Sulla terra, verso il cielo

di Shichan
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«Dentro di me, ero rimasto solo “io”.
Nessun’altra presenza mi stava più inseguendo.»

Era in una strada come tante, in un giorno come tanti.
Quella mattina non c’era stato alcun segno di quelli che ti aspetti prima che accada qualcosa d’importante; quelli che pensi vengano naturali, perché certe cose devono essere preannunciate in qualche modo, non importa quale.
Non c’era stato niente, proprio come ora non c’era nulla nelle sue mani, che guardava come se fossero le uniche colpevoli dell’accaduto.
Ma Kureno, lui non aveva fatto nulla: non aveva chiesto che accadesse, non aveva osato mai, non aveva avuto mai nemmeno l’impudenza di sperare una cosa del genere. Attanagliato dal senso di colpa, sentendosi quasi egoista, ogni qualvolta che il pensiero lo aveva sfiorato, come per punirsi lo aveva allontanato.
E all’improvviso… non c’era più niente.
Nelle sue mani non c’era niente, nel cielo che guardava non c’era niente – lui che per la sua grottesca natura vi aveva sempre scorto almeno un uccello, almeno qualcosa.
Dentro di lui… non c’era più niente. Niente di superfluo, nulla che fosse di troppo.
C’era solo lui.
Non riecheggiava più nulla, lì, nel profondo.
In quella strada come tante, in un giorno come tanti, era stato liberato; non aveva fatto altro che piangere, guardando il cielo, senza sapere bene chi ringraziare, o contro chi gridare.





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