Capitolo 16
Capitolo 16 – Un abbraccio e un incanto Patronus
Non si è mai abbastanza attenti nella scelta dei propri
nemici.
(Oscar Wilde, Il
ritratto di Dorian Gray)
24
febbraio 1978
Il signor James Potter
è pregato di concentrarsi sulla sua pozione.
E va bene, va bene.
Ora mi
concentro, giuro. Il mio cervello può benissimo starsene
tranquillo e smetterla di inviarmi questi ridicoli messaggi di servizio.
Mi concentro.
Mi sto concentrando.
“James.
Ripetimi quello che ti ho appena detto”.
Alzo lo sguardo su
Lily, che mi
tiene d’occhio con espressione dura. È la prima
volta in
sette anni che lavoro in coppia con lei a Pozioni. È stato
Slughorn a stabilirlo, dopo averci visti scambiarci un innocentissimo
bacio sulla porta, mentre passavamo il tempo in sua attesa. Era tutto
fiero del fatto che la sua alunna migliore continuasse a mantenere dei
voti così stratosfericamente alti pur avendo recentemente
impegnato parte del suo tempo in una relazione amorosa (non
l’aveva detto esplicitamente, ma sapevo benissimo che, in
realtà, intendeva dire che perdeva tempo con uno
scansafatiche
indolente come me eppure, nonostante ciò, continuava ad
essere
straordinariamente brillante. Non che questo potesse fargli pensare
che, forse, dopotutto anch’io non ero uno studente
così
poco incline all’impegno). Insomma, si era messo a
sbandierare
allegramente la faccenda ai quattro venti, incurante del fatto che non
importasse un fico secco a nessuno, se non forse a Snivellus, il quale,
però, non sembrò gradire molto la cosa.
Anzi, in
tutta risposta mi degnò di un gelido sguardo probabilmente
volto, secondo lui, ad incutermi timore. Per quanto la tentazione di
andargli a chiedere che diamine avesse da guardare fosse estremamente
forte, mi imposi di resistere; era dall’inizio
dell’anno
che non attaccavo briga con lui di fronte a Lily e non volevo cedere
proprio ora che tra noi le cose stavano definitivamente andando per il
verso giusto. Non so perché non trovassi più
divertente
attaccar briga con lui; non l’avevo fatto per far colpo sulla
mia
donna, in tutta sincerità. Avevo smesso di divertirmi in
quel
modo già l’anno scorso, suscitando lo sconcerto di
Sirius,
la sorpresa di Peter e l’approvazione di Remus, e per quanto
trovassimo comunque molto divertente giocare i nostri tiri ai
Serpeverde, scagliare incantesimi su Snivellus quando mi annoiavo aveva
smesso di avere il suo fascino. Molto probabilmente perché
avevo
scoperto che Lily mi odiava proprio per questo. Anche per questo.
Insomma, credo si trattasse di una delle ragioni principali.
“James”.
Oh, cacchio. Mi ero
completamente dimenticato del fatto che mi avesse fatto una domanda.
“Sì,
ehm, vuoi il mestolo? Il contagocce? Il barattolo della pelle di
Avvincino?”
Osservo Lily roteare
gli occhi, e capisco di non averci azzeccato per nulla.
“No, ti
stavo semplicemente
chiedendo come hai fatto produrre subito il Patronus. A me è
uscita soltanto una nuvoletta di fumo per tutta la lezione,
è stato veramente frustrante. E non osare
metterti a fare i salti di gioia perché per una volta ti sto
chiedendo un consiglio, questa cosa non si ripeterà mai
più … aspetta, quanti secondi sono passati da
quando ha
iniziato a bollire?”
“Ehm
… una trentina?”
“Oh,
accidenti …”
“Attento,
Potter … si avvicina la vostra ‘T’ in
Pozioni”.
Senza volerlo mi
ritrovo a
ringhiare contro Mulciber. È da quando è iniziata
la
lezione che mi ridacchia alle spalle insieme al suo amichetto
Snivellus. Oggi potrò anche essere un po’ nervoso
e
distratto, ma loro stanno decisamente superando il mio limite di
sopportazione. E la cosa paradossale è che so che lo fanno
apposta a provocarmi. Perché domani c’è
la partita,
e se vince Tassorosso noi siamo tagliati fuori.
Non-devo-rispondere.
“Vuoi che ti
affetti le code di ratto?” chiedo a Lily.
“Sì,
grazie”.
“Che dire,
qui c’è qualcosa che non va, si sono ribaltati i
ruoli … come mai sei tu che la servi,
Potter?”
Vorrei tanto che la
sua faccia
fosse uno di questi semi di Manticora che adesso schiaccerò,
riducendoli in polvere. Forse, se mi impegnassi, potrei farcela. Sono
un asso in Trasfigurazione, dopotutto.
“Senti,
Potter, qui ce lo
stiamo chiedendo tutti. È così divertente
sbattersi una
Sanguesporco? Magari almeno in quelle
cose sono brave …”
No, questo non lo
tollero, nemmeno per sogno.
Mi sollevo di scatto
dalla sedia
voltandomi verso Mulciber, e senza che lui abbia il tempo di reagire
gli punto la bacchetta diritta in faccia. Ora voglio proprio sentire
che altro ha da dire, questo lurido figlio di puttana.
“Signor
Potter, vuole per favore tornare a sedersi o deve costringermi a
toglierle dei punti per convincerla?”
“Impari a
sturarsi le
orecchie, così la prossima volta sentirà senza
problemi
che genere di frase mi ha spinto ad alzarmi in piedi”.
Sposto lo sguardo su
Slughorn solo dopo aver pronunciato a raffica quella fantastica frase
ad effetto, girandomi lentamente.
Non so da dove mi sia
uscita, in
effetti. Sono piuttosto sorpreso di me stesso. Di solito è
Sirius quello che si diletta a formulare risposte di questo calibro, o
quantomeno a pronunciarle ad alta voce. Solo che, sorpreso o no, non ho
tenuto in conto il fatto che mi sono rivolto in tono estremamente
irriverente a un professore, e che l’ho fatto senza pensarci
due
volte.
Infatti, ora, il
suddetto
professore mi sta fissando con gli occhi ridotti a due fessure,
tentando di sbrindellarmi con lo sguardo.
“Lei
è in punizione,
signor Potter. Si presenti alle cinque nel mio ufficio”, mi
dice,
con voce tremolante d’ira. Ho quasi paura che scoppi, e a
giudicare da come è diventato rosso, direi che ci
è molto
vicino.
“Complimenti,
James”,
mi sussurra Sirius, in tono sarcastico, passandomi a fianco con la
scusa di andare a prendere qualcosa nell’armadio.
“Oh, tu
… considerati morto”, ringhia poi,
voltandosi verso
Mulciber con aria quasi distratta e casuale. Lentamente rilasso i
muscoli, smettendo di stringere convulsamente i pugni, e poco dopo sono
tornato a sedermi con la testa incassata fra le spalle, senza guardare
in faccia nessuno. Sento i bastardi ridacchiare gongolanti,
perfettamente consci di avermela fatta. Alla fine, sono riusciti ad
ottenere quello che volevano: mettermi nei guai, in guai seri, prima
della partita di domani contro Tassorosso.
Evito di perdere tempo
a cercare
con lo sguardo il sostegno di Lily. So perfettamente che detesta essere
difesa, ma io non sono davvero stato in grado di trattenermi. Vorrei
soltanto poter spaccare la faccia ad un paio di loro a mani nude,
così, giusto per dare loro una dimostrazione di che cosa
significa dare della Sanguesporco alla mia ragazza solo per tentare di
coinvolgermi in una rissa e farmi finire in infermeria per un tempo
sufficiente a perdere la partita di Quidditch … che cosa ho
fatto, Merlino santissimo, per vedermi imprigionare nel ruolo del bravo
ragazzo che deve dimostrarsi superiore e non reagire alle provocazioni?
Non solo non ne sono capace, ma nemmeno ci tengo particolarmente. Ho un
disperato bisogno di prenderli a calci, perché
più mi
sforzo di non pensarci, più la frustrazione mi riempie il
cervello senza darmi tregua.
Ma la
realtà è semplice da riconoscere, stavolta
l’ho fatta grossa.
Lo riconosco da solo,
senza che qualche persona responsabile debba intervenire a farmelo
notare.
Rischio di saltare la
partita per
colpa di Slughorn, di litigare furiosamente con la mia ragazza e di
trascorrere un’interminabile punizione lontano da Sirius. Che
esempio di fulgida furbizia che sono. Ma ora, dato che la cosa mi
incuriosisce, alzi la mano chi, al mio posto, sarebbe stato in grado di
mantenere la padronanza di sé.
25
febbraio 1978
Credo di aver appena
trascorso la
peggiore settimana del mio settimo anno di scuola. O forse, allargando
il discorso, sarebbe meglio dire il peggior inizio di secondo semestre
di tutto il mio ciclo di studi. No, suona meglio il peggior periodo
della mia vita. Non sono drastico, è la verità.
Con che
razza di coraggio riuscirò a scendere in campo fra un paio
d’ore, davvero non ne ho idea.
Il pane con la
marmellata mi balla
dentro lo stomaco. Remus, in uno dei suoi slanci materni, ha ben
pensato di farmi ingoiare la colazione a forza, perché io
non ne
volevo sapere di toccare cibo prima della partita. Probabilmente
è stato il mio aspetto orribile che l’ha spinto a
ricorrere alle maniere forti. In effetti, mi sono davvero svegliato con
una faccia in grado di spaventare un Troll. Sono rimasto a fissarmi
allo specchio per circa un quarto d’ora stamattina, appena mi
è stato possibile l’accesso al bagno, chiedendomi
quante
persone sarebbero fuggite a gambe levate incrociandomi in Sala Grande
una volta che mi sarei degnato di metterci piede. Dire che sono pallido
e ho le occhiaie è un semplice eufemismo. Senza contare che
i
miei capelli hanno assunto una piega mostruosamente verticale, in
quanto ho passato tutta la notte a cercare di dormire stando sdraiato a
pancia in giù e schiacciando la faccia contro il cuscino.
Questo
mi ha anche provocato dei problemi respiratori, ma si tratta di un
aspetto del tutto secondario.
Nascondo la faccia tra
le mani, in preda alla disperazione.
Solo adesso mi accorgo
che sto sudando freddo.
Magnifico, davvero.
Non vedevo l’ora. A quando le convulsioni e gli attacchi di
panico?
Mi sento pesare il
silenzio sulle
spalle. Sono chiuso in un ripostiglio per le scope e non ho nessuna
intenzione di uscirvi, so che voglio restare da solo. Ma questo mi fa
paura. Non sono mai stato così solo prima di una
stramaledetta
partita di Quidditch.
Dannazione, il
Quidditch dovrebbe
essere divertente. Soprattutto per uno come me che ce l’ha
nel
sangue, che sperava di essere ammesso in squadra prima ancora di
mettere piede a Hogwarts. E invece, ora si è trasformato in
una
specie di guerra, in un gioco di sabotaggio, in un tiro al bersaglio in
cui io sono l’obiettivo principale, in quanto capitano e
acerrimo
nemico dei maledetti Serpeverde.
Dovrei evitare di
navigare nel
pessimismo, se voglio scendere in campo con l’umore adatto a
sostenere la tensione che mi peserà addosso, ma la caterva
di
disgrazie che mi pesa sulle spalle continua a tormentarmi in svariati
modi senza che io riesca ad imporvi un freno. Mi sento il classico
disadattato che non riesce a fare a meno di odiare il mondo intero, non
so se mi spiego. Forse dovrei prendere in considerazione
l’idea
di farmi ricoverare al San Mungo.
Il punto è
che la cosa che
mi ha fatto infuriare più di tutte, forse anche
più delle
offese che Mulciber si è permesso di lasciarsi uscire di
bocca,
è stato quel viscido, meschino ed odioso essere che risponde
al
nome di Snivellus. Perché se fino a un paio d’anni
fa era
sempre appiccicato alla gonna di Lily, ora quantomeno, in rispetto
dell’amicizia che condividevano, avrebbe dovuto prodigarsi di
fermare quell’imbecille
che se la stava prendendo con lei sotto il suo orrido naso,
perché non c’entrava assolutamente niente in tutta
questa
storia. Oltre al fatto che colpire una persona che mi sta a cuore per
danneggiare me, e quindi il risultato della partita, è la
mossa
più subdola e deplorevole che io abbia mai visto fare, e per
quanto sia probabile che un Serpeverde a questo non riesca ad
arrivarci, beh, lui avrebbe dovuto. Perché fino a un
po’
di tempo fa l’avrebbe difesa, forse. Ora, invece, se ne lava
le
mani. D’accordo, potrà anche essere stata lei a
decidere
che non gli avrebbe più rivolto la parola, se è
andata
come Lily stessa mi ha raccontato. Ma l’ha fatto per dei
motivi
più che validi. Anzi, avrebbe dovuto farlo fin da subito,
perché era chiaro dove sarebbe andato a finire Snivellus.
Già per il semplice fatto che bramava con tutto se stesso di
essere Smistato a Serpeverde fin da quando non era che un lurido
nanerottolo con l’unto che gli colava dai capelli. Ma in
fondo
può capitare a chiunque di sbagliarsi sul conto di una
persona,
e l’importante è che Lily alla fine se ne sia resa
conto.
Doverla dividere con lui sarebbe stato insopportabile, quindi tanto
meglio per me se non sono più amici, ma prima di tutto
è
un bene per lei. Se non fosse successo quel giorno dei G.U.F.O. vicino
al lago, sarebbe saltato fuori un’altra volta che lui la
consideri soltanto una Sanguesporco,
ne sono sicuro. Non poteva essere altrimenti, considerate le idee che
abbracciava fin da allora. Tuttavia, se già mi faceva
abbastanza
schifo perché aveva osato rivolgersi a lei con un simile
appellativo in quell’occasione, continua a farmi schifo
tuttora
perché, evidentemente, la cosa che mirava ad ottenere
comportandosi da amico intimo di Lily era solo una. Voleva avere lei.
Era evidente, l’ho sempre sospettato. Le stava costantemente
attaccato, la guardava in quel modo, le si rivolgeva con quel tono di
voce così mellifluo … e le parlava costantemente
male di
me perché sapeva benissimo che miravo al suo stesso
obiettivo.
Ma ora ha reso il tutto ancora più ovvio comportandosi in
quel
modo, ieri. Perché adesso che ha capito che non ha
più
alcuna speranza, neppure la più piccola ed insignificante,
di
conquistare il cuore di Lily, allora se ne frega se i suoi amici la
insultano. Dubito che non l’avesse
già capito, ma Slughorn ieri ha praticamente messo in piazza
la
cosa, mettendosi a parlare a Lily ad alta voce fuori dall’aula
di quanto fosse lodevole da parte sua essere una studentessa modello
pur non concentrando tutta la sua esistenza sullo studio. Magari quell’imbecille di
Snivellus pensa
anche che lei se lo meriti, dato che non solo di lui non ne vuole
più sapere, ma che oltretutto ha cominciato ad uscire con il
suo
peggiore ed acerrimo nemico, ovvero me. Beh, in ogni caso è
davvero ridicolo. Se non ci fosse andata di mezzo Lily sono sicuro
che avrei ignorato sia il suo amichetto che lui –
sì,
forse non risulta del tutto credibile detto da me, ma da quando sto con
lei non mi interessa più un fico secco di rivaleggiare con
Snivellus. A lui, invece, è evidente che rode. Eccome se
rode.
Nonostante
ciò, purtroppo,
devo riconoscere che non è solo colpa dei Serpeverde se in
questi giorni ho raggiunto l’apice del nervosismo. Il
problema
è che alle già innumerevoli
responsabilità che mi
pesano sulle spalle quest’anno se n’è
aggiunta
un’altra, ovvero quella delle rivelazioni che abbiamo fatto a
Lily durante le vacanze di Natale. A dire la verità io mi
sento
molto meglio ora, all’idea che lei sappia tutto e che io non
sia
più costretto ad inventarmi bugie di dimensioni colossali
per
giustificare le mie sparizioni mensili, ma Sirius continua a non essere
convinto e a lanciare frecciatine in proposito, perché
secondo
lui, quando io e Lily ci lasceremo, questa faccenda
diventerà un
problema molto serio, di cui al momento non ci stiamo occupando
abbastanza. Io, francamente, non ho nessuna intenzione di pensare a
quando Lily mi lascerà, semplicemente perché non
voglio
che accada, perciò sentirmi tirare in ballo la questione
ogni
giorno da Sirius non mi mette per nulla di buonumore; resta il fatto
che, almeno in parte, il mio migliore amico ha ragione quando dice che
non ho nessuna garanzia della durata eterna della nostra relazione.
Voglio dire, lei non mi ha nemmeno mai detto che mi ama. Non che fosse
obbligata, no di certo, in fondo ci frequentiamo da cinque mesi e per
lei potrebbe essere passato troppo poco tempo. È stato
Sirius
che mi ha creato delle paranoie su questa cosa; io, a dirla tutta,
nemmeno ci pensavo. Mi bastava sfiorarle la mano sotto il banco con
aria fintamente casuale durante un’ora di Trasfigurazione,
passare di fianco a un’aula vuota e vederla sorridermi con
aria
complice prima di chiuderci dentro, baciarla mentre si distrae a
fissare il fuoco in sala comune mentre studiamo, e altre bazzecole del
genere. E invece no, a quanto pare non basta per dimostrare che
facciamo sul serio. Da che pulpito, poi … proprio Sirius che
non
si è mai impegnato seriamente con una ragazza. E nonostante
i
continui tentativi di mediazione di Remus e Peter, questa cosa ci ha
messo un po’ in crisi.
Oh, lo so benissimo
che in realtà dovrei ritenermi baciato dalla fortuna.
Perché il
maledetto
Slughorn, con una mossa così pateticamente prevedibile,
aveva
già in programma di piazzarmi la sua punizione proprio
questa
mattina. Solo che la McGranitt è insorta con una serie di
urla
selvagge a gridare che era un’ingiustizia, qualcosa che non
avrebbe danneggiato tanto me quanto l’intera Casa di
Grifondoro,
e che pertanto era assurdo ricorrere ad una misura di quel genere, in
quanto il colpevole, in questo caso, ero soltanto io. Siamo finiti
davanti a Silente, perché i miei due adorabili professori
non
riuscivano a raggiungere un accordo. E Silente, quel Silente che tutti
credono tanto buono ma di cui io conosco alla perfezione la portata
sadica, in cambio del permesso di giocare la partita mi ha obbligato a
sottoscrivere una punizione di un intero mese. In pratica, per
un’ora al giorno sarò costretto a starmene chiuso
nell’ufficio di Slughorn a fissarlo nelle palle degli occhi.
Sì, perché la sua opinione è che la
peggiore
punizione per uno con un’indole come la mia sia essere
costretti
ad una frustrante inattività. E per quanto mi scocci
ammetterlo,
ci ha preso in pieno.
Forse, a questo punto,
avrei fatto
meglio a gettare la spugna qualche giorno fa. Quando sono iniziate le
battutine velenose, le insinuazioni, le risate di scherno. Tutte cose
che sono sempre stato in grado di fronteggiare senza problemi. Erano
ridicoli, a tentare di sabotarmi soltanto perché, se oggi
perdessimo contro Tassorosso, loro avrebbero praticamente
già
vinto il campionato di Quidditch. Ma poi hanno tirato in mezzo Lily, e
io non ci ho visto più. Perché lei non
c’entrava
niente, e nessuno si deve permettere di toccarmela. Sarò
anche
stato un persecutore della pratica dell’insulto gratuito in
passato, ma prima di tutto non ne vado fiero, e secondo detesto con
tutto il cuore queste disgustose offese razziali. Lasciamo perdere, io
non ce la faccio a giocare, oggi. Se anche sarò in grado di
scendere in campo, credo che mi limiterò a puntare dritto
contro
Piton e la sua banda per prenderli a calci dall’alto della
mia
scopa. O magari il manico di scopa potrei ficcarglielo direttamente su
per il …
“James, apri
immediatamente questa dannatissima porta”.
Sobbalzo
violentemente,
risvegliandomi di colpo da quella specie di trance. Sto per chiedermi
come abbia fatto a trovarmi, ma mi rendo conto che sarebbe inutile. Non
riuscirei mai a comprendere tutti i suoi complicati meccanismi
d’azione, anche restando insieme a lei cent’anni.
Anche se
– forse – ho il sospetto che possa esserci lo
zampino di
Sirius, stavolta. Mi ha cercato poco fa con lo specchio dicendo che
doveva assolutamente rifugiarsi tra le mie braccia per evitare una
punizione con frustate da parte di Gazza, ma ancora non l’ho
visto nei paraggi.
“No,
preferisco lasciarti
l’onore di mettere alla prova le tue brillanti
capacità di
strega”, rispondo, in tono da ironia amara. Diciamo che non
ho
molta voglia di scherzare in questo momento, e in più non
saprei
nemmeno come comportarmi, se me la trovassi di fronte. Dopo
l’episodio di ieri abbiamo accuratamente evitato di
rivolgerci la
parola per non metterci a litigare nel momento sbagliato, cosa che non
mi rende affatto contento del modo in cui sto portando avanti la mia
relazione con lei.
Solo che poi mi sembra
di sentirla pronunciare un incantesimo.
“Lily, no,
aspetta, stavo
scherzando. Sono in uno stato pietoso. Lily … Lily!
Possibile
che tu non voglia mai darmi retta?”
Mi sta di fronte e mi
fissa, con lo sguardo duro di chi vorrebbe farmi a pezzi.
“Sì,
lo so, avrei
almeno potuto tentare di pettinarmi. Ma tanto lo sapevo che era una
causa persa”, le dico, nel pallido tentativo di
sdrammatizzare la
situazione. Lei sembra non avermi nemmeno sentito. Rimane lì
ferma per un attimo a torcersi le mani, dopodiché mi si
avvicina
e mi getta le braccia al collo. Io sono pietrificato. Non riesco ad
emettere un solo suono, e sono sicuro che tra poco scoprirò
che
l’ha fatto perché in realtà era il modo
migliore
per pugnalarmi ad un fianco senza che me ne accorgessi, o per
attaccarmi un cartello denigratorio dietro la schiena …
Insomma, dai.
Non può
essere un gesto d’affetto.
Non ci credo. Non me
la fa. Sono diventato fin troppo furbo per farmi prendere per il naso
in questo campo, ormai.
Fisso un punto
imprecisato del muro
che mi sta di fronte con uno sguardo che avverto farsi sempre
più vacuo, mentre mi sento avvolgere dal silenzio
più
impenetrabile.
E alla fine, lo
faccio. Cedo. Mi
arrendo. Sarà anche uno scherzo, ma io non ce la faccio
più. Era esattamente quello di cui avevo bisogno in questo
momento, anche se fino a un attimo fa non lo sapevo nemmeno io. Non
c’è bisogno di dire niente. Non ci
rimarrò male se
c’è sotto qualcosa, la prenderò alla
leggera, come
sempre. La mia versatilità non ha limiti. Ma ora, voglio
soltanto stare così per un po’. È
sempre tutto
così concitato e frenetico intorno a me, che non ho neanche
il
tempo di soffermarmi ad assaporare la dolcezza di un contatto fisico.
Ora invece posso permettermelo, senza distrazioni o imprevisti.
Sento che ho disteso
il viso in
un’espressione che probabilmente non è
d’altro che
di serenità, o forse ho semplicemente la solita immancabile
faccia da ebete.
Chi se ne frega.
Le stringo le braccia
intorno al
corpo, lentamente, intrecciandole sulla sua schiena. Salgo con una mano
ad accarezzarle la testa, perché so che le piace, anche se
non
me l’ha mai detto. E figurarsi se me lo dirà mai.
Mi
rilasso gradualmente, sentendomi sciogliere i muscoli. Un torpore
formicolante mi percorre da capo a piedi, mentre mi godo la sensazione
di quell’abbraccio. È una banalità, ma
io adoro
questo tipo di banalità. Perché da parte sua
è
tutt’altro che banale. È una dimostrazione
d’affetto
bella e buona. Potrei addirittura ricattarla, per una cosa del genere
…
Sorrido tra me e me.
Appoggio
meglio il mento sulla sua testa. Non la vedo in faccia, ma non mi
serve. La sento respirare piano contro di me. Riesco a percepire le sue
labbra che mi sfiorano la clavicola.
Chi se ne frega se
perdo. Davvero.
Mi basta questo, averla vicino in un momento simile, quando ero
talmente perso nei miei pensieri cupi che credevo di non riuscire
più a venirne fuori. Fosse per me, penso che potrei
rimanerle
attaccato in modo così viscerale fino a notte inoltrata
…
come una Piovra Gigante.
“Che
c’è da ridere?”
“Come?”
“Hai
riso”.
“Oh.
Sì, beh, stavo pensando, e mi è scappato da
ridere”.
“Questo
perché non hai filtro tra il cervello e la bocca”.
“Sì,
lo so”.
Le poso le mani sui
fianchi, mentre lei si scosta dalla mia spalla per guardarmi dritto
negli occhi.
“Perché
non la smetti di fare l’asociale recluso e vai a giocare
quell’accidenti di partita?”
Un ghigno malefico mi
attraversa il volto, mentre sento di nuovo scorrere dentro di me il mio
spirito di Malandrino.
“Solo se mi
improvvisi un balletto propiziatorio”.
“Va bene,
forse in un’altra vita ci farò un pensierino. Ora
muoviti”.
“Nemmeno se
mi accontento di un balletto piccolo piccolo?”
“Ho
detto muoviti,
Potter”.
“Uff, come
sei fiscale”.
“Non sono io
che sono fiscale, sei tu che sei in ritardo pauroso”.
“Oh,
andiamo, lo dici solo per farmi paura”.
“Ti assicuro
che invece la mia osservazione è del tutto gratuita e
spassionata”.
Il sorriso mi sparisce
all’istante dalla faccia. Scosto la manica per guardare
l’orologio, e mi rendo conto che per l’ennesima
volta
è lei ad avere ragione.
“Oh,
cacchio”.
Mi fiondo fuori dal
ripostiglio,
cominciando a correre come un pazzo. Se non che, dopo una decina di
metri, per poco non mi scontro con tre persone.
“Ciao,
Prongs”.
Mi blocco,
immobilizzandomi seduta stante. Di fronte a me ci sono nientemeno che
Moony, Wormtail e Padfoot.
Li fisso, a bocca
aperta. Possibile che stiano venendo a vedere me …?
“Che ci fate
qui?” chiedo loro, boccheggiando.
“Oh, sai,
vanno tutti alla
partita, pensavamo di conformarci alla massa … ma pensavamo
anche di essere in ritardo pauroso”.
“Non
rinfrancatevi troppo, è proprio così”.
“Oh. Allora,
James, tu sei un po’…”
“…
in ritardo, sì. Grazie per avermelo ricordato,
Wormtail”.
“Ehi,
aspetta, dove corri?”
“A picchiare
Snivellus!”
“Come, senza
di me?!”
“Ma
… James!”
“Potter, non
ti azzardare!”
“E dai,
Lily, stavo scherzando! Vado a cambiarmi, posso o devi rilasciarmi un
permesso scritto?”
“Sparisci,
idiota!”
“Grazie,
amore!”
“Non
c’è di che!”
“Come siete
dolci e gentili tra voi”.
Sorrido come un ebete,
mentre mi lancio in una folle corsa verso il campo di Quidditch.
Forse non sta andando
tutto così male, in fin dei conti.
***
24 febbraio 1978
Se non ci fosse stata la pausa pranzo dopo questa interminabile lezione
di Pozioni, ora non potrei essere corsa qui. E forse, dato che James ha
pensato bene di seguirmi, avrei fatto meglio a non farlo affatto, e a
tener fede all’accordo preso con le ragazze di trovarci in
sala
comune per darci una mano con il tema di Incantesimi. Volevo
semplicemente stare un po’ sola a tentare di controllare la
mia
rabbia e cercare di riflettere, e invece, maledizione, lui sa sempre
dove trovarmi quando sparisco. Ormai però
quest’aula, la
stessa in cui abbiamo animatamente discusso una lontana sera di
settembre, ha assunto per me i connotati del rifugio.
“Senti, lo so che ce l’hai a morte con me, ma non
potevo
fare finta di niente”, mi dice James, trafelato,
affacciandosi
alla porta dell’aula. Io sollevo lo sguardo dalla crepa nel
pavimento che stavo fissando ostinatamente, con aria decisamente poco
incline alla diplomazia.
“Se sai che ce l’ho a morte con te, allora sai
anche che
non è il momento buono per parlare”, rispondo,
seccamente.
“Beh, per te non è mai il momento buono per
parlare”, replica lui, tentando una specie di risatina
ironica,
ma la mia occhiataccia riesce a spegnerla immediatamente. E sono troppo
arrabbiata per farmi impietosire dall’aria mesta con cui
china il
capo.
“Perché te la prendi tanto?”
“Perché me la prendo … ti sembra una
domanda
sensata, dopo che per la tua mania di non darmi mai ascolto ti sei
appena fatto mettere in punizione?”
“Magari non sarà poi così
grave”.
Okay, ho capito. Sta giocando a mettere alla prova la mia pazienza.
È l’unica spiegazione sensata per il fatto che
continui ad
insistere.
“Ne riparliamo dopo che Slughorn avrà decretato la
tua
sorte”, gli rispondo, con astio. Mi domando
perché,
Merlino, perché deve essere così ottuso e
così
bambino alle volte? È chiaro come il sole che reagendo alle
provocazioni dei Serpeverde ha soltanto fatto il loro gioco. Possibile
che debba proprio spiegargli tutto, a diciassette anni suonati?
“Fino ad allora mi terrai il broncio?”
“Sì, sperando che nel frattempo
un’illuminazione divina ti apra gli occhi una volta per
tutte”.
“Io volevo solo difenderti”.
“James, a me non
serviva essere
difesa! Possono dire quello che vogliono di me, non me ne importa un
accidenti di niente!” esclamo, stringendo forte le mani
intorno
al bordo del banco su cui sono seduta.
“Ma io …”
“… tu devi sempre fare l’avvocato delle
cause perse!”
“Spiacente, su questo ti sbagli. L’avvocato delle
cause perse qui sei tu”.
Lo squadro, furiosa, come se volessi inchiodarlo sul posto. Oh, certo,
ora la colpa sarebbe mia perché gli ho dato il cattivo
esempio.
“Io non ho reagito di fronte ad una provocazione che era
evidentemente volta a farmi cascare in una trappola come un pesce che
abbocca all’amo”, replico, tagliente.
“No, ma mi pare di ricordare che nemmeno Snivellus volesse
essere difeso, in quell’occasione”.
Qualcosa mi si spezza dentro, inevitabilmente. Il dolore è
improvviso e fortissimo. I ricordi mi invadono la mente senza che io
sia in grado di fermarli, e mi ritrovo a fissare James furente e con le
lacrime agli occhi.
“Non ne hai il diritto”, mormoro, con voce rotta.
Lui ha
un’esitazione, sul momento, ma poi è il suo
orgoglio
maschile che lo fa reagire.
“Ho detto soltanto la verità”, mi
risponde, secco,
stringendosi nelle spalle con aria forzatamente indifferente. Io mi
porto una mano alla bocca per nascondere una smorfia di pianto.
“Lasciami stare, per favore”, gli dico, senza
guardarlo in
faccia. Quando si decide ad uscire, sbattendo rumorosamente la porta,
mi sento la mente annebbiata e gli occhi umidi. L’attimo dopo
sto
piangendo, disgustata di me stessa per la mia debolezza.
Non so che cosa pensavo. Forse che saremmo riusciti a non dover mai
affrontare direttamente l’argomento, anche se stava sospeso
sulle
nostre teste come una tagliente spada di Damocle. Ora invece quel
momento è arrivato e non l’abbiamo saputo
affrontare, e
tutto l’affanno che ho represso dentro per mesi e mesi mi sta
sfuggendo di mano, senza che io sia in grado di fermarmi.
La gente che amo finisce inevitabilmente per allontanarsi da me, senza
che io l’abbia voluto. È successo con Petunia, poi
con
Severus. E adesso succederà anche con James.
Perché
dovrebbe andare diversamente?
Non volevo che finisse così. Quando sono arrivata a
Hogwarts,
ero convinta che sarebbe stato tutto bellissimo e che avrei vissuto
degli anni eccezionali, i migliori della mia vita. E invece, ho perso
mia sorella, ho perso il mio migliore amico e ora rischio di perdere
anche l’unica persona che io sia mai riuscita ad accettare
come
parte integrante della mia vita sentimentale.
Non ha senso restare qui. Mi sforzo di asciugarmi la faccia nel miglior
modo possibile e poi prendo i libri sottobraccio, raccolgo il calderone
con dentro tutti gli strumenti di Pozioni e mi trascino verso il
dormitorio di Grifondoro.
25 febbraio 1978
È il giorno di un’importante partita di
Quidditch,
oggi. A me non importerebbe un fico secco, come al solito, se non fosse
per il fatto che James giocherà comunque, a dispetto della
punizione affibbiatagli da Slughorn. Ovviamente, ne sono al corrente
soltanto perché mi sono giunte le voci che la McGranitt sia
andata a sbraitare perfino davanti a Silente in persona per impedire
che James fosse costretto a non giocare. Figurarsi se gli allievi di
Hogwarts potevano perdersi un pettegolezzo del genere.
Non ho idea di come l’abbia presa James. È da ieri
a
pranzo che non ci rivolgiamo più la parola. L’ho
visto da
lontano in sala comune, mentre rientravo dalla Biblioteca: stava
correndo in dormitorio a cambiarsi in vista di un probabile allenamento
serale, dato che l’intera squadra si trovava riunita
lì ad
attenderlo. Ho fermato Delia e le ho chiesto di riferire al signor
capitano Potter che quella sera mi sarei occupata della ronda insieme
ai Prefetti, e che pertanto non doveva disturbarsi a raggiungermi.
Sapevo che sarebbe stato distrutto di ritorno dal campo di Quidditch,
perciò usai un tono secco e perentorio, di modo da lasciare
intendere che non doveva passargli neppure per l’anticamera
del
cervello di venire con me. Volevo che andasse a letto e si riposasse,
senza dover portare altri fardelli, ed ero disposta a lasciargli
credere che fossi ancora arrabbiata con lui e non desiderassi averlo
fra i piedi piuttosto che non riuscire nel mio intento.
Ora, all’alba delle dieci di mattina, non ho ancora
preso
una decisione, mentre tutte le mie amiche si sono già recate
sugli spalti, pronte a fare il tifo per Grifondoro. Per giunta, non ho
neppure fatto colazione. I libri non mi distraggono, in questo momento,
e ho già tergiversato abbastanza passando circa
un’ora
sotto il getto caldo della doccia.
Sospiro, rassegnata; lo stomaco ha iniziato a brontolarmi furiosamente,
quindi, forse, è meglio andare a raccattare qualche avanzo
in
Sala Grande per evitare di affrontare una giornata in ipoglicemia
severa. Quando avrò finito, se il destino mi
guiderà
all’uscita del castello, forse andrò a vedere
quella
stramaledetta partita.
Mi avvio di corsa verso la mia destinazione, scendendo i gradini della
Torre di Grifondoro a due a due e pregando di non essere fermata da
nessuno che conosco – non sono dell’umore migliore,
in
questo momento, per affrontare conversazioni spinose – se non
che, giunta ai piedi della rampa di scale, incrocio uno stranito Sirius
Black che sembra avere l’aria di vagare alla cieca per i
corridoi
di Hogwarts.
Lo squadro con aria sospetta, finché lui non si accorge
della
mia presenza, circa una decina di centimetri al di sotto del suo naso.
Certe volte mi piacerebbe essere alta come Margaret, lo confesso.
Così la gente come lui non potrebbe pensare di intimidirmi
semplicemente torreggiando su di me con aria arrogante, cosa che,
inutile dirlo, non sortisce nessun effetto sulla sottoscritta.
“Oh, ecco, stavo giusto cercando te …”
La mia espressione si fa perplessa. Che significa che stava cercando me? Vuole fare a
botte?
“Devi riferirmi qualcosa di urgente? Scusa, ma avrei una
certa
fame …” rispondo, cercando di mantenermi il
più
possibile su un tono freddo e cordiale. Potrei scommetterci la
bacchetta che mi ritiene responsabile per la punizione di James e che
perciò, in questo momento, mi detesta ancor più
del
solito. Ma non voglio dargli modo di attaccarmi, quindi decido di
rimanere neutrale, almeno per ora.
“Ah, certo, che te ne importa se c’era gente che si
stava
chiedendo se tu fossi ancora viva”, replica lui, in un tono
sarcastico che mi fa immediatamente girare le scatole.
“E tu non avevi nulla di meglio da fare che essere spedito in
perlustrazione? Perfetto, puoi riferire che sto bene e non mi sono
gettata dalla Torre di Astronomia. Buona giornata”.
Faccio per superarlo, ma Sirius mi si para davanti di colpo. Sospira,
rassegnato, scuotendo la testa, poi abbassa lo sguardo e mi punta
addosso i suoi occhi grigi e sprezzanti.
“E va bene, Evans, sono qui soltanto per porgerti le mie
scuse
perché è solo a causa mia – beh, non
soltanto mia,
diciamo principalmente
mia – che James ultimamente è più
nervoso del solito, e mi dispiace se avete litigato. Addio”.
Fa per andarsene, ma io mi riscuoto in fretta
dall’incredulità destata in me dal fatto di averlo
sul
serio sentito pronunciare delle scuse.
“Com’è riuscito Remus a costringerti sul
serio ad
umiliarti con un simile teatrino?” gli domando, in tono
provocatorio. Lui si ferma e si volta a guardarmi con aria indignata.
“Non … che diamine, Evans, non sono il cagnolino
di Remus,
mettitelo in testa! Anche se potresti pensarlo dato che …
beh,
non lo sono!”
“Come vuoi, Sirius, ma la questione non ti
riguarda”, gli
faccio presente. Non capisco proprio perché ci tiene tanto a
mettersi in mezzo. Chi diavolo gliel’ha fatto fare, allora,
di
scendere dal trono per venire a degnarmi della sua parola?
“Mi riguarda eccome invece!” replica lui, stizzito.
In quel momento, mi coglie l’illuminazione. Già,
certo, perché non ci ho pensato prima?
“Oh, capisco, hai ancora paura che corra a dire in giro certe
cose? Perché non fai quel Voto Infrangibile come ti avevo
suggerito, allora?”
Una smorfia di disgusto compare istantaneamente sul suo volto,
contorcendogli i lineamenti.
“Io non uso la Magia Oscura, te l’ho già
detto”, mi risponde, sprezzante. Io alzo le spalle.
“Sarebbe a fin di bene, però, visto che ci tieni
tanto”.
Lui mi fulmina con lo sguardo. Per quanto ci tenga a sottolineare in
ogni suo gesto il disprezzo nei confronti dei suoi legami di sangue, in
questo momento ha tutta l’aria di un aristocratico in
collera,
non c’è nulla da fare.
“Io non sono come loro, per Merlino! Non lo sono e non lo
diventerò mai! Mi fanno schifo
dal primo all’ultimo, con le loro smanie del sangue puro e le
loro espressioni felici quando gira la notizia che Voldemort ha
compiuto l’ennesima atrocità nei confronti dei
figli di
Babbani, e ora staranno gongolando all’idea che anche mio
fratello sia stato accolto in mezzo a quella feccia, a
quell’orda
di fanatici … ma non potranno mai avere me! Non mi
abbasserò mai al loro livello! Perciò scordati
quel Voto Infrangibile, toglitelo dalla testa”.
Lo osservo attentamente, inarcando le sopracciglia con espressione
scettica. Si è infervorato non poco nel pronunciare
quell’enfatico discorso. Il piccolo dettaglio è
che io non
gli avevo assolutamente richiesto una simile apologia della sua
posizione. Probabilmente per chi vive immerso nel mondo delle famiglie
di maghi il suo nome fa un effetto non indifferente, ma per me che sono
figlia di Babbani non ha mai significato nulla, e di sicuro non
è mai stato il mio metro di giudizio nei suoi confronti. Che
James e i suoi amici fossero dichiaratamente schierati contro le Arti
Oscure non l’ho mai negato, anzi. Lo facevo notare spesso a
Severus, quando si lanciava in una delle sue ardenti filippiche dirette
contro di loro. Perciò non era assolutamente necessario che
Sirius mi manifestasse la sua presa di distanza nei confronti di quella
gentaglia, avevo già ben chiaro il fatto che lui
appartenesse a
tutt’altro schieramento.
“Non c’era bisogno di scaldarsi tanto”,
gli faccio presente, in tono pacato.
“E invece io mi scaldo, io … pensi che sia come
loro
perché ho rischiato di far uccidere il tuo amico Snivellus,
eh?
Ma sai che ti dico? Se lo meritava.
Non voglio che ti passi neppure per l’anticamera del cervello
che
Remus possa mai essere stato d’accordo con quella faccenda,
lui
non sapeva niente ed è toccato a me dirglielo, a me
è
toccato sentirmi il verme della situazione quando la realtà
è che la colpa era tutta di quel dannato ficcanaso. Lui aveva cattive
intenzioni, non io!”
La mia espressione si fa ancora più perplessa.
Così oggi
è la giornata delle rivelazioni e nessuno si è
prodigato
di avvertirmi?
Che cavolo significa che ha rischiato di far uccidere Severus? Che
tutto quel misterioso macello fu merito suo? Merlino, non pensavo che
potesse arrivare a tanto.
“A dire la verità non avevo assolutamente idea del
fatto
che fossi stato tu l’artefice di quello spiacevole
incidente”, gli faccio presente, stringendo le labbra.
Lui mi fissa in silenzio per qualche secondo. Sembra quasi pentito di
essersi scucito troppo la bocca, per una volta nella sua vita.
“Ah, sì? Beh, infatti non avresti dovuto
saperlo”.
“Sei stato tu
ad avermelo appena rivelato, razza d’idiota!”
È incredibile, con che razza di educazione è
stato cresciuto? Chi diavolo è stato ad insegnargli che ha sempre ragione lui?
“Ehi, abbassa il tono con me, non m’interessa un
fico secco
se sei Caposcuola”, replica lui, azzardando un tono arrogante
che
mi dà immediatamente sui nervi.
“E tu allora smettila di rigirare le frittate! Stavolta io
non mi
sono impicciata di nulla, credevo fosse stato un caso e che Severus
avesse scoperto dove si nascondeva Remus, che fosse successo
perché l’aveva semplicemente seguito”,
sbotto,
guardandolo con ira. Sirius mi rivolge un sorriso beffardo, facendo
scomparire per qualche secondo quell’espressione contrita che
fino a poco tempo fa aveva solo tentato di nascondere malamente.
“Mi duole informarti che il tuo amico non è
così
furbo e neppure così coraggioso. Non si è mai
spinto a
tal punto, ma continuava a darci fastidio, a starci perennemente alle
costole. Un giorno se l’era presa con Remus davanti a tutti,
l’aveva umiliato soltanto perché era arrivato
tardi a una
lezione della Sprite e secondo lui significava chissà che
cosa,
e io non ci ho più visto. La sera ci sarebbe stata la luna
piena
e gli ho detto come fare per entrare nel Platano Picchiatore. A dire il
vero non pensavo nemmeno che potesse essere così imbecille
da
seguire alla lettera le mie parole, e invece lo fu …
incredibile. Tutto per la sua meschina e lurida smania di farci
cacciare dalla scuola”.
Non so davvero che pensare. Sirius Black è un totale
imbecille,
questo è certo. Cerca di difendersi con foga, come a voler
dimostrare che la colpa non è stata soltanto sua. Ma gli ho
creduto nel momento in cui ha difeso a spada tratta Remus. Era sincero.
“Avresti dovuto prevedere le conseguenze delle tue
azioni”, gli dico infine, semplicemente.
“Togliercelo dai piedi sarebbe stato solo un bene”,
obietta
lui, ancora ostinato a voler dimostrare di aver agito per una buona
causa. Ma stavolta, mi dispiace, ha completamente toppato.
“E non hai pensato a Remus? A come si sarebbe
sentito?” gli
faccio presente, e per un attimo nei suoi occhi lampeggia
un’espressione ferita, come se si fosse sentito toccare
improvvisamente nel punto più delicato della faccenda.
Per un attimo smette di guardarmi e fissa un punto imprecisato sulla
parete di mattoni; poi sospira, prima di rispondermi.
“No, o meglio, pensavo che in fondo sarebbe stato contento di
non
avere più quell’essere odioso alle calcagna,
pensavo che
sapere di averlo spaventato lo avrebbe fatto ridere e basta, pensavo
che … pensavo male. E doverglielo dire, doverlo guardare in
faccia e raccontargli tutto quello che era successo e sentirmi addosso
tutto il suo disprezzo è stata la cosa più brutta
che io
abbia mai dovuto affrontare in tutta la mia vita. Quindi non pensare
nemmeno per mezzo secondo che lui fosse complice di tutta questa
faccenda, cosa che Snivellus potrebbe fin troppo facilmente averti
detto”.
Non è possibile. Ma allora è veramente imbecille.
“Ti vuoi far entrare in quel cervello pieno di Vermicoli il
fatto che io e Snivellus
non ci rivolgiamo più la parola?! Dovresti essere abbastanza
intelligente da essertene già accorto da solo, ma mi sembra
evidente che tu non ci riesca, perciò te lo dico chiaro e
tondo:
non ho intenzione di avere mai più avere nulla a che fare
con
lui. Non siamo più amici. Lui ha scelto le Arti Oscure, io ho
scelto
di stare dalla parte opposta. Non ho nessun rimpianto per aver preso
questa decisione. E dato che ci tieni tanto a precisare che non sei
uguale ai membri della tua famiglia nonostante il vostro legame di
parentela, tieni presente questo: io non sono come Severus, anche se un
tempo eravamo amici. Ostinandoti a credere il contrario ti dimostri
soltanto una persona piena di pregiudizi, proprio come lo sono quelli
che giudicano te per il tuo cognome e il tuo sangue puro.
Non ti dà onore predicare bene e razzolare male. E
soprattutto,
ogni tanto, essere un po’ meno ottuso ti farebbe
bene”.
A questo punto, Sirius Black fa una cosa che assolutamente non avevo
previsto o considerato: scoppia sonoramente a ridere, di gusto, con
quella risata così simile a un latrato che solo ora, dopo
anni,
collego alla sua forma di Animagus. Resto a fissarlo con aria perplessa
mentre getta indietro la testa e si porta un braccio attorno allo
stomaco, in quell’esplosione di ilarità. Non
capisco. Che
ci sarà di tanto divertente in quello che ho detto?
“Hai ragione, Evans, forse dovrei darti una
possibilità”.
Oh, che gentile concessione da parte sua.
“Ma se pensi di non amare sul serio James, ti consiglio di
lasciar perdere in partenza. Ho dovuto sorbirmi per anni le sue crisi
depressive causate dai tuoi persistenti rifiuti, perciò ora
non ti
conviene illuderlo”.
Perché questo improvviso ed inopportuno cambio di discorso,
ora?
“Oh, stammi a sentire … piantala di fare
l’avvocato
difensore di James, non ce n’è bisogno. Lo so che
ti senti
realizzato in questo ruolo, ma …”
“Lo ami?”
Sgrano gli occhi, fissandolo con aria allibita. La sua sfacciataggine
non ha davvero alcun limite.
“Io … sì, ma non sono affari
tuoi!” replico,
piccata. Lui in tutta risposta si dipinge sul volto un ghigno
sardonicamente soddisfatto, di fronte al quale non riesco a non
arrossire. Ho appena ammesso di amare James Potter, e non di fronte a
lui stesso o ad un mio confidente, bensì davanti a uno che
mi
detesta con tutto il cuore e probabilmente, se potesse, mi farebbe
sparire con un distratto colpo di bacchetta. Ma per quanto sia assurdo,
mi rendo conto che è vero. Non potevo raccontargli una
frottola,
sarebbe stato come dire che Silente è un incompetente mago
da
quattro soldi. Non mi ero mai posta il problema di doverlo ammettere,
perché James non me l’ha mai chiesto. Sembra
felice
così, al settimo cielo soltanto perché,
finalmente, esco
con lui. E nonostante i mesi siano ormai volati, ancora fatico a
rendermene conto. Però i tremori continui alle gambe quando
si
limita anche solo a sfiorarmi, il cuore che accelera i battiti, il
sentirmi andare in frantumi quando mi bacia o quando, dal nulla, si
presenta con una sorpresa per me dopo aver litigato furiosamente
… non può essere altrimenti. Non ho mai provato
un
sentimento del genere in vita mia.
“Hai detto di sì, bada bene”, mi dice
Sirius, come a
voler sincerarsi della veridicità della mia affermazione. Io
sospiro e mi metto le mani nei capelli, totalmente esasperata.
“Sì, Sirius, ho detto di sì! Ti prego,
ora possiamo finirla
con questo teatrino? È ammirevole che tu voglia preservare
James
da sofferenze future, ma noi due non siamo in competizione per il primo
posto. L’amicizia e l’amore sono due cose
totalmente
differenti”.
Sul suo volto affiora un sorrisetto criptico, che non riesco ad
interpretare.
“Non necessariamente lo sono”, afferma
enigmaticamente,
“ma in questo caso non ti devi preoccupare, non vorrei
assolutamente essere nei tuoi panni. Abbiamo due ruoli diversi, e mi
sta bene”.
Annuisco vigorosamente, constatando con piacere che almeno su una cosa
siamo d’accordo. Ma allora, quale diamine è il
problema?
“Magnifico. A questo punto la domanda sorge spontanea:
cos’è che non ti sta bene?”
Lui si stringe nelle spalle con un’espressione dubbiosa,
forse
preparandosi a sciorinare un elenco infinito di motivi per cui mi
staccherebbe la testa dal collo. Ma la sua risposta, al contrario, mi
sorprende totalmente.
“Non saprei. Credo niente”.
Ora sì che vorrei strozzarlo, lo vorrei davvero.
“Merlino, sei … impossibile. Non ho mai fatto
fatica a
capire perché tu e James siate così
amici”.
“Sapessi invece quante cose non sai …”
commenta lui,
divertito, sempre con quel tono fastidiosamente ermetico.
“Oh, non penso di volerne essere messa al corrente tanto
quanto
immagini tu”, ribatto, scuotendomi i capelli sulle spalle con
un
gesto di stizza. E meno male che James vorrebbe che diventassimo amici.
Sembra un’impresa piuttosto impossibile, nonostante abbia
appena
affermato di non avere nient’altro contro di me.
“Comunque, non credo che per te vada bene pensare al momento
in
cui hai ricevuto la lettera da Hogwarts, come ricordo felice per il
Patronus”, mi dice improvvisamente, scompigliandosi i
riccioli
neri con apparente noncuranza.
“Come, scusa?” gli domando, interdetta. Sicuramente
devo
aver sentito male. Come fa a sapere che non mi riesce bene
quell’incantesimo? D’accordo, era anche lui a
lezione
quando ci siamo esercitati, ma non avevo certo contemplato la
possibilità che Sirius Black si fosse accorto di qualcosa
che
riguardava me.
“Sì, Flanders è un idiota, non ha molta
fantasia”, risponde lui, scrollando le spalle.
“Puoi
pensare a qualsiasi altro momento felice, ma quello … per te
non
credo che funzioni. Sai, la storia di tua sorella. E poi lo ricolleghi
inconsciamente ad un’amicizia che hai perso, e che in quel
momento per te era importante. Sul momento potrà anche
essere
stato eccitante e divertente, ma non puoi impedirti di ricollegare quel
preciso ricordo con altri più spiacevoli, quindi non
funziona”.
Sirius Black mi sta dando dei consigli, provando a comportarsi in modo
civile. Probabilmente in questo momento mi trovo su un altro pianeta.
“E tu come sai di mia sorella?” gli domando, ancora
incerta
su quanto possa essere sincero quel suo tentativo di venirmi incontro.
“Oh, beh … James parla troppo”, risponde
lui, alzando le spalle.
“Certo, capisco”.
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, mentre ancora mi domando
cos’è che l’ha fatto smuovere oggi.
Autoaccusarsi di
essere stato l’indiretto responsabile della mia lite con
James,
ammettere quanto gli sia pesato confessare quello scherzo a Remus,
darmi consigli su un incantesimo che non riesco ad eseguire
…
davvero non riesco a capire che diavolo gli è preso. Nessuno
di
noi due ha mai avuto una grande opinione dell’altro, questo
è certo. Ma è il migliore amico di James e, in
fondo, non
ho mai pensato che sia davvero una persona così spregevole
come
voglia far credere di essere, comportandosi in questo modo
così
idiota solo per fare scena. Posso anche capire che mi tema come una
minaccia dal momento in cui sono entrata nella vita di James, dato
tutto ciò che rappresenta per lui. Ma per aprire le
ostilità contro di me non si è basato su come
sono e su
come mi comporto, bensì meramente sul ruolo che ricopro in
quanto fidanzata del suo migliore amico, il che non significa
necessariamente che io sia una persona possessiva che mira ad
allontanare James dai suoi amici per avere il pieno comando della sua
vita e dei suoi affetti.
Forse si è reso conto di essere partito con il piede
sbagliato, dopotutto.
“Guarda che neanche per me funziona quel ricordo, se ti ci
fissi
non ci riuscirai mai”, mi dice, camminando avanti e indietro
lentamente, con le braccia dietro la schiena. Io mi lascio sfuggire un
sorrisetto.
“Già, non dev’essere piacevole
l’associazione
di quell’episodio con la Strillettera di tua madre che ti
è arrivata via gufo il giorno dopo essere stato Smistato a
Grifondoro”.
Lui si ferma a guardarmi negli occhi ed ammutolisce, diventando serio
di colpo. Io mi stringo nelle spalle, con apparente nonchalance.
“James parla troppo. L’hai detto tu”.
“Già”.
Per un attimo, che forse non si ripeterà mai più,
non
c’è ostilità fra noi. Sembra quasi
incredibile.
Dopodiché, Sirius sfoggia un sorrisetto compiaciuto.
“Beh, credo che potresti guadagnarti il tuo ricordo felice
per il
Patronus andando a cercarlo e facendo pace con lui”.
“Che vuoi dire? Non dovrebbe essere alla partita?!”
“No, si è fatto prendere dal panico e si
è nascosto
chissà dove. Perciò, forse, faresti meglio ad
andare a
cercarlo. Potreste anche prendervi per mano e ballare,
perché
no. Ma penso che sarà sufficiente un commovente abbraccio e,
che
ne so, un bacio con un po’ di lingua …”
“Ok, Sirius, grazie ho afferrato il concetto!”
Lui scoppia a ridere sonoramente, divertito dalla sua stessa impudenza.
“Beh, che aspetti? Vai a cercarlo”, mi dice poi.
“Ma non ho idea di dove sia!” obietto io. Non posso
certo perlustrare l’intera Hogwarts, che diamine.
“E va bene, aspetta solo un secondo …”
Lo osservo frugarsi nella tasca della divisa alla ricerca di qualcosa;
dopo qualche secondo ne estrae un piccolo specchio rettangolare e un
po’ consunto, esattamente identico a quello che ho
già
visto diverse volte in mano a James.
Oh, sì, sono davvero teneri.
“Prongs … Prongs, rispondimi! È
urgente, sono nei
guai, sto rischiando la vita e se non mi rispondi immediatamente mi
avrai sulla coscienza per il resto dei tuoi giorni!”
“Che vuoi, Pads?”
“Senti, l’ho combinata grossa, Gazza mi sta alle
costole!
Dove sei? Devo correre a nascondermi da te, dato che sei Caposcuola gli
dirai di non mettermi in punizione”.
“A dire il vero l’ultima volta che ho tentato di
discutere
con Gazza mettendo in campo la mia autorità di Caposcuola
non
è servito a non farmi restituire la Mappa del Malandrino, se
ti
ricordi …”
“Beh, stavolta dovrai essere convincente, ha minacciato di
frustarmi!”
“Oh, e va bene, grandissimo rompiscatole, sono nel
ripostiglio per le scope del sesto piano …”
“Perfetto! Dammi un minuto e sono da te!”
Sirius si rimette in fretta e furia lo specchietto in tasca, poi si
volge verso di me.
“Hai sentito? Vallo a recuperare e, già che ci
sei,
convincilo ad alzare il culo e ad andare alla partita, altrimenti siamo
rovinati. Io intanto vado a chiamare Remus e Peter”.
“Ai tuoi ordini”.
Lo saluto con un sorrisetto, poi mi dirigo a passo spedito verso il
sesto piano.
“James, apri immediatamente questa dannatissima
porta”.
È incredibile che a pochi minuti dall’inizio della
partita
questo idiota se ne stia chiuso qui dentro. Tutti si aspettano una
lotta all’ultimo sangue, l’intera Hogwarts
è
già allo stadio a gremire le tribune, e il Capitano della
nostra
squadra dov’è? In un ripostiglio per le scope.
“No, preferisco lasciarti l’onore di mettere alla
prova le
tue brillanti capacità di strega”, mi sento
rispondere,
dall’interno. È da ieri che non ci parliamo, e
questo
è tutto quello che ha da dire. Davvero carino da
parte sua.
“E va bene, l’hai voluto tu”.
Estraggo la bacchetta dalla tasca della divisa e mi piazzo a gambe
leggermente divaricate davanti alla porta, agitando il polso per
riscaldarmi.
“Lily, no, aspetta, stavo scherzando. Sono in uno stato
pietoso. Lily …”
Con un gesto solenne ed un perfetto incantesimo non verbale, faccio
scattare la serratura della porta.
“Lily! Possibile che tu non voglia mai darmi retta?”
Compio il mio teatrale ingresso nel ripostiglio, e mi trovo davanti il
James Potter con l’aspetto più sciupato che mi sia
mai
capitato di vedere. Non solo è mortalmente pallido, ha gli
occhi
segnati da cerchi profondi e l’espressione di chi sta per
andare
al patibolo, ma ha anche, non so come, i capelli ridotti in uno stato
ancora più pietoso del solito.
Nonostante questo, quando incrocio il suo sguardo sento un nodo alla
gola e mi sembra sempre bellissimo. Ripenso a quello che Sirius mi ha
costretto a confessare, e per quanto possa sembrare assurdo, incoerente
o esagerato, non posso negare che sia vero. Forse dovrò
dirlo
anche a lui, un giorno o l’altro.
“Sì, lo so, avrei almeno potuto tentare di
pettinarmi. Ma
tanto lo sapevo che era una causa persa”, tenta di
giustificarsi,
con il suo solito maledetto vizio di fare dell’ironia in ogni
momento. Rimango lì a fissarlo, incapace di muovermi, senza
sapere che accidenti dire. È da ieri che ci evitiamo, da
ieri
che nessuno dei due ha il coraggio di fare un passo avanti e chiedere
scusa. È stato un arco di tempo infernale. Non credo di
farcela
a restargli lontana ancora per molto. Trattengo il fiato, muovo quel
dannato passo in avanti, lo raggiungo e faccio quello che avrei voluto
fare da due giorni: abbracciarlo.
Lo so che ho sbagliato, che l’ho attaccato per qualcosa che
tempo
addietro avevo fatto anch’io, accecata dal bene che volevo a
un’altra persona. So che è stata la stessa
motivazione a
smuoverlo, che sono io che mi comporto sempre come se ogni cosa fosse
la fine del mondo. Fosse stato per me, l’intero universo
avrebbe
dovuto autodistruggersi il giorno in cui, rivoltandomi contro ogni
regola della logica, ero tornata sui miei passi e l’avevo
baciato. Quello era
qualcosa di sconvolgente. Ma non me ne sono affatto pentita, lo so e
l’ho sempre saputo, lo sapevo anche mentre lo facevo,
inconsciamente; posso anche essere stata io a mettere in moto tutto
questo, posso anche essere stata io a perdere Severus, anche se lui
comunque aveva già scelto e sarebbe stata solo questione di
tempo prima che passasse definitivamente dalla loro parte,
e può anche darsi che questo continuerà a farmi
male
finché avrò vita, ma poi quello che è
successo mi
ha portato ad avere James, e non tornerei mai indietro
se dovessi rinunciare a lui. Non potrei. Mi sono sforzata con tutta me
stessa di stargli lontana in queste ore, perché altrimenti
sapevo che avrei finito per attaccarlo con rabbia soltanto per il fatto
che mi stava lontano. E non potevo rischiare di ripetere di nuovo lo
stesso errore.
Potrei stare così per ore, per giorni interi. Mi basta
questo:
stringerlo forte senza il timore di fargli male, avvertire prima la sua
sorpresa e poi il suo abbandono, sentire il suo respiro sui capelli.
Fargli capire che è un idiota quando si comporta
così.
Insinuare sottilmente che mi dispiace.
A un certo punto, lo sento ridacchiare tra sé.
“Che c’è da ridere?” gli
domando, divertita.
“Come?” mi chiede lui.
“Hai riso”, gli faccio notare.
“Oh. Sì, beh, stavo pensando, e mi è
scappato da
ridere”, mi risponde, e io curvo le labbra in un ghigno
ironico.
“Questo perché non hai filtro tra il cervello e la
bocca”, commento.
“Sì, lo so”, mi risponde lui, rassegnato
a
riconoscere la verità. È un piacere sentire che
mi
dà ragione senza cercare una scusa per ribattere.
Dev’essere proprio a pezzi. Chissà quali
acrobatici salti
di gioia farebbe se sapesse che ho ammesso di amarlo … ma
ora
non c’è più tempo da perdere. Mi stacco
dalla sua
spalla per cercare il suo sguardo, e quando lo trovo non sono
più dolce né divertita, sono semplicemente dura.
“Perché non la smetti di fare l’asociale
recluso e
vai a giocare quell’accidenti di partita?” gli
chiedo, in
tono di sfida. Lui risponde con una smorfia perfida.
“Solo se mi improvvisi un balletto propiziatorio”,
afferma, deciso.
“Va bene, forse in un’altra vita ci farò
un
pensierino”, gli concedo, roteando gli occhi. “Ora
muoviti”.
“Nemmeno se mi accontento di un balletto
piccolo piccolo?” mi domanda, implorante.
“Ho detto muoviti,
Potter”, replico, seccamente.
“Uff, come sei fiscale”, si lamenta lui.
“Non sono io che sono fiscale, sei tu che sei in ritardo
pauroso”, gli faccio notare, inarcando un sopracciglio. Lui
in
tutta risposta scoppia a ridere, divertito.
“Oh, andiamo, lo dici solo per farmi paura”,
ribatte.
“Ti assicuro che invece la mia osservazione è del
tutto
gratuita e spassionata”, ribadisco io, non sapendo se ridere
o
piangere per il modo in cui è rimbambito. Fortunatamente,
quando
capisce che non sto scherzando, smette di sorridere come un idiota e
pensa bene di guardare l’orologio per verificare;
l’espressione di panico che gli compare istantaneamente sulla
faccia mi fa capire che ha finalmente riconosciuto chi tra noi due ha
ragione – di
nuovo.
“Oh, cacchio”, commenta, prima di lasciarmi e
correre a gambe levate fuori dal ripostiglio.
Rimango ferma lì per qualche secondo, scuotendo la testa con
aria rassegnata. È incorreggibile, ma se così non
fosse
non sarebbe più lui, e non lo troverei altrettanto
divertente ed
imbranato e adorabile.
Mi decido ad uscire dal ripostiglio anch’io, con un grosso
sorriso stampato in faccia che manifesta chiaramente il mio attuale
stato d’animo; dopo oggi sarà tutto sistemato, fra
noi,
non ci sarà bisogno di noiosi chiarimenti e di scuse
forzate, ma
ogni cosa tornerà come prima alla sua naturalezza abituale.
Stare con lui è bello anche per questo: i problemi si
risolvono,
ma in maniera niente affatto tradizionale.
Avviandomi lungo il corridoio, mi giungono le voci di Remus, Sirius e
Peter; evidentemente ci siamo incontrati tutti al momento giusto.
Quando li raggiungo, il signor Capitano si sta velocemente congedando
da loro.
“Ehi, aspetta, dove corri?” grida Peter a James.
“A picchiare Snivellus!” risponde lui, di rimando.
“Come, senza di me?!” si lamenta Sirius.
“Ma … James!” gli fa eco Remus.
“Potter, non ti azzardare!” lo minaccio io.
“E dai, Lily, stavo scherzando! Vado a cambiarmi, posso o
devi
rilasciarmi un permesso scritto?” mi dice lui, fermandosi in
fondo al corridoio per rivolgermi un sorriso smagliante da finto
seduttore incallito.
“Sparisci, idiota!” gli ordino, in tono perentorio.
“Grazie, amore!” mi risponde lui, ridendo.
“Non c’è di che!” gli grido
io, mentre si
allontana di corsa. Lo osservo sparire con il sorriso sulle labbra,
sentendo che tutta l’angoscia è finalmente sparita.
“Come siete dolci e gentili tra voi”, osserva
Sirius,
sarcastico, incrociando il mio sguardo dopo che James si è
definitivamente dileguato. Ma, per quanto si sforzi di nasconderlo, non
c’è malignità nel suo tono di voce,
soltanto
divertimento. Forse, finalmente, anche con lui le ostilità
sono
cessate. Per quanto sia probabile che l’abbia fatto solo per
il
bene di James, non posso fare a meno di tirare un grosso sospiro di
sollievo. Anche se ho il sospetto che mi chiederà qualcosa
in
cambio per quel suggerimento sul Patronus. A tal proposito, ora
potrebbe essere il momento giusto per provare e vedere se funziona.
“Vi raggiungo subito”, dico a Peter, che si
è
voltato con aria interrogativa verso di me, domandandosi probabilmente
perché non li stavo seguendo.
Aspetto che si siano allontanati a sufficienza prima di concentrarmi
profondamente sul ricordo più felice che riesco a far
riaffiorare alla mente.
Quel giorno che più di tutti ha cambiato la mia vita, il
giorno
in cui ho scoperto di essere una persona totalmente diversa da
ciò che avevo sempre creduto. Il giorno in cui, molto
probabilmente, sono andata molto vicino al collasso cardiaco. E non per
colpa di qualcun altro, no. Ho fatto tutto completamente da sola,
quella volta.
Si tratta del giorno in cui ho baciato James Potter, al di
là di ogni umana comprensione.
Sorrido. Ricordo tutto. La sua espressione allibita nel momento in cui
gli posavo una mano sulla spalla e lo costringevo a voltarsi verso di
me. Il contatto con le sue labbra, la voglia che avevo di sentirmi
stringere e, allo stesso tempo, di fargli del male. La sensazione che
stessi cadendo in una voragine senza fine – eppure era
così piacevole, così liberatorio. Per una volta,
avevo
assecondato il giusto impulso, pur sentendomi schiacciare dalla
consapevolezza improvvisamente acquisita del fatto che lui non
riuscisse ad essermi indifferente.
Sospiro, buttando fuori tutta l’aria che ho nei polmoni.
Chiudo
gli occhi e alzo la bacchetta. Sento una lunga serie di brividi
scorrermi lungo le braccia, arrivare fino alla punta delle dita. Questa
volta posso farcela.
“Expecto
Patronum!”
Apro gli occhi bruscamente. L’onda d’urto mi ha
scagliato
indietro, per poco non sono finita a sbattere contro il muro. La
bacchetta mi è sfuggita di mano ed è caduta a
terra.
È lì, riesco a vederla. Alzo gli occhi e davanti
a me
c’è una grossa nuvola bianco-argentea, eterea ed
indefinita, che a poco a poco si dirada per lasciar emergere una figura
sottile, che si allontana al ritmo di una corsa elegante.
La guardo bene, incredula, finché non svanisce in un soffio
di
polvere, infrangendosi contro il vetro della finestra. Decisamente non
me l’aspettavo, ma la sorpresa mi strappa un sorriso.
Il mio Patronus è una cerva.
And
I know I make you cry,
And
I know sometimes you want to die,
But
do you really feel alive without me?
(Damien Rice, Accidental Babies)
Nota di fine capitolo:
chiedo venia per il mostruoso ritardo, ma se da una parte avevo
l’ansia di un esame imminente a portarmi via tempo,
dall’altra ho anche dovuto revisionare quasi completamente
anche
questo capitolo per esigenze di trama. Non odio affatto il personaggio
di Piton, anzi, lo trovo davvero interessante sotto molti punti di
vista, ma è chiaro che dalla prospettiva di James non ci
possa
essere che odio nei suoi confronti, soprattutto dato che, stando a
dichiarazioni della Rowling, Prongs sospettava che Piton provasse
qualcosa per Lily, e quindi questo alimentasse ancora di più
la
rivalità tra i due. Da quando ho letto questa cosa mi sono
domandata se non lo sospettassero anche gli altri Malandrini; sono
piuttosto sicura che Remus lo sapesse, data la convinzione in cui
afferma di fidarsi di Piton in HP6, prima che uccida Silente.
Probabilmente era a conoscenza del fatto che lo facesse per Lily, e per
questo non dubitava di lui. Se invece anche Sirius aveva qualche
sospetto a riguardo, beh, allora per una volta ha dimostrato
maturità da adulto, dato che non l’ha mai usata
come
argomentazione per offendere o istigare Piton nei momenti in cui ha
avuto a che fare con lui nel post-Azkaban XD
Qui chiudo gli
sproloqui, al
prossimo capitolo, sperando di riuscire a completarlo presto
– e
come sempre grazie davvero, davvero tanto per le bellissime recensioni.
A presto!
Jane
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