Surface.

di Sweet__Jane
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“ But someone saved my life tonight, sugar bear… “
 

 E’ brutto ammetterlo, Heath, ma la tua storia non mi ha colpito subito. Avevo accolto la tua morte col sordido disinteresse tipico di un’allora undicenne com’ero io. Certo, avevo visto alcuni film, e li ricordavo con piacere; eppure non ero ancora riuscita a decifrare quello sguardo che ormai mi seguiva sempre dai frammenti di telegiornali, dai programmi commemorativi d’ordinanza. Chissà, forse avevo deciso di riporti nel limbo delle leggende, hai presente? James Dean, River Phoenix… Gente che si era bruciata troppo presto, forse perché la vita aveva limiti troppo insopportabili per loro. Avevano voluto infrangerli, magari non per qualche strano desiderio di onnipotenza, ma forse perché desideravano di più. Ecco, so che congedare una frase con queste tre parole può probabilmente denotare una mancanza di stile, una scrittura sbrigativa e banale, eppure riflettici: desiderare di più. E’ così sbagliato? Siamo creati per avere dei limiti, per rassegnarci, chi prima o chi poi, che non tutto è tangibile. Tutta superficie, pare. Provi a scavare più a fondo, a oltrepassarla, quella maledetta superficie, che tutto si ribalta. A quanto pare non è nell’ordine prestabilito delle cose.
Non pretendo di capire come mai anche tu sei incorso nella stessa morte prematura. Probabilmente non te ne fregava nulla della superficie, del desiderare di più e di tutte queste boiate che ho tirato fuori in un momento che prediligo particolarmente i viaggi mentali. Eppure sai, li ho superati gli 11 anni. Presto sono arrivati i 12, ed anche se ovviamente non ero cresciuta, forse ero riuscita a penetrare il tuo sguardo, a leggerlo anche solamente in parte. Tu interpretavi il Joker, eri in potere di superare i limiti, di andare oltre la legge, oltre le costrizioni, di creare il caos. Ovviamente, questo è sempre stato ritenuto il tuo ruolo migliore, quello per cui eri arrivato a sacrificarti, alcuni dicevano.
Mi ero informata sulla tua morte, dopo. Avevo visto i tuoi film. Non avevo fatto particolarmente caso agli occhi, come al solito. Forse ti conoscevo un po’ meglio, mi ero informata sulla tua morte, avevo decifrato un poco più il tuo sguardo. Non mi ero mai accorta, però, di che colore erano i tuoi occhi, di che espressione assumessero. Anch’io, come tutti gli altri, mi ero fermata alla superficie.
Non so se è stato questo ad ucciderti, Heath. La superficie, intendo. Non ti sentivi amato? Cosa succedeva? Cosa desideravi? C’era qualcosa che non ti andava bene?
Avrei voluto che ci fosse stato qualcuno a salvarti, Heath. Capiscimi bene, non qualcuno che ti rianimasse, che ti portasse in un letto d’ospedale attaccato a macchinari ingombranti, anche se certo non sarebbe stato male. Piuttosto qualcuno che ti guardasse negli occhi, che provasse a leggerli, che intuisse quel colore che io, porca vacca, non riesco ancora a collocare. Qualcuno che non si accontentasse della superficie, che desiderasse di più. E, chissà come mai, nessuno ti ha salvato la vita, quel dannato pomeriggio. 





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