Das wahre Tier, Das wilde Tier, Das schöne Tier
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Note dell'autrice: questo è niente più che uno spaccato
che mi è venuto in mente, così, mentre studiavo la prima
e la seconda guerra mondiale. Il fatto di delocalizzare in
Francia una dea appartenente al pantheon greco non dev'essere preso
come segno di ignoranza, ma c'è da dire che, essendo questo un
racconto, ho romanzato a dovere, e questo mi potrebbe aver portato
fuori da quel che è realmente il personaggio di Ate, sul quale
però non esistono molti approfondimenti (almeno,
al mio livello di conoscenza, io non ne conosco l'esistenza). Per il
resto, spero che il lavoro vi sia gradito. Buona lettura
Martin ha vent'anni.
Martin ha vent'anni ed è già un veterano ed uno storpio di guerra.
Martin era lì, nelle retrovie, per tutti i mesi della battaglia
di Verdun, nel fango pesticciato della trincea, a vedere i suoi
commilitoni morire maciullati dalle mitragliatrici e arrostiti dai
lanciafiamme.
E ora non può fare che il becchino, trasportare i cadaveri con
la sua gamba zoppa in cui un giorno un proiettile tedesco s'è
infilato e non ne è voluto uscire più.
Dal giorno dell'ultimo combattimento, però, c'è un
pensiero che lo turba, e qualche tempo prima aveva deciso di
condividere con uno dei pochi commilitoni che gli sono rimasti, uno che
era veterano più di lui.
Gli aveva detto:«Sai, l'altro giorno, ho visto una ragazzina
con un vestito bianco dall'orlo rosso danzare sul campo di battaglia,
tra il fumo e le grida. Mi chiedo come ci sarà mai arrivata,
lì.»
L'uomo aveva alzato verso di lui gli occhi, guardandolo come si guarda
un uomo già morto, ed aveva aperto inizialmente la bocca, come
per dire qualcosa. Poi, però, l'aveva richiusa e, scuotendo il
capo affranto, sveva chinato la testa e spostato lo sguardo altrove,
sconsolato.
Sta rimuginando ancora su quella reazione, Martin, mentre si aggira per
il terreno zuppo di brina e sangue, guardando quali siano i cadaveri
che dovrà portarsi via.
Ad un certo punto alza lo sguardo ed è allora che la vede:
seduta sulla schiena di un soldato accartocciato su del filo spinato,
le gambe incrociate ed i piedi scalzi che dondolano nel vuoto, sta la
ragazza.
Che si guarda attorno soddisfatta, mugolando a labbra chiuse una
melodia felice, e Martin è conscio che lei sa di essere
osservata; Anzi, ha la certezza che abbia voluto farsi trovare apposta.
Martin si avvicina e gli occhi neri che puntano come lui sembrano
trapassarlo come arpioni: ma, nonostante tutto, lei continua a
canticchiare e lui a stare in silenzio finchè non arriva a meno
di mezzo metro di distanza.
«
Che ci fai qui? Questo non è posto adatto ad una
ragazzina: è pericoloso. Perchè non vai a casa?»
Le domanda, sentendo la propria voce titubare nell'aria tranquilla dopo
giorni di raffiche di mitraglie.
La ragazza interrompe il motivetto e le labbra si allargano in un
sorriso di sufficienza prima che si decida a parlare:« Io non
vado da nessuna parte, perchè da nessun'altra parte io sono al
sicuro come qui. E' questa casa mia, e non sto facendo altro che
riaffermare la mia esistenza.»
Ha una voce infantile, fragile, che sembra sia costantemente sull'orlo
di uno scoppio di emozioni; non è una voce piacevole, ricorda
quasi lo stridere delle baionette le une contro le altre.
«
Potresti inciampare su una mina e saltare in aria.»
«So dove sono le mine. Non sono comunque un problema»
E' divertita, la ragazza; Ha lo stesso sguardo di piacevole sollazzo di
una nobildonna annoiata che si trovi davanti una scimmietta
ammaestrata, bardata in una finta uniforme con alamari dorati, fare un
numero di danza al tempo di una marcetta di organetto.
Martin lo conosce, quello sguardo di superiorità, ma non prova
alcuna rabbia al pensiero di essere considerato poco più che un
animale ammaestrato: la forza di arrabbiarsi l'ha persa nei chilometri
di trincee e la realtà gli suggerisce che è
effettivamente poco più di una marionetta in mano allo Stato.
«Che ci facevi l'altro giorno in mezzo alla battaglia?»
Chiede allora, il sorriso buono- glielo dicevano sempre, in caserma,
che aveva un sorriso troppo buono- a rendere più gentile il viso.
Lei intreccia le dita delle mani sul ginocchio sinistro, sporgendosi un po' verso di lui.
«
Faccio quello che mi riesce meglio, piccolo soldatino dai buoni
sentimenti. Faccio quello che son stata creata per fare..peccato che
non fosse questa la domanda giusta per soddisfare la tua sete di
conoscenza.»
Martin si piega- con qualche difficoltà dovuta alla gamba
rigida- verso quella ragazza: ha le spalle così fini, la linea
del corpo affusolata e mani e piedi così piccoli e leggeri.. E'
pallida, con un viso dai lineamenti minuti e gli occhi immensi. I
capelli lisci di un rosso così scuro da sembrare nero
sembrano perdersi a terra tutt'intorno.
Porta i suoi azzurri occhi francesi nei gorghi dell'altra, ed alla fine domanda: «Chi sei tu?»
Le labbra fine si aprono in un sorriso di approvazione, snudando per la
prima volta piccoli denti bianchissimi che baluginano di una luce
sinistra, e le guance arrossiscono di una leggera eccitazione mentre
pregusta la reazione alla propria risposta.
«
Io ci sono sempre stata, in ogni campo di battaglia. Sono
colei che fa perdere la ragione ed il cuore danzando sopra le teste dei
combattenti, ed il clamore delle armi è la mia marcia di
trionfo. Io ero lì, sotto le mura di Troia, a togliere in una
piroetta il senno ai guerrieri achei e troiani, a renderli ciechi di
fronte all'orrore calando sui loro occhi un velo rosso di furia, e ci
sono anche adesso che le spade son cadute in disuso.»
Porta le mani a puntellarsi dietro la schiena, inarcando leggermente il
busto, ed un sorriso lascivo le disstorce la bocca mentre,
approfittando del momento in cui il soldato è paralizzato dallo
sgomento, intento a farfugliare " è orribile, è orribile" nella propria lingua madre, allunga una gamba affusolata e va a sfiorargli appena con la punta del piede la fronte.
Martin non prova nulla, non sa nulla.
Riesce a discernere cosa è successo solo a posteriori, quando si
ritrova a cavalcioni di un cadavere, intento a sfigurarne il volto a
suon di pugni che oramai affondano solo in una poltiglia di schegge
d'ossa, sangue ed umor vitreo.
Caccia un urlo disumano mentre si allontana di scatto dal corpo,
rotolando in ginocchio. Si prende la testa fra le mani tremanti che
odorano di sangue marcio e, rannicchiato su se stesso, a malapena si
accorge che la sua bocca è ancora spalancata in un lamento
disperato, ingolfato com'è dal rivivere quella sensazione che
è stata puro istinto: con tutta la riprovazione ed il disgusto
possibili si rende conto che non è mai stato così libero
ed assoluto come in quel momento di furore folle, e per questo non
riesce a perdonarsi.
Rialza gli occhi solo quando vede dinnanzi a sè i piedi candidi
della ragazza che, nel frattempo, gli si è avvicinata. Abbassa
le mani nel fango, rivolgendo con occhi disperati una supplica a quella
dea primordiale.
«
Perchè?» Geme, piangendo terrorizzato
dalla consapevolezza appena acquisita di ciò che è
in grado di fare la propria volontà senza il peso della ragione.
La ragazza gli alza la testa prendendola fra le mani con fare amorevole
e avvicina il viso al suo, come per guardarlo meglio, ma non c'è
nulla di amorevole nel modo in cui le dita gli si serrano sulle tempie,
nell'immediatezza in cui lo costringe vicino a sè e nella piega
cruda ed estatica della bocca.
Ed allora lo sente, sente che quei capelli serici che adesso gli
inzuppano l'uniforme e le spalle non sono che sangue versato, e che di
sangue è anche l'orlo del vestito, che la pelle bianca e
delicata è fredda come quella di un cadavere e sotto nasconde un
pulsare violento che si propaga a lui attraverso il corpo che lei gli
preme contro mentre gli parla per la prima volta senza trattenersi ,
con la voce che scoppia di gioia irrefrenabile:« Non è
bellissima? Non è una sensazione stupenda, questo desiderio che
divora così tanto da svuotarti dentro e far esprimere tutto
quello che sei fuori attraverso la sola fisicità? Non è
inebriante, questa libertà senza senno nè morale? Non
sono stupendi questi miseri uomini mortali quando, dimentichi di
sè, fanno esattamente ciò che vogliono? Con un sentimento
così, non ti verrebbe la voglia di farci l'amore fino a
morirne?»
Gli riversa addosso le parole come un fium in piena, crudele senza
possedere un minimo di malvagità, e tutto ciò che lui
riesce a vedere sono i suoi occhi, grandi e neri, così ciechi e
vuoti da contenere tutto l'universo.
Lo stringe un po' di più, per un attimo, sussurrandogli sulle
labbra il proprio nome, e poi lo lascia andare rialzandosi ed
allontanandosi di un passo.
«
Ci rivedremo ancora.» Gli sussurra, prima di svanire in
una piroetta di capelli rossi e vestito bianco, lasciandolo solo in
mezzo ai morti.
L'ultima Cosa che Martin vedrà, tanti anni dopo, sarà il
baluginio di un sorriso infantile intravisto tra i capelli rossi di una
figura danzante fra gli alberi di un bosco: per questo non
sentirà il proiettile nazista centrargli l'osso del collo e,
quando cadrà a terra, non si accorgerà neppure di esser
morto; I suoi occhi rimarranno spalancati su quel fotogramma e nella
bocca resterà impigliato il nome che vi era stato rivelato a
sigillo del proprio destino.
Ate.
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