanca, riconoscendo la
figura familiare della madre. Tende la braccia e inizia ad aprire e
chiudere
spasmodicamente le manine paffute, in una muta richiesta.
Ursa sorride, quasi commossa. Prende
in braccio il bambino e
se lo poggia sul seno, facendo ben attenzione a sostenergli la testa,
come le
era stato ripetuto assillantemente dalla madre, dalla suocera e persino
dal
marito, che non vede di buon occhio queste sue scappatelle notturne.
Il bambino produce un vagito e fa
schioccare la lingua,
contraendo i muscoli del viso in una buffa espressione. Ursa ride,
sedendosi
sulla poltroncina posta di fianco alla culla – gentile
concessione di Ozai.
Zuko si accoccola meglio sul seno
della madre e la donna lo
culla, carezzando prima lui e poi il suo ventre, gonfio. E sorride,
ancora,
pensando al futuro figlio, o figlia.
Il principino strofina il visino
sulla pelle della madre,
respirandone il profumo e le solletica il mento, con la zazzera nera.
Ursa fa ondeggiare le braccia e
continua a cullare il
bambino anche quando il suo respiro si regolarizza e cade in un placido
sonno.
I primi raggi di sole filtrano
attraverso le ampie finestre
e Ozai sbuffa osservando la moglie.
Con passo marziale le si avvicina e
allunga una mano verso
di lei, pronto a scuoterla e a intimarle di ritornare nella loro
stanza, ma poi
si ferma e la guarda meglio. È
bella, questo
glielo deve concedere e quella mattina lo è particolarmente
o semplicemente l’essere
rimasto sveglia ad aspettarla e aver così
perso preziose ore di sonno lo rende poco lucido.
Fa passare lo sguardo sulla figura
della donna, osservando
prima il primogenito, che tiene stretto al petto, e poi il ventre
rigonfio.
Si passa una mano tra i capelli e
alza gli occhi al cielo.
La avvolge nella coperta che prende
nella culla. Premurandosi
di non esser visto da possibili domestici, le sposta una ciocca di
capelli dal
viso e sfiora la testa del figlio. Poi si ricompone, si rimette dritto
e spinge
indietro le spalle; si volta ed esce dalla stanza di suo figlio, alla
ricerca
di qualcuno con cui prendersela per il fatto che non vi ha trovato
guardie a sorvegliarla.
Angolo Autore:
O mio Dio, sì, o mio Dio!
Ho scritto una sottospecie di
fluff! Non c’è sangue, non ci sono
morti… è così strana
ç__ç Però ci voleva un
po’ di vita, no?
Anche se io la trovo più
inquietante degli occhi mangiati
dai corvi, insomma Ozai è
così “premuroso”
ò.ò
Sì, volevo scrivere
qualcosa su Ursa, all’inizio avevo
deciso di descrivere quello che le era successo e di come era stata
fatta fuori
–sarà per la prossima
volta- ma poi
ho “ucciso” il
povero Lu Ten e mi
sono detto che avevo fatto abbastanza stragi.
La fan fiction partecipa
all’Avatar’s Characters Challenge
indetta dalla sottoscritta sul forum di EFP e a cui vi invito a
iscrivervi ùù
Allora, me lo lasciate un commentino,
vero? *__*
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