Aggiornamento
lampo. Finché ce n'è (tempo), meglio approfittare.
Colgo
l'occasione della nuova pubblicazione per ringraziare LadyMorgan
dell'aver posto una domanda che vado a riproporvi qui, citando
testualmente.
“C'è
da chiedersi ora perché debbano tutte, necessariamente,
innamorarsi
(...) del povero Pad (…)”.
In
effetti, nella mia testa questo quesito non ha nemmeno trovato
formulazione, perché la risposta in realtà
è il motore di tutta la
storia.
Si
innamorano tutte di lui perché, come da titolo, sono le sue
Mary Sue. Sono ispirate e riprese dalle dozzine e dozzine di Mary Sue
che io, incallita e sbrodolante ammiratrice del Pad, ho tollerato e
sopportato stoicamente nelle tante storie sparpagliate per il fandom
dedicate alla trama “Sirius-ragazzaX-folle amore”.
Sono le Mary
Sue di
Sirius, e pertanto la loro presenza ad Hogwarts è funzionale
unicamente all'innamorarsi di lui – che poi in genere
è proprio la
cosa che succede in quel genere di storie: una tizia appare nella
Scuola come un fungo e serve unicamente alla love story con Padfoot.
E
adesso, avanti col capitolo.
VI.
La presunta Veela
I
Marauders se la svignarono dall'Infermeria alla chetichella.
Bastò
arrivare in fondo al corridoio, comunque, perché almeno
Peter e
James si riprendessero dallo shock appena subito: il primo prese a
vagheggiare sul pranzo che li aspettava ancora in Sala Grande, se si
sbrigavano e se nessun'altra pazza furiosa si metteva di traverso al
loro cammino, e il secondo si accigliò pensoso, concentrato,
tallonandolo. Remus continuava a tirarsi dietro Sirius per il braccio
come se fosse stato un bimbetto di cinque anni: non l'aveva mai visto
in quello stato in sei anni di scuola, nemmeno quando sua madre gli
aveva mandato quella Strillettera dopo lo smistamento a Griffyndor.
“Un
momento, un momento!” esplose infine James, frenando
bruscamente.
“Siamo pazzi! Noi non possiamo andare in Sala
Grande!”
“Perché
mai?” lo rimbeccò Peter disperato.
James
sgranò enfaticamente gli occhi, voltandosi verso Remus.
“La
quinta Casa!” affermò con un cenno eloquente in
direzione di
Sirius.
Ma
certo, constatò il licantropo con un sospiro. In Sala Grande
avrebbero trovato tutte le Pussyrose riunite, pronte e decise per
qualche oscura ragione a marciare su Sirius e abusare di lui nelle
peggiori maniere. C'erano anche quelle tre Riddle orribili –
rabbrividì.
No.
Non avrebbe permesso che aggredissero di nuovo il suo amico,
stabilì
deciso.
Sirius,
accanto a lui, aveva raggiunto la stessa conclusione di James e si
divincolava, tentando di arretrare.
“Non
ci voglio andare, in Sala Grande!” piagnucolò
enfatico.
“Stai
calmo, Pad. Non ci andremo,” lo rassicurò Remus,
bonario.
Il
Pureblood annuì con un sospiro di sollievo. Dopo un attimo,
però,
il suo viso aristocratico si contorse in un'altra smorfia tragica, e
anche vagamente deficiente.
“Non
potrò mai più nutrirmi!” gemette
teatralmente. “Morirò di
fame!” insistette, scuotendo la testa in un coreografico
ondeggiare
della sua fluente chioma corvina, che si mosse in un perfetto
ventaglio di ciocche lucenti. Perché magari non era una Mary
Sue,
ok, ma non era neanche l'ultimo cesso della scuola.
“Non
dire cagate, Sis,” lo riprese James, pratico.
“Andiamo a mangiare
direttamente in cucina.”
“Ma
a tavola...” provò a protestare tristemente Peter.
“Wormtail!”
esclamò James indignato. “Un Marauder è
in pericolo e tu pensi a
star seduto a tavola?”
L'amico
incassò la testa nelle spalle, mogio, e il quartetto
cambiò
rapidamente direzione cercando di non dare nell'occhio.
“E
se mi aspettassero lì?” sussurrò Sirius
inquieto, scendendo le
scale.
“Sono
arrivate ieri. Non possono
aver già scoperto come arrivare nelle cucine,”
obiettò
ragionevolmente Remus, senza poter tuttavia trattenere una punta
d'ansietà.
Fortunatamente,
però, non si sbagliava. Ad aspettarli dabbasso c'erano
soltanto i
soliti, adorabilissimi Elfi Domestici, con i quali persino Sirius fu
di una gentilezza inconsulta. I Marauders poterono quindi finalmente
godersi una mezz'ora di pace, sparando amene minchiate mentre si
strafogavano indecorosamente, tanto che alla fine del loro pasto
improvvisato i sorrisi erano ritornati come al solito ad illuminare
scanzonati le loro facce, e persino Sirius sembrava tornato in
sé.
Il suo volto riluceva di nuovo della consueta, inarrivabile bellezza,
l'argento degli occhi rifulgeva liquido, le labbra si schiudevano con
allegria sui denti bianchi che più bianchi non si
può, nonostante
la sua natura di Marauder scombinato lo portasse spesso a dimenticare
di lavarli. Tutto normale, insomma.
“Bene,”
commento James battendosi la mano sulla pancia gonfia, una volta
terminato il banchetto. “Cos'abbiamo nel
pomeriggio?”
“Difesa,”
rispose Remus, che tra un'imboscata e l'altra delle meretrici aveva
fatto in tempo ad imparare a memoria l'orario.
Sirius
sgranò gli occhi.
“Con
chi?”
mormorò.
Tutti
e quattro si fissarono inquieti, colti dallo stesso orrendo sospetto
– le Pussyrose! - poi Remus si affrettò a frugare
nella borsa dei
libri in cerca dell'orario. Se lo portò al viso con urgenza,
lo
scrutò nell'attesa trepidante degli altri tre e infine
sospirò di
sollievo.
“Slytherin,”
annunciò rallegrato.
Mai
la notizia di dover passare due ore coi rivali era stata accolta da
tanta genuina gioia. Tutti e quattro si sorrisero allegramente, con
entusiasmo.
“Meno
male,” esclamò James gioiosamente.
“Evvai!”
fece addirittura Sirius, tutto contento, come se nella vita la sua
massima aspirazione fosse stata trascorrere ogni minuto dalla
giornata tra parenti che lo odiavano e strenui detrattori del suo
stile di vita.
I
Marauders fecero dunque il loro ingresso, compatti e ciarlieri,
nell'aula di Difesa con l'aria di essere gli ospiti d'onore di un
qualche grande evento. Nello scorgere i loro sorrisi generici rivolti
a tutti i compagni – Black diede addirittura una pacca a
Mulciber,
passandogli accanto, con il rischio di farsi staccare una mano seduta
stante – Severus Snape li scrutò sospettoso.
Sicuramente ne
stavano combinando una delle loro. Forse avevano in mente di far
saltare per aria qualcosa durante la lezione, o chissà che
altro
piano strampalato.
Invece,
con una sua certa sorpresa, in quelle due ore non accadde nulla. I
quattro Griffyndor non aggredirono anima viva, non fecero inciampare
nessuno Slytherin e non diedero nemmeno vita a qualcuno delle loro
scenette da barzellettieri. Erano persino insolitamente attenti e
sembravano davvero felici di essere lì. Severus si
infastidì
oltremodo, quando vide Lily lanciare in direzione di Potter
un'occhiata di approvazione.
Che
fosse un nuovo piano di quel testa vuota per conquistarla?
Decise
che doveva tenerli d'occhio.
Quando
uscirono dalla lezione, i nostri si erano definitivamente rilassati.
James e Sirius stavano ritrovando il loro ritmo di sghignazzata
continuativa, Peter aveva ripreso a sgranocchiare ininterrottamente
qualche cosa e Remus stava riuscendo a smettere di digrignare i denti
per qualunque rumore o movimento inatteso.
Quello
che accadde dopo, perciò, nonostante i precedenti, li colse
decisamente impreparati.
Successe
varcando la soglia dell'aula, mentre uscivano. Poterono appena
percepire una certa calca inconsueta in mezzo al corridoio, poi
Peter, che era il primo del quartetto, partì a razzo
facendosi largo
a gomitate tra i compagni altrettanto esagitati.
“Ma
che gli prende?” esordì James, dal momento che era
decisamente
insolito vedere il loro pavido amico in un simile atteggiamento. Poi
spinse lo sguardo nella direzione in cui si stava avviando, e si
bollì il cervello anche a lui.
In
mezzo al corridoio c'era la creatura più meravigliosa che
mente
umana potesse concepire. Era così bella, ma così
bella che non
c'erano parole per descriverla, ma le troveremo ugualmente.
Il
suo corpo era perfettamente perfetto. La vita perfettamente sottile,
gambe perfettamente slanciate in una abitino succinto –
nonostante
ad Hogwarts vigesse la regola di portare sempre la divisa -, natiche
perfettamente sode e rotonde, seno perfetto e prosperoso, costretto
nella generosa scollatura. Chiome dorate, seriche, luminose come
dozzine di Lumos, labbra carnose e peccaminose, occhi azzurri che
splendevano come fari di un porto, guance piene, rosate, invitanti.
Tutto era perfettamente perfetto, e lei era perfetta. In poche
parole: una figa da sbarco.
Se
ne stava lì, come inconsapevole del fascino che emanava
nonostante
una mandria di studenti maschi pubescenti si stesse riempiendo di
pubescenti mazzate a due metri da lei, contendendosi il privilegio di
avvicinarla. Un dente rotto le tintinnò davanti ai piedi,
schizzato
fuori dalla bocca di uno dei pretendenti per una scazzottata. Ma lei
niente, angelica e distaccata se ne passeggiava ignara ondeggiando
sapientemente i fianchi.
Lily
Evans, sbucata fuori dalla classe nel bel mezzo della rissa,
scrutò
disgustata quel panorama per niente edificante, cercando di
trattenere qualcuno e provando a riportare l'ordine.
“Ragazzi!
Ehi! Ma insomma, calmatev... Potter!” sbottò
indignata, vedendo
James scagliare via un ragazzino più piccolo per poi
calpestarne un
altro al grido di “mia regina” con aria fanatica.
“Che stai
combinando? Dammi una mano invece di...” intimò
irritata, cercando
di agguantare la sua spalla.
“Ma
levati, specie di Poltergeist,” la snobbò lui
senza nemmeno
guardarla, tirando i capelli di Remus che, constatò
inorridita la
ragazza, stava a sua volta mordendo un braccio di Avery per
scavalcarlo.
“Che
cosa?” strillò Lily sbigottita. “Potter,
sei diventato...?”
“Oh
mia unica amata!” stava urlando lui, cercando invano di
sovrastare
le grida degli altri ragazzi, che formavano ormai un unico boato
indecoroso. “Sono tuo per sempre! Love
meee, love meee!”
Lily
rimase impalata a bocca aperta, non riuscendo a capacitarsi dei
fatti. Non solo mezza scuola – la metà maschile
– stava dando
vita a un episodio di follia collettiva nel mezzo delle lezioni, ma
James Potter, che non dava mai la minima attenzione a nessuna
creatura di sesso femminile che non fosse lei, la stava interamente
ignorando per una sventolina di passaggio. Era inconcepibile.
E
Remus recitava un sonetto di Shakespeare a voce così alta da
sgolarsi.
Lily
aggrottò la fronte e si voltò indietro,
trattenendo poi un gemito.
Severus, pallido e dinoccolato, agitava per aria i lembi del mantello
in quello che sembrava proprio
un folle tentativo di spiccare il volo per sorvolare i contendenti.
Lei
aggrottò la fronte.
“Veela...”
mormorò grave.
Non
perse altro tempo: lucida, estrasse la bacchetta e si fece largo tra
i compagni fino a raggiungere le prima file di quell'orda insensata.
Lì, nonostante il proprio sangue freddo, dovette trattenersi.
Uno
ad uno, i ragazzi di Hogwarts si presentavano alla fanciulla in
questione chi con un inchino, chi buttandosi in ginocchio, chi
tentando di abbracciarla, chi strappandosi i capelli e battendosi il
petto. Se ne sentivano di tutti i colori, da “oh baby, il mio
cuore
batte solo per te” a “dimmi sì e
sarò tuo per sempre”, e
Remus era partito con una poesia di Wordsworth.
Lei,
la bionda, li guardava tutti vacua, ridacchiando soavemente.
“Sei
la ragazza più bella del mondo,”
affermò McNair con enfasi.
E
lei ridacchiò.
“Farei
qualunque cosa per te, principessa,” sbraitò Wood
con una
riverenza.
E
lei ridacchiò.
“Sei
più bella di una Nimbus tredici. Ti cavalcherei anche qui
davanti a
tutti,” affermò il piccolo Abbott tutto rosso.
Lei
ridacchiò di nuovo.
Lily
aggrottò la fronte, colta dal sospetto che la Veela, sempre
che di
Veela si trattasse, fosse magari un po' idiota.
Poi,
successe.
“Io,
tu e la torre di Astronomia. Tutti i miei familiari portano nomi di
stelle, te le posso mostrare.”
Sirius
aveva in mano una rosa – ma
dove cavolo l'ha presa?,
si chiese giustamente Lily, dal momento che l'aula di Difesa non era
una serra – e sfoggiava un sorriso da navigato seduttore,
nonostante i diciassette anni di età. Ammiccò in
direzione della
fanciulla con fare seducente, abbastanza insolito per un adolescente,
prima di allungare il fiore verso di lei.
La
Veela sembrò emergere dal vuoto cerebrale per qualche
istante.
Sbatté le ciglia e si concentrò per la prima
volta su un
interlocutore.
Lì,
bello slanciato nella sua divisa sbottonata, con il solito sorriso
smagliante, gli occhi argentati eccetera eccetera, Sirius le faceva
l'occhiolino. La fanciulla trattenne il fiato e socchiuse le labbra,
facendo ammutolire nel giro di un istante tutti i presenti,
immobilizzati chi nell'atto di strangolare qualcuno, chi calpestando
un altro, chi caricando un pugno, chi con il braccio teso e la
bacchetta in mano. Tutti seguirono quel movimento lussurioso della
bocca di lei che si socchiudeva.
Ed
emetteva il più delizioso dei sospiri.
“Stelle?”
ripeté, con la voce più soave ed arrapante della
terra.
Sirius
si leccò le labbra per evitare di sbavare.
“Sì,”
confermò, con la rosa ancora in mano, così
stretta che le spine gli
perforavano il palmo. “E per la cronaca, quella che ha il mio
nome
è la più luminosa di tutte. Sirius,” si
presentò, con l'usuale
modestia.
La
fanciulla lo scrutò estasiata, vacua. Non reagì.
“E'
il mio nome,” puntualizzò lui, adorante.
Lei
annuì di nuovo, continuando a studiarlo rapita.
“Che
strano. È un nome straniero?” chiese delicata.
Sirius
sbatté gli occhi, perplesso, ma il suo sorriso si rifece
bollito nel
giro di un secondo.
“E'
il nome di una stella,” ripeté.
“...Stella?”
sussurrò lei.
Lily
sospirò rumorosamente, mentre il dubbio diventata una
certezza:
quella Veela era veramente del tutto cretina.
“Sì,
una stella...ma mai quanto te,” aggiunse Sirius,
avvicinandosi di
un passo.
Lily
mimò un conato di vomito. Alle sue spalle, la folla
cominciava a
rumoreggiare, ostile al fortunato che era riuscito ad attirare
l'attenzione della bella.
“Oh,
ma io non chiamo come una stella. Mi chiamo Merylin,”
osservò lei
annuendo.
“Meraviglioso,”
sussurrò Sirius stranito, ficcandole la rosa praticamente
nel naso.
La fanciulla si risolse a prenderla, sospirando ispirata.
“Posso
avere l'onore di...?” iniziò lui, cavalleresco.
“Pomiciamo?”
lo interruppe graziosamente Merylin, arrotolandosi una ciocca d'oro
intorno al ditino esile.
Sirius
strabuzzò gli occhi, mentre qualche improperio si levava
dalla folla
e una scarpa lanciata lo mancava di un soffio. Scarpa, per inciso,
appartenente al suo affezionato
migliore amico, James Potter.
“B-beh,
se vuoi, cert...” blaterò lui, estasiato.
Non
fece in tempo nemmeno a muoversi: Merylin saltò in avanti e
gli si
chiuse intorno come un Avvincino, abbarbicandosi su di lui per
piazzargli la lingua in gola.
“..Ammtphf!”
concluse Sirius, che stava ancora cercando di parlare, mentre fischi
e insulti alla sua persona risuonavano sempre più numerosi.
Per
la delusione, qualcuno cominciò a rinsavire. Lily scorse con
sollievo un Severus rossiccio e umiliato che si richiudeva addosso il
mantello e si guardava intorno nella speranza che nessuno l'avesse
visto, e poco dopo anche Remus sgranò gli occhi allibito e
poi
storse il viso in una smorfia di vergogna.
“Black
puzza!” esclamava intanto James, indispettito.
“Jim,
ma sei scemo?” lo riprese il licantropo, perplesso.
“E'
una Veela,” gli sussurrò Lily tornando sui propri
passi.
“Impossibile,”
rispose Remus a mezza voce. “Nemmeno una Veela potrebbe avere
un
effetto così violento su tante persone,” aggiunse,
indicando
alcuni che ancora si spintonavano e lanciando insulti a Sirius. Poi
corrugò la fronte, scorgendo l'amico che baciava tanto
profondamente
Merylin da dare l'idea di volerle entrare in gola tutto intero,
mentre lei gli si era avvolta addosso.
“Hai
torturato Shakespeare,” gli fece notare pacatamente Lily.
“Potresti...non
ricordarmelo?” ribatté Remus con voce strozzata.
“E
non si lava!” continuava James inviperito.
“Jim,
piantala,” ribadì Remus pazientemente.
“Potter,
sei ridicolo,” rincarò Lily.
“Ma
chi ti si fila,” brontolò lui.
“POTTER!”
sbraitò lei, al punto che svariate teste si voltarono verso
di loro,
dimentiche della bella Merylin. “Sei l'essere più
demente e
patetico che... Io non ti sopporto proprio! Va' al diavolo!”
ululò
imbestialita, le guance rosse quasi quanto i capelli, prima di
voltarsi e marciare via di lena.
James
sgranò gli occhi, voltandosi indietro, e spalancò
la bocca con
nuova lucidità.
“Ma
cosa ho...? Oh!” esclamò esterrefatto, prendendo
coscienza di
quanto avvenuto negli ultimi minuti. “Evans! Oh, Evans, mi
dispiace, non so cosa mi sia...!” esclamò con
foga, facendo per
correrle dietro con tanto di piede scalzo. Remus lo trattenne al
pelo.
“Sta'
qui, che stavolta ti ammazza,” lo rabbonì.
“Ma
c'è un malinteso! Io non capisco come...” si
giustificò lui,
paonazzo e disperato.
“Veela,”
sussurrò Remus, e lui sgranò gli occhi.
“Amici!”
Si
voltarono in sincrono. Sirius si era fatto largo tra i compagni
ostili, stretto a braccetto con Merylin al punto da barcollare. Se ne
stava lì impalato, con l'aria più felice e
più beota del mondo.
Che era anche l'espressione naturale della ragazza, a ben guardare.
Quando
fu certo di avere la loro attenzione, e anche Peter, torvo, li ebbe
raggiunti, regalò loro un sorriso ebete.
“Vi
presento Merylin, la mia nuova ragazza,” annunciò
raggiante. “Ci
sposeremo a breve,” aggiunse.
“Eh?”
fece James rauco.
Remus
aggrottò la fronte.
“Non
credo che ad Hogwarts sia previsto questo tipo di evento,”
provò
ad osservare, asciutto.
Sirius
li ignorò del tutto.
“Questi
sono i miei amici James, Remus e Peter,” continuò,
rivolto alla
ragazza.
“Voi
siete amici del mio Siry?” chiese lei, vaga.
James
emise un verso sbrodoloso di disgusto, nell'udire quel soprannome,
quasi contorcendosi.
“Te
l'ha appena detto lui,” le fece notare invece Remus, atono.
Aveva
veramente scomodato Shakespeare per un essere tanto decerebrato?
La
fanciulla sorrise, non cogliendo il sarcasmo.
“Piacere,
io sono Merylin.”
Tre
sorrisi dubbiosi le risposero muti.
“Non
è bellissima?” fece Sirius, ammaliato.
Remus
sospirò stancamente, James fece una smorfia per la
melensaggine
indesiderata e Peter si limitò a sbuffare, ancora un po'
invidioso.
La situazione nel corridoio si stava lentamente calmando, ma per i
Marauders sembrava proprio che il peggio non finisse mai.
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