EPILOGO
...E
VISSERO TUTTI FELICI E CONTENTI
Sette
anni dopo
Inciampo, rotolo giù
dalle scale e batto violentemente la fronte lentigginosa sull'ultimo
gradino. Esattamente sette anni dopo la campale battaglia di
Hogwarts, eccomi qui, goffa e maldestra come al solito, a dimenare le
gambe incastrata in una posizione altamente ridicola.
George Weasley arriva
in tutta fretta, attirato dalle mie urla, seguito da suo fratello Ron
e da Harry Potter.
-
Te
l'ho detto mille volte che devi stare attenta a quella scala a
chiocciola! - ride, allungandomi una mano per aiutarmi a rimettermi in
piedi – Lo sai che è stregata per impedire ai
clienti di scendere in magazzino! -
-
Ma io
non sono una cliente – protesto, veementemente.
Lavoro
ai Tiri Vispi
Weasley da quasi cinque anni, ormai. Il signor Borgin mi voleva da
Magie Sinister, a sostituire mia sorella, ma non sono resistita
più
di qualche mese: quel luogo portava con sè ricordi troppo
dolorosi.
Il
negozio di scherzi
gestito da George Weasley, invece, è il posto di lavoro
più adatto
a me che potesse capitarmi: non abbiamo orari nè scadenze e
il
nostro unico scopo è inventare scherzi che possano divertire
il
pubblico, e divertire anche noi.
-
Se non
sei una cliente dimostralo alla scala recitando la parola magica
– George ride ancora, e con un tocco di bacchetta mi libera
dallo strato di polvere che si è accumulato sul mio vestito.
-
Lo
farei, se tu non la cambiassi ogni giorno – sibilo tra i
denti e scuoto la testa, cercando di ridare ai capelli il volume che
avevano ottenuto dopo il trattamento dal parrucchiere, appena un paio
d'ore prima – Comunque, stavo cercando di prendere i fiori
che non appassiscono mai; mi servono per il bouquet di mia zia. -
George
mi strizza
l'occhio e si inerpica giù per la scala stregata. Rimango a
fissare
Ron e Harry, con un lieve imbarazzo. È difficile fingere di
non
sapere che siamo stati nemici, che loro mi hanno odiata, sapendomi
tra le fila del Lato Oscuro, e certe volte penso che sarebbe stato
meglio se, morendo, Daisy Miller avesse modificato i ricordi anche a
me, sollevandomi dal difficile compito di mentire, mentire sempre.
Ma poi
abbasso lo
sguardo sul Marchio Nero, di cui ora non rimane che un'ombra, e mi
sento sciocca per aver espresso quell'infantile desiderio. Gli anni
con Tom, la nostra amicizia, le nostre battaglie, mi hanno resa
quella che sono ora. E apparentemente sono una gran gnocca.
Faccio
una piccola
giravolta su me stessa, concedendo loro un'altra prospettiva. So di
essere davvero bella, oggi.
Come
se gli anni dal
quinto al settimo non ci fossero stati, i due Salvatori del Mondo
Magico mi danno amichevoli buffetti sulla guancia e pacche sulle
spalle mugolando scherzosi apprezzamenti con applausi e fischi.
Mentre
George torna
sommerso di una cascata di fiori, il mio cellulare vibra come
impazzito nella borsetta che ho distrattamente gettato su uno
scaffale, entrando.
Parla
con tono duro e
lievemente a scatti. Se non la conoscessi così bene e non
sapessi
che quello è il suo modo di mascherare il nervosismo,
probabilmente
mi arrabbierei.
-
Devo
scappare! - riempio un cestino di vimini con i fiori di George e mi
affretto verso la porta, sentendomi dannatamente instabile sulle
Loboutin tacco dodici che JJ mi ha regalato per l'occasione.
-
Fa' i
nostri auguri a tua zia! - le voci di George, Ron e Harry mi
raggiungono mentre sto già correndo nella strada principale
di Diagon Alley.
Il
cellulare riprende
a vibrare. Mi tocca esibirmi in complicate acrobazie per riuscire ad
estrarlo dalla borsa senza far rovinare a terra il cesto dei fiori, e
lo porto all'orecchio con non poche difficoltà.
Devo
darle ragione,
una volta di più.
Mi
materializzo nella
nostra camera, nella soffitta di Casa Riddle, dove Therese, pronta da
chissà quante ore, siede sulla punta del letto, in attesa
del mio
arrivo.
La
soffitta di Casa
Riddle è rimasta identica a com'era durante la nostra
adolescenza,
risparmiata dalla furia restauratrice di zia Tracie e dalle
spedizioni d'esplorazione dei Cuccioli. Tutto è esattamente
come
allora: le tendine color crema alla finestra, la scrivania
traballante divisa a metà grazie al nastro isolante e i
nostri letti
con le coperte fiorate.
Nè
io nè Therese
viviamo più a Casa Riddle da un'eternità
– lei si è trasferita
in un appartamentino a Diagon Alley con Simon Blaesette subito dopo
la fine della scuola, io invece sono andata a vivere in un ampio loft
nel centro di Londra con JJ, Mark e Dan – ma nessuno ha mai
pensato
di rimodernare la nostra vecchia stanza o di adibirla a un'altra
funzione. Per una sorta di tacito accordo, la soffitta è
rimasta
immutata, mentre tutto il resto si trasformava.
Subito
dopo la morte
di Tom, zia Tracie si è messa al lavoro per rimettere a
posto la
vecchia villa. Si è gettata nel progetto con un entusiasmo
quasi
folle, non sopportando l'idea di trasformare quella casa in un tempio
consacrato al passato, alla morte, al dolore.
Per un
paio d'anni
lei, Jack e i Cuccioli si sono stipati nell'appartamento londinese di
Jack, mentre gli operai spaccavano porte, demolivano muri,
allargavano finestre e quando sono rientrati a Casa Riddle, niente
era più come prima. L'impero delle tenebre si è
trasformato nel
trionfo della luce: le finestre delle stanze ai piani superiori si
aprono su enormi terrazzi, le ampie vetrate del salotto si affacciano
su una piscina che riflette i raggi del sole creando dei giochi di
luce sulle pareti della sala e persino le stanze interrate sono
sempre illuminate.
Il
giorno che Tracie
ha messo piede nella casa rinnovata, ha pianto per ore, inginocchiata
sul tappeto del salotto, non sappiamo se di gioia o di dolore. A chi
le chiede perchè non abbia venduto la casa e se ne sia
andata di là,
scappando dai brutti ricordi che vi si celavano, risponde che
è il
suo modo di ringraziare Tom per il suo sacrificio. Lui le ha salvato
la vita e lei gli ha donato la luce.
-
Ho
ripetuto il mio discorso tre volte, questa mattina. Simon non ne poteva
più – Therese mi riscuote dai miei pensieri
– Dovresti farlo anche tu, lo sai quanto zia Tracie ci tenga
a che tutto sia perfetto. -
-
Ti
prego, non fare la maestrina con me! – le ricordo.
-
Lo so,
lo so, perdonami – bofonchia lei, soffiando tra i denti come
un gatto che viene maldestramente scacciato dalla sua poltrona
– Deformazione professionale. -
Ebbene
sì, dopo aver
giurato per anni che mai-e-poi-mai sarebbe diventata un'acida
professoressa di Hogwarts, non appena Batshelda Babbling è
andata in
pensione, Therese è stata chiamata dalla McGranitt ad
insegnare
Antiche Rune e ha immediatamente accettato, suscitando la nostra
sorpresa e il terrore dei suoi poveri alunni, che mai
smetterò di
compatire.
-
Quello
che voglio dire è che zia Tracie vuole che questo matrimonio
sia una favola. Non possiamo rischiare di sbagliare qualcosa
– spiega Therese ed estrae dalla sua pochette un mazzetto di
fogliettini rosa sui quali, immagino, ha scritto il suo discorso.
Sbircio
il giardino di
Casa Riddle da dietro le tende della camera: le ordinate file di
sedie bianche, decorate da fiocchi e fiori, si inerpicano sulla
leggera pendenza, a mo' di anfiteatro antico, stringendosi attorno
all'elaborato gazebo di legno chiaro nel quale Jack e zia Tracie si
scambieranno le loro eterne promesse: l'ambientazione è
davvero da
favola.
L'organizzazione
della
cerimonia ha interessato diversi mesi. Zia Tracie si è
imposta di
fare le cose con calma, ancora scioccata dal matrimonio improvvisato
a Capri, con Tom, e ha preteso di occuparsi di tutto in prima
persona, dalla scelta del catering alla stesura delle partecipazioni,
dai vestiti delle damigelle alle musiche. Tutto dev'essere leggiadro
e raffinato, quasi onirico, per trasmettere quella sensazione di
essere in una favola cui la zia tiene tanto.
Come
in ogni favola
che si rispetti, anche noi abbiamo la nostra principessa. Non
è
intrappolata in una torre presidiata da un drago sputafuoco, ma ci
viene incontro con passo incerto nelle sue scarpette bianche. Lunghi
capelli corvini trattenuti da nastri color avorio, occhi azzurri e
penetranti, corporatura esile e delicata, Cassandra sembra aver
ereditato le caratteristiche migliori dei suoi genitori: ha
lineamenti molto espressivi, come zia Tracie, ma al tempo stesso
è
elegante, come Tom. Certe volte, quando si muove con circospezione o
sorride in modo appena accennato, sembra quasi di vedere lui.
Ed
è una strega. Una
strega estremamente dotata, a sentire Therese. Qualche giorno fa ha
tentato di convincere nostra zia a mandarla in un campus estivo per
piccoli maghi prodigio dove possa imparare a controllare la sua magia
ancora acerba e ad incalanarla in incantesimi elementari, ma Tracie
è
sospettosa al riguardo. Dice che non si fida a lasciarla andare via
da sola per tre settimane, a soli sette anni, ma noi sappiamo che la
realtà dei fatti è un'altra: ha paura che Cassie
possa scoprire un
mondo stupendo cui appartiene di diritto e sfuggirle prima del tempo,
annoiata dal Mondo Babbano, com'è stato per Therese.
Draco
si affaccia
nella camera, evocato dalle parole della nostra cuginetta, e sorride
a Therese, prevedendo la sua reazione.
-
Lo so,
lo so, non dovrei essere quassù! - si affretta a dire
– Dio solo sa cosa facciano le donne prima di una festa, ma
è stata Astoria a mandarmi. Mi manda a dire che Tracie
chiede di voi, vuole sapere se vi manca tanto. -
Draco
sembra essere
nato per partecipare a matrimoni e altri eventi in società.
Con il
vestito scuro e la camicia allacciata fin sotto il mento sembra
perfettamente a suo agio, tanto da riuscire a calarsi sulle
ginocchia, prendendo in spalla Cassie e portandosela giù
dalle scale
in un vortice di risate, gridolini e petali di rosa.
-
Bisogno
di paternità represso – diagnostica Therese,
caustica – lo si nota anche nelle sue frequentazioni
sentimentali. Dio, non riesco a credere che Astoria sia appena
maggiorenne. -
-
Ha
vent'anni, Therese – le ricordo, con un sorriso.
Contro
ogni
pronostico, la loro storia d'amore si è rivelata non essere
solo una
parentesi di qualche mese, una sbandata di un Draco in crisi e debole
alla ricerca di una breve affermazione su una giovincella alle prime
armi. Anzi, Astoria ci ha messo relativamente poco a prendere in mano
le redini del rapporto e a ribaltare la situazione, conquistandosi
subito l'affetto e la stima non soltanto di Narcissa, ma anche di
tutte le donne della famiglia Spellman-Spencer, eccezion fatta per
Therese.
-
Come
vuoi. - Therese fa un gesto vago con la mano, come a suggerirmi di
lasciar perdere gli screzi, almeno oggi – Va' dalla zia, io
cerco i Cuccioli. Voglio assicurarmi che Justin sappia esattamente cosa
deve fare, con quegli anelli. -
Vorrei
ricordarle che
è una settimana che Justin cammina come se avesse un palo
infilato
là dove non batte il sole portando in mano un cuscino per
simulare
il suo trionfale ingresso sul tappeto rosso che si snoda tra le due
file di sedie, nel giardino, ma lascio perdere. So che Therese vuole
avere sempre tutto sotto controllo ed è una sua
caratteristica alla
quale non riuscirei a fare a meno, dopotutto.
E non
nego che Chris e
Chloe abbiano bisogno d'essere controllati, prima che si sbranino a
vicenda facendo a brandelli i loro costosissimi vestiti da cerimonia.
I più grandi dei Cuccioli hanno seguito il pessimo esempio
delle
altre gemelle in famiglia e alternano fasi di odio profondo a
periodi, sempre piuttosto rari a dire il vero, di amore simbiotico.
Chris è la versione maschile e undicenne di Therese, serio e
posato,
studioso e incredibilmente versato in tutto quello che fa, dalla
barca a vela al canto alla recitazione; Chloe, invece, è la
copia
speculare della sottoscritta, una pasticciona goffa e sgraziata, ma
buona, che riesce sempre a farsi perdonare tutto.
Justin
è la voce
fuori dal coro. Sembra non assomigliare a nessuno della famiglia ma
neppure, per fortuna, a nessuno della famiglia di Lupin. È
un
ragazzino sensibile e incredibilmente intelligente che ama passare
pomeriggi interi a guardare vecchi film o a dipingere in quella che
una volta era la cantina di Casa Riddle e che ormai è
adibita a un
po' tutte le attività pseudoartistiche dei Cuccioli.
-
Eccoti,
finalmente! - zia Tracie mi accoglie con un caloroso abbraccio, senza
preoccuparsi di sgualcire i vestiti o rovinare le nostre acconciature.
-
Sei
stupenda – sussurro, colpita.
Ed
è vero. Lo scorso
febbraio ha compiuto quarantasei anni – "Ora che sono
ufficialmente più vicina ai cinquanta che ai quaranta
è un po' come
essere morta" ha dichiarato, in un moto di disperazione, al
momento di spegnere le candeline – ma è bella come
non lo è mai
stata, il che, per una bella donna come zia Tracie, è tutto
dire.
Ancheggia
qua e là
per la stanza per consentirmi di ammirare meglio l'abito color avorio
che le lascia scoperta la schiena regalandole un'allure da eroina
degli anni Venti e poi si lascia cadere sul divanetto, dove Jack
l'accoglie con le braccia spalancate in barba a tutte le tradizioni
che vogliono che lo sposo non debba vedere la sposa prima della
celebrazione.
Non
hanno nulla di cui
preoccuparsi loro che si amano ancora, dopo tutto. Ogni tanto li
sorprendo a parlarsi del loro amore. Un amore così forte da
essere
sopravvissuto agli orrori degli ultimi anni di zia Tracie a New York,
a sei anni di silenzio, ad altri amori che hanno portato frutti
innegabili, alla depressione della zia, ad un altro matrimonio,
seppur farsesco, alla guerra magica ed alle sue conseguenze, alle
ombre del passato, di lei e di lui.
Si
amano in modo
scherzoso e infantile, vivendo in un eterno presente, senza mai
chiedersi cosa ne sarà di loro in futuro, spendendo tutti i
soldi
che guadagnano col ristorante in divertimenti leggeri ed effimeri, in
vacanze di famiglia, nella barca ormeggiata a Nizza, in week-end
d'amore in località remote e segrete.
Li
ammiro e spero di
diventare come loro, un giorno.
Mi
chiama così da
quando, una sera, mi ha vista camminare nuda sul cornicione del suo
appartamento londinese - che non ha mai rivenduto, per mia somma
gioia, così che ho potuto farne il mio rifugio quando ho
bisogno di
starmene da sola. O non proprio. - costringendomi ad ammettere che si
trattava di un gioco tra me e Mark.
Mark,
appunto. So che
volete sapere di noi due e sarete presto accontentati.
Scendo
in salotto,
dove JJ sta tenendo una mini-conferenza sulla Nike di Samotracia, la
cui riproduzione in miniatura, per altro regalata da lei, giace
abbandonata sul ripiano in marmo rosa del caminetto. Pansy sbadiglia
rumorosamente, rannicchiandosi contro il petto di Blaise. Quando ci
hanno detto di aver cominciato ad uscire insieme non gli davamo
più
di tre giorni e invece la loro storia va avanti da quasi un anno e
mezzo. Si accettano scommesse su chi lascerà chi!
Quanto
a JJ e Dan, la
loro relazione prosegue come da copione: un giorno si giurano amore
eterno e fanno sesso su ogni superficie (non necessariamente
orizzontale) della casa e il giorno dopo si lanciano insulti ed
elettrodomestici, dichiarando che "questa volta è davvero la
fine" e litigando su chi dei due debba trovarsi un'altra
sistemazione per poi appurare che, per rispettare la quiete comune,
è
meglio che continuino a dividere la stanza, rigorosamente senza
rivolgersi la parola.
In
occasioni simili io
e Mark ci chiediamo se la decisione di vivere assieme, presa ormai
più di quattro anni fa, non sia stata troppo avventata e ci
rifugiamo nell'appartamento londinese di Jack, dove custodiamo una
collezione di annunci immobiliari che vengono sfogliati ansiosamente
alla ricerca di un monolocale che soddisfi le nostre
necessità ed
escluda JJ e Dan ma poi finiamo sempre per ritornare all'ovile. Ci
lamentiamo delle difficoltà di convivenza con una critica
d'arte
sessuomane e un aspirante avvocato tronfio ed arrogante, ma non
potremmo mai rinunciare alle partite di poker nelle serate invernali,
alle maratone di film demenziali conditi con abbondanti pop-corn e
alle cameriere di Treford Palace che si assicurano che la casa non
diventi un porcile.
Mark
mi raggiunge e mi
bacia con passione, cingendomi la vita.
Lo
guardo con gli
occhi che luccicano e lui risponde con un sorrisetto ammiccante.
Cos'è
questa, una
proposta di proposta di matrimonio?
Tra me
e Mark le cose
vanno bene. Anzi, vanno alla grande.
Da
quando ci siamo
rimessi insieme, durante il mio settimo anno, abbiamo avuto un unico
periodo di crisi, due anni fa, quando all'ingenua osservazione di
Mark sul fatto che stavamo insieme da dieci anni e che avevamo buone
possibilità di passare l'intera vita l'uno accanto all'altra
sono
andata nel panico, credendomi finita a soli ventidue anni, con un
destino da casalinga già scritto. La paura, però,
è passata
subito, quando mi sono resa conto che stare accanto a Mark per sempre
era esattamente quello che desideravo, sebbene la parola 'sempre'
potesse suonare spaventosa.
La mia
reazione in
quella situazione ha inibito ogni mezione al matrimonio, ai figli e
al futuro da parte del mio ragazzo, perciò il suo accennare
al
bouquet mi stupisce particolarmente. Lo stringo più forte e
rispondo
al suo bacio con altrettanta passione.
-
Non
vorrei interrompervi – Pansy mi picchietta sulla spalla,
smentendo le sue parole nei fatti: ci sta interrompendo, è
innegabile – I violinisti si sono insospettiti
perchè nessuno si è fatto ancora vedere, in
giardino. Sembra che siano tutti al tavolo dell'aperitivo. -
Parla
col tono spiccio
da cronista della Gazzetta del Profeta qual è. Mi indica il
tavolo
degli aperitivi allestito a bordo piscina; la maggior parte degli
invitati chiacchiera e ride, tra un sorso di Negroni e una tartina al
salmone. Questo forse farà slittare di qualche minuto
l'inizio della
cerimonia, ma sono sicura che la zia non avrà niente da
ridire: la
sua unica preoccupazione è che nessuno si annoi ed
è chiaro che
nessuno si sta annoiando.
Bernie
e Oliver Baston
fanno gli onori di casa. Di tanto in tanto Bernie si siede,
affaticata dal peso del suo pancione da settimo mese, e Oliver si
affretta a portarle qualcosa da mangiare. Presto dovremo incantare le
porte perchè si allarghino al suo passaggio.
A un
tratto mi
sbilancio e mi lascio sfuggire un gridolino, ma ritrovo l'equilibrio
prima di finire rovinosamente a terra, macchiando il mio vestito,
frutto di un paio di mesi di straordinari al negozio.
Agli
invitati non
sfugge la mia figuraccia. Mi salutano allegramente, invitandomi a
raggiungerli al buffet. Narcissa si sbraccia mostrandomi una tartina
e suo marito ride, mimando la mia quasi-caduta.
Ma non
vado verso la
piscina. Mi arrampico, non senza fatica, su per la collinetta che
conduce al cimitero di Little Hangleton e, una volta là, mi
siedo
sulla panchina di fronte alla tomba di Tom.
È
una tomba piuttosto
imponente, di marmo: marmo chiaro e marmo scuro si incontrano,
arrivando quasi a confondersi, a simboleggiare il costante conflitto
tra bene e male, la convivenza in una sola persona del mago oscuro
Voldemort, che non è in grado di amare nulla se non la
gloria, con
il generoso benefattore Tom Riddle, che ama tanto da sacrificare la
sua stessa vita per le persone che ama.
A
sottolineare il suo
sacrificio una volta di più, zia Tracie ha fatto incidere in
lettere
di platino una frase di Nietzsche: tutto ciò che
si fa per amore
è sempre al di là del bene e del male.
Gli
occhi mi si
riempiono di lacrime. Cerco di fermarle: non posso piangere, non
posso rischiare che il trucco coli in densi rivoli scuri lungo guance
e mento. Ma è troppo tardi.
La
ferita brucia come
il primo giorno. All'inizio mi dicevo che mi sarebbe passata, che un
giorno avrei trovato la forza di perdonarmi, che avrei archiviato il
dolore e avrei trovato pace, ma non è stato così.
Le
immagini di quella
sera nella Stamberga Strillante sono nitide come non mai, le mie
parole crudeli, sfacciate, mi rimbombano nella testa impedendomi di
pensare. Sfioro con due dita il marmo freddo della sua tomba,
chiedendomi se lui mi abbia perdonata.
Vorrei
credere negli
angeli e nei sogni premonitori e chiedere che mi mandino un segno.
Vorrei che Tom tornasse anche solo per un istante, solo per dirmi che
non mi odia. Vorrei poter sentire la sua voce per l'ultima volta,
darei qualsiasi cosa pur di sentirmi dire che "andrà tutto
bene".
Certi
giorni il dolore
è più forte del solito. È in quei casi
che mi rifugio
nell'appartamento di Jack, da sola con i miei ricordi, e rimango ore
ed ore sdraiata sul divano, a fissare il soffitto in attesa di
qualcosa che nemmeno io so cosa sia.
Una
mano mi sfiora le
spalle, facendomi sobbalzare.
Cerco
di riscuotermi
dal dolore. Oggi è un giorno di festa, devo sforzarmi di
sorridere:
lo devo a zia Tracie, al suo bisogno di favole.
La
stretta di Therese
sulla mia spalla si fa più forte. Si siede accanto a me,
sulla
panchina.
-
Credo
che zia Tracie l'abbia fatto apposta – commenta Therese
– può sembrare una cosa macabra, sposarsi
nell'anniversario della sua morte, ma credo che voglia essere un
ringraziamento: tutto questo – indica la villa, in
lontananza, e il giardino – è merito suo -
Le
lacrime si fanno
più fitte, senza che possa evitarlo. Therese mi guarda
confusa.
-
Non ti
ho detto tutto, quella notte. - dico piano.
-
Quale
notte? - si informa Therese, dubbiosa.
Guarda
l'orologio,
impaziente.
Il suo
sguardo si posa
sulla lapide. 2 maggio 2008. Annuisce, comprensiva,
e torna a
guardare me.
-
Nella
Stamberga, quando Tom mi ha detto che avevano rapito zia Tracie
– mi fermo, prendo il respiro, cerco le parole per confessare
la mia colpa – sono uscita fuori di me. Gli ho urlato cose
orribili, gli ho detto che lo odio, che ho combattuto dalla sua parte
solo per salvarmi la pelle ma che speravo che Harry lo uccidesse,
così quella dannata guerra sarebbe finita. -
Sollevo
lo sguardo,
per controllare la reazione di Therese. Mi ascolta attentamente, con
i pugni sotto il mento, ma non sembra stupita.
Therese
non dice nulla
– un evento raro, forse unico – ma si sporge in
avanti e mi
stringe in un abbraccio. Non è un abbraccio di convenzione,
come
quello della notte di Natale, nè un abbraccio impacciato e
freddo,
come gli abbracci che Therese mi ha dedicato finora.
È
un abbraccio vero,
sentito, caldo.
Quando
ci allontaniamo
mi sorride dolcemente.
-
Ti
capisco – dice, semplicemente – Eri arrabbiata,
è normale che tu abbia detto quelle cose -
-
Sono
state le ultime cose che gli ho detto prima che morisse –
ripeto, perchè mi sembra che non abbia compreso la
gravità della situazione – Lui è andato
a sacrificarsi per noi e io gli ho detto che lo odio -
Therese
sospira con
fare materno.
-
Tu non
sapevi del suo piano. Non potevi saperlo. - mi ricorda – In
quel momento chiunque avrebbe reagito così. Io avrei fatto
lo stesso! Quando mi hai detto di zia Tracie ero furente. Se me lo
fossi trovato davanti l'avrei ucciso. -
-
Sul
serio? - le chiedo.
-
Ti
dirò, quando ho ucciso Redastaire è a lui che
pensavo. Non ho mai odiato tanto, Maggie. Quell'Avada Kedavra era
dedicata a Tom. - confessa.
Rimaniamo
a fissarci
in silenzio per qualche secondo.
Le
nostre mani sono
intrecciate, come i nostri sguardi, come i nostri pensieri. Siamo
più
sorelle che mai.
-
Perchè
abbiamo aspettato sette anni? - domando, più a me che a lei.
-
Perchè
ci vergognavamo di fare la parte delle bastarde ingrate, credo
– risponde Therese – Ma siamo state sciocche. -
-
Ci
siamo mangiate il fegato per tutto questo tempo, Therese! - le faccio
notare e mi scappa un sorriso – Se avessi saputo prima che
anche tu provavi le stesse cose te ne avrei parlato tempo fa -
-
Anche
io – sorride lei.
-
Propongo
di fare un patto – le allungo la mano – Niente
più segreti -
-
Niente
più segreti – me la stringe e annuisce.
Entrambe
ci voltiamo a
guardare la tomba di Tom.
-
Credo
che Tom ne sarebbe felice – sussurra Therese – Di
questo patto, dico, di vederci così vicine. -
-
Tu
dici che mi ha perdonata, ora? - mi sento immensamente sciocca a fare
una domanda simile, ma il patto è chiaro: niente
più segreti.
-
Ti
aveva già perdonato quando ci ha mandato quel gufo, Mag. -
sorride mia sorella.
Questa
volta sono io
ad abbracciarla per prima.
Faccio
per alzarmi ma
lei mi trattiene.
Certe
cose non
cambiano mai.
Anche
se mi abbraccia
e mi capisce, Therese rimarrà sempre la rigida, inflessibile
bacchettona che era a dodici anni.
Mi
giro e vedo che ha
gli occhi lucidi.
-
Cosa...?
- comincio, perplessa.
-
Niente
più segreti, no? - ripete lei – Voglio dirtelo da
un po' di anni ma non trovo mai l'occasione giusta per farlo e questa
volta, beh, se non lo faccio ora non lo faccio più. -
La
guardo, in attesa.
Lei mi prende le mani e sorride tra le lacrime.
...e
vissero tutti
felici e contenti
Fine
Con
questo capitolo si
conclude un'avventura durata quasi nove anni.
Correva
l'anno 2002,
infatti, quando questa storia – o, meglio, l'embrione di
questa
storia – fu partorita dalle giovani menti di due ragazzine
fantasiose ed annoiate.
Fu
la primavera del
2004, poi, a vedere la prima versione scritta dei primi capitoli,
nell'inverno tra il 2006 ed il 2007 avviai la prima revisione e il 21
aprile 2007 la pubblicai su EFP.
Frequentavo
il sito già
da qualche mese ma temporeggiavo: la storia, così com'era
stata
concepita, non era destinata alla pubblicazione, bensì alla
fruizione privata, nella tranquilla intimità della mia
cameretta, di
un ristrettissimo gruppo di persone che potevano cogliere allusioni
alla nostra personale attualità e richiami in alcuni
personaggi.
Infine
decisi che valeva
la pena di provare e, dopo un paio di settimane di prove con l'html,
l'ultimissima versione di 'Una Strega Troppo Babbana' fu online.
Ed
è stato grazie al
vostro appoggio, ai vostri commenti, alle vostre email,
all'entusiasmo che mi avete sempre dimostrato, che sono riuscita a
portare a termine questo ambizioso progetto.
Ci
sono stati momenti
difficili, nel corso degli anni. Momenti di sconforto in cui ho
rinnegato tutto e meditato di cancellare la storia dal sito,
insoddisfatta del risultato, momenti in cui ho seriamente pensato
alla possibilità che la fanfiction sarebbe rimasta per
sempre
incompleta perchè le Muse non mi offrivano neanche un
briciolo
d'ispirazione, momenti in cui l'ispirazione, invece, veniva a farmi
visita e mi trovava immersa nello studio e faticavo persino a trovare
il tempo di appuntarmi le idee.
Eppure,
le spronature
che ricevevo, le vostre belle parole, il crescente numero delle
persone che aggiungevano questa fanfiction tra le preferite, mi hanno
convinta ad andare avanti, a superare le fasi più difficili
ed a
raggiungere il traguardo.
Ed
ora che sono arrivata
alla fine mi risulta difficile crederlo. Per tutti questi anni Maggie
ha costituito una parte integrante della mia vita e la pubblicazione
di un capitolo nuovo su EFP è stato un appuntamento fisso,
anche se
non regolare.
Ora
che l'avventura si
conclude, so che mi mancheranno. Ma, più di tutto, mi
mancherete
voi:
I
152 che hanno
aggiunto questa storia tra i propri preferiti, i 24 che l'hanno
aggiunta tra quelle da ricordare, i 116 che l'hanno salvata tra le
seguite, e tutti quelli che hanno commentato o che hanno solo letto.
Tutti quelli che, in breve, hanno condiviso con me questo lungo e
piacevole viaggio.
Vorrei
ringraziarvi ad
uno ad uno ma il tempo (e lo spazio) scarseggiano e non vorrei
sembrarvi pedante, perciò mi limito a ricordare alcuni tra i
più
assidui ed affezionati lettori, passati e presenti, cui voglio
dimostrare ora la mia più immensa gratitudine.
In
ordine di
apparizione:
Moony
Potter, Schumi95,
Gaia Loire, Maggie Addicted/La_Tata, djKela, Lady_slytherin, Pikky91
(che ho avuto l'onore di conoscere di persona e so essere una persona
stupenda!), felpatosb, aKifer, Hysteria, Lady_Malfoy_4ever, fex,
Mony_Riddle, sweet_witch, Black/Black_Moody, Ever, Seiryu, Miyaki,
cecilia2day, Singer, Nerida R Black, Mad Bad Witch, ashleys,
Madeleine, milly92, Selene_Malfoy, lilyna_93, Beneduc, DarkViolet92,
Carty_Sbaut, Smemo92, GurenSuzuki, Vaius, bianchimarsi, fly girl_HH,
RZEN, notsonaive, Lucy Light, giolabella, EnMilly, RoseScorpius,
emilissa15, puffolettaHP, Vanilla_Sky, _ArielKymeraRiddle V_, LaIKa_XD,
MyPassion, And so what, Luine, ir3ne7, Fle9.
E
grazie, anche, a
Carla, Giulia e Francy, le mie prime lettrici e supporters e a Lolla,
la mia co-inventrice e personalissima Therese.
Grazie
di cuore a tutti
voi!
Ad
maiora.
Giulia.
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