Zenri/Nito (shounen-ai
molto vago; probabilmente c'è solo nella mia mente), basata
sul quarto volume (di nuovo, SPOILER!).
Perché Replica è un fandom che va portato a
conoscenza del mondo ♥
Buona lettura!
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Profumo di noci
ammuffite
C’era un divano, nella sala comune di Cards, che
Zenri occupava sempre: si stendeva su di esso, incurante della
possibilità che qualcun altro avrebbe potuto avere piacere
di
sedersi sui cuscini morbidi, e dava ordini agli altri di occuparsi di
ciò che lui non aveva voglia di fare. Era un divano rosso,
sebbene
sin da quando si erano stabiliti a Rattle Park il colore fosse quasi
del tutto sbiadito, scalcinato, dai lati del quale pendevano alcune
molle e sul pavimento era sparso buona parte del suo contenuto,
tuttavia Zenri non si era mai lamentato.
Disteso su quel divano, talvolta il capitano di
Fiori chiudeva gli occhi, quasi stesse dormendo, oppure appoggiava un
polso alla fronte, di modo da nascondere agli altri il proprio
sguardo.
Su suo ordine, al loro arrivo quel divano era stato
sistemato vicino alla scrivania alla quale avrebbe dovuto sedersi per
lavorare; naturalmente, non aveva mai occupato quel posto, preferendo
scaricare sul suo assistente il lavoro d’ufficio per
occuparsi di
leggere “Lo scherzo del fattore”,
ogni volta mentendo su
quanto in realtà si stesse impegnando, sebbene fosse palese
che non
era la verità.
In realtà, Nito sapeva che – persino quando aveva
finto di dormire – Zenri lo aveva osservato con grande
attenzione,
sempre preparato a soccorrerlo qualora si fosse trovato in
difficoltà. E, al tempo stesso, apparentemente innocuo e
addormentato come un qualunque essere umano, di modo da non metterlo
a disagio.
Ma – di quest’ultimo particolare – Nito
se
n’era reso conto soltanto quando ormai era stato troppo tardi.
Se soltanto fosse stato più disposto a dargli
fiducia, Zenri non sarebbe stato divorato dal lupo.
Eppure lui, malgrado vedesse il modo condiscendente
con cui Nito accoglieva le sue bugie, senza mai dare loro reale
credito, aveva sempre sorriso, gli era sempre stato accanto, non si
era mai arreso all’evidenza che, se non fosse stato sincero,
nessuno gli avrebbe dato ascolto.
“Dimmi, Nito,” lo aveva
apostrofato una
volta, in procinto di cominciare una di quelle conversazioni che Nito
era convinto non avrebbe dimenticato mai “pensi mai
di
andartene? Di ricominciare una vita tua e lasciare gli altri a
rischiare la propria per distruggere qualche pezzo di metallo
assassino?”
“Beh, sì” Nito si era
vergognato di
ammetterlo così apertamente, tuttavia non aveva motivo di
nascondere
la realtà a Zenri come si ostinava a fare lui. “È
che… tante
volte mi sembra così sciocco – combattere la
stessa guerra di un
libro di favole, voglio dire. Tu eri il suo migliore amico:
perché
quell’uomo è così legato a quel
racconto?”
“Non vergognartene”
l’aveva rassicurato
Zenri – quella doll lo conosceva molto meglio di quanto
avesse mai
lasciata intendere – senza prestare la minima attenzione alla
domanda che gli era stata rivolta. “Di tanto in
tanto penso
anch’io che sarebbe bello smettere di vivere il ruolo di una
stupida carta da gioco…”
“Quindi hai considerato più di una volta
la
possibilità di sciogliere Cards?” si
stupì Nito, senza sapere
bene cosa pensarne; all’epoca, Zenri aveva sorriso,
divertito, e
finalmente il ragazzo ne capiva appieno il motivo: allora era
convinto che, malgrado tutto, in fin dei conti Zenri altro non fosse
che un ammasso di ferri vecchi che prima o dopo avrebbe smesso di
funzionare. Un giocattolo, uno schiaccianoci, qualcosa che mai
avrebbe potuto provare un sentimento simile a quelli degli esseri
umani.
E Zenri l’aveva sempre saputo.
Aveva sempre saputo tutto di lui, più di quanto
conoscesse lui stesso.
“Naturalmente. Credi che mi faccia piacere
mettere in pericolo Cal, Shirahime e gli altri? E te, chiaramente. Ci
ho pensato, sì, ma è ovvio che non posso: chi
altri si occuperebbe
di AAA?”
Nito non aveva saputo che cosa rispondere, in parte
perché Zenri l’aveva colpito con quella
dimostrazione di onestà e
umanità, in parte perché, se in bocca a qualcun
altro “occuparsi”
avrebbe potuto essere sinonimo di “sconfiggere”,
sulle labbra
della doll aveva suonato come “prendersi cura”.
“Quindi tu hai intenzione di rivestire per
tutta la vita il ruolo di capitano di Fiori per AAA e per noi?”
Quella domanda aveva abbandonato la sua gola prima che potesse
soffocarla. “Voglio dire…”
aveva soggiunto in tono
vergognoso “… non serve a niente, no?
Quell’uomo è folle,
distrugge le sue stesse creazioni, quando gli vengono a noia. Non
merita che qualcuno faccia qualcosa per lui. E noi sappiamo
cavarcela, lo sai: ci hai insegnato tu”. Aveva
abbassato gli
occhi, perché Zenri aveva preso a fissarlo intensamente con
quelle
sue orbite prive di calore, forse colpito dalla sua capacità
di
discernere il legame che ancora legava la doll al suo creatore oppure
dalla sua inaspettata rassicurazione sulle capacità e sulla
lealtà
del loro gruppo, all’epoca neonato.
“Hai ragione, Nito. Hai ragione tu”.
In un primo tempo Nito non aveva saputo che valore
dare a quel dialogo quasi del tutto illogico, tuttavia adesso il
significato delle parole di Zenri si era inciso a fuoco sulla sua
pelle.
Se avesse rinunciato alla possibilità di incontrare
ancora AAA per farlo ragionare, di proteggere le altre doll e di far
terminare quell’orrenda fiaba, Zenri non avrebbe avuto
più nulla
per cui vivere e probabilmente presto si sarebbe tolto la vita,
schiacciato dalla consapevolezza d’essere stato inutile, sia
come
schiaccianoci che come amico.
Forse, se avesse capito allora, avrebbe considerato
le motivazioni di Zenri persino egoistiche; adesso, tuttavia, non
poteva più ritenerle tali.
Senza più un superiore sfaticato di cui occuparsi,
senza più menzogne senza alcun filo logico da ascoltare,
senza più
neppure quegli occhi a scrutarlo e dei quali doveva imparare a
sostenere lo sguardo, in un primo momento, dopo la fine della guerra,
Nito si era chiesto che cosa avrebbe fatto ed era persino arrivato a
pensare che sarebbe stato meglio avere ancora dei nemici da
combattere.
Aveva temuto che, avendo trascorso tre anni della
propria esistenza a tentare di distruggere i toy, non sarebbe mai
più
stato capace di fare nient’altro.
Non era stato del tutto convinto che sarebbe
riuscito a fare il primo passo per ricucire i brandelli di quella
vita nemmeno quando era stato rianimato dalla determinazione e dal
coraggio del giovane Luck, né quando Cal, Shirahime e Sattsu
si
erano risvegliati e Cards aveva cominciato i lavori di restauro di
Rattle Park.
Era stato in quei quattro anni successivi alla
sconfitta di AAA che aveva finalmente realizzato come Zenri avesse
dovuto sentirsi: costantemente terrorizzato dalla
possibilità di non
trovare un modo per proseguire la propria vita, quando AAA fosse
morto.
Per questo, probabilmente era meglio così se non
avevano trovato il progetto di costruzione dello schiaccianoci; forse
Zenri era stato sollevato quando aveva appreso che sarebbe morto con
Alice.
Nito non avrebbe mai più avuto occasione di
chiederglielo.
Tuttavia, se dapprima l’assenza di Zenri l’aveva
fatto sprofondare nella disperazione, adesso accettava che non
l’avrebbe mai più incontrato. Voleva che la doll
fosse felice,
laddove aveva scelto d’essere, perché aveva avuto
modo di decidere
e non era stato trattato come un giocattolo: riportato alla vita
contro la propria volontà, costretto a
un’esistenza vuota.
Sospirando, Nito sedette alla sua vecchia scrivania,
dispiegò un foglio bianco sul ripiano in legno, prese una
penna e
scrisse.
“Ciao, Zenri. So che ti avevo promesso che
quella precedente sarebbe stata la mia ultima lettera, ma mi sono
dimenticato di ringraziarti per avermi restituito il mio libro. O
forse l’ho fatto… non me ne ricordo. In
realtà, ti scrivo per
ringraziarti di tutto. Ti vorrei qui, qualche volta, ma so che tu
preferisci che le nostre vite restino separate, e che sei fiero di me
e lo fai per insegnarmi l’indipendenza. Sai, credo che adesso
riuscirei a guardarti negli occhi – no, ne sono convinto”.
A causa della sua lunghezza, somigliava più a un
biglietto che avrebbero potuto scambiarsi in un’aula
scolastica, in
segreto, prede dell’adrenalina suscitata dalla consapevolezza
di
stare facendo qualcosa che andava contro le regole, tuttavia Nito ne
era soddisfatto.
Mentre guardava la carta bruciare, comprese che
quello era il suo secondo passo.
Lasciare da parte la nostalgia per qualcosa che non
sarebbe tornato. Vivere orgoglioso di aver conosciuto l’uomo
che
gli aveva cambiato la vita, non triste perché non aveva
avuto modo
di restargli accanto.
Buonanotte, Zenri: so che stai facendo il sogno
più bello della tua esistenza.
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