Titolo: Ricordi...
Autore:
Selenite
Rating:
Giallo
Trama: La
perdita di qualcuno di importante gioca nella vita di ognuno un ruolo
particolare. Alcuni riescono a superare il dolore, altri vi affogano,
sconfortati dallo squarcio formatosi nel loro cuore. La protagonista di
questo pezzo parla di sè con massima accuratezza, non
perdendosi nei particolari dei luoghi, quanto in quelli delle sue
emozioni. La perdita di qualcuno di importante, per lei, è
stato il più terribile dolore mai sopportato. Che non
dimenticherà mai. Perchè per lei quella persona
è vita (Basato
su una storia vera)
Avvertenze:
One-shot, Drammatico
Note dell'autrice:
Poichè questo pezzo è tratto da una storia vera,
pregherei chiunque di non utilizzarlo, in quanto ho ottenuto permesso
speciale dalla protagonista di romanzarlo in questa storia. Abbiate
quindi rispetto verso il mio lavoro ed i sentimenti della persona che
ha dato il suo permesso alla pubblicazione
***
Dedicato a te...
***
Da
quando Evan se n'era andato, niente aveva più senso.
Tutto
per me era svanito.
Non
era il mio ragazzo...non era niente più che un amico. Anzi,
sbaglio
a dire così. Evan non era un amico. Era il mio MIGLIORE
amico.
Seppure
fosse colpa mia...seppure fossi stata io la prima ad allontanarlo,
per via di bugie che, sapevo pure sul momento, in poco tempo
avrebbero smesso di bruciare al mio orgoglio...preferii dirgli addio
e ferirlo, fin quando non ci fosse più nulla su cui
accanirsi.
E
quando mi resi conto che tutto era realmente finito, mi resi conto
che ero stata un'idiota. Una COMPLETA idiota.
Provai
a cercarlo, ma non rispondeva alle telefonate.
Rispose
solamente ad uno dei miei mille messaggi, con freddezza e quasi con
indifferenza. Come se stesse facendomi un favore, come se non fosse
tra le sue priorità.
Perchè
IO non ero più nelle sue priorità.
Il
saperlo assieme ad un'altra mi dava un minimo di conforto, non era
solo.
Quella
ero io. Ed io non ero mai riuscita a farlo.
Pregai
nel mio cuore che tutto andasse per il meglio...che lui trovasse la
felicità, che magari trovasse anche l'amore. Che il male che
gli
avevo fatto svanisse e che riuscisse a non pensare più a me.
Preferivo
non essere nei suoi pensieri, piuttosto che sapere che mi odiava e
che pensare a me lo disgustasse...
Partito
per un viaggio proprio quando dissi la parola
“addio”, cercai più
volte di trattenermi dal cercarlo. Non erano affari miei...lui
sarebbe stato bene. Finalmente FELICE.
Ma
l'egoismo è qualcosa con cui non ho mai saputo trattare...
Mi
ripromisi che sarebbe stata l'ultima volta che avrei fatto una
stupidaggine. L'ultima volta che avrei strisciato a terra. L'ultima
volta che lo avrei ferito, se questo fosse capitato.
TUTTO,
pur di vederlo per l'ultima volta.
E
mi decisi...
Quando
ricercai il suo indirizzo per casa, piangevo come una disperata.
Non
vedevo nulla, andavo a tentoni...il sentirmi così male mi
aveva già
abbastanza distrutto.
Erano
giorni che non dormivo e non mangiavo. Ero così stanca che
non avevo
la forza di sollevare neanche un peso. Eppure mi sforzavo, nella
speranza che avrei trovato in me la forza di comportarmi da idiota
per l'ultima volta.
Trovato
l'indirizzo e lette le parole a bassa voce, come un mantra,
architettai il piano nei minimi dettagli...più o meno...
Purtroppo
avevo subito un'operazione da poco e potevo muovermi solo in orari
prestabiliti. Sperai che la fuga da casa non avrebbe creato problemi.
Senza
contare che Evan abitava circa a 1000 chilometri da me. Era stato il
mio migliore amico, nonostante questa grande distanza. Era diventato
il MIO mondo.
Io
pensavo di fare almeno parte del suo.
Buttai
indietro i singhiozzi e le lacrime, ricercando i pochi soldi che
avevo nel portafoglio. Li contai e vidi che erano giusti giusti per
il treno di andata e ritorno.
Tirai
un sospiro di sollievo.
Mentre
in casa non c'era nessuno, me ne andai alla stazione ferroviaria e
comprai i biglietti. Evan sarebbe tornato a casa ed io gli sarei
andata incontro. Gli avrei parlato...avrei risolto. Sperai di farlo.
Pregai
che succedesse.
Tornata
a casa nessuno si era accorto di nulla. Strinsi i biglietti forte
nelle mie mani. E pregai, di nuovo, con tutte le mie forze...che le
cose non andassero poi così male...
Perchè
quando c'era di mezzo qualcosa di importante, finivo per fare
qualcosa di stupido. Qualcosa che metteva in repentaglio la mia
sanità mentale.
Ma
avendo perso più di 5 chili in tre giorni, avendo smesso
completamente di dormire, di sorridere e di avere qualsivoglia
emozione...pensai che ormai l'avevo già persa.
La
MIA sanità mentale...
Era
una mattinata orrenda. Pioveva a dirotto.
La
macchina era a secco. Piangevo di nuovo. Non avevo dormito. E non
riuscivo a mangiare niente...non riuscivo proprio a tenerlo nello
stomaco.
Arrivata
in stazione, prestissimo non sapendo l'orario in cui sarebbe tornato
a casa, salii sul treno e mi accomodai al mio posto. Faceva
freddo...lo sentivo sin nelle ossa.
Ed
il mio dolore operatorio mi uccideva. Ma potevo sopportarlo.
Potevo
sopportare tutto, adesso, se questo mi avesse permesso di riavere
Evan accanto a me, in qualsiasi modo lui avesse voluto tornare...
Arrivata
alla stazione vicino casa sua scesi. Era presto, più o meno
le dieci
di mattina.
Mi
sedetti alla panchina più vicina l'uscita della stazione.
In
qualche modo mi sarei fatta notare. Quello mi sembrava il
più
consono.
Essendo
un giorno infrasettimanale la gente era molta.
Aguzzavo
la vista continuamente.
Mi
sentivo sola.
Quante
volte avevo visto quella stazione e l'avevo salutata con un sorriso?
Quante
volte avevo considerato normale quello che avevo?
Quante
volte mi ero maledetta per averlo fatto?
Trattenni
le lacrime in qualche modo, finchè non rintoccò
il mezzogiorno.
Qualcuno
mangiava nel tragitto per il lavoro, oppure verso casa; alcune erano
coppiette che scherzavano e si baciavano, scatenando in me solamente
sorrisi.
Altri
erano gruppi di amici che si prendevano in giro, ridendo
rumorosamente, spintonandosi e parlando in una lingua che pensai
fosse dialetto.
Non
la conoscevo.
Un
ragazzo si voltò verso di me e mi fissò per un
attimo, per poi
sparire dentro il suo treno.
Probabilmente
era strano vedermi vestita di tutto punto...non lo facevo mai.
Mi
vergognavo.
Ma
quella mattina mi ero vestita bene, come se volessi fare bella
impressione.
Come
volessi dirgli che si stava perdendo qualcosa.
Come
se volessi sembrare qualcuna che NON ero io.
Scossi
la testa e presi in mano il biglietto di ritorno. Sperai che Evan
tornasse prima che io dovessi tornare a casa. Altrimenti tutto quello
che avevo fatto sarebbe stato inutile.
E
poi, come non bastasse, mentre sentii i primi gorgoglii del cielo che
si preparava a piogga, squillò il cellulare. Guardai da chi
veniva
la chiamata e sospirai.
Mamma.
Oltre
a dirmi che ero una completa idiota, oltre a urlare e sbraitare per
capire dove fossi, cosa che non avrei detto mai sotto tortura, e che
infatti tenni per me, mi raggelò il sangue.
Psicologo.
Penso di aver sentito solo quella parola per capire cosa
significasse.
Socchiusi
gli occhi pensando che non aveva poi torto. Sicuramente ciò
che
stavo facendo era da pazzi, ma avrei potuto fare altrimenti...?
Sapevo
già cosa sarebbe successo una volta tornata a casa.
Dissi
di sì a mamma, dicendole di non preoccuparsi e che sarei
tornata a
casa quella stessa sera. Di portarmi dallo psicologo, se voleva, di
sbattermi in manicomio, se ciò la rendeva più
tranquilla. Ma di
darmi la mia ultima possibilità di mettere a posto le cose.
Mamma
capì forse dalle mie parole che c'era molto di
più di quello che
volevo dire. Borbottò qualcosa come “stai
attenta” e attaccò il
telefono.
Sapevo
che comunque sarei dovuta tornare a casa e spiegare tutto quanto...
Quando
iniziò a piovere più forte, così forte
che quasi non riuscivo a
seguire il filo dei miei pensieri, l'orologio battè le tre
del
pomeriggio.
E
mi sovvenne un episodio di tanto tempo prima...quando ancora c'era
Evan accanto a me...
-Ma
tu come fai a dirlo?- gli chiesi stupita -Dicevi di non sapere
neanche cosa fosse-
-Beh
lo so- rispose Evan, con un buffo sorriso -L'ho capito stando con te-
-Ma
io sto con lui, ricordi...?- gli rammentai, tenendo lo sguardo basso.
Evan
rise -E allora? A me basta averti al mio fianco come amica, non va
bene?-
Guardandolo
negli occhi annii -Sei sicuro che ti basta così...? Che non
mi
abbandonerai anche se posso essere solamente tua amica?-
Evan
annuì -Io ti amo- rispose con un sussurro, guardando verso
il basso.
-Ti
amo anche io...- risposi con un fil di voce, stupita delle mie stesse
parole.
Un
unico bacio sulle labbra, timido e sincero. Di più non avrei
mai
potuto dargli.
Ma
il fremito che mi causò era più grande di
qualsiasi altra cosa al
mondo...
Insieme
a quell'episodio, la consapevolezza che avevo perso anche la persona
che amavo.
Il
mio ragazzo non riusciva a sopportare il peso di quel dolore che mi
attanagliava. Stava crollando insieme a me in un vortice da cui
difficilmente saremmo usciti entrambi indenni.
Così,
parlandone civilmente e con maturità, arrivai alla
conclusione che
era meglio lasciarci. Che avrei dovuto uscirne da sola, senza dover
portare con me nessun'altro.
Non
volevo avere sulla coscienza il peso di un'altra persona, incapace
com'ero di risolvere i MIEI problemi...
Quando
l'orologio scoccò le quattro, mi resi conto che mancavano
solo 2 ore
prima che avessi dovuto tornare indietro.
Mi
alzai un attimo, mi guardai attorno: conoscevo poco o nulla quel
posto. Ma c'era un luogo lì vicino che io adoravo, e che mi
portava
sempre a ridere.
Quando
Evan mi ci portava rideva sempre di me...ed io ridevo insieme a lui.
In
pochi minuti sarei andata e tornata. Non mi sarei persa. Andare
lì
sarebbe stato facile, perchè quella strada la ricordavo
ancora a
memoria...
Il
lago era enorme.
Costeggiava
due città, o forse di più, il treno ci passava
proprio accanto.
Da
costa a costa il treno impiegava più o meno una ventina di
minuti.
Era bellissimo guardare fuori dal finestrino e sentire attraverso il
vetro quell'aria liquida sulla pelle.
Quando
vi ero davanti, invece, l'aria liquida si posava sulla pelle e la
rendeva lucida. Ma in quel caso furono più le lacrime, che
non
volevano smettere di cadere.
Era
deserto. Non c'era Evan accanto a me. Ero sola.
Completamente
sola...
Rimasi
lì davanti per qualche minuto, forse una decina. Poi mi
asciugai il
volto e tornai indietro. Sperai che Evan non fosse arrivato in quei
dieci minuti di fuga dalla realtà.
E
tornai indietro, pronta di nuovo ad aspettare.
Completamente
zuppa.
Perchè
pioveva. Ed io avevo camminato sotto la pioggia, senza nulla. Avevo i
capelli appiccicati al volto, gli occhi rossi e gonfi per il pianto.
Avevo
freddo, forse inziavo anche ad avere fame. Ma non mi sarei
più
mossa, avrei continuato ad aspettare. Volevo vederlo.
Volevo
parlargli.
E
rimasi in piedi ancora...finchè l'orologio non
battè le cinque...
Non
avevo più speranza.
Aspettai
finchè non mancarono solo quindici minuti al mio treno.
Guardai gli
orari e mi avviai mogia al binario, sentendomi una completa
imbecille.
Sentii
il cellulare vibrare nella tasca, ma non lo degnai di attenzione. Non
mi interessava di nulla, in quel momento.
Volevo
crogiolarmi nella mia apatia ancora un po'.
Quando
arrivò il mio treno, sentii improvvisamente ogni forza
abbandonarmi.
Ogni cosa che avevo sperato, dentro di me, svanì come neve
al sole.
Prosciugata
di lacrime e sentimenti, aspettai che la gente uscisse dal vagone,
prima di entrare a mia volta.
Mi
guardai per l'ultima volta attorno, cercando di non scordare mai
ciò
che avevo provato quel giorno. Perchè mi servisse da monito
per il
futuro...perchè non commettessi più lo stesso
sbaglio.
E
lo vidi.
All'inizio
posai lo sguardo su di lui meccanicamente, passando da un viaggiatore
all'altro, ma quando mi resi conto chi fosse mi bloccai.
Non
sorrisi, non cambiai espressione. Ero in attesa
nell'immobilità di
un ricordo, non avevo niente da perdere e nessuna forza per fare
qualcosa. E poi era troppo tardi.
Ma
poi anche lui guardandosi attorno mi vide. E rimase immobile.
Forse
non si aspettava di vedermi lì. Forse non credeva che lo
avrei mai
fatto.
I
suoi occhi scintillarono per un attimo, nel ricordo di qualcosa non
era più. Svanì immediatamente, i suoi occhi
cambiarono espressione.
Erano
freddi. Cattivi. Dolorosi...
Si
avviò verso le scale per uscire dalla stazione. Si perse
nella
gente.
Non
lo vedevo più.
Non
sentendo neanche più le lacrime uscire, appoggiai la mano al
corrimano del vagone e salii. E mi preparai, per davvero, a dire
addio a quel luogo così importante per me...
Mentre
il treno correva sulle rotaie, tutta la rigidità di quel
breve
incontro mi si sciolse addosso come un caloroso abbraccio.
Sentii
addosso a me tutta la dolcezza e la comprensione di un tempo. Quella
del mio ex ragazzo e quella del mio ex migliore amico. Tutta insieme.
Mi
cullai in quel tepore confortevole e piegai la testa di lato,
cominciando a piangere silenziosamente. Essendo accanto al
finestrino, salutai per l'ultima volta il profilo di quel lago che
tanto avevo amato.
La
signora che era davanti a me posò per caso lo sguardo sul
mio volto
piangente -Signorina...per caso non si sente bene? Qualcosa non va?-
Ferma
nella mia posizione, nella speranza che il calore di quel ricordo che
si era abbattuto su di me finisse il più tardi possibile,
accennai
un sorriso.
-Non
si preoccupi. È solo un ricordo che segue la sua strada...-
Tornata
a casa, mamma si accanì su di me con una furia tale che non
ebbi
neanche il coraggio di far nulla.
Sbraitò
per una buona mezz'ora, poi si accorse dello stato in cui versavo,
del mio volto, della mia espressione.
-Che
cosa hai fatto...?- mi chiese con la voce dolce, propria solo di una
mamma.
Scoppiai
in lacrime, disperata, abbandonandomi tra le sue braccia gentili. Di
nuovo mi percorse il ricordo di quell'abbraccio caloroso, e le
lacrime si fecero più intense, fino a ferirmi nel
più profondo del
mio cuore.
Mamma
non ebbe più cuore di dirmi nulla. Aspettò che le
mie lacrime
furono sparite. Mentre io stringevo in mano il cellulare, dal quale
avevo appena letto il messaggio arrivato prima di tornare a casa...
Insieme
a te è stato bellissimo, non posso negarlo.
Ma
non voglio più rimanere al tuo fianco e rischiare ancora di
soffrire
in questo modo.
Ho
trovato qualcuno che si prenderà cura di me. E di cui mi
prenderò
cura.
Per
favore...in nome della nostra amicizia...esci dalla mia vita...
...
Erano
passati due mesi. Ero tornata a lavoro.
E,
faticosamente, avevo ripreso a sorridere.
Saputa
della mia disavventura, il mio ex ragazzo si era presentato a casa
mia. Avevamo parlato a lungo, anche insieme allo psicologo da cui mia
mamma, alla fine, mi aveva mandato, e insieme avevamo deciso di
rimanere amici.
La
nostra relazione, altrimenti, non sarebbe stata più d'amore.
Ma solo
di necessità.
Ed
io avevo bisogno di dimenticare quel senso di necessità che
mi aveva
portato ad andare da Evan...e soffrire.
Ogni
tanto penso ancora a lui. Prego per la sua felicità. Mi
auguro che
sia felice.
Sono
uscita dalla sua vita perchè lui continuasse a vivere. Lui
è
rimasto nel mio cuore, perchè io potessi farlo.
***
Per tutti coloro che
hanno perso qualcuno di importante.
Per chi
è riuscito a superare il dolore e per chi, invece,
è rimasto intrappolato in quella gabbia piena di lacrime e
sofferenza.
Per chi è riuscito a lottare ed ha vinto. Per chi si
è arreso e ancora deve vincere la sua battaglia.
Non dimenticate
mai che non siete mai soli. Che c'è sempre qualcuno accanto
a voi che vi aiuta nell'ombra...e vi ama a dispetto di tutto.
Grazie mille per aver letto questa storia...
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