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The promise ***
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- Vi è sempre speranza anche nel buio più
fitto.
- Quando tutto sembra perduto una luce
appare ad illuminare la via.
- Una
speranza con le sembianze di un semplice, giovane, uomo.
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Capitolo
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- Era arrivata, finalmente… Dopo tante ore
di viaggio era giunta in quella che sarebbe stata la sua nuova casa, seppur
contro voglia. Ma le scelte erano poche visto la situazione in cui si
trovava…
- Colui che credeva essere l’amore della sua
vita l’aveva sbattuta fuori di casa senza pensarci due volte, dopo aver
scoperto una verità che li riguardava entrambi. Ma lui aveva preferito
lavarsene le mani, scaricandola fuori dalla porta per scoparsi un’altra…
- Era salita sul primo pullman, senza un soldo
e senza la minima idea di dove andare… Faceva molto freddo, dopo
tutto era inverno inoltrato e la prima neve cadeva dal cielo. Ma non
riusciva a rassicurarla come tutte le altre volte…
- Aveva urgente bisogno di andare in bagno, cercò un
posto dove potesse essercene uno ma ormai era mezzanotte e tutti negozi
erano chiusi. Ma dopo un po’ vide l’insegna di un bar accesa di una
bella luce rossa e vi era scritto “Hope”: nome strano per un bar, ma
tanto valeva chiedere aiuto a loro, sperando che poi non le chiedessero di
ordinare qualcosa.
- Entrò piano, quasi con paura, e vide che il
locale era semivuoto: vista l’ora e il giorno, ovvero giovedì, era
normale che in tarda serata molti fossero a casa.
- Era ben tenuto, i tavoli e il banco erano in
legno massiccio scuro, quasi in stile western, vi era un jukebox e sulle
pareti diversi ritratti e fotografie di vari luoghi.
- «Ti serve qualcosa, bella?», fù una voce
femminile a chiamarla e vide al banco una ragazza di vent’anni,
bionda e con gli occhi celesti, vestita in modo provocante e sportivo allo
stesso tempo. Canotta nera con una scritta bianca sopra e pantaloni di pelle. Il viso era bello, liscio e diafano, come quello di
una bellissima statua, le labbra piene e carnose le donavano un aspetto
provocante e naturale.
- «Ehm… Posso usare il bagno?»
- «Certo. In fondo, la prima porta a
sinistra.», le indicò la giovane bionda con un sorriso. Corse verso la
porta indicatagli, chiudendola e facendo la pipì. Si sistemò, dandosi un’occhiata allo specchio: aveva un aspetto terribile. Profonde occhiaie
le circondavano gli occhi, era pallida e si sentiva stanchissima… Ma dopo
tutto nel suo stato era normale. Aveva fame, ma come si sarebbe procurata da
mangiare? Non poteva nemmeno lavorare… Era disperata.
- Si lasciò andare a terra, tenendosi al
lavandino e piangendo ininterrottamente: non che servisse a qualcosa, ma in
quel momento le sembrava l’unica cosa da fare.
- Si allacciò le gambe al petto, continuando
a piangere, quando la porta del bagno si aprì. Pensò che fosse qualcuno
che aveva bisogno, ma quando alzò lo sguardo vide ciò che pensò fosse un
angelo…
- Capelli argentei come i raggi lunari, occhi
viola ametista, un viso pressoché perfetto e il fisico degno di una
scultura greca. La fissava preoccupato, si chinò su di lei e le chiese che
cosa le succedeva…
- «Ehi, va tutto bene?»
- «No, per niente…»
- «Andiamo, qualunque cosa sia vi sarà
rimedio.»
- «No, sta andando tutto di merda!», le
lacrime e il tono di voce aumentarono, per fortuna il locale era deserto o
avrebbe rischiato di dare spettacolo.
- Il giovane le si sedette vicino, cercando un
modo per consolare quella ragazza in lacrime: lui era un gentiluomo e
detestava vedere una ragazza piangere… E lei doveva avere degli ottimi
motivi per farlo dato che sembrava disperata.
- «Si può sapere perché sei così
disperata? Andiamo, non riesco a vedere una ragazza piangere così tanto.»,
quelle parole le fecero piacere, anche se non ne capì il motivo.
- Cercò di calmarsi, asciugandosi gli occhi e
accettando di buon grado il fazzoletto che quel ragazzo così gentile le
porse.
- «Va meglio?»
- «Un po’, grazie.»
- «Ora mi dici che cosa succede? Sembri nei
guai.»
- «Il mio ragazzo… Mi ha sbattuta fuori di
casa per scoparsi un’altra…», il ragazzo scosse il capo: il mondo era
pieno di bastardi, lo sapeva bene. Se avesse avuto tra le mani quel
maledetto lo avrebbe sistemato a dovere per aver lasciato in mezzo alla
strada quella poverina. Come si poteva lasciare una ragazza tanto carina?
- I capelli lunghi e biondo cenere le
incorniciavano il viso, gli occhi verde smeraldo erano grandi e dolci, il
viso liscio e delicato e labbra rosee e piccole al punto giusto. Era
bassa, lo si notava anche da seduta, ma tutte le curve erano al posto
giusto.
- «Un maiale, come la maggior parte degli
uomini. Dimenticalo, sono sicuro che incontrerai qualcun altro, sei così
carina e poi…»
- «Sono incinta…», il ragazzo sgranò gli
occhi: quello si che era un bel problema. Adesso si spiegava la sua
disperazione e la paura nel suo sguardo. Rimanere da sola e con un figlio in
grembo non era cosa che doveva succedere ad una ragazza…
- E adesso che cosa
doveva fare? Non poteva certo fregarsene e lasciarla vagare senza meta, senza un soldo e per giunta in pieno inverno! Lui sapeva bene cosa voleva
dire essere abbandonato in mezzo alla strada…
- «Vieni con me.»
- «Come?»
- «Non posso certo lasciarti da sola in
queste condizioni, sarei il peggiore dei bastardi e non lo sono.»
- «Ma non sei obbligato, nemmeno mi conosci.
Magari ti sto prendendo in giro per approfittarmi di te!»
- «Non mi sembri il tipo e comunque riconosco
una persona incinta quando la vedo: mia zia ha avuto due figlie dopo che mi
ha adottato. E tu hai il suo stesso sguardo, la sua stessa tensione mista a
felicità.», la giovane non credeva alle sue orecchie. Che quel giovane
fosse davvero un angelo venutole in soccorso?
- «Non so cosa dire, davvero… Grazie…»
- «Su andiamo, so già che mi farai sudare!»,
disse allegramente il ragazzo, porgendole la mano ed aiutandola ad alzarsi.
Quel breve contatto bastò per provocare una leggera scarica elettrica ad
entrambi, fu una sensazione strana e dolce per tutti e due.
- «A proposito, non ti ho chiesto come ti
chiami.»
- «Sara Letrovia e tu?»
- «Kei Hiwatari, piacere di conoscerti.», i
due si strinsero le mani e il giovane la condusse di nuovo al banco, dove la
ragazza bionda di prima stava finendo di mettere in ordine le ultime
bottiglie del bar.
- «Ehi, tu sei la ragazza di prima. Va tutto
bene, bella?»
- «Non troppo. Lena, ti devo parlare, andiamo
nel tuo ufficio.»
- «Va bene, come vuoi.», la giovane sembrava
confusa, ma era abituata alle sue stranezze quindi non fece domande,
vedendolo però rivolgere un sorriso confortante alla ragazza che non
gli aveva mai visto fare con nessuna.
- «Aspetta qui, ok? Non fare cavolate, torno
subito.»
- «Va bene, tranquillo.», le prese il mento
tra il pollice e l’indice in un gesto affettuoso e seguì la giovane barista
nell’ufficio appena accanto all’entrata del bancone, mentre Sara
contemplava il locale toccandosi il ventre: il suo piccolo. Voleva tenerlo
al sicuro, proteggerlo e dargli una vita serena… Ma come poteva in quelle
condizioni? Se solo non il suo ragazzo non fosse stato un bastardo….
- «Sei incinta?! Come cazzo è successo?!»
- «Senza che ce ne accorgessimo, ma non è
una cosa brutta… E’ nostro figlio.»
- «Io non voglio essere padre, cazzo! Ho
solo vent’anni e tu sei minorenne, non ho intenzione di finire nei guai
per colpa tua!».
- Due ragazzi discutevano a voce molto
alta, soprattutto lui: alto, capelli azzurri tenuti in ordine da un codino,
occhi color cobalto e fisico ben strutturato, segno di chi fa sport.
- «Garland, non ti metterò nei guai, non
voglio farlo. Io ti amo e voglio questo bambino…»
- «Io no, quindi i casi sono due : o te ne
sbarazzi o puoi uscire dalla mia vita, Sara!»
- «Non voglio abortire! Perché mi metti
di fronte a delle scelte così crudeli?», ormai gli occhi della giovane
Sara erano ormai inondati di lacrime, mentre il suo ragazzo la fissava
impassibile. Non vi era nessuna emozione o amore in quegli occhi che credeva
l’amassero.
- «Allora puoi andartene, tu e quel
marmocchio!»
- «Non puoi farmi questo, è anche tuo
figlio, cazzo!»
- «Tanto ti avrei cacciata lo stesso di
casa, che cosa credi?», Sara lo fissò incredula: che cosa stava dicendo?
Perché avrebbe dovuto farlo? Lei era senza nessuno, viveva in un piccolo
appartamento prima di conoscere lui e trasferirsi, dopo sei mesi di
relazione, a casa sua. Cacciarla equivaleva a sbatterla in mezzo alla
strada.
- «Che cosa dici?»
- «Sto dicendo che non ti amo più e forse
non ti ho mai amata. Eri solo un passatempo, tutto qui.»
- «Allora perché mi hai invitata a vivere
insieme a te?!»
- «Per divertirmi con te ogni volta che
volevo. Ma ora sei solo tu ad essere nei guai, io me ne fotto. Il marmocchio
è tuo e voglio che te ne vai entro stasera, visto che la mia nuova ragazza
sta per arrivare.», il cuore di Sara si frantumò in mille pezzi: l’aveva
messa incinta, usata e tradita… E adesso la stava sbattendo in mezzo alla
strada, senza un soldo e una casa.
- Gli tirò uno schiaffo più forte che
poteva e andò in quella che era stata la loro camera. Prese un borsone e vi
mise dentro tutti i suoi vestiti, che erano relativamente pochi. Garland non
era solito farle regali o portarla a rinnovare il guardaroba.
- Prese il borsone e si diresse verso
l’uscita, fissando per l’ultima volta il ragazzo che tanto aveva amato e
che ora le stava spezzando il cuore come mai nessuno… E la stava
abbandonando con un figlio in grembo.
- «Ne porterai il peso, Garland.»
- «L’unico peso nella mia vita sei tu e
me ne sto liberando. Addio Sara e non tornare mai più, intesi?»
- «Ci puoi giurare, bastardo! Preferisco
morire con mio figlio in grembo piuttosto che dagli un padre bastardo e
pezzo di merda come te!», Sara uscì da quella casa, sbattendo la porta ed
uscendo in strada. La neve cadeva copiosa e la temperatura era molto
bassa… Dove sarebbe andata adesso? Cosa poteva fare?
- Non conosceva nessuno e quei pochi amici
che aveva erano tutti di Garland: nessuno l’avrebbe accolta, erano tutti
della sua stessa pasta.
- Decise di andare alla stazione dei
pullman, salendo sul primo in partenza a testa basta e sedendosi in fondo:
se fosse salito il controllore sarebbe stato un bel problema: era senza un
soldo.
- Il pullman partì e la giovane, col cuore
in gola e una mano sul suo ventre caldo, chiuse gli occhi sperando che
qualcuno la salvasse…
-
- *
-
- «E’ incinta?»
- «A quanto pare si. E no: non sono stato io,
nemmeno la conosco!»
- «Guarda che non l’ho mai pensato, cugino.»
- «Sì, come se non ti conoscessi. Comunque
mi ha detto che il tipo di cui è incinta l’ha sbattuta fuori di casa e
non aveva nessuno da cui andare, così è venuta qui senza nemmeno rendersene conto.»,
Kei stava spiegando a Lena, sua cugina con la quale viveva da due anni, la
situazione di Sara. La giovane bionda era schifata per ciò che era accaduto
a quella povera ragazza e non potevano certo lavarsene le mani: erano brave
persone che avevano conosciuto tante difficoltà nella vita senza ricevere
aiuto da nessuno.
- «Che bastardo, come tutti gli uomini.
Senti, ma tu cosa proponi esattamente?»
- «Di portarla a casa nostra. I rifugi per i
senza tetto e le case famiglia nel suo caso sono sconsigliate, non credi? E
poi sappiamo come lavorano qui quei posti: da schifo.»
- «Sì, hai ragione. Va bene, portiamola con
noi, in fondo abbiamo già accolto te, perché non farlo con lei?»
- «Quanto sei stronza! Bisognerà anche
portarla da un medico, non credo che ci sia stata.»
- «Chiederemo a mio padre, sarà felice di
farlo. Andiamo a darle la lieta novella, comunque è molto carina.»
- «Sì, abbastanza.»
- «Ti piace?», ammiccò Lena, facendo
incavolare il cugino: quella trovava sempre il modo di farlo innervosire,
non c’era niente da fare!
- «Ma che dici! E’ solo che mi fa tenerezza: una ragazza così carina, lasciata in mezzo alla strada e
incinta.»
- «Se lo dici tu.», Lena lo fissò con un
sorriso furbo dipinto sul viso, per poi uscire insieme a lui dall’ufficio
e raggiungere Sara, che però si era addormentata sul bancone. I due la
fissarono con dolcezza: doveva essere davvero stanca e viste le sue
condizioni era normale.
- «La prendo io, tu raccogli il suo borsone e
vai a prendere la
macchina.», sussurrò Kei alla cugina che annuì sorridendo, mentre il
giovane prese la ragazza in braccio cercando di non svegliarla.
- Uscì dal locale, raggiungendo la macchina
della cugina e posando Sara sul sedile posteriore. Mentre Lena finiva di
chiudere si sedette dalla parte opposta del sedile, facendo appoggiare la
testa della ragazza sulle sue gambe.
- Le accarezzò i capelli, pensando a
quanto fosse carina mentre dormiva… Come si poteva abbandonare una
creatura tanto dolce in maniera così orribile?
- «Mi prenderò io cura di te.», lo sussurrò
piano, quasi fosse un segreto prezioso.
- Vide Lena entrare in macchina e mettersi al
posto di guida, sorridendogli e mettendo in moto: casa loro non era distante
dal bar, ci volle un quarto d’ora per arrivare.
- Poco dopo che la bionda
ebbe fermato la macchina, Sara mugugnò qualcosa per poi aprire gli occhi e
trovarsi il dolce sorriso di Kei come risveglio. Aveva avuto timore che
fosse stato tutto un sogno…
- «Mh… Ho dormito tanto?»
- «No tranquilla, siamo arrivati.»
- «Arrivati dove?»
- «A casa nostra, bella. Resterai da noi,
almeno finchè il piccolo non sarà nato, e potrai stare anche oltre se lo
vorrai.»
- «Non… Non so cosa dire, davvero.», Sara
era allibita: mai nella vita aveva conosciuto delle persone tanto generose.
Quei perfetti estranei stavano salvando lei e il suo bambino senza volere
niente in cambio, erano meravigliosi.
- Vide Kei sorriderle, prenderle la mano e
aiutarla a scendere dalla macchina: era una villetta piccola ma molto ben
tenuta. Bianco candido e con un piccolo giardino, una casa accogliente e che
le ispirava calore.
- Il ragazzo prese il suo borsone e, sempre
tenendola per mano, la condusse all’interno della casa. La prima cosa che
vide fu la sala, dove vi erano un divano, un paio di poltrone, un tavolino e
un televisore. Subito sulla destra si intravedeva una cucina grande e
spaziosa, mentre le altre porte dovevano essere le camere e il bagno,
suppose.
- «Vieni, ti faccio vedere la tua stanza.»,
Kei la accompagnò per il piccolo corridoio che divideva la sala dal resto
della casa, conducendola verso una porta bianca. La aprì e vide che era
davvero spaziosa! Vi era un letto a due piazze in ferro battuto, una
scrivania e un bell’armadio in legno… La finestra dava proprio sul
giardino, era l’ideale per lei.
- «Ti piace? E' la camera degli ospiti, un
tempo la usava una delle mie cugine che adesso studia all'estero.»
- «Sì, moltissimo! Grazie Kei, davvero!»,
Sara abbracciò Kei di impeto, immersa nella gratitudine per quel ragazzo
che le aveva aperto la porta di casa senza pensarci due volte.
- Il ragazzo, sorpreso ma felice di quel
gesto, ricambiò l’abbraccio, inebriandosi del profumo che emanava…
Anche se aveva tutta l’aria di doversi fare una doccia.
- «Vuoi rinfrescarti un po’?»
- «Si sente che ho bisogno di un bagno, vero?»,
i due risero, per poi staccarsi, mentre il ragazzo le spostava una ciocca di
capelli dal viso. Sara sorrise: quel giovane era gentile in ogni suo gesto,
forse gli veniva naturale.
- «Un pochino. Il bagno è la seconda porta a
sinistra, lo trovi facilmente, se hai fame Lena sta preparando delle pizze
surgelate. Lo facciamo sempre quando chiudiamo tardi.»
- «Mi va benissimo, grazie.»
- «Domani chiameremo mio zio, è un medico
così almeno vedremo se va tutto bene.»
- «Kei… Non so davvero che cosa dire.»
- «Qualcosa tipo ‘Oh grazie Kei, sei il mio
eroe!’», Sara rise di gusto, seguita dal giovane che le diede un buffetto
sulla guancia e si accinse ad uscire, in modo che potesse andare a lavarsi.
- «Andrà tutto bene, piccola. Penso io a te,
adesso.»
- «Promesso?»
- «Promesso.», Kei le fece l’occhiolino e
un sorriso, mentre Sara sentiva il cuore batterle forte.
- Il ragazzo uscì,
mentre lei prese il suo borsone e cominciò a tirare fuori il cambio che le
occorreva per farsi una doccia calda: ne aveva proprio bisogno.
- Prese una canotta, un paio di slip e dei
pantaloncini, recandosi in bagno. Aprì il getto d’acqua della doccia e
non appena fu calda vi entrò, lasciando che quel tepore lavasse via anche tutta
la stanchezza accumulata.
- Si toccò il ventre: il suo piccolo cresceva
dentro di lei… Ce l’avrebbe fatta davvero? Ora non era più sola, ma
poteva davvero fidarsi di Kei? Si sarebbe preso davvero cura di loro? Solo
il tempo poteva dirglielo.
- Ora doveva pensare al bene del piccolo che
presto sarebbe venuto al mondo e quelle persone erano la sua unica ancora di
salvezza, sperava solo di aver agito per il meglio.
- Uscì dalla doccia, asciugandosi e
mettendosi gli indumenti che si era portata in bagno. Lasciò i capelli
umidi, frizionandoli con l’asciugamano. Non sapeva dove fosse il phon e
poi non aveva voglia di stirarseli, ci avrebbe pensato la mattina dopo.
- Andò in camera, mettendosi il pigiama che
aveva precedentemente preparato giusto in tempo prima che Lena la chiamasse
per avvisarla che la cena era pronta.
- Finì di vestirsi e raggiunse i due
ragazzi in cucina, notando che era già tutto pronto.
- «Spero che ti piaccia la Margherita, ho
preferito andare sul classico non conoscendo i tuoi gusti.»
- «Tranquilla Lena, grazie. E poi con
l’aiuto che mi state dando non avrei mai fatto la pretenziosa sul
mangiare.», i tre risero, sedendosi a tavola e cominciando a mangiare le
loro pizze fumanti.
- Per Sara era molto inusuale mangiare a quell’ora tarda
ma Kei la rassicurò che capitava di rado e che di solito cenavano prima di
aprire il locale, verso le otto di sera.
- «A proposito, ho mandato un messaggio a mio
padre e ti aspetta domani al suo studio. Kei, te la senti di accompagnarla
tu? Io devo ricevere della merce al locale.»
- «Certo e poi è un po’ che non vedo lo
zio. Per te va bene, Sara?»
- «Certamente, grazie mille.»
- «Vedrai, è una brava persona e ti metterà
a posto come si deve. Dovremmo anche cominciare a pensare alle altre cose,
tipo vestitini e altra roba utile per il piccolo.»
- «Lena, non posso permettermi nulla, te
l’ho detto.», disse Sara avvilita, mentre i suoi due amici le sorrisero
allegramente: quella piccola sciocchina non aveva ancora capito di essere in
buona mani e soprattutto generose.
- «Senti, vuoi davvero ripagarci
dell’aiuto? Io un modo ce l’ho.»
- «E quale, Lena? Non può certo lavorare
nelle sue condizioni.», Kei non capiva cosa aveva in mente sua cugina:
sapeva essere tanto dolce quanto diabolica, lui lo sapeva bene. Anche Sara
era molto confusa… In che modo poteva aiutarli se nelle sue condizioni non
poteva fare quasi niente?
- «Di cosa si tratta?»
- «Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti con le
scartoffie del locale. Sai, ricevute e cose simili. Io sono una tale
disordinata che mi perdo tutto e Kei non ne ha il tempo tra l’università
e il lavoro che svolge lì. Penso che tu possa aiutarmi e ti pagherei,
naturalmente.», Sara sembrò rifletterci e pensò che non era male come
proposta: lei era una persona molto ordinata, lo era stata anche a scuola
con gli appunti e cose simili… E almeno avrebbe ripagato in parte la
generosità che le era stata offerta.
- «Va bene, lo farò volentieri.»
- «Perfetto, direi che siamo a posto con
tutto, allora!», i tre risero di gusto, finendo di cenare. Né Lena e
nemmeno Kei avevano più domandato qualcosa a Sara sul bastardo che l’aveva
abbandonata: non avevano voglia di farla stare male e forse un giorno ne
avrebbe parlato lei liberamente.
- Kei non faceva che osservarla: era così
carina che non riusciva a toglierle gli occhi di dosso… Mai aveva
provato qualcosa di così intenso fissando semplicemente una ragazza.
- Sara aiutò Lena a sparecchiare, nonostante
le proteste di quest’ultima sul fatto che dovesse andare a riposare, dopo
di che i tre si prepararono per andare a dormire, dandosi la buona notte.
- «A domani ragazzi, lo zio vi aspetta per le
undici.»
- «D’accordo cugina, svegliami tu quando
sarà ora!»
- «Il solito pigrone! Povera Sara, che
bell’esempio di maschio affidabile le stai dando.»
- «Pensa un po’ agli affari tuoi!», la
giovane rise leggermente nel vedere quei due battibeccare: si punzecchiavano
di continuo, ma si vedeva che si volevano bene.
- Lena entrò nella sua stanza facendo la
linguaccia al cugino, mentre quest’ultimo accompagnò Sara alla porta
della sua camera, dandole la buonanotte.
- «Mi raccomando, dormi bene.»
- «Anche tu. Kei, dici che ce la farò?»
- «Ne sono convinto, non preoccuparti… Non
sei sola, ok?», Sara si poggiò al suo petto, mentre Kei la cingeva in un
tiepido abbraccio. Le baciò la fronte, salutandola in modo che potesse
andare a riposare.
- «Buonanotte, Kei.»
- «Buonanotte, Sara e fai bei sogni.», le
fece l’occhiolino e si allontanò, entrando nella sua stanza che era
praticamente accanto alla sua. Sara entrò e si sedette sul letto, legandosi
i capelli in un paio di trecce basse. Si mise sotto le coperte calde,
chiudendo gli occhi: il suo cuore era fiducioso.
- Lei e il suo piccolo sarebbero stati bene
con loro.
- Forse finalmente aveva trovato la famiglia
che non aveva mai avuto.
- E non voleva perderli per nessuna ragione al
mondo.
-
- *
-
Il mattino dopo.
-
- «Benvenuta Sara, mia figlia mi ha spiegato
tutto.», Sara e Kei erano arrivati allo studio dello zio del ragazzo nonché
padre di Lena: il dottor Ivan Tersikov. Un uomo sulla quarantina, con i
capelli neri e gli occhi verde smeraldo, fisico robusto ma non eccessivo e
viso dai lineamenti marcati ma non troppo duri per un uomo di quell’età.
«Sei ancora minorenne, giusto?»
- «Faccio diciotto anni tra due mesi.»
- «Oh bene, così quando il piccolo nascerà
non ci saranno problemi. Bene, se vuoi metterti sul lettino cominciamo.»
- Sara fissò Kei un po’ impaurita, che le
sorrise dolcemente accompagnandola al lettino. Il medico le disse come
stendersi in modo da poter fare la visita.
- «Stai rilassata, non ci vorrà molto.», le disse gentilmente il medico. Sara
annuì mentre Kei le teneva la mano durante la visita, che durò
relativamente poco… Il dottor Ivan era una persona molto delicata e
competente, non sentì nessun tipo di dolore.
- Una volta finita la visita ginecologica, la
fece stendere completamente sul lettino, alzandole la maglietta e premendo
delicatamente sulla pancia per vedere come procedeva la gravidanza.
- Kei continuava a tenerle la mano,
sorridendole dolcemente: era così bello averlo accanto, altro che quel
bastardo di Garland!
- «Tutto procede bene, Sara, sei esattamente
alla fine del secondo mese di gravidanza. Vorrei che
tornassi qui tra un paio di settimane per fare la prima ecografia, va bene?»
- «D’accordo, la ringrazio molto.», Kei la
aiutò ad alzarsi e mentre si sistemava, il dottor Ivan ne approfittò per
fare due chiacchiere col nipote che purtroppo non vedeva più tanto spesso.
- «Allora nipote, come va l’università?»
- «Non mi lamento, tra tre mesi dovrei dare
un esame.», Sara li ascoltò, incuriosita: non sapeva ancora che cosa
studiasse Kei, era timida e non le piaceva impicciarsi.
- «Vedi di passarlo che la testa ce l’hai.»
- «Sì zio, c’è già Lena che mi fa sempre
predicozzi, non temere.», Sara si ritrovò a ridere, sedendosi accanto a
lui, che le sorrise. Ivan notò che suo nipote sorrideva spesso a quella
ragazza e ne fu contento.
- Gli voleva bene come un figlio, gli
augurava ogni bene per il futuro e forse quella ragazza era ciò che gli ci
voleva per crearsi una vita tutta sua. E avere la famiglia che non aveva mai
avuto…
- «Allora Sara, noi ci vediamo tra due
settimane. Nel frattempo stai a riposo e non fare sforzi che non siano
necessari. I primi mesi di gravidanza sono quelli in cui si deve stare più
attenti, capito?»
- «Va bene, la ringrazio molto.»
- «Ora è meglio andare, dobbiamo ancora fare la
spesa. Ci vediamo zio e grazie.»
- «Passate qualche volta tu e Lena, ci
mancate.»
- «Promesso, alla prossima.»
- «Grazie dottor Ivan, ci vediamo tra due
settimane.»
- «Riguardati e dammi del tu: ormai sei di
famiglia.», Ivan le fece l’occhiolino e i due ragazzi uscirono dallo
studio medico, dirigendosi verso il centro.
- «Tuo zio è proprio una brava persona,
molto simpatico.»
- «Sì è vero, è come un padre per me.
Praticamente mi hanno allevato lui e sua moglie, sono a loro molto grato per
ciò che hanno fatto per crescermi.»
- «Ma la tua famiglia?», Kei si irrigidì a
tali parole e Sara capì di essere stata inopportuna: doveva scusarsi
subito, non voleva turbarlo dopo ciò che stava facendo per lei e il suo
bambino.
- «Scusami, non avrei dovuto.»
- «No piccola, non preoccuparti. Diciamo che
i miei non avevano tanta voglia di fare i genitori e così sono spariti,
lasciandomi a mio zio. Avevo tre anni e da allora non ho più saputo nulla
di loro e non mi importa nemmeno. Possono anche essere morti, non me ne
frega.»
- «Davvero?»
- «Certo. Considero famiglia i miei zii, che
mi hanno allevato come se fossi davvero figlio loro, Lena e le mie cugine.
Sono stato fortunato perché ho trovato una bella famiglia ad accogliermi e
crescermi.»
- «E’ per questo che… Mi hai accolto con
te?»
- «Esattamente, Sara. Io so cosa vuol dire
venire abbandonati ed ho avuto chi mi ha salvato… Perché non posso farlo
anch’io con te?», Kei le sorrise, cingendole le spalle con un braccio,
mentre Sara aveva gli occhi lucidi e il cuore che batteva forte: sì, quel
ragazzo doveva essere un angelo mandatole per salvarla.
- «Allora grazie per avermi salvato, mio
eroe!»
- «Scema!», i due risero, per poi arrivare
in centro e fare le commissioni che dovevano, ridendo e scherzando.
- Quello era solo il primo giorno della vita
insieme che li attendeva: loro due e la piccola creatura nel grembo di Sara.
- Sarebbero stati davvero felici?
- Sarebbe nato l’amore o semplice amicizia?
- Solo il tempo poteva dirlo.
- Avevano nove mesi di tempo, dopo tutto!
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- Salve a tutti!
- Come vedete la cara Pad non smette
mai di rompere le scatole ed eccola qui con l’ennesimo esperimento xD Una
storia semplice, come potete notare, e che sarà relativamente breve: due o
tre capitoli al massimo v.v
- Mi piace scrivere di questo genere,
tutti ormai conoscono la mia debolezza per il genere romantico xD
- Qui abbiamo il primo capitolo, spero
tanto che vi piaccia e che mi farete sapere che cosa ne pensate, in positivo
e in negativo, ovviamente v.v
- Il titolo della
storia è dovuto sopratutto alla traccia che ha accompagnato la stesura: The
Promise di Micheal Nyman. Mi sembra doveroso ringraziare la mia stellina
Halley_Silver_Comet perchè grazie a lei ho trovato questa melodia stupenda
che mi ha aiutato a scrivere questa storia ^-^
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Un bacio forte a tutti^^
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- La cara Pad
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