Nickname sul
forum: Ulissae
Nickname su Efp:
Ulissae
Titolo della fanfiction:
Dio è vestito di giallo
Titolo del contest: Collapsing
night
Pairing: //
Personaggi:
Niccolò Machiavelli, Leonardo Da Vinci, Francesco Vettori,
Michelangelo Buonarroti, Dante Vignola (ahimé solo l'ultimo
è mio)
Generi:
storico, romantico, malinconico.
Warnings:
one shot, accenno a un amore tra uomo e uomo.
Credits:
ogni personaggio appartiene a se stesso, all'infuori di Dante. I fatti
di seguito narrati sono puramente di fantasia, pur rimanendo
verosimili. L'icon a cui mi sono ispirata è di Boundary.
Note personali:
se avessi dovuto scrivere un documentario per Alberto Angela avrei
dovuto studiare di meno.
Ho cercato di rendere la storia più verosimile e
storicamente attendibile, rinforzando le mie conoscenze personali con
la rivista Storica del National Geographic e wikipedia.
Consiglio di
leggere le note dopo la storia, per evitare possibili
“spoilers”.
La corrispondenza tra Machiavelli e Francesco Vettori è
provata da un buon numero di epistole, nelle quali molto spesso
Niccolò si lamentava della noia della vita all'Albergaccio e
di come molto spesso si metteva a litigare con i paesani. Quando dice
antiqui amici è un riferimento agli antichi scrittori, che
lui diceva fossero gli unici a fargli compagnia.
La cornice è ambientata nel 1515.
Leonardo da Vinci incontra Dante nel 1503, quando sta tornando a
Firenze. Il pittore aveva 51 anni mentre Dante 17. Leonardo ebbe
numerosi giovani discepoli ed essendo lui stesso stato preso dal
Verrocchio nella sua bottega in una situazione simile (incontro in
campagna) ho creduto che per un tipo come lui non sarebbe poi stato
tanto strano portare un ragazzo a Firenze per insegnargli a dipingere.
Sia Machiavelli che Leonardo da Vinci lavorarono per Cesare Borgia; il
primo tra il 1501 e il 1503 e il secondo nel 1502. Ho ipotizzato che
almeno di sfuggita si siano incontrati.
Quando Leonardo si trova a lavorare con Michelangelo si tratta
dell'opera della Battaglia di Cascina, dove si doveva esaltare la
potenza della Repubblica Fiorentina. Il lavoro era troppo ampio e
nell'asciugatura si finì per distruggerlo. I conflitti tra i
due artisti sono riportati da molti storici e commentatori, anche se
nessuno dei due mise per iscritto niente contro l'altro. Sia
Michelangelo che Leonardo erano dichiaratamente omosessuali.
Leonardo si trasferì a Milano nel 1506 e lì
lavorò per il francese Charles D'Amboise.
Nel 1513 si trasferì nuovamente a Roma, dove sperava di
venire accolto dal Pontefice, che invece gli preferì artisti
come Michelangelo e Raffaello. In quegli anni la fabbrica di San Pietro
era ancora in piedi ed è per questo che mentre cerca Dante
Leonardo si ritrova quasi nei cantieri.
Michelangelo aveva finito nel 1512 la volta e ho pensato che non era
poi tanto impossibile che potesse entrare dentro tale cappella, visto
che Giulio II era a stretto contatto con lui, per via della tomba
monumentale che gli aveva affidato.
Dante dice che Dio è in un cervello perché se si
nota il mantello che avvolge Dio nella scena della creazione si
potrà vedere chiaramente la sezione di un cervello umano.
Dio
è vestito
di giallo
Die 1 martii 1515
Magnifice
vir,
mi spiace quasi disturbare la vostra felicità con le mie
lettere, ma a quanto pare siete rimasto solo voi come mio unico
conforto: qui, in questo paesello, quale è l'Albergaccio,
non c'è niente di interessante da fare, tanto meno con il
tempo freddo e rigido che impervia ultimamente.
Per di più la donna che mi affitta questa misera casa in cui
vivo (una vedova dai mille e mille figli) ha aumentato il costo delle
candele; qui intorno nessun altro le produce e le mie esigue finanze
non mi permettono di comprarne molte. Pertanto il tempo che solitamente
dedicavo ai miei antiqui amici è diminuito e quello dedito
alla noia è aumentato.
Ma da due giorni a questa parte mi sono ritrovato attratto e consumato
nella ricerca di una soluzione a una serie di carte che donna Maria -la
proprietaria- mi ha affidato. Credo si tratti di una sorta di diario,
l'unica cosa che so è che il proprietario lo ha lasciato a
lei e che tale uomo è stato per lungo tempo il maestro di
suo figlio.
Dante. Mi ha detto che si chiamava Dante. Nome curioso per un luogo
dimenticato da Dio come questo.
Ora devo trovare una soluzione a questo labirinto di idee e di parole:
sembrano scritte al contrario.
Die 2 martii
Magnifice
orator,
scriveva al contrario! Ho passato un'intera giornata analizzando tali
scritti e alla fine sono arrivato a una soluzione: facendo uso di un
pezzetto di vetro lucidato (qui gli specchi sono un sogno, mio caro
amico!) si riescono a leggere le parole di questo Leonardo. Temo quasi
sia quel genio inconcludente che ho potuto conoscere lavorando con
messer Borgia, anzi, i miei timori son diventati certezza quando ho
riconosciuto la firma che spesso trovavo su bizzarri e assurdi lavori.
Dopo un po' l'occhio si abitua alla scrittura al contrario e la storia,
mio caro amico, è piuttosto interessante. O per lo meno
così è a me parsa. Sarà la noia?
Sarà questo orrido luogo nel quale vivo che ha annientato le
mie aspettative? Voglio proporvela, così saprete dirmi se
sono impazzito di tedio.
“Donna Maria, sono sicuro che non vi ricorderete di me. Ci
incontrammo quando venni ad alloggiare nella vostra dimora e alla mia
partenza Dante venne con me, magari è meglio che non vi
ricordiate. Altrimenti Dio starebbe già cercando un modo per
punirmi, per aver sottratto a una madre il suo figlio. Ma Dante... oh,
sapete meglio di me quanto Dante sia straordinario. Non vi ha scritto
né è venuto a trovarvi e di questo l'ho spesso
biasimato; ma chi siamo io, o lei, per costringere un'altra persona a
fare qualcosa contro la sua volontà?
Vi torna alla mente quando tornavo dalla campagna con la mia bisaccia
colma di insetti? Mi chiamavate strambo -e in fondo credo di esserlo
sempre stato- e ora ve ne darò un'ulteriore conferma: voglio
raccontarvi una storia e vi prego di ascoltare.
Quando io e Dante arrivammo a Firenze, nel 1503, ero povero,
profondamente povero. Dante, però, sembrava molto meno
scoraggiato di me; in poco tempo riuscì a diventare parte
integrante della città fino a conoscerne per filo e per
segno ogni piccolo anfratto e ad aver parlato con la maggior parte
delle persone. Fu grazie a lui che riuscii a ottenere un incarico alla
Santissima Annunziata. È sempre stato così pieno
di vita, se lo ricorderà anche lei.
Quando entrammo per la prima volta dentro la chiesa, si
guardò intorno e mi chiese: «Vivremo
qui?»
«Lavoreremo qui» gli risposi io; ho sempre adorato
il modo con cui riusciva a porgere le domande.
«Allora siamo preti» rise. Pensai all'ironia della
cosa e altrettanto aveva fatto lui: altrimenti non lo avrebbe mai
detto. Era giovane, appena diciassettenne, ma il mondo era riuscito a
trasmettergli tutto il sarcasmo che potrebbe avere un adulto.
«Magari» gli dissi mentre iniziavo ad analizzare la
parete con la quale avrei dovuto lavorare. «Di sicuro non
salteremmo i pasti».
Non ricordo molto della Santissima Annunziata, ma fu in quella cappella
che gli insegnai a creare i colori e potei notare quanto fosse
più paziente e meticoloso di me nella mescolatura e di come
le tinte che produceva fossero più belle e preziose delle
mie.
In quei primi momenti che trascorremmo insieme, come Maestro e
discepolo, imparò molto da me e altrettanto feci io da lui.
Sapeva creare un ottimo giallo e gli chiesi come facesse, cosa ci
mettesse in quel composto che sembrava voler cavare gli occhi di chi lo
vedeva, tanto era acceso.
«Quando ero piccolo passavo molto tempo con mio fratello
Paolo per i campi» mi rispose facendo spallucce, rimanendo
dietro di me, mentre attento mi osservava dipingere.
«E quando facevamo la raccolta del grano questo era il colore
che vedevo. Ero basso...» scoppiò in una risata
ilare e gioiosa, come era suo solito. «Sono basso... non
vedevo bene oltre me, ma questo giallo sì. Vedevo sempre
questo giallo.»
Come vi ho già detto, Donna Maria, non ricordo molto della
Santissima Annunziata, ma le sue risate e i suoi magnifici colori
sì, perfettamente.”
Mio caro amico, sono stanco, l'ultima candela si è quasi
esaurita e vi devo lasciare. Spero che non vi siate annoiato; domani
voglio continuare a “tradurre” questa storia e mi
auguro che voi sarete mio compagno in questa lettura.
Die 3 martii
Magnifice vir,
purtroppo oggi ha piovuto e la luce mi è stata negata,
è stata poca la parte della storia che ho potuto leggere. Ma
voglio proporvela, poiché mi pare assai appassionante.
“Firenze non mi ha mai amato e io non ho mai amato lei sul
serio; l'aver dovuto lavorare con quel dannato di Michelangelo ne
è la conferma. Il fatto che Dante lo adorasse, poi, non fece
che incrementare in me la rabbia verso costui, che credendosi puro
Intelletto non sapeva fare altro che autoesaltarsi!
Dante osservava i suoi movimenti rapito e per la prima volta in quella
stanza, nella quale condividevamo i lavori, iniziò a
parlarci della sua storia. La sua vera e totale storia.
Era nato in una famiglia numerosa, nel piccolo paesello di Sant'Andrea,
fortuna volle che fosse molto credente e che il prete avesse creduto
molto in lui. Gli insegnò il latino e un poco di greco lo
apprese trovando libri nascosti tra i molti di questo Don Pietro. La
sua vita trascorse monotona finché io e lui non ci
conoscemmo e lui decise di venire con me. Non era una storia
emozionante o viva, palpitante, ma il modo con cui la narrava, con cui
sapeva descrivere i piccoli dettagli della sua vita in campagna faceva
sì che sia io che quel giovane impulsivo, che tanto lo
ammirava a sua volta, tacessimo. Muti ad ascoltarlo scordavamo perfino
di criticarci l'un l'altro.
Ma io temevo, temevo molto che la giovinezza che li legava l'avrebbe
portato via da me: non vedevo l'ora di finire il mio lavoro e per la
prima volta della mia vita, per quando nella mia indole sia possibile,
iniziai a dipingere velocemente.
Spesso il Buonarroti gli chiedeva chi, secondo lui, tra noi due sapesse
dipingere meglio; chi, con la sua tecnica, cogliesse la
realtà con maggiore bravura.
Dante si alzava, la sua figura magra e mingherlina avvolta in quelle
casacche strane, che si faceva cucire con avanzi di varie stoffe,
sempre troppo grandi, e rimaneva a osservare le figure oltremodo
muscolose del mio 'collega'.
Poi veniva da me, studiava le mie e sorrideva.
«Tu succhi la vita e non riesci a sentirne la
friabilità, tu la sbrani, e non riesci a sentirne il
sapore» diceva, puntando un dito contro le due pareti.
Sembrava un angelo, che stava lì a giudicare non solo due
lavori ma due uomini. Poi sorrideva e si risiedeva a terra,
rimescolando i colori. «Bisogna assaporare un morso della
vita. Solo un morso di ogni cosa».
I disastri che poi ne uscirono da quella commissione non voglio star
qui a ricordarli, ma quando tutto bruciò Dante era al mio
fianco, versando lacrime di disperazione che io, troppo sconvolto, non
riuscii a sentire.”
Voi che abitate a Roma e vivete presso il Sommo Pontefice sicuramente
avrete conosciuto tale Michelangelo. Artisti... sono folli eppure
amati, mentre io, misero, che tanto ho fatto per la mia adorata
Firenze, marcisco qui, consolato solo dalle parole di questo Leonardo.
Die 4 martii
Magnifice
magister,
ho perfino smesso di litigare con questi falegnami ladri per quanto
questa storia mi ha catturato!
“Continuai a impegnarmi in lavoretti da poco, se non ci fosse
stato Dante avrei lasciato perdere tutto. Lui e la sua costanza mi
spaventavano e mi affascinavano allo stesso tempo. Passavo la maggior
parte del mio tempo a riportare le sue espressioni con schizzi e
piccoli disegni più elaborati. I suoi capelli neri erano
così scuri e affascinanti che non poche volte mi dovetti
trattenere dall'affondarci dentro le mie mani e attirarlo a me.
Oh, Donna Maria!, ora che sono lontano dall'Italia e non
tornerò più lì posso scrivere queste
cose senza temere il vostro giudizio di madre. Ma forse neanche
leggerete né lo farà il vostro prete di fiducia.
Nessuno sa leggermi e forse, stavolta, questa mia stranezza
sarà una grazia. Probabilmente queste sono solo le
confessioni di un uomo morente che narra la vita di un altro uomo morto.
Comunque Firenze a me non è mai piaciuta, Dante sembrava
adorarla, invece. Il tiepido clima del centro gli mancò
molto quando ci trasferimmo a Milano.
E ancor di più gli mancò il toscano.
Non parlava con nessuno all'infuori di me e quando lo portavo in giro
mi usava per comunicare con gli altri.
«Vedi, tu sai il latino e non sai il lombardo» lo
prendevo spesso in giro quando, ormai uomo adulto, doveva chinarsi sul
mio orecchio per sussurrarmi cosa dire agli altri.
«Messer Leonardo, io non saprò il lombardo, ma a
scriver come Dio comanda lo so fare eccome!» mi rispondeva.
Non ricordo una sola volta in cui non ebbe l'ultima parola, ma il suo
dolce e angelico sorriso sì. Ma le sue labbra
sottili e il naso magro rendevano le sue espressioni sempre furbe, come
se pensasse ad altro. Le più furbe di tutte.”
Cosa ne dite? Magari quel folle di Leonardo ha inventato tutto, ma tale
Donna Maria un figlio di nome Dante lo ha avuto, è morto, ed
è scappato a Firenze da giovane con un uomo che si faceva
chiamare artista.
Mi rodo di curiosità, mentre attendo il giorno e la luce.
Die 10 martii
Magnifice vir,
finalmente la pioggia ci ha dato tregua e io sono riuscito a ricevere
la vostra lettera. Fortuna che anche voi risultate interessato a questa
storia! Altrimenti ne sarei uscito pazzo, perché in questi
giorni non ho potuto leggerne neanche una riga, tanto il tempo si era
fatto scuro e cupo.
Mentre stavo seduto sotto una mimosa in fiore e la mia testa veniva
inondata da quei piccoli pallini gialli, che sono i suoi fiori, ho
ripreso a leggere la storia, meravigliandomi del fatto che sia quasi
finita. Leonardo non è mai stato un tipo paziente e temevo,
dalla finezza di questo piccolo plico, che le sue parole sarebbero
durate ben poco.
“Milano mi permise di fare cose futili e dopo Firenze io
volevo fare solo cose futili, allo stesso modo Dante, che nella
spensieratezza sembra essere sempre a suo agio. Passavamo tantissimo
tempo all'aperto, lui raccogliendo in un quadernino appunti su piante e
fiori, mentre io progettavo padiglioni e ghiribizzi nel giardino di
Amboise.
Gli anni passarono e negli occhi di Dante iniziai a vedere donne e
uomini nuovi, una vita che cominciò a vivere con la passione
di sempre. Temevo che prima o poi sarebbe entrato nella nostra casa
annunciandomi di essere innamorato, di volersi sposare e di andarsene
da me, un uomo inconcludente quale ero e quale tutt'ora sono.
Ma non successe: le persone che conosceva le conosceva e basta,
più per curiosità che per altro. Li ammaliava con
i suoi modi di fare, le esplorava per poi lasciarle andare. Non so
perché continuasse a tornare al mio fianco, ogni giorno,
nonostante le pesanti occhiaie procuratagli dal vino e dalla taverna
della sera prima. Con il suo taccuino stava accanto a me, fedele e
sorridente.
Ora che passo molto del mio tempo fissando il quadro di Monna Lisa non
posso che scoppiare a piangere ogni volta che mi soffermo sul suo
sorriso. Dante, il mio caro e dolce Dante. Che con i suoi modi di fare,
la sua scaltrezza, la sua beltà riuscì a
ispirarmi un viso del genere. Quel sorriso. Il sorriso del mio
Dante.”
Ha iniziato a piovere, Francesco. Sperando di non rovinare nessuno di
questi pochi fogli che mi rimangono, vi saluto.
Die 11 martii
Magnifice
orator,
oh, che disdetta! Ho appena finito di leggere i ricordi di messer Da
Vinci e sono così afflitto nel pensare che non
avrò più compagnia in queste sere di fine inverno.
“Partimmo per Roma, speranzosi di trovare una situazione
migliore ad accoglierci: anche Milano era risultata una
città ostile e il clima rigido faceva spesso lamentare
Dante. Così entrambi la lasciammo piuttosto di buon grado,
nonostante io sapessi già dentro di me che la
città papale non sarebbe stata diversa dalle tante altre
nelle quali avevamo vissuto.
E così fu, almeno per me.
Mentre io rimanevo nella nostra misera stanza, in attesa di una
possibilità da parte del Santo Padre, questi preferiva altri
ingegni al mio. E non fu il solo.
Quasi per caso Dante e Michelangelo si ritrovarono, alle soglie di una
chiesa. Burbero e rumoroso come sempre, lui si stava lamentando con
degli operai e fu solo la voce ormai adulta e profonda di Dante che lo
distrasse dalla sua ira.
Si abbracciarono come fratelli, e nel vedere quei due corpi giovani
stare così avvinghiati provai un groppo alla gola e allo
stomaco, che mi portò a salutare entrambi veloce, per poi
scomparire di nuovo tra i carri e le persone della città.
Dante non tornò a casa la sera e quando il giorno dopo si
presentò, sembrava euforico.
«Quello è figlio di Dio»
esclamò, mentre si buttava pesantemente sul suo giaciglio.
«Se è per questo tutti lo siamo» gli
feci notare ironicamente io, senza sollevare lo sguardo da alcuni
schizzi. Ripensai agli strumenti che avevo progettato per toccare il
cielo e li desiderai ardentemente. Temevo quello che mi avrebbe detto,
temevo che le sue parole mi avrebbero ferito più di quanto
il suo tono non facesse già.
«Mi ha portato a vedere una sua opera... È...
è gigantesca, Leonardo! Gigantesca! Una sala che non puoi
neanche immaginare! Tutta dipinta da lui! Lo capisci? Era... era
semplicemente grandiosa! E Dio... quel cervello... stava in un
cervello, non in una conchiglia! In un cervello».
Volevo che tacesse. Che non parlasse. Per la prima volta la sua voce
non era dolce e melodiosa, ma gracchiante e aspra. Ero stanco,
così stanco. Non ho mai creduto in Dio ma in quel momento mi
chiesi se la voce del Demonio, quando cadde dal Paradiso, non si
trasformò come quella di Dante.
«Smettila» lo dissi in un soffio, esasperato.
«Leonardo, devi venire. La devi vedere. Sono sicuro che ti
farà venire con noi. Là c'è veramente
Dio, Leonardo!» era così dannatamente insistente.
I suoi capelli scuri sempre scompigliati sembravano in condizioni
peggiori del solito e il volto era stanco, seppure eccitato e fremente.
Mi chiesi cosa avessero fatto e i segni sul suo collo me lo
suggerirono. Serrai le labbra e mi alzai, brusco.
«Non ci penso neanche. Anzi, sono seriamente intenzionato ad
andarmene da questa dannatissima città dove idioti vestiti
di rosso fanno il brutto e il cattivo tempo!»
«Leonardo... ti prego, stammi a sentire!» gemette.
Vidi nei suoi occhi tanta tristezza. Le sue mani sottili mi raggiunsero
e strinsero le mie, sempre sporche di nero. Ma nel suo odore caldo
potei avvertire il calore di Michelangelo, nelle sue occhiaie una notte
che io non avevo mai vissuto con lui. Mi ritirai e mi voltai.
Non gli avevo mai voltato le spalle e lui mai le aveva voltate a me. Lo
notai irrigidirsi e poi superarmi, sparendo velocemente giù
per le scale. Corsi alla finestra e vidi la sua figura scomparire tra
la gente, mentre si allontanava con un'andatura scoordinata.
Non feci niente per l'intera giornata. Pensai che sicuramente avrebbe
passato le sue ore con quell'uomo, che magari si sarebbero nuovamente
amati. E sicuramente Michelangelo avrebbe riso. Sì, ne ero
così sicuro.
Scese la sera e la stanza si fece buia. Non volevo illuminarla: a cosa
sarebbe servito sprecare una candela se l'oscurità era
dentro di me?
Mi alzai barcollando e decisi che dovevo cercarlo; se veramente volevo
andarmene da Roma come avevo deciso, dovevo dirglielo.
Vagai di taverna in taverna e ovunque mi dissero che non l'avevano
visto, quasi senza rendermene conto mi stavo avvicinando a San Pietro.
I cantieri si stagliavano contro la luna, che era solo all'inizio del
suo percorso. Non vedevo quasi niente mentre camminavo, ma
all'improvviso sentii delle grida; riconobbi subito la voce di Dante e
dentro di me pensai di morire, anzi, di essere morto.
Corsi, per quanto la mia età me lo permetta, e inciampai in
un corpo: era quello di una guardia, che stava a terra agonizzante,
tenendosi il ventre. C'era puzza di sangue. Mi guardai intorno,
aguzzando la vista e vidi un lembo di stoffa più chiara
sparire dietro un angolo. Arrancando lo inseguii e alla fine lo
raggiunsi: era riverso a terra, parte di lui, le gambe, erano infilate
in un rigagnolo dall'odore pestilenziale, mentre il respiro affaticato
rompeva il silenzio della viuzza.
Mi chinai sulle mie vecchie ginocchia e gemetti: sulla sua gola si
apriva uno squarcio dal quale usciva copioso il sangue; strizzava gli
occhi, arrancando, e ci mise molto prima di riconoscermi.
«Dante...» lo sussurrai, mentre affondavo il viso
contro il suo collo. La mia barba ormai chiara si tinse di rosso.
I colori, pensai, quei colori che tanto amava.
«Leonardo...» sorrise flebilmente «non
dovevo farmi vedere... dovevo chiederlo a Mi...» ma le parole
gli uscivano spezzate e ogni volta che ne pronunciava una dalla sua
gola usciva un gorgóglio di sangue e aria.
«Taci, ti prego».
Ero debole e il mio corpo non avrebbe mai potuto portare su di
sé Dante; casa era lontana e la sua morte si avvicinava a
grandi falcate. Scoppiai a piangere, lacrime di un vecchio eccentrico
che si versavano per questo ragazzo, che tanto a lungo avevo amato.
«Tieni...» mi porse un pezzo di pergamena
stropicciato «c'è Dio». Sorrise
un'ultima volta, in quel suo modo enigmatico, quasi nascosto. Aprii il
piccolo foglio e trovai due mani, vicine tra loro, sul punto di
sfiorarsi.
Dante Vignola, il mio caro, dolce Dante giaceva lì, riverso
tra le mie braccia. Chiusi gli occhi e sperai che le nostre mani, prima
o poi, si sarebbero potute toccare.
E ora, Donna Maria, anche se non credo che voi abbiate letto, vi
rimando indietro il suo cadavere. Lo rimando al suo caldo e amato
giallo, sperando che quel morso al mondo che è stata la sua
vita, sia stato capace di fargli assaggiare ogni prelibatezza.
«Mordi la vita, Leonardo» diceva. «Non
succhiarla né sbranarla: mordila».”
Le pagine che seguono, per mio sommo dispiacere, le ha rovinate
l'ultima pioggia. Mio caro amico, ancora mi struggo per questa storia e
non ho il coraggio di dire a Donna Maria cosa ci sia scritto. Mi
limiterò a dirgli che sono poesiole del figlioletto, e
magari domani inizierò a comporne alcune, tanto per
tranquillizzare il suo occhio ignorante e il parroco.
Mordere la vita... caro Francesco! Che ci sia d'augurio!
Vi saluto,
cordialmente vostro,
Niccolò Machiavelli.
Angolo autrice:
non ho niente da aggiungere, se non degli enormi complimenti a tutte le
partecipanti. Ringrazio per il giudizio Alexluna
:)
|