Dedico
la storia, seppur a posteriori che non so se vale ma facciamo di
sì,
ai due anon coccoli che mi hanno citata all'anon_lovememe^///^
Arrossisco ancora... 'azie^^
Settima
al contest “Era un sogno” indetto da Fabi_Fabi, con
una serie di
prompt che pareva presa di peso dalle scritture Yevonite (dal
capitolo di Madame de la Palisse delle scritture Yevonite...
guardate sotto il titolo quello che ho claimato!) e fino a sei
sostantivi da scegliere da un'ampia lista.
Scritta
con la gentile partecipazione dell'OST di NieR (shine
on, you crazy diamond), in particolare Cold
Steel Coffin per il primo segmento, Snow
in Summer per il secondo, Kainé
(Escape) per il terzo.
E
anche stavolta non credo di aver detto un decimo di quello che
potrebbe venire detto su quest'argomento ma... come trip grafico
senza pretese di completezza, ecco...
Sull'uscio
di un sogno di pietra
Quando
si sogna da soli è un sogno
quando
si sogna in due comincia la realtà.
Fermentazione
di un potenziale
I
sogni di Jecht sono il dimenarsi di una bestia in gabbia.
La
stanza che lo imprigiona puzza di morte, di polvere e luci fatue, e
il soffitto troppo basso gli pesa sulle spalle curvando e sfregiando
la sua schiena. Sente i suoi passi rimbombare lontani. Soffoca. Per
quanto si protenda con le mani aperte non trova muri, solo quello
premuto sulle sue spalle cui non riesce a sfuggire. La pietra grezza
gli brucia la pelle.
Nel
buio sente stridere e sibilare. Se cammina, centinaia di unghie
graffiano il terreno. Se si volta, lo insegue un frusciare di squame.
Lo circonda uno sciame invisibile di figure mostruose, ma Jecht resta
solo.
La
sua certezza rimane l'esistenza della porta, che sa essere l'uscita
ultima da quel tormento. Ma nell'espandere i suoi cerchi rabbiosi
trova solo, a tratti, l'eco insistente di una litania a respingerlo
al posto dei muri, a legarlo a un centro invisibile e, nonostante la
melodia riaffiori con insistenza nei suoi ricordi confusi, le parole
che ora l'accompagnano sono fredde e ostili.
Preferirebbe
una ninnananna.
Quando
infine l'angoscia lo conquista, quando sente le deformità
del suo
corpo espandersi e riempire ogni spazio, allora Jecht urla. Lancia un
urlo freddo e ostile, disumano, selvaggio, che viene accolto e
rimestato dal canto che lo circonda fino a ritornare sottomesso, e si
sveglia.
Apre
gli occhi alle venature della pietra. Sul viso, sul petto, sulle mani
sente il gelo della pietra. Sconfitto, torna a sognare una prigione
di pietra.
Confine
fragile
I
sogni di Braska sono cauti, nei suoi ultimi giorni su Spira. Si sente
in bilico su un crinale, o raggomitolato sotto coperte troppo
pesanti, o ancora seduto in riva a un fiume che mugghia e s'ingrossa
e minaccia di trascinarlo via.
Più
spesso resta in piedi in una stanza sterminata e buia, reggendo una
candela. Sente il suo calore irradiarsi lungo il supporto metallico e
pizzicare la mano con cui le fa scudo, lo sente scendere lungo la
semplice veste da notte fino ai piedi scalzi che toccano pietra. La
candela è tutto quello che gli è rimasto da
sognare.
Non
distoglie lo sguardo dalla fiamma. Sente tracce di nervosismo
crepitare sotto la sua abituale calma: lo spazio cavo di quel luogo
lo riempie e lo trascina, ma non osa distogliere lo sguardo dalla
fiamma. Inspira e si richiama all'ordine. L'oscurità stride,
cigola,
canta (note millenarie in lontananza, oltre pareti invisibili, ma
l'inno sacro ha smesso da tempo di rincuorarlo), preme e lo cerca,
l'oscurità nasconde qualcosa di immenso e ignoto cui Braska
non può
dare forma. Non ancora.
Si
alza stanco e madido di sudore, cercando l'appoggio del suo
guardiano.
Onorare
il patto attraverso il velo; uscita
Stavolta
è un sogno lucido, nel senso di volontario (occhi aperti,
movimenti
netti, mente svuotata, cadere in un mare di sensazioni familiari,
richiamo, richiamo, richiamo) ma anche di colori vividi: si
incontrano come due macchie rosse nel mezzo di una piana bianca
abbagliante, indistinta fino all'orizzonte. Braska apre le braccia,
accogliendolo, e le cinge attorno alle sue spalle. Nell'abbraccio
sente la sua pelle viva e calda sotto le dita, sente le cicatrici che
la percorrono, ricorda quelle che sono nate per lui, lo sente umano
ed è questo che ricorderà di Jecht nei pochi
istanti che gli
resteranno ma deve scavare oltre, chiedergli altro. È ora.
Scende
con una carezza decisa a raccogliere una mano fra le sue. Non
c'è
incertezza – solo calma, a questo punto.
Il
velo bianco cade e sono tornati nella stanza buia. Jecht la riempie
tutta di scaglie, ossa e artigli, ma non lascia la presa.
“Andiamo”,
dice il suo evocatore. Apre la porta.
Sin
cade.
...e
niente, è più forte di me, appena stacco un
paragrafo zac!, devo
titolarlo :asd:
Come
nota d'ufficio, Portò la morte a Zanarkand non è
defunta, ma ha
bisogno di revisioni all'ultimo dannato capitolo e l'iniziativa a
squadre di Maridichallenge mi sta concentrando ogni attenzione
scribacchina al momento >_< Mi scuso tantissimissimo e
cerco di
terminare al più presto.
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