capitolo 4
Capitolo
4 – Cioccorane in segno di pace
Chi non
cambia mai la propria opinione ha il dovere assoluto di essere sicuro
di aver giudicato bene sin da principio.
(Jane
Austen, Orgoglio e
pregiudizio)
29
maggio 1977
Ogni volta che
sprofondo nella
poltrona più lontana dalla folla che anima la sala comune,
faccio sempre più fatica a risollevarmi e tornare in mezzo
al
gruppo con un enorme sorriso di circostanza stampato in faccia.
La verità
è che odio
immusonirmi in questo modo. So di risultare fastidioso e preoccupante
quando mi comporto così, e so che razionalmente dovrei
riuscire
ad impormi di essere allegro come la situazione richiede.
Però,
alla fine, non ci riesco veramente. Magari chi non mi conosce non si
accorge di nulla, ma Sirius già mi sta tenendo
d’occhio da
tre giorni a questa parte e lo sguardo muto di Remus mi segue sempre
dovunque vada, troppo buono per rimproverarmi, troppo discreto per
cercare di discutere con me di quello che non va. Anche Peter
è
preoccupato e mi regala ogni genere di sciocchezza per cercare di
tirarmi su: un modellino di Jocunda Sykes a cavallo della sua scopa, un
Avversaspecchio sgraffignato da suo nonno durante le vacanze di Pasqua,
un piccolo Pensatoio (“Perché
sei così pensieroso in questi giorni, ma dato che non ti va
di confidarti con noi …”).
Non che io non sia
loro grato, ma
la mia situazione, sostanzialmente, non è cambiata. Mi sento
un
inutile peso per tutti, un odiosissimo problema a cui nessuno
può trovare una soluzione efficace. Sono insopportabile ai
miei
stessi occhi, eppure non riesco a darci un taglio e a farmela passare
una buona volta. Sono imprigionato in un’ingiustizia che non
mi
permette di gioire perché abbiamo appena vinto la finale di
Quidditch, perché fino a domani sera i Serpeverde correranno
in
bagno in quattro alla volta, perché i miei esami sono andati
bene, perché anche quest’estate Sirius
starà da me
… in fondo, si tratta di almeno quattro ragioni contro una
per
essere felice, e nonostante questo sembra che io non sia capace di dare
il giusto peso alle cose. Altro che crescita e maturazione. Sono ancora
un bambino, ecco la verità. Mi sento incredibilmente stanco,
non
sono affatto di compagnia, e forse sarebbe davvero il caso che me ne
andassi a dormire.
Mi dispiace,
perché so che
gli altri ci rimarranno male. Sirius si offenderà, e mi
terrà il broncio per un paio di giorni. Ma davvero non posso
farci niente, non riesco a fingere così bene come dovrei, ed
è inutile rimanere lì ancora, ad osservare gli
altri che
si divertono al mio posto.
Il mio tentativo di
concentrazione
per riuscire ad alzarmi senza ricadere a peso morto sulla poltrona non
dura più di una frazione di secondo, perché
l’attimo dopo una persona con una lucente massa di capelli
rossi
si siede rapidamente vicino a me lasciandomi pietrificato e incapace di
muovermi.
Mi sento il suo
sguardo puntato addosso, e io non riesco ad alzare gli occhi per
sostenerlo.
“Oh,
scusami, ti ho lanciato
un incantesimo senza accorgermene?” mi chiede lei, falsando
volutamente un tono di preoccupazione apprensiva. Io mi limito a
increspare le labbra e a corrugare la fronte, continuando a guardare il
vuoto davanti a me.
“Certo, mi
fa piacere che per una volta tu te ne stia zitto, ma hai comunque il
permesso di muoverti”.
Stavolta mi giro a
guardarla,
tentando di impormi di fissarla con uno sguardo di disappunto. In
realtà non capisco assolutamente niente. Lei che di sua
volontà è venuta a sedersi di fianco a me, che di
sua
volontà mi sta rivolgendo la parola …
è
semplicemente qualcosa di estraneo alle mie capacità di
comprensione. Riconosco di avere un’intelligenza limitata,
almeno
in determinati campi, ma tutto questo non riesce a sembrarmi normale, e
penso che potrei essere enormemente grato a chiunque fosse in grado di
fornirmi una spiegazione, anche se si trattasse di Snivellus.
“Questo
è il tuo modo di ringraziarmi per aver fatto vincere a
Grifondoro almeno la
Coppa di Quidditch?” provo ad insinuare, tentando di
risollevarmi dallo shock. Lei si stringe nelle spalle.
“Considerato
che non ritengo
il Quidditch la base della mia esistenza, direi che per quanto mi
riguarda quella coppa è soltanto una magra
consolazione”.
Scuoto la testa,
alzando gli occhi
al soffitto. Va bene che sono pazzo di lei, ma questo non implica che
io debba sempre essere al settimo cielo di sentirmi rivolgere la
parola, se questo significa essere costantemente bersagliato con simili
denigrazioni.
“Avanti,
dimmi che cosa gli
avete fatto”, mi dice, in tono perentorio. Io la fisso a
bocca
aperta, con un’espressione probabilmente ridicola.
“Cosa
abbiamo fatto a chi?”
le chiedo, la mente in preda alla confusione più totale.
“Ai vostri migliori amici”,
risponde lei, con ovvietà. Io mi pietrifico di nuovo. Se mi
ha
appena citato l’espressione usata da Sirius il giorno che
abbiamo
delineato il piano, vuol dire che ha ascoltato l’intera
conversazione senza che noi ce ne accorgessimo. Fantastico. Lily Evans
non è un Prefetto, è un Auror per Malandrini.
“Ah.
Certo”, borbotto,
incupito. Non le bastava aver distrutto il mio orgoglio di uomo, doveva
necessariamente darsi da fare per distruggere anche quello di
Malandrino. Sapere che avrebbe potuto sabotarci con estrema
facilità non mi riempie esattamente di gioia, e
già mi
cadono le braccia al pensiero di quello che dirà Sirius
quando
lo verrà a sapere.
"Lo
vedi che
avevo ragione io? La tua donna è una grandissima bastarda!
Avresti dovuto tapparle la bocca quando potevi, invece di girarle
intorno! E così ero paranoico, eh? La prossima volta invece
di
accusarmi vedi di imparare a contenerti di fronte a lei, o puoi anche
scordarti di divertirti ancora qui dentro!"
Nonostante questo lei
è
ancora lì, a fissarmi in silenzio. Forse dovrei evitare di
farmi
tanti problemi e limitarmi a darle quello che vuole.
“Cosa
credevi che ci fosse in
quelle bottiglie?” le chiedo, in tutta risposta, scegliendo
di
evitare i giri di parole. Lei si stringe nelle spalle.
“Idromele?”
risponde. Io quasi sogghigno.
“Sbagliato.
In realtà
era pozione lassativa. Il fatto è che, anche se te
l’avessi fatto assaggiare, ti posso assicurare che non
avresti
notato la minima differenza. A parte per gli effetti collaterali,
s’intende. Hai notato che l’altro ieri Sirius e
Peter non
stavano tanto bene? Questo perché avevano semplicemente
fatto da
cavie … prova ad immaginarti l’effetto che
potrebbe dare
anche solo un bicchierino di quella roba”.
“E come ci
siete riusciti?” mi chiede, incuriosita. Io la guardo negli
occhi, e stavolta il ghigno mi scappa.
“Trucchi del
mestiere,
sorella. Noi quattro sappiamo fare cose che sui banchi di scuola non si
sognerebbero mai di insegnarci”.
Comincio a pensare che
ora ha davvero un motivo perfetto per farmi una predica interminabile.
“Spero
proprio che si
ubriachino tutti”, sentenzia invece, e io la guardo
sbalordito.
Il secondo dopo un sorriso di sorpresa mi esplode sul volto.
È
assolutamente fuori da ogni logica, Lily Evans approva una nostra
bravata. Mi sarei aspettato di sentirmi dire di tutto, meno che una
cosa di questo genere. “La
tua perfidia è sprecata come Prefetto”, le dico,
dimenticandomi in un attimo delle mie intenzioni di mantenere un
atteggiamento discostato nei suoi confronti. Lei mi lancia un sorriso
obliquo.
“Stai
cercando di corrompermi?” mi chiede. Io mi stringo nelle
spalle, divertito.
“Dovresti
provare a collaborare a uno dei nostri scherzi, sono sicuro che
finirebbe per piacerti”.
La mia fantasia ha
sempre avuto il
vizio di correre troppo. Ora, dopo una proposta del genere,
indubbiamente mi arriverà uno schiaffo.
Ma lei non si muove,
si limita a incrociare le braccia e a fissarmi.
“E che cosa
ci
guadagno?” mi chiede. Io rimango indeciso su cosa rispondere
per
qualche imbarazzante secondo. Un paio di offerte da farle forse le
avrei, ma sono abbastanza sicuro che non apprezzerebbe.
“Beh, di
certo ti faresti un
sacco di risate, cosa che ti fa evidentemente bene perché in
questo momento sei molto più rilassata del solito”.
Lei non risponde e si
limita a
fissare una crepa nel pavimento, con un lieve sorriso che le aleggia
sulle labbra. Devo dire la verità, non ho la più
pallida
idea di quello che sta succedendo in questo momento, ma vederla
così in questo momento riesce a farmi smettere di
scervellarmi.
Alla fine, decido di
gettarmi nel baratro e di provare a risolvere la questione.
“Vuoi
scusarti con me,
vero?” le dico, preparandomi al peggio. In realtà,
è solo un’azzardata intuizione a dirmi che
è
così. Quest’intuizione non tiene conto del fatto
che lei
è l’ultima persona al mondo che metterebbe da
parte il suo
orgoglio per venire a scusarsi con me – un dettaglio non
così trascurabile, dopo tutto. Ma si sa che non ho
mai
imparato bene a tenere a freno la lingua; comincio a sospettare che non
me l’abbiano proprio mai insegnato.
“Tieni”,
mi dice lei,
stendendo bruscamente il braccio e porgendomi un sacchetto che teneva
in grembo. Cioccorane. Da quando sa che ne vado matto? Ne pesco una con
incertezza, e il dubbio che possa essere avvelenata per un attimo mi
attraversa la mente. Lo scaccio via subito sorridendo tra me della mia
stupidità, poi getto un’occhiata di sbieco a Lily,
che mi
tiene d’occhio con un’espressione ermetica.
Continuo a
capirne sempre meno di tutta questa storia, ma evidentemente tutti si
divertono a prendermi in giro.
“Okay,
accetterò la
tua offerta di pace”, le dico infine, stringendomi nelle
spalle e
addentando la Cioccorana. Sul suo volto compare un sorriso vagamente
sinistro, con cui sembra volermi minacciare di picchiarmi se non la
finisco di fare osservazioni di quel genere. In quel momento capisco
che potrei anche farmi prendere di nuovo dalla depressione, mandarla
via e rinchiudermi in me stesso. Non mi ha detto che le dispiace, che
in realtà non pensa davvero quello che mi ha detto qualche
giorno fa e che ha sbagliato a trarre conclusioni affrettate. Mi ha
ferito a morte, e io dovrei essere arrabbiato con lei. E ora, se anche
è vero che le sue intenzioni sono quelle di farsi perdonare,
si
è limitata a sedersi vicino a me di sua iniziativa e a
offrirmi
una Cioccorana. Dovrei pretendere delle scuse in piena regola, con
tanto di dichiarazione scritta e genuflessione. Eppure, istintivamente
so che devo accontentarmi di questo semplice gesto, perché
la
conosco fin troppo bene ormai. Conosco l’orgoglio che le
impedisce di inginocchiarsi e di dire le cose direttamente, mettendo da
parte le complicazioni in nome di una necessità di
chiarezza. So
che non posso pretendere altro, e forse nemmeno lo desidero.
L’ho sempre
amata per quello che è, in fondo.
O forse sono io che
non riesco ad avere un orgoglio.
Sirius direbbe questo,
credo.
“Sai, queste
sono situazioni
piuttosto critiche. Dovremmo evitare di complicarci la vita. La
prossima volta potrei procurarmi del Veritaserum …
così
non dovresti affidarti a una Cioccorana”.
Lei storce gli occhi,
trattenendo un sorriso.
“Hai bisogno
di una pubblica
confessione per sentirti meglio?” mi chiede, ironica. Io la
guardo, tenendola sulle spine per qualche secondo.
“Nah. Mi sto
solo divertendo
un po’”, le rispondo, mettendoci un pizzico di
quella
strafottenza che la fa tanto irritare. Già, devo
riconoscerlo:
sono un vero genio nel provocare l’astio della gente nei miei
confronti. Il problema è che poi le conseguenze che ne
ricavo
non sono molto piacevoli, perciò sarebbe meglio se imparassi
a
tenere la bocca chiusa, dopotutto.
Improvvisamente mi
sento arrivare un pugno sul gomito. I miei nervi registrano il dolore
facendomi emettere un guaito immediato.
“Ahia! Ma
che ho fatto?!”
“Parli
soltanto per dare aria alla bocca!”
“Questa
è soltanto una delle tue teorie
riguardo a me, e io non la condivido affatto”.
Lily torna ad essere
seria di
colpo, fissandomi a labbra strette. Io mi rendo conto
dell’analogia che inconsapevolmente ho stabilito fra quella
sciocchezza di un momento e il motivo per cui siamo arrivati a
discutere qualche giorno addietro.
Sì, sono
sempre estremamente bravo a cacciarmi nei guai.
“E va bene,
scusami, ho
esagerato”, mi dice lei, incrociando le braccia e fissandomi
con
aria seria. Mi sorprendo che abbia deciso di andare direttamente al
punto, questa volta.
“Bene.
Riterrò le
scuse universalmente valide, anche se per il livido che mi
rimarrà sul braccio meriterei probabilmente qualcosa di
più …” - la sua occhiata assassina mi
fulmina di
colpo – “… intendevo un’altra
Cioccorana, non
montarti la testa”, aggiungo, in tono ironico.
La sua espressione, di
colpo,
cambia. Non è più quella di chi ha voglia di
uccidermi in
modo violento e sanguinoso. Sta ridendo, e per quanto possa essere
banale penso soltanto che è bellissima quando ride. In
realtà la trovo sempre bellissima, ma non mi sembra il caso
di
soffermarsi a polemizzare su questo aspetto della questione per farmi
notare quanto io sia monotono e banale.
“Come
vuoi”, mi dice, e
mi porge il sacchetto un’altra volta. L’euforia mi
esplode
dentro in maniera incontrollabile, e il mio viso viene
irrimediabilmente alterato dal classico sorriso ebete che non riesco
mai a trattenere in casi del genere.
È
abbastanza comprensibile,
se consideriamo che non mi capita molto spesso di avere occasioni in
cui sfoggiare un sorriso ebete, almeno con lei.
Mastico in silenzio,
sentendomi per una volta soddisfatto alla fine di una giornata.
Coppa del Quidditch,
scherzo ai
Serpeverde e risata di Lily. Una terna fortunata che probabilmente non
si ripeterà mai più in vita mia. Ma mi sento
così
felice che il pensiero non riesce ad adombrare la mia gioia.
Dopo un po’
vedo che lei fa un cenno, rivolta ad un’amica che la stava
probabilmente cercando.
Non poteva durare in
eterno, me ne rendo conto.
“Ricordati
che in ogni caso
la tua vittoria a Quidditch non compensa le tue malefatte”,
mi
dice, voltandosi indietro quando ormai è già in
piedi e
pronta ad andarsene. Io le sorrido, divertito.
“Troverò
il modo di
farmi perdonare”, rispondo, senza aggiungere altro. Un attimo
dopo lei è già sparita. Mi ricordo
improvvisamente che
circa cinque minuti fa morivo dalla voglia di andare a chiudermi in
camera … ma quale camera? In questo momento non riuscirei a
staccarmi da questa poltrona nemmeno se mi dicessero che Piton sta
ballando sui tavoli in mutande.
***
“Secondo voi
come fanno?”
Mi volto verso Margaret
e la
osservo, perplessa; è completamente assorbita dal gioco,
tiene
lo sguardo fisso sullo sciame di corpi e manici di scopa che si agita
confusamente a mezz’aria e non muove un solo muscolo, proprio
lei
che non riesce a trascorrere un solo quarto d’ora di lezione
senza tirare fuori lo Smalto Cambiacolore per le unghie, il panino con
la marmellata sgraffignato a colazione, le Etichette Canterine da
applicare alle pagine dei libri o una nuova matita da infilarsi nel
naso.
“A fare
cosa?” le
domando, sorridendo mentre ci penso. Fu uno spettacolo disgustoso,
quando lo fece per la prima volta. La Cotton la beccò in
pieno
con quella cosa che le penzolava dalla narice e per poco non scoppiava
a ridere in mezzo alla classe, mentre toglieva cinque punti a
Grifondoro.
“A giocare
tutti impaludati in
quella maniera per ore. Hai presente quella volta, l’anno
scorso,
quando a novembre c’è stata Grifondoro contro
Tassorosso
sotto la pioggia? L’epoca in cui stavo con Brocklehurst, lui
e il
suo nome impossibile. Ecco, quando ci siamo incontrati negli spogliatoi
dopo la partita, lui quasi non riusciva ad alzare un braccio da quanto
era fradicio”.
Cerco di sorridere
mentre Ernest
Larsen sfreccia all’inseguimento di un Bolide a meno di mezzo
metro dal nostro naso. Trovo sempre divertenti i discorsi di Margaret,
solo che da qualche giorno sono davvero di pessimo umore. Ho
attraversato diversi stadi di conflitto interiore per giungere ad un
punto di non ritorno che mi vede inconcepibilmente pentita per
ciò che ho fatto. Incredibile.
“Mio padre
segue il football
americano, e lì giocano in pantaloncini corti. Quelle
sì
che sono divise da gioco”, aggiunge Margaret, con aria
sognante.
Helen si sporge verso di noi con un’espressione
impagabilmente
disgustata al pensiero di un branco di energumeni sudati con le cosce
al vento, e anche questo dovrebbe farmi ridere, perché io
adoro
la sua mimica facciale. Supera perfino la McGranitt, quando ci si
mette. E la McGranitt che squadra dall’alto in basso Potter e
Black mentre tentano di costruire un modellino di Hogwarts utilizzando
le ampolle e le provette di Pozioni è qualcosa di
eccezionale.
Poco importa. Mi
passerà, prima o poi.
“Sfrecciano
tutti a
velocità assurde. Probabilmente prenderebbero freddo alle
gambe,
in pantaloncini”, osserva Mary, alzando lo sguardo dal blocco
da
disegno.
“Un giorno mi
dovrai spiegare
come ci riesci”, le dice Helen, chinandosi per dare
un’occhiata. Mary fa un mezzo sorriso e non dice nulla.
Riesce
sempre a ritrarre Delia nel bel mezzo delle azioni più
assurde.
“Guarda
James!” esclama
eccitato Peter stringendo il braccio di Remus per indicargli Potter che
centra perfettamente l’anello centrale della porta di
Serpeverde,
dopo aver schivato due Bolidi. In condizioni normali avrei incrociato
lo sguardo del mio compagno di sventure per sorridergli con
comprensione. Adesso invece riesco solo a fissare il campo da gioco con
un’espressione vacua, mentre il mio cervello non la smette di
produrre assurdi ragionamenti concatenati affinché io mi
decida
sul da farsi.
Non capisco
granché di
Quidditch, e se vengo alle partite è soltanto per vedere
Delia,
che è in squadra come Battitrice fin dal secondo anno e se
la
cava magnificamente. Però adesso mi ritrovo a pensare che
non
vedo l’ora che Potter scenda da quella scopa. Così
potrò parlargli, almeno.
Inutile dire che per
quella faccenda è andato tutto a ramengo.
Ho lasciato perdere il
loro stupido
scherzo, e a quest’ora l’avranno sicuramente messo
in atto.
La cosa non ha più alcuna importanza e mi dispiace dirlo, ma
ho
ben altro a cui pensare.
Se Potter e i suoi
amici vogliono sfogarsi facendo i teppisti, per questa volta
farò finta di non vedere.
Nei quattro giorni
trascorsi fino ad
ora dalla discussione che abbiamo avuto nel corridoio del terzo piano,
mi sono data alacremente da fare per evitarlo. Ho avuto la netta
impressione che anche lui abbia fatto lo stesso. Di solito, anche se
quest’anno non mi ha più avvicinata una sola volta
per
chiedermi di uscire, mi fermava comunque con una scusa per intrattenere
una breve conversazione sarcastica. E alla fine, tutto sommato, non era
poi così male. Lo so che è assurdo, ma ci avevo
fatto
l’abitudine. Io lo insultavo amichevolmente, lui reagiva con
ironica galanteria, e nessuno pretendeva di più.
In questi tre giorni ho
cercato di stare sola.
In genere mi confido
con le ragazze,
ma queste cose preferisco tenerle per me. Almeno finché non
sarò giunta ad una conclusione che mi permetta di ritornare
a
sentirmi in pace con me stessa.
Per il momento, non ho
trovato una tattica che funzioni.
Alle altre ho detto
soltanto che io
e Potter abbiamo litigato, un’altra volta, e che lui sembra
averla presa piuttosto male. Sono discretamente brava a fare la faccia
di bronzo, quando voglio, e anche se non esprimo un briciolo di quello
che penso e sento ma nascondo tutto sotto uno spesso strato di battute
cattive e discorsi caustici nessuno se ne accorge. Non che sia colpa
loro, comunque. Sono io che sono fin troppo abituata a fingere, da
questo punto di vista. È un vecchio vizio che perdura dai
tempi
in cui mi arrivò a casa la lettera di Hogwarts, e insorse
quindi
la necessità di mascherare i cattivi rapporti con mia
sorella
agli occhi dei miei genitori, comportandomi come se non me ne
importasse niente. Da quando ha iniziato a chiamarmi mostro
e a denigrarmi perché sono una strega, i nostri rapporti si
sono
completamente disgregati. Ormai mi limito a non reagire e a fingere di
non sentire, quando attacca con le sue frecciatine velenose, ma non mi
va di suscitare preoccupazioni e dispiaceri in mamma e papà
anche quelle poche volte che ormai faccio ritorno a casa.
Alla fine, grazie a
questa bravura
di cui dovrei vergognarmi, in merito alle recenti faccende in cui
è implicato Potter sono riuscita ad evitare un numero
eccessivo
di domande. L’unico problema è che non ho ancora
trovato
il modo di risolvere la cosa.
“…
la lotta per il
Boccino è all’ultimo sangue, quando non certe
persone non
vogliono rassegnarsi alla sconfitta diventano davvero insopportabili
…”
“Signor Black
…”
“Professoressa,
non mi dica che non vuole la Coppa!”
“Signor
Black, la smetta di
essere sfacciato e si limiti a riferire le azioni di gioco senza
perdersi in commenti fuori luogo!”
“Va bene, e
allora è
Dobbs, poi Potter, poi Peebles, poi di nuovo Dobbs, poi Jackson
intercetta il tiro e … tsk, dove vuoi andare, idiota
…”
“SIGNOR
BLACK!”
“Il mio era
un commento
giustificato, professoressa, come vede ci è voluto ben poco
perché Matthews lo stendesse con un Bolide!”
“SI CONCENTRI
SUL GIOCO!”
“Okay,
allora, Potter in
possesso di palla, la tecnica dei passaggi sincronizzati
all’attacco dei Battitori funziona perfettamente, direi
…
Dobbs esegue una mezza rovesciata e tenta il tiro, Turpin para, Jackson
parte in controffensiva, Potter gli si para davanti, e …
wow,
James, non ti vedevo così aggressivo da quando
c’era
ancora in squadra Malfoy, vai così … bel tiro,
altri
dieci punti a Grifondoro … suonagliele ancora, James,
così …”
“Signor
Black, le proibisco di istigare alla violenza i giocatori
…!”
“Intanto
Arkwright parte a
razzo e pare dirigersi verso un punto ben preciso, sembra proprio che
abbia avvistato il Boccino, se non fosse che si sta avvicinando
pericolosamente a un Battitore avversario che si prepara a centrarlo in
pieno lo inciterei strappandomi i vestiti di dosso …
Merlino,
quel Bolide! Tieni duro, Hector, non si capisce più niente
… ma che accidenti … Arkwright ha preso il
Boccino,
signore e signori! GRIFONDORO VINCE!”
I miei timpani vengono
immediatamente spaccati dal boato che si alza dalle tribune. Di solito
tento almeno di coprirmi le orecchie, ma questa volta ci rinuncio in
partenza. Tutti si alzano in piedi strillando e applaudendo, Remus e
Peter stanno saltando tanto da rischiare di far crollare lo stadio,
l’intera squadra di Grifondoro si è gettata a
capofitto
sul povero Hector Arkwright rischiando probabilmente di ucciderlo, i
Serpeverde alzano grida di protesta in risposta e Sirius Black impugna
di nuovo il megafono incurante delle opposizioni della McGranitt,
urlando: “TORNATEVENE NEI SOTTERRANEI, PUSTOLE!”
La professoressa ha
tutto il mio
appoggio morale, in questo momento. Immagino si stia maledicendo per
aver acconsentito ad affidare a Sirius in via eccezionale la
telecronaca della partita, ma ormai non c’è
più
nulla da fare. Abbiamo vinto la Coppa del Quidditch, e non credo ci
siano possibilità di riuscire a mandare a dormire la Casa di
Grifondoro prima delle tre di stanotte.
Cominciamo a sciamare
fuori dallo
stadio mentre la gente intorno a noi innalza cori in grado di fare
invidia a quelli dei tifosi Babbani. Io ancora non ho deciso che cosa
fare, ma la calca mi spinge via contro ogni mia volontà e
non mi
resta altra scelta che seguire la massa, dopo aver perso di vista sia
Potter e la sua squadra che Remus e Peter, che non so come devono
essere riusciti ad andare controcorrente per raggiungere il loro amico
negli spogliatoi.
Tocca a me rassettarmi
la spilla di
Prefetto e tentare di farmi ascoltare dalla folla di studenti della mia
Casa, di modo da ricondurli al castello senza incidenti di percorso e
nel modo meno disordinato possibile.
“Vieni in
sala comune, vero?” mi chiede Margaret, saltellando per la
contentezza.
“Credo di
sì”, rispondo, laconica.
“Sì,
mischiamoci alla
folla di esaltati che osanna quattro scemi e i loro manici di
scopa”, commenta Helen, apatica, inarcando un sopracciglio.
“Come sei
perfida. Sono stati bravi, hanno vinto, e noi non facciamo altro che
approfittarne per mangiare a sbafo!”
“Perché,
tu ti fidi di quello che ci offriranno?”
“Dici che non
dovrei?”
“Mah
…”
“Aha! Ti ho
scoperta! Hai
avvelenato il nostro cibo … di’ la
verità, vuoi la
camera tutta per te!”
“Non
ingigantire le cose, io volevo soltanto soffocarti nel sonno”.
Ripenso
all’espressione
serissima e quasi imbronciata con cui Potter ha giocato per tutta la
partita, riuscendo a stamparsi un sorriso in faccia soltanto alla fine,
quando il loro Cercatore ha segnato la vittoria della partita. Il tutto
per colpa mia.
E va bene, lo ammetto.
Mi dispiace.
Devo aver preso una
cantonata colossale.
Riflettendoci con
attenzione, ho
capito che non poteva essere davvero una farsa. Insomma, se gli avessi
rovinato un piano a cui lavorava da un anno con pazienza e costanza,
considerandomi un oggetto e senza che la faccenda implicasse una
qualche partecipazione sentimentale da parte sua, come minimo la sua
reazione sarebbe stata di irritazione, se anche fosse stato
così
stranamente sagace da capire che non c’è verso di
convincermi del contrario di quello che penso. In questi giorni, invece
di evitarmi con quell’aria da cane bastonato, lo sguardo
basso e
una smorfia triste perennemente dipinta in faccia, mi avrebbe come
minimo risposto male alla prima occasione, dato che in via teorica gli
avrei rovinato i progetti. La sua non è una reazione
consona. La
sua è una reazione da persona ferita.
Mi sono sempre imposta
di non
provare pena per lui, nemmeno quando se l’era presa in quel
modo
alla fine dell’anno scorso dopo la sfuriata che gli avevo
fatto
il giorno del G.U.F.O. di Difesa contro le Arti Oscure. Ma ormai, mio
malgrado, non ce la faccio più. Non riesce ad esaltarsi
nemmeno
per il Quidditch, che è la cosa più importante
nella vita
di Potter, da che mondo e mondo.
Quindi, credo proprio
ci sia rimasto male.
Ho provato a domandarmi
il perché, in maniera piuttosto ossessiva.
Perché
l’ho accusato
ingiustamente? No. Anche questo avrebbe dovuto comportare almeno un
briciolo di reazione rabbiosa da parte sua. Voglio dire, Potter non
è una persona che si lascia insultare senza dire niente. E
non
credo che io gli incuta tanto timore da fargli decidere di tenere la
bocca chiusa e non protestare.
Potter la bocca chiusa
non la tiene mai.
Dunque, in fin dei
conti, resta solo
un’opzione. Potter ha dei sentimenti. Di che
intensità non
mi è dato saperlo, ma abbastanza per rimanerci male nel
sentirsi
accusare, da una persona per cui prova qualcosa, di essere un subdolo
doppiogiochista.
Mi ci sono volute la
fatica e la
perseveranza di tre giorni di riflessione per riuscire a vedere la cosa
da un punto di vista esterno. Non lo so, il perché. Sta di
fatto
che evidentemente è così, anche se questo va a
cozzare
contro l’immagine di James Potter che si era costruita nella
mia
testa, e cioè quello che sembrava non essere mai minimamente
toccato da una risposta offensiva, che non si preoccupava minimamente
di quanto io non lo volessi ma, imperterrito, tornava ogni volta alla
carica con nuove energie e nuove speranze conquistate chissà
dove; quello che non riteneva possibile essere rifiutato da me,
perché prima o poi tutti cedono al suo fascino indiscusso.
Ho voluto fargliela
pagare e dimostrargli che così non era, e ce l’ho
messa veramente tutta.
Però ora
sembra davvero aver imparato la lezione.
In fondo,
quest’anno non mi ha
mai chiesto di uscire, né mi ha mai fatto avances di nessun
tipo, per non parlare del fatto che ha smesso di sfoggiare certi doppi
sensi da far venire la pelle d’oca.
E se adesso ci
è rimasto così male, evidentemente una ragione
c’è.
Senza contare che ormai
mi sembra
oggettivamente impossibile che una persona possa fingere
così
abilmente per un anno intero.
Sarebbe disumano.
Inverosimile.
Quindi, quella in torto
sono io.
Sì,
però avevo delle
ragioni per pensarla così, accidenti. Non è che
mi sono
svegliata una mattina e ho deciso che volevo farlo soffrire. Non sono
così cattiva, e non soffro di strane turbe mentali. Quindi,
in
fondo, non è che proprio tutto il
torto stia dalla mia parte. Però come glielo vado a spiegare
senza scatenare l’ennesimo litigio, o senza trovarmi di
fronte
un’altra volta quella sua stramaledetta faccia sconvolta con
gli
occhi lucidi che mi ha perseguitato fino alla nausea in questi tre
giorni d’inferno?
“Ragazze!
Hanno gli Zuccotti di Zucca, io vi saluto e vado a
rimpinzarmi!”
Delia, ricongiuntasi a
noi da poco,
ci abbandona di nuovo, saltellando verso i tavolini della sala comune
con aria famelica. Era prevedibile che l’avremmo persa. Delia
va
matta per i dolci di Mielandia.
“Mary! Ne
vuoi uno?” domanda, e Mary non fa in tempo ad alzare la testa
da Siddharta che
lo Zuccotto le atterra diritto sul libro. Delia diventa immediatamente
bordeaux.
“Scusascusascusa… Gratta e Netta”
dice, sollevando la bacchetta, e il libro torna lindo e pulito, mentre
Mary alza uno sguardo truce su di lei.
“T’è
andata
bene”, le dice, afferrando lo Zuccotto e staccandone un
grosso
morso. Ridono insieme, divertite, e intanto i membri della squadra di
Quidditch si innaffiano con l’Idromele e cantano a
squarciagola.
Condivido uno sguardo amichevole con Remus mentre lui tenta di tenere a
bada un paio di ragazzi del primo anno che si stanno contendendo una
Pluffa sottratta da chissà chi, e con la coda
dell’occhio
riesco a scorgere Potter insieme agli altri due, che lo minacciano
ridendo con una bottiglia in mano.
“Tieni
d’occhio quelli
con l’Idromele, Remus”, dico al mio compagno di
sventure,
osservando con occhio critico Sirius Black che tenta di stappare la
bottiglia con i denti. “Non vorrei che poi ci toccasse
ripulire”.
“Sono
assolutamente d’accordo … ehi!”
Lo sfacciato
studentello del primo
anno gli ha appena sottratto la Pluffa che aveva faticosamente
sequestrato. Ne ridiamo insieme, rassegnati, constatando che nemmeno la
McGranitt riuscirebbe a tenerli a bada.
“Ma
lasciateli urlare”,
mi dice Helen, allargando le braccia con aria rassegnata.
“Domani
mattina si ritroveranno tutti senza voce, e per un po’ ci
sarà pace in questo posto”.
Sorrido di fronte al
suo cinismo
dissacratorio, che tocca il vertice massimo quando si parla di
Quidditch. Comunque sia, non ha tutti i torti. Anch’io li ho
sempre trovati abbastanza esaltati.
Trascorriamo una
mezzora
così, fra i canti di giubilo, gli insulti ai Serpeverde di
cui
Black è ogni volta campione imbattuto e Potter che ogni
tanto si
fa vedere e ogni tanto sparisce, non so dove.
Dopo un po’,
lo scopro: si
cerca una poltrona lontana dal caos, e ci si piazza a sedere con aria
assente, finché non decide che si è concesso il
tempo
massimo di isolamento.
Alzo un sopracciglio,
fissandolo con
aria perplessa mentre ripete questa operazione per quella che
è
almeno la terza volta.
Sicuramente ha dei
problemi.
Ad ogni modo, se questo
è il
suo andazzo non mi resta altro che avvicinarlo in uno di questi
momenti, di modo da potergli far sparire quell’espressione
abbattuta dalla faccia.
Intanto, Delia e Mary
sono sparite
da qualche parte a rimpinzarsi. Margaret trascina via Helen per
mostrarle quel ragazzino del quarto anno che ha iniziato da poco a
piacerle. Anche se Helen, prevedibilmente, non è che approvi
proprio l’idea.
“Ti prego,
non mi interessa chi è. È piccolo. Un
moccioso che si è appena staccato dalla madre. E la
pedofilia è un reato”.
“Ma che
pedofilia, io guardo e basta!”
Sta di fatto che il
momento
favorisce un mio temporaneo allontanamento di cui nessuno potrebbe
accorgersi, e se non lo faccio ora non lo farò mai
più.
Perché tra
poco finisce la
scuola, io me ne torno a Londra e Potter in Galles. E sarà
meglio per me che io mi tolga questo peso dalla coscienza adesso che ne
ho l’occasione.
Intendiamoci, non
è che io
voglia rimangiarmi ogni insulto che gli ho rivolto in tutti questi
anni. Solo che, in questo caso particolare, ho commesso un piccolo
errore di valutazione. Tutto qui. Insomma, non ho alcuna intenzione di
prostrarmi ai suoi piedi. Gli farò semplicemente capire che
so
di aver sbagliato, ed entrambi ci metteremo l’anima in pace,
consentendoci di trascorrere delle vacanze serene e spensierate durante
le quali tutto quello che è successo in questi giorni
verrà dimenticato in un batter d’occhio.
Bene. Potter
è lì
seduto da solo, esattamente dove lo volevo. Perfetto. Mi avvicino ad
uno dei tavolini, afferro un sacchetto di Cioccorane da sotto gli occhi
di alcuni ragazzini delusi che non osano aprir bocca grazie alla mia
ben nota fama di persona che non ama essere contraddetta e mi dirigo
verso quell’angolo solitario della sala comune, tentando di
comportarmi con naturalezza. Cercando di non dare
nell’occhio,
con uno scatto mi avvicino e mi siedo lì di fianco, sperando
che
non gli passi per la testa la pessima idea di prendere e alzarsi
perché non mi vuole parlare.
I miei timori si
placano seduta stante. Altro che alzarsi e andarsene. Sembra
pietrificato.
“Oh, scusami,
ti ho lanciato
un incantesimo senza accorgermene?” gli chiedo, sfoggiando
una
certa dose di ironia per tentare di sdrammatizzare la situazione. Lui
quasi non reagisce: si limita a fare una semplice smorfia, e continua a
guardare fisso davanti a sé.
“Certo, mi fa
piacere che per
una volta tu te ne stia zitto, ma hai comunque il permesso di
muoverti”, preciso. Lui si volta a guardarmi con
un’espressione confusa. Io mi sforzo di mantenermi
professionale
ed educata e di lasciare da parte gli stupidi timori, sostenendo
testardamente il suo sguardo.
“Questo
è il tuo modo di ringraziarmi per aver fatto vincere a
Grifondoro almeno
la Coppa di Quidditch?” mi chiede, in tono incerto. Io mi
stringo nelle spalle, sciogliendomi.
“Considerato
che non ritengo
il Quidditch la base della mia esistenza, direi che per quanto mi
riguarda quella coppa è soltanto una magra
consolazione”.
Lui scuote la testa, e
io reprimo un
mezzo sorriso. Forse non è esattamente il miglior modo di
iniziare una conversazione con uno che ha appena condotto la sua
squadra alla vittoria del campionato scolastico, ma devo cercare di
mettere a suo agio sia lui che me, prima di poter dire quello che ho da
dire.
“Avanti,
dimmi che cosa gli avete fatto”, ordino, con un gesto
sbrigativo. Lui mi guarda a bocca aperta.
“Cosa abbiamo
fatto a chi?”
mi chiede, non avendo evidentemente afferrato il concetto.
“Ai vostri migliori amici”
gli spiego, con leggerezza. Lui sembra cadere di nuovo dalle nuvole.
Evidentemente non si era reso conto che avevo ascoltato praticamente
tutta la loro conversazione, quel giorno dopo Pozioni.
“Ah.
Certo”, risponde, e
non sembra essere molto contento della scoperta. Dovrebbe ringraziarmi
che non sono andata fino in fondo nel tentativo di metter loro i
bastoni fra le ruote, ma tant’è.
“Cosa credevi
che ci fosse in quelle bottiglie?” mi chiede, alla fine,
rassegnato. Io mi stringo nelle spalle.
“Idromele?”
ipotizzo,
riportando alla mente quanto riesco a ricordare di ciò che
ho
visto in quello sgabuzzino. Lui si lascia sfuggire un mezzo sorriso
complice.
“Sbagliato.
In realtà
era pozione lassativa. Il fatto è che, anche se te
l’avessi fatto assaggiare, ti posso assicurare che non
avresti
notato la minima differenza. A parte per gli effetti collaterali,
s’intende. Hai notato che qualche giorno fa Sirius e Peter
non
stavano tanto bene? Questo perché avevano semplicemente
fatto da
cavie … prova ad immaginarti l’effetto che
potrebbe dare
anche solo un bicchierino di quella roba”.
Oh, si è
improvvisamente
sbottonato. Meno male. Non sono mai stata una cima nel trattare con le
persone che ce l’hanno con me, se proprio devo essere
sincera, e
la reazione che Potter sta avendo in questo momento è
decisamente rassicurante rispetto ai miei timori.
“E come ci
siete riusciti?” gli domando, con interesse. Il suo sorriso
di autocompiacimento si fa più grande.
“Trucchi del
mestiere,
sorella. Noi quattro sappiamo fare cose che sui banchi di scuola non si
sognerebbero mai di insegnarci”.
Purtroppo, non posso
non
riconoscerlo. Sono dotati di menti perverse e contorte, ma sono anche
in grado di combinare la loro ingegnosa fantasia con una vasta gamma di
capacità pratiche.
Insomma, un pericolo
pubblico.
Poi penso ai Serpeverde
che fanno a
gara per chiudersi in bagno in preda ad un improvviso attacco di
diarrea, e mi scappa una cattiveria.
“Spero
proprio che si
ubriachino tutti”, gli dico, incrociando le braccia. Sento il
suo
sguardo attonito su di me, mentre mi fissa come se fossi
un’aliena. Ma, da quando si è conclusa la mia
amicizia con
Severus, non ho più pietà per nessuno che faccia
parte di
quella Casa. Fa male, ma evito di pensarci. Meglio sfogarsi con qualche
malignità.
“La tua
perfidia è
sprecata come Prefetto”, mi dice Potter, scuotendo la testa.
Io
mi lascio sfuggire un sorriso.
“Stai
cercando di corrompermi?” domando. Lui si stringe nelle
spalle, con disinvoltura.
“Dovresti
provare a collaborare a uno dei nostri scherzi, sono sicuro che
finirebbe per piacerti”.
Ricominciamo con le
proposte
azzardate. L’avesse detto in un’occasione diversa,
non
credo che l’avrei presa troppo sul ridere. Ma in questo
momento
mi considero in una situazione eccezionale.
“E che cosa
ci guadagno?” gli chiedo, curiosa di sentire fin dove si
spinge la sua sfacciataggine.
“Beh, di
certo ti faresti un
sacco di risate, cosa che ti fa evidentemente bene perché in
questo momento sei molto più rilassata del solito”.
Abbasso lo sguardo e
sorrido,
fissando una crepa nel pavimento. Forse non è poi
così
totalmente incapace di aprire bocca a proposito come sembra.
“Vuoi
scusarti con me,
vero?” mi chiede dopo un po’, fissandomi
attentamente. Io
mi sento improvvisamente avvampare. La mia doveva essere una cosa in
grande stile, una sottigliezza, e invece lui ha già capito
tutto?! Ce l’ho scritto in faccia, per caso? Merlino, ora che
faccio …
“Tieni”
gli dico,
allungandogli con un gesto brusco il sacchetto di Cioccorane che mi ero
portata dietro come offerta di pace, sapendo che lui ne va matto. No,
non voleva essere un gesto di gentilezza. Voleva solo essere un modo
per siglare una tregua tra me e lui. Insomma, erano lì, a
portata di mano, e io ho solo pensato che potessero essermi utili per
raggiungere il mio scopo … niente di speciale.
“Okay,
accetterò la tua
offerta di pace”, dice infine lui, staccando un morso dalla
Cioccorana che ha pescato dal sacchetto. Sorrido minacciosamente,
squadrandolo, nel tentativo di trasmettergli l’implicito
messaggio di chiudere la bocca una volta per tutte. Bravo, Potter,
mangia e taci. Non è difficile.
Ad ogni modo, pare che
abbia accettato. Quindi, posso considerarmi perdonata. Fantastico.
“Sai, queste
sono situazioni
piuttosto critiche. Dovremmo evitare di complicarci la vita. La
prossima volta potrei procurarmi del Veritaserum …
così
non dovresti affidarti a una Cioccorana”.
“Hai bisogno
di una pubblica
confessione per sentirti meglio?” domando, con aria scettica.
Lui
sembra divertirsi perversamente mentre indugia osservandosi le unghie,
con quell’aria da impunito.
“Nah. Mi sto
solo divertendo un po’”.
Ah, è
così? Va bene, Potter, te la sei cercata.
“Ahia! Ma che
ho
fatto?!” osa lamentarsi, dopo che gli ho assestato un bel
pugno
sul gomito per punirlo della sua strafottenza.
“Parli
soltanto per dare aria alla bocca”, gli rispondo, irritata
per la sua evidente mancanza di sagacia.
“Questa
è soltanto una delle tue
teorie riguardo a me, e io non la condivido affatto” ribatte;
inspiegabilmente mi sento punta sul vivo da quella frase, come se in
realtà non fosse altro che una velata accusa nei miei
confronti.
Non mi piace che qualcuno mi critichi, e non mi piace che qualcuno si
senta in diritto di farmi delle osservazioni di questo genere, ma
è inutile, stavolta sono in torto marcio; Potter sembra
avere
l’aria di non aver parlato in modo pienamente consapevole
delle
implicazioni di tale frase e a me, alla fine, non rimane altro che
togliermi questo peso una volta per tutte.
“E va bene,
scusami, ho
esagerato”, ammetto, senza una sola traccia di ironia nella
voce.
Lui mi guarda in serio silenzio per diversi secondi, durante i quali io
mi sento tormentare dalla meschina possibilità che decida di
non
perdonarmi affatto. Ma poi sospira, più serenamente, senza
smettere di fissarmi.
“Bene.
Riterrò le scuse
universalmente valide, anche se per il livido che mi rimarrà
sul
braccio meriterei probabilmente qualcosa di più
…”
La mia espressione si
fa di colpo minacciosa, mentre lo squadro con gli occhi ridotti a
fessure.
“Intendevo
un’altra
Cioccorana, non montarti la testa”, mi dice, ironico, e io
riprendo a respirare, coprendomi gli occhi con la mano. Sarà
anche migliorato, sotto certi aspetti, ma immagino che pretendere di
estirpargli anche questa sua tendenza a un irritante senso
dell’umorismo sia davvero troppo. E alla fine,
paradossalmente,
è riuscito perfino ad evitare di essere prevedibile. Non so
come
ci riesca, considerato che mi ero convinta che non potesse
più
stupirmi. Mi sono sempre fermamente imposta di non dimostrare nemmeno
un briciolo di indulgenza nei suoi confronti, ma adesso proprio non ci
riesco. È talmente sfacciato da risultare divertente.
“Come
vuoi”, rispondo, e
gli allungo di nuovo il sacchetto delle Cioccorane, stavolta in modo
più rilassato. Ne pesco una anch’io e rimaniamo
lì
in silenzio a masticare, in quell’angolo isolato in mezzo ad
una
festa esplosiva, e per un attimo non mi preoccupo
nell’osservare
che un gruppo di ragazzine del quarto anno è salito a
ballare in
piedi sui divani.
Sì, lo so,
è una mia
responsabilità, faccende di mia competenza, e non posso
lasciare
tutto il lavoro a Remus, ma ora, per un momento soltanto, mi sento in
pace con il mondo. Come non mi sentivo da anni, in effetti. La gente
potrà anche avere un’opinione diversa, ma non
credo che,
in fondo, mi sia mai davvero piaciuto litigare; tuttavia, dato che ora
la questione con il mio peggior nemico può considerarsi
risolta,
forse le necessità di impegnarmi in pesanti sfuriate
diminuiranno notevolmente.
A un certo punto, a
risvegliarmi dal
mio turno di pausa, intervengono Margaret e Delia che, sbracciandosi
per attirare la mia attenzione, mi urlano qualcosa di diverso
contemporaneamente, con il risultato che io non capisco una sola parola.
Mi volto verso Potter
per fargli
capire che devo andare, e lui fa un sottile cenno d’assenso
con
un mezzo sorriso, per dirmi che ha compreso la situazione.
Forse un pochino di
sagacia Godric gliel’ha donata, dopotutto.
“Ricordati
che in ogni caso la
tua vittoria a Quidditch non compensa le tue malefatte”, lo
ammonisco, voltandomi mentre sto per andarmene. Lui mi risponde con un
sorriso divertito.
“Troverò
il modo di
farmi perdonare”, afferma, sicuro di sé, e io
corro a
raggiungere le mie amiche, sentendomi finalmente a posto. Non mi
toccherà più vedere in giro la sua espressione
depressa
per causa mia, e questo mi conforta alquanto.
“Che
succede?” domando, avvicinandomi a Delia e Margaret nel
tentativo di recuperare un’aria professionale.
“Oh, beh,
ecco, scusaci se ti abbiamo disturbato …”
Mi sento
improvvisamente assalire
dall’imbarazzo e sto per smentire qualsiasi sospetto possa
essere
nato nelle loro teste bacate, ma Margaret non mi lascia nemmeno il
tempo di aprire bocca.
“…
però abbiamo pensato che fosse proprio il caso di
avvertirti, perché …”
Il suo monologo
stranamente si
interrompe – non è da lei. Corrugo la fronte con
aria
interrogativa, spingendola a continuare con un cenno.
“Sì,
insomma, pare che
dei ragazzi del secondo anno si stiano preparando a una gara di lancio
di torte in faccia a chi avrà la fortuna di passare sotto la
finestra del loro dormitorio in questo preciso momento”.
Per poco gli occhi non
mi schizzano
fuori dalle orbite, mentre sento diminuire notevolmente
l’afflusso di sangue al cervello.
“Grazie per
l’avvertimento, adesso li sistemo io”.
“Posso venire
con te? Sono curiosa di assistere ad una delle tue sfuriate in diretta
…” mi chiede Margaret.
“Non
arrabbiarti troppo, Lily, sono ubriachi!” mi urla dietro
Delia, mentre mi allontano.
E per la prima volta da
quando
l’incarico di Prefetto mi è stato assegnato, sento
che
forse potrò concedermi di essere un pochino più
indulgente del solito.
Questi disperati
tredicenni dovranno ringraziare Potter, immagino.
Nobody's perfect that's
what I say,
No one has hurt me so
much you say,
I'm sorry.
I was afraid to tell you
some things,
But some things all find
a way to get told.
(Snow Patrol, On/Off)
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