Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa storia non
è stata scritta a scopo di lucro.
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Titolo:
Fiume di stelle
Personaggi:
Gemini Saga, Sagitter Aiolos, Kosta (OC)
Genere:
Drammatico
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
One-shot
Ambientazione:
Post- Hades, come al solito tutti vivi e vegeti. In
particolare, dieci anni dopo la fine della Guerra Santa.
Note: Questa
fic è la conclusione della mia precedente storia Di
ancelle, bambini e famiglie problematiche.
Se non l'avete letta, come riassunto vi basta sapere che Saga scopre
per caso, dopo sette anni, di avere un figlio, Kostantinos, avuto da
una ancella
quando era il Boss del Santuario (sì, si faceva le
servette).
Comunque sia, Aiolos lo prende sotto la sua ala dorata
protettiva e gli fa da Maestro perché il ragazzino diventi
Saint.
Per chi avesse letto la storia precedente: quella era comica, questa ha
un taglio diametralmente opposto.
E mi scuso già da adesso.
Vi voglio bene.
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Fiume
di stelle
Il Sommo Sacerdote stava
scrutando le stelle, in quella notte limpida
di inizio primavera.
Kosta, sebbene ancora
nascosto dietro le gambe di Aiolos, si era sporto
un poco, ed era anche lui con il naso per aria, cercando di vedere
quello che il Pontefice stava cercando.
“Kostantinos”
venne chiamato infine.
Fece un passo avanti,
sollecitato anche da una pacca gentile del
Cavaliere d'Oro che gli stava affianco. Fece un passo avanti, tenne la
schiena diritta e gli occhi rispettosamente bassi, aspettando il
verdetto.
“Kostantinos”
il Pontefice ripeté il suo
nome e il bambino annuì; gli tremavano le gambe
“Il tuo cosmo sopito è molto forte, e anche le
stelle mi dicono che la costellazione dell'Eridano veglia su di te. Se
sei deciso, potrai iniziare l'addestramento anche subito domani
mattina, visto che il nobile Aiolos si è offerto di
farti da maestro.”
Aiolos annuì
caloroso, e poggiò una mano sulla
testa del piccolo. Kosta si calmò un attimo a sentire quel
tocco così rassicurante e, con la voce più ferma
che riuscì a tirare fuori in quel momento di grande
emozione, diede conferma delle sue intenzioni.
“Accetto con
grande onore di iniziare l'addestramento,
Pontefice.”
“Molto bene.
Ti aspettano lunghi anni di fatica, giovane
fanciullo, su questo non voglio certo mentirti. Ma se sarai capace di
impegnarti, di dare sempre il massimo, e di non allontanarti mai dalla
strada maestra, ti posso assicurare che il tuo futuro sarà
straordinariamente luminoso.”
Erano passati tre anni e mezzo dalla sera in cui Kosta aveva ricevuto
il permesso di cominciare l'addestramento. Si era messo d'impegno,
anima e corpo, ogni giorno di quei tre anni. Non si era risparmiato
nemmeno un giorno, desideroso di arrivare quanto prima alla sua
armatura.
Per lui che era cresciuto tra le fila della servitù,
ragazzino invisibile tra le schiere di ancelle e servitori, venire a
scoprire non solo di essere il figlio di un Gold Saint, ma di essere
anche in grado di diventare egli stesso un Cavaliere della bella
Athena, tutto questo lo aveva riempito di tanto sacro orgoglio che la
mattina successiva all'udienza con il Pontefice era stato lui ad andare
a svegliare Aiolos, troppo smanioso di cominciare perfino per aspettare
il primo canto del gallo.
Testardo come solo un bambino poteva essere, si era messo d'impegno,
anima e corpo, per riuscire ad arrivare quanto prima alla sua meta.
E non si risparmiava niente, tanto che non era insolito, poco dopo il
tramonto, vederlo crollare a terra, addormentato di botto. E quando si
addormentava era praticamente impossibile riuscire a svegliarlo.
Aiolos rideva ogni volta che gli capitava di dover assistere a quella
scena. Una volta l'aveva visto addormentarsi perfino mentre stava
parlando, senza riuscire nemmeno a concludere la frase. Aveva anche
rischiato di prendere una sonora craniata per terra, se non fosse stato
per la prontezza di riflessi del maestro, che ogni volta che una cosa
del genere succedeva, volenteroso se lo caricava in spalla per
riportarlo a casa.
Come quella sera, che dopo uno sbadiglio epico più o meno a
metà strada tra la prima e la seconda casa, si era
addormentato camminando. E se anche Kosta aveva provato a ribattere in
qualche modo, le sue proteste non erano state prese minimamente in
considerazione da Aiolos, e infatti adesso si trovava a ronfare sulla
spalla del maestro.
“Ancora?” domandò Saga, un sopracciglio
sollevato, mentre sulla soglia del Terzo Tempio accoglieva i suoi
ospiti.
“Che ci vuoi fare? Si è addormentato.”
Saga scosse la testa, facendo entrare Aiolos e muovendosi verso le
stanze private.
“Ah, non ti preoccupare, lo porto su.”
“Tanto Kanon stasera non c'è, può
dormire nel suo letto. E non mi va di doverti far fare tutte le scale
con quel peso sulla schiena!”
Aiolos sorrise, e anche Saga abbandonò in fretta
l'espressione burbera che aveva messo su. Si fece passare il bambino e
lo portò in camera. Lo mise a letto, gli rimboccò
le coperte e si concesse un attimo per accarezzargli la testa. Anche se
era suo figlio, il tempo concesso loro per stare assieme era davvero
esiguo. Gli allenamenti gli occupavano tutta la giornata – e
Kosta era così serio a riguardo che non si concedeva mai una
pausa di troppo – e con quella brutta abitudine di crollare
addormentato come un sasso non potevano nemmeno vedersi di sera.
Per questo Saga insisteva tutte le volte per tenerlo a dormire da loro,
quando poteva. Almeno per passare insieme il tempo della colazione.
Si chinò per dargli un bacio sulla fronte e poi
tornò dal suo ospite.
Kosta si rigirò nel letto. Mosse le braccia per liberarsi
dalle coperte che lo avevano avvinghiato e si mise sulla schiena. Si
passò una mano sugli occhi, socchiudendogli. Grazie alla
debole luce che proveniva dalla stanza a fianco poté
scorgere sul soffitto l'affresco delle onde del mare. Nonostante il
cervello annebbiato dal sonno, riconobbe che quella era la stanza di
suo padre. A quanto pare doveva essersi addormentato prima di riuscire
a rientrare alla Nona Casa. Di nuovo.
Il ragazzino si girò su di un fianco, dando le spalle alla
luce, per tornare a dormire, ma la voce del suo maestro gli
arrivò alle orecchie.
“…se vuoi davvero la verità, purtroppo
nonostante tutto quell'impegno non progredisce come
speravo…”
Kosta non aveva mosso un solo muscolo, ma si era completamente
svegliato. Gli occhi erano sgranati, fissi, pur senza vedere davvero i
girasoli appoggiati al comodino che aveva esattamente di fronte.
Fosse stato nell'altra stanza, Kosta avrebbe visto suo padre
raddrizzare la schiena, incrociare le braccia al petto e aggrottare
severamente le sopracciglia. Ne seguì una lunga pausa.
“Ma da quello che ho visto nell'arena mi sembrava invece
stesse facendo un buon lavoro.”
“Te l'ho detto, non è certo l'impegno quello che
gli manca. Fosse solo per quello sarebbe il migliore, in tutto quanto
il Santuario. Sono i risultati che…”
Kosta non sentì la fine della frase, Aiolos aveva abbassato
di molto il tono della voce. Sentì invece un bicchiere che
veniva riempito e poi di nuovo il silenzio.
Non ce la fece più a starsene sdraiato.
Si alzò velocemente ma con prudenza, cercando di non fare
rumore. Dimenticò i calzari per terra e si diresse verso
la finestra, scavalcandola con un balzo e buttandosi in una corsa
disperata nella notte nera.
Corse con tutte le forze che aveva in corpo, talmente veloce che l'aria
gli sferzava il viso con tanta intensità da fargli lacrimare
gli occhi.
Cercò di non lasciarsi sfuggire nemmeno un singhiozzo,
ricacciò tutta la delusione in fondo allo stomaco, e
accelerò la corsa.
“Perché quella faccia, Aiolos?”
“Sono… preoccupato.”
“Non tutti si sviluppano nello stesso modo…
probabilmente gli basta solo un po' di tempo in più
e…”
“Non è per quello. Sono preoccupato appunto per
tutto l'impegno che ci sta mettendo. Arriva tutte le sere a crollare
per la stanchezza, si sveglia tutti i giorni prima dell'alba. In tre
anni non l'ho mai sentito lamentarsi per gli allenamenti che gli faccio
fare. Nemmeno una volta. Suo padre è un Cavaliere
d'Oro… e tu non sai quanto voglia assomigliare a te! Vuole a
tutti i costi diventare un Saint, e se la cosa non dovesse succedere
penso che la delusione lo distruggerebbe.”
Kosta aveva continuato a correre finché ne aveva avuto le
forze. Aveva corso scalzo e sulla pianta del piede sinistro ora aveva
un taglio che lo infastidiva non poco.
Si fermò vicino ad un boschetto di ulivi, per riprendere
fiato. Ansimando, si spinse al riparo degli alberi e qui
crollò a terra, abbracciandosi le ginocchia al petto con
tanta forza da affondarsi le unghie nelle cosce.
Tirò su con il naso e strinse forte gli occhi, cercando di
togliersi dalla testa le parole del suo maestro.
L'avevano ferito come mai nulla prima.
Non voleva crederci che il sommo Aiolos avesse davvero pronunciato una
cosa del genere. Non dopo quei tre anni di sorrisi, incoraggiamenti e
gentili pacche sulla schiena. I suoi allenamenti erano massacranti, e
di giorno era intransigente con lui, come allievo, ma a fine giornata
aveva sempre una parola gentile, cosa che lo rendeva davvero felice, e
fiero, di averlo come maestro.
Non poteva credere che fosse stato tutto quanto una menzogna. Si
spaccava la schiena tutti i santissimi giorni per nulla? Era questo che
stava cercando di dire?
Kosta si morse l'interno della guancia con tanta forza da farsi quasi
sanguinare. Non poteva accettare una cosa del genere.
Lui era il figlio di Saga di Gemini, non un ragazzino qualunque!
Non gli avrebbero portato via il suo destino.
No.
Non dopo averglielo messo davanti.
“Ci vediamo domani, allora.”
“Certamente. Cerca di farlo dormire un po', mi
raccomando.”
“Ah, io lo farei dormire anche tutto il giorno, ma quella
peste si sveglia comunque prima delle galline!”
Sia Saga che Aiolos scoppiarono a ridere, e poi quest'ultimo si
ritirò salutando con un cenno del capo il compagno.
Saga attese di vederlo sparire lungo le scale, per poi rientrare in
casa. I suoi servitori avevano diligentemente già portato
via il vassoio con i bicchieri e il vino.
Aveva chiacchierato a lungo con Aiolos – discorsi che non era
sicuro che gli fossero troppo piaciuti – e si era ritrovato
molto stanco. Per questo non rimase ancora in giro a ciondolare, ma si
diresse verso la camera da letto.
Cercò di fare meno rumore possibile per non svegliare Kosta,
ma gli toccò stupirsi non poco quando non lo
trovò nel letto.
“Kosta?” provò a chiamarlo – i
calzari erano lì – ma non ottenne risposta.
Lo cercò nel Tempio, ma ugualmente non lo trovò.
Dovette cercarlo con il cosmo, per scoprire che era molto lontano da
quel luogo, e non poté non percepire tutta l'agitazione che
si irradiava dal suo animo. Sembrava un turbine, una piccola tempesta
di emozioni potenti.
Saga chiuse gli occhi, sperando di cacciare via la brutta sensazione
che aveva immediatamente preso possesso della sua mente.
Ma non ci riuscì: il timore che il ragazzo avesse sentito i
loro discorsi lo pressava con sempre maggior convinzione. Come pure non
riusciva a dimenticare la confidenza di Aiolos, la sua preoccupazione
nei confronti di come avrebbe reagito suo figlio ad una delusione del
genere.
Anche Saga si mise a correre nella notte.
Il cuore gli batteva forte nel petto, e le gambe continuavano a
tremargli. Per la fatica, certo, ma soprattutto per l'emozione. Lo
scrigno sulle sue spalle pesava, ma era un peso che era esageratamente
felice di poter sopportare.
Aver vissuto tra le servitù aveva avuto anche i suoi
vantaggi. Conosceva tutti i passaggi segreti che portavano alla
Tredicesima Casa. Sapeva l'ubicazione della sala dove venivano
conservate tutte le armature ancora senza proprietario.
Strinse tra le dita le cinghie della scatola, sistemandosela meglio in
spalla.
L'armatura era sua!
Non importava quello che il maestro Aiolos poteva dire, l'armatura
adesso era sua e…
“Kosta!”
Ruotò la testa di scatto, preso alla sprovvista da quella
voce potente.
Il cuore mancò un paio di battiti quando vide emergere
dall'ombra suo padre.
Il buio era così fitto che ci mise un po' a metterlo a
fuoco. E quando ci riuscì non poté in nessun modo
a sostenere il suo sguardo. Cupo, fermo, pesante.
I suoi occhi erano come un macigno.
Sentì le gambe tremare sotto quel peso. Fece istintivamente
un passo indietro.
“Kosta… che cosa stai facendo?”
Non riuscì a rispondere. A pensarci bene, la sue azioni
stavano parlando da sole.
Ma Saga voleva una risposta; pose di nuovo la domanda, ma ancora Kosta
non sembrava in grado di fornire una qualunque risposta.
Saga si avvicinò e il ragazzo indietreggiò. Ma
mise un piede in fallo e inciampò.
Lo scrigno mandò un rumore sordo quando colpì per
terra e l'armatura al suo interno sembrò vibrare.
Kosta non ebbe il tempo di rimettersi in piedi che il padre gli si era
inginocchiato di fronte, prendendogli il viso tra le mani e
costringendolo a guardarlo negli occhi.
“Ti rendi conto di quello che stai facendo?” non
aveva alzato la voce, anzi, l'aveva chiesto in un sibilo. Quasi a non
voler far sentire a niente e a nessuno quello che stavano dicendo.
“Kosta, per l'amor degli dèi, perché
hai fatto una cosa del genere?”
“Pensate che io non sia in grado di ottenere
l'armatura!” soffiò fuori infine il ragazzino, con
una smorfia sofferente sul viso “Pensate che non se sia in
grado!”
“Non è vero Kosta, non è assolutamente
vero!”
“E invece sì! Ho sentito cosa ti diceva il maestro
Aiolos!”
“Hai gonfiato un problema che non esiste Kosta! Aiolos non ha
mai pensato una cosa del genere! Era solo impensierito
per…”
“Non è vero, non è vero!”
Kosta cercò di allontanarsi, il suo cosmo ancora acerbo per
un momento si infiammò, ma la stretta di Saga era ferma e
non riuscì a muoversi.
“Kosta… ma che cosa pensavi di ottenere in questo
modo? Rubando l'armatura tu…”
“Non l'ho rubata! Questa armatura è mia! Non me la
porterete via!” Saga questa volta non riuscì ad
impedire al figlio di allontanarsi. Incespicò a causa del
peso che aveva sulle spalle ma riuscì lo stesso a rimettersi
in piedi.
Saga invece rimase sulle ginocchia, turbato, fissando le lacrime che
cominciavano a rigare il volto del figlio.
“Voi non credete in me!”
“Io ho sempre creduto in te Kosta. Sempre. Perché
hai fatto una cosa del genere? Pensavi davvero di poter ottenere
l'armatura con un vile furto? È questo il Cavaliere che vuoi
diventare?”
Le lacrime ora scendevano più copiose che mai, e Kosta
dovette fare uno sforzo immenso per non cominciare a singhiozzare come
un infante.
“Io voglio diventare Cavaliere di
Athena…” un pigolio, poco più che un
sussurro.
“E allora perché hai disonorato te stesso rubando
un'armatura?”
Gli occhi di Kosta erano grandi e lucidi.
Non sapeva più che cosa dire, non sapeva più
nemmeno che cosa pensare. Piangeva.
E poi dal buio della notte comparve anche Aiolos. Impensierito per il
divampare improvviso del cosmo del suo allievo si era precipitato da
lui, per assicurarsi che fosse tutto a posto.
Saga vide le sue labbra schiudersi come per chiedere qualche cosa, ma
non riuscì a pronunciare una sola parola. Guardò
alternativamente Kosta e Saga, posando infine lo sguardo sullo scrigno
sulle spalle del suo allievo. Da come si era improvvisamente rabbuiato
sembrò intuire perfettamente che cosa era successo.
“Kosta…”
“Aiolos, ti prego, lasciaci…”
“Cos…? Saga, no…”
“Aiolos!”
Aiolos vide una fosca determinazione negli occhi di Saga. E un dolore
che anche i suoi occhi in quel momento stavano rispecchiando.
“Non me ne vado” dichiarò, dopo un
momento di silenzio.
“Aiolos, per favore…”
“È il mio allievo.”
“Per questo ti sto chiedendo di andartene!”
Aiolos si mosse, voltò le spalle a Saga, ma invece di
allontanarsi si diresse verso Kosta. Il ragazzino aveva ancora le gote
rigate, e gli occhi confusi di chi non capisce.
Vide un profondo rammarico negli occhi del suo maestro e non
poté impedirsi di tremare di vergogna quando gli
posò entrambe le mani sulle spalle, stringendolo appena.
Si avvicinò quasi a sfiorargli la fronte con la sua.
“Kosta… ti prego, restituisci
l'armatura!”
Kosta strinse le labbra, con le lacrime che di nuovo gli avevano
inondato gli occhi verdi: negò energicamente con il capo.
Sotto le dita, Aiolos lo sentiva tremare sempre di più.
Dovette concentrarsi come non mai per non cominciare a tremare lui
stesso. Guardò Kosta negli occhi, cercando di trasmettergli
tutto l'affetto che provava per lui.
“Sei stato un buon allievo. Sono fiero di averti potuto fare
da maestro” era una sofferenza continuare a guardarlo negli
occhi, ma resistette; le parole erano sempre più sussurrate
“Mi dispiace, Kosta. Mi dispiace, davvero.”
Si rialzò senza un suono, allontanandosi di qualche passo.
Si mise in disparte, ma non accennò ad andarsene.
Saga gli lanciò un'occhiata piena di dolore, prima di
chiudere gli occhi, inspirare profondamente, e cercare poi di escludere
dalla mente tutto il resto. Chiuse il suo cuore in una scatola ermetica
in fondo alla sua anima.
Tre falcate ed era arrivato di fronte a Kosta. Il ragazzino
alzò lo sguardo, per guardare il padre in volto, ma quello
che vide lo terrorizzò: gli occhi di Saga era fermi. Vuoti
di qualunque sentimento e spietatamente decisi.
“Kostantinos, hai osato rubare una delle sacre Armature dei
Guerrieri della dea Athena. Un furto simile è equiparabile
al tradimento. Come Gold Saint, e in presenza del tuo stesso maestro
come testimone del sacrilegio… sono costretto a condannarti
a morte.”
Le lacrime si erano arrestate sul volto di Kosta. Aveva di fronte la
fine e non aveva più lacrime da versare.
Se Saga esitò fu solo per una frazione di secondo:
colpì, un gesto unico.
Kosta cadde sulle ginocchia, le forze lo stavano abbandonando in
fretta, scivolavano via da lui. Ma non sentiva dolore.
Sollevò per un'ultima volta gli occhi, sempre più
grandi e offuscati. Incrociò quelli di
suo
padre, pieni di un immenso dolore, e un attimo
prima di perdere conoscenza sentì il suo
abbraccio.
Saga non disse nulla, semplicemente lo abbracciò.
Lo tenne stretto finché anche l'ultima stilla di vita non
sfuggì dal corpo, insieme al sangue che aveva impregnato
quell'ultimo abbraccio.
“Papà!
Qual è la costellazione
dell'Eridano?”
Saga sorrise: si sedette
sull'ultimo scalino e prese in braccio il
bambino, indicando poi con un ampio gesto delle mani una grande
porzione di cielo. Gli fece vedere una lunga fila di stelle che si
snodavano sulla volta celeste, nominandole tutte. Un fiume nel cielo.
Kosta ammirò
tutti i singoli astri della sua costellazione,
con il naso all'insù e la bocca aperta in una O perfetta.
Si sistemò
meglio sulle gambe del padre e gli
tirò una manica per attirare di nuovo la sua attenzione.
“Papà,
ma che cos'è l'Eridano?”
Saga lo strinse in un
abbraccio, per tenerlo il più
possibile al caldo in quella gelida serata d'inverno, e preparandosi a
raccontare la storia dell'Eridano. Tanto lo sapeva che Kosta non
sarebbe voluto rientrare finché non aveva finito.
“L'Eridano
è un fiume, un lungo fiume che scorre
in Italia, che oggi chiamano Po. Devi sapere che un giorno Fetonte, il
figlio di Helios, prese il carro del padre, credendo di poterlo guidare
da solo. Ma era troppo giovane e non aveva abbastanza forza per tenere
a bada i cavalli che lo trainavano e perse il controllo. Si
avvicinò troppo alla terra e il calore del carro del Sole
incenerì quello che oggi è il deserto. Helios si
accorse troppo tardi dell'errore del figlio e così Zeus fu
costretto ad abbattere Fetonte con una delle sue saette. Il giovane
precipitò finché non cadde nelle acque del fiume
Eridano.”
Saga sentì il
figlio rabbrividire, ma prima che potesse
riportalo in casa Kosta lo bloccò con un'altra domanda.
“Zeus non
poteva fare altro? Doveva per forza colpirlo in
quel modo?”
“Purtroppo
Fetonte, con il suo gesto avventato, stava per
distruggere non solo se stesso ma anche tutto quanto il pianeta. Zeus
non poteva davvero fare altrimenti.”
Kosta annuì,
pensieroso, ma tutta la sua presunta
serietà venne distrutta da un enorme sbadiglio.
Saga
ridacchiò, prendendo il figlioletto tra le braccia e
riportandolo in casa.
“Per oggi
basta con le storie. A nanna adesso!”
Kosta non
protestò e si infilò sotto le coperte.
Prima di chiudere gli
occhi, però, aveva un'ultima domanda.
“Fetonte non
poteva fare nulla per evitare quello che ha
fatto? Non poteva guidare il carro di nuovo lontano dalla
terra?”
“Purtroppo
Fetonte ha sbagliato nel voler per forza prendere
il carro prima di essere in grado di guidarlo davvero. Ha
sopravvalutato le sue capacità. Ricorda questo, Kosta, gli
uomini sono in grado di fare cose straordinarie, noi Saint ne siamo un
esempio vivente… ma a tutto quanto c'è un limite.
Cerca sempre di non andare oltre questo limite. Rischi solo di fare del
male a te stesso e a quelli che ti stanno attorno.”
Kosta annuì,
per poi lasciarsi andare ad un altro sbadiglio.
Gli occhi non gli stavano più aperti.
“Farò
il bravo, papà.
Promesso” e si addormentò.
Saga gli
carezzò una guancia, per poi lasciarlo riposare
tranquillo.
Uscì di nuovo
nella notte gelida, si cacciò le
mani nelle tasche e alzò il capo verso le stelle, seguendo
con gli occhi la linea sinuosa dell'Eridano.
Sussurrò
un'unica preghiera.
“Che le stelle
possano esserti di protezione,
Kosta… te lo auguro con tutto il cuore.”
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Angolo dell'Autrice:
Ecco.
Non so che altro aggiungere.
Scusatemi per l'angst.
Ha fatto male anche a me. Ho pianto un sacco.
Prendete e andate in pace.
Tranne Dima. Tu resti qui con me a soffrire. Non so se odiarti o
amarti. Mi ispiri idee malvagie come poche cose al mondo, e per la mia
salute forse dovrei smetterla di frequentarti. *la spuccia, nonostante tutti i
danni*
Scusatemi di nuovo, tutti quanti! ç_ç
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche.
Grazie a chi vorrà recensire e a quanti leggeranno e basta!
Beat
|