Torino, 28 aprile
“Signori se non avete altro da
aggiungere la riunione è conclusa. Ogni cosa è stata stabilita, non resta altro
che seguire i piani”-disse una fredda voce calcolatrice-“il nuovo incontro è
previsto tra pochi giorni a villa Pascoli. Non ammetto errori. Abbiamo le ore
contate”. Detto questo, la persona seduta a capotavola si alzò, avvicinò il suo
socio più fidato, dicendogli: “Sei tu il responsabile di questa operazione, che
ti darà grandi benefici”. Abbandonata la sala, si diresse alla sua limousine,
parcheggiata davanti all’ingresso della casa dove si era appena tenuta la
riunione, pronta a condurlo all’aeroporto.
Cascina nelle Langhe, 28 aprile
Alessia si era appena svegliata.
Quella notte non aveva avuto incubi, aveva riposato di un sonno tranquillo e
sereno. Era l’alba. Se ne accorse dal (verso del grillo) dei grilli, o più
precisamente, dal “gracchiare” dei grilli, come lo definiva lei. Il verso di
questi insetti le dava particolarmente fastidio, dal momento che tutte le mattine,
svegliandola, le ricordava che l’avrebbe attesa una lunga giornata di scuola e
di studio, ma quella mattina era speciale. Nonostante fossero solo le sei non
si sentiva stanca e, almeno per un giorno, decise di non innervosirsi per
“l’insopportabile gracchiare di quelle orride bestiacce”. Era il venerdì santo,
secondo giorno di vacanza. Per quell’anno si sarebbe festeggiata una Pasqua del
tutto insolita e speciale: tutta la famiglia si sarebbe riunita a Menaggio,
paesino affacciato sul lago di Como, dove i nonni paterni di Alessia avevano
comprato una casa. La ragazza rimase per un po’ distesa sotto le coperte a
pensare e a chiedersi come mai i suoi nonni avessero avanzato tale proposta, e
la lasciava ancora più stupita il fatto che tutti quanti avessero accettato.
Alessia sorrise, ricordando il detto “parenti serpenti”, che era proprio adatto
per quella situazione; non era cosa estranea a nessuno che i suoi familiari
paterni non andassero per niente d’accordo con quelli materni, nonostante
provassero a dimostrare il contrario. Aveva cercato per un mese, cioè da quando
i suoi nonni avevano fatto la proposta durante una delle temute riunioni
familiari in occasione del compleanno di Stefano, fratello di suo papà, di
arrivare alla soluzione e alla fine si convinse che i suoi nonni volessero dare
una dimostrazione di falsa magnanimità e cortesia solo come gesto di sfida. A
quel pensiero prima sorrise, dopo scoppiò decisamente a ridere, come se le
avessero raccontato la più buffa delle barzellette. “Ma quale competizione?!”,
pensò. Era pienamente convinta del fatto che i suoi parenti materni avrebbero
vinto qualsiasi sfida. Era sempre stata più legata a loro, fin da bambina; si
sentiva più protetta in loro compagnia, nonostante avesse occasione di vederli
raramente, dal momento che abitavano a Milano ed erano poche le occasioni in
cui potevano riunirsi tutti insieme. Alessia guardò l’ora sul cellulare. Erano
le 7.00. Scrisse un breve messaggio…“Sarà già sveglio a quest’ora, scommetto”-
disse a bassa voce, riflettendo con lo sguardo rivolto verso il suo gatto, che,
in segno di risposta, incominciò a fare le fusa, acciambellandosi nelle coperte
calde del letto.
Milano, appartamento sul Naviglio grande, 28 aprile
Giacomo vide illuminarsi lo
schermo del cellulare. Lesse il messaggio: “Buongiorno Momo! J J pronto per il grande
evento? ;-)”. Sorrise divertito e rispose. Era Alessia, o meglio Ale, la sua
cuginetta preferita. Tra di loro c’era sempre stato un legame particolarmente
speciale. Si volevano bene come se fossero fratelli, o forse anche di più. Si sentivano
sempre e, quando potevano, passavano delle ore a raccontarsi le novità o a
confidarsi. Oltre al carattere molto simile, praticamente uguale, anche la loro
breve differenza di età li aveva uniti. Giacomo aveva 22 anni, Alessia 18.
Avevano frequentato lo stesso tipo di liceo e Giacomo stava per affrontare
l’ultimo anno di giurisprudenza all’università “La Cattolica” di Milano. Anche
per lui era cominciato un breve periodo di vacanza e quella mattina si era
svegliato presto per preparare le valigie. Era uno dei “famosi parenti materni”
invitati dai nonni di Alessia. Nonostante avesse molto tempo per prepararsi, si
era svegliato presto. Era felice di vedere la sua cuginetta e non vedeva l’ora
che arrivasse. In più era una delle poche occasioni che avevano per divertirsi
e farsi delle sane risate “dal vivo”, ironizzando sulla vita di campagna, che
Ale proprio non sopportava.
Cascina delle Langhe
Appena Alessia vide lo schermo
del cellulare illuminarsi, sorrise trionfante e sempre rivolgendo lo sguardo
verso il suo gatto disse: “Lo sapevo io che era sveglio!”. Lesse la risposta:
“Ciao cuginettaJ
diciamo che sono quasi pronto dai. Sto preparando le armi… per sicurezza porto
anche qualche antidoto nel caso mi avvelenassero;-) dici che basta? :-)”. La
ragazza rise e pensò: “Forse servirebbe anche qualche bomba a mano”. Rispose a
suo cugino e scese a fare colazione. Nel frattempo anche i suoi genitori,
Veronica e Luca, si erano svegliati. Alessia stava prendendo il suo the con
tranquillità, quando li vide arrivare. Non fece in tempo a salutarli che subito
sua mamma incominciò a strillare. “Cosa ci fai qui? Non sei ancora pronta?? E’
tardi!! Sono le 7e mezza e dobbiamo essere a Milano alle 12, SBRIGATI!” La
ragazza provò a replicare: “Ma veramente io…”. “Ma veramente tu cosa? Non
discutere e fai come dice la mamma” disse secco il padre. Alessia lasciò il suo
the a metà e andò a preparare la valigia. Mentre saliva le scale sentiva il
calore addensarsi sul suo viso: erano già riusciti ad innervosirla. Nn
sopportava di essere trattata così. “In fondo, se proprio stiamo a guardare
sono IO quella che alle sei di mattina era già sveglia, mentre loro dormivano,
o meglio, russavano con la delicatezza di un rinoceronte! E poi per andare a
Milano ci vuole un’ora e mezza…vogliono partire alle 8 per essere da Momo a
mezzogiorno? Alla fine intanto aspetto sempre io!”. Passati i cinque minuti di rabbia, la ragazza
decise che non si sarebbe lasciata rovinare la giornata da loro e con tutta
serenità prese la valigia, aprì le ante dell’armadio e mise tutti i suoi
vestiti più belli.
Torino, 28 aprile
“Tesoro dai andiamo o perderemo
il treno”-disse la voce gentile della zia di Alessia, Carolina, rivolta al
marito Giancarlo -“sempre immerso nel lavoro, eh? Almeno per questi giorni mi
avevi promesso che ti saresti riposato”. “Hai ragione, cara, ho finito.
Prendiamo i bambini e avviamoci” le rispose accennando un sorriso, dopo averle
dato un bacio affettuoso. I due sposi erano le persone privilegiate nella
famiglia di Alessia. Primogenito, fratello di Luca, Giancarlo era sempre stato
il figlio preferito e più fortunato, quello che, secondo i nonni paterni della
ragazza, aveva dato grandi soddisfazioni. Dopo aver frequentato l’università
migliore di Torino, era stato assunto come architetto in un’azienda ed ora era
il braccio destro del direttore della compagnia. Carolina, invece, proveniva da
una famiglia dell’alta società di Torino, aveva ereditato dal padre uno studio
notarile, e questi due elementi erano bastati alla donna per farsi ammirare dai
suoi suoceri. Il rumore del motore della macchina di Giancarlo davanti al
cancello segnalò alla moglie che le valigie erano state caricate e che era
arrivato il momento di andare. Sistemò comodamente i tre bambini sul sedile e
si sedette a fianco del marito. Arrivarono alla stazione giusto in tempo per
convalidare i biglietti, fatti il giorno precedente, e per salire sul treno.
Era un Eurostar, rapido e veloce, con posti prenotati. Era stata di Carolina
l’idea di viaggiare in treno, Giancarlo avrebbe preferito di gran lunga
l’automobile, ma aveva acconsentito a soddisfare la richiesta della moglie, che
gli aveva fatto notare che si sarebbero sicuramente risparmiati interminabili
ore di coda e la cantilena di sottofondo dei bambini, che avrebbero
insistentemente chiesto: “Mamma, papà siamo arrivati?”. Dopo una breve ricerca, la famiglia si
sedette nei posti assegnati e il fischio del capotreno annunciò la partenza. Lo
sguardo di Giancarlo si posò su un uomo seduto sul sedile accanto a quello
della moglie. Lo trovava strano. Di certo era ricco; lo si capiva dal completo
di Armani che indossava, ma l’aspetto fisico non era per niente curato: capelli
arruffati, carnagione pallidissima, profonde occhiaie. Giancarlo cercò lo
sguardo della moglie e, indicando la particolare figura con un cenno, cercò di
comunicarle: “Stai attenta”.