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NEL PALAZZO DISTRUTTO
Era stato tutto così
improvviso che Misaki non si era praticamente accorto di nulla.
Un attimo prima, stava
parlando con alcuni colleghi di Usagi, che erano lì per complimentarsi del
premio che il suo fidanzato aveva appena ricevuto, e un attimo dopo si era
ritrovato a terra, frastornato, con le orecchie che rimbombavano per
l’esplosione che aveva sventrato l’albergo in cui si trovavano per festeggiare.
Aveva la vista
annebbiata per il fumo e faticava a respirare.
Rimase un attimo lì,
disteso, cercando di ricollegare i pensieri e di ricondurre il proprio cervello
sulla via della ragione, ma non riusciva a formulare due pensieri di fila senza
sentire un dolore tremendo alle costole e alla testa.
Tutto attorno, sentiva
lamenti e un tremendo puzzo di bruciato, ma non aveva la forza di alzarsi.
Dov’era finito Usagi?
Stava bene?
Misaki provò ad sollevarsi seduto, ma le fitte al
petto si erano fatte più forti: niente da fare, doveva essersi rotto qualcosa.
“Ehi, tutto bene?!
Riesci a sentirmi?!”
Una nuova voce,
maschile ma diversa da quella di Usagi, gli fece drizzare, seppur di poco, la
testa: anche se gli occhi gli lacrimavano e faticavano a distinguere chiaramente
ciò che lo circondava, il giovanissimo si trovò davanti l’espressione
preoccupata di un altro ragazzo, che aveva il viso ugualmente graffiato e sporco
di cenere e i capelli nerissimi tutti impolverati.
Gli tendeva la mano e
gli stava inginocchiato di fronte: “Ce la fai o sei ferito?” proseguì, cercando
con la sua voce stranamente bassa di farsi sentire in quel marasma di feriti e,
Misaki rabbrividì, di morti.
Takahashi annuì e
afferrò quella mano tesa con forza, per poi, con l’aiuto del suo insperato
salvatore, tirarsi in piedi: “G-Grazie…” balbettò il bruno a fatica, poggiandosi
a lui per non cadere di nuovo a terra, sentiva ancora più dolore mentre
respirava.
“Sembri messo proprio
male, dobbiamo portarti fuori di qui.” notò l’altro pensieroso mentre faceva
passare il braccio del ferito dietro la propria nuca: “Hai nausea?” gli domandò
subito dopo, mentre cercava di spostarlo senza ulteriormente aggravarne la
condizione.
Misaki scosse la
testa: “Mi gira la testa però…” ammise con un filo di voce, “Stai sveglio,” lo
rimbrottò il moro, “Come ti chiami” gli chiese, mentre lo sorreggeva per
portarlo in un posto più tranquillo.
“T-Takahashi Misaki…”
si presentò il bruno, puntando su di lui una sguardo interrogativo e allo stesso
tempo sofferente: “Io sono Kusama Nowaki, puoi fidarti di me.” lo tranquillizzò,
“Ero in un’altra stanza quando è esploso tutto e sono corso qui a vedere se ci
fosse bisogno di aiuto… E ho trovato quel disastro. Ti ho visto muoverti e
lamentarti e ho pensato che potevo almeno portare te in salvo.” mugugnò,
cercando di tenere a bada paura e ansia.
“G-Grazie dell’aiuto…”
sussurrò il ferito: “Hai per caso visto in giro qualcun altro?”
“A parte quei quattro
o cinque che abbiamo lasciato lì, nessuno… Stavo cercando un… amico con cui sono
venuto, ma lì non c’era…” replicò il moro: “Eri anche tu qui con qualcuno?”
indagò Nowaki, cercando di guardarlo in viso, “S-Si, col mio tutor… Ma non era
con me al momento dell’esplosione.” bofonchiò Misaki, cercando di trattenere le
lacrime.
“Vedrai che starà
bene. Ora cerchiamo di uscire da qui.”.
Ma lasciare quel luogo
sarebbe stato più difficile del previsto: le scale che portavano ai piani
inferiori erano bloccate dalle macerie e le uscite di sicurezza erano perciò
inagibili.
Non potevano morire in
quel luogo!
A quel pensiero,
Misaki si strinse di più al ragazzo più grande, tossendo e singhiozzando: “Ehi,
calmati!” tentò di rassicurarlo Kusama, accarezzandogli i capelli sudati e
sporchi di sangue secco, “Ti porterò fuori di qui, è una promessa.” esclamò lui,
guardandosi febbrilmente attorno, da dove potevano uscire?
“S-Scusa… è che…”
balbettò il bruno, abbassando lo sguardo: “È solo che…? Parla, sfogati pure, ma
non addormentarti e non farti prendere dal panico, dobbiamo essere lucidi in
questa situazione.” lo incitò il maggiore, con un sorriso pieno di comprensione
per poi sistemarselo meglio sulla spalla; Takahashi annuì, “Prima di venire qui
ho discusso con una persona, e se morissi qui o se fosse lui a morire… Non
potremmo mai più fare pace.”.
“E tu non pensarci,”
gli replicò con semplicità il moro, mentre lo trascinava su per le scale verso
il tetto: “Pensa invece che la rivedrai e che potrete chiarire ogni cosa non
appena avremo messo il naso fuori da questa trappola.”.
L’ottimismo di Nowaki
era così rassicurante che Misaki non poté non esserne contagiato: “D-D’accordo,
allora penserò a quale fiocco mettere a Suzuki-san la prossima volta che sarà il
mio turno, dovrà essere proprio speciale.” ridacchiò il diciottenne per
stemperare la tensione, “Che ne dici di uno con stampe di paperelle?” si sentiva
stupido a parlare di fiocchi con un altro ragazzo, ma era l’unica cosa a cui
riusciva a pensare in quel momento.
“Dipende per quale
animale è. Se è per un micio, io ne propongo uno a stampe di pesciolini.”
precisò Kusama, aiutandolo a salire i gradini mentre attorno a loro il palazzo
sembrava tremare: sperava che quel ragazzino che aveva salvato per un soffio non
se ne fosse accorto.
Misaki scoppiò a
ridere: “Suzuki-san è un orsacchiotto di peluche!” rivelò con tono giocoso, “Un
orso grande quasi quanto una persona normale.” aggiunse il bruno con aria
malinconica, “Appena lo rivedrò, voglio proprio che sia il più bel nastro…”.
“Allora che ne dici di
uno con stampe di foglie d’acero in autunno?” propose l’altro per distrarlo, “Ne
ho visto uno simile in un negozietto vicino all’Università.”.
Il palazzo tremò più
forte, tanto da buttarli a terra: ma Nowaki era stato più svelto e aveva
attutito col proprio corpo l’impatto al ragazzino più giovane; poi, un attimo
dopo, l’aveva rialzato in piedi e aveva ripreso a camminare: “Non possiamo
fermarci, siamo quasi in cima!” dichiarò senza perdersi d’animo.
Takahashi trattenne a
stento un lamento di dolore, sembrava come se il petto gli stesse andando a
fuoco e qualcosa gli stesse perforando la carne senza pietà; sentì le ginocchia
cedergli e si ritrovò seduto su uno dei gradini, con la vista annebbiata e
Nowaki che lo teneva per le spalle: “Forza, possiamo farcela…” la voce del
ragazzo più grande sembrava ovattata mentre gli parlava.
Il bruno si sentì
prendere in braccio, ormai non aveva più forze neppure per muovere un singolo
passo, il dolore al petto era troppo intenso, così forte da farlo scoppiare a
piangere come un bambino.
“Devi avere qualche
costola rotta, non agitarti.” cercò di tranquillizzarlo l’altro, ma la sua voce
era troppo lontana, irraggiungibile per Misaki, che sentiva sempre più pressante
la stanchezza e il sonno che lo assaliva a ondate continue.
All’improvviso, una
repentina raffica di vento gli sferzò il viso graffiato, strappandogli nuovi
lamenti di dolore mentre le correnti d’aria fredda gli si infilavano sotto i
vestiti eleganti tutti stracciati: “Siamo arrivati!” annunciò con sollievo
Nowaki, asciugandosi il viso con ciò che restava della manica e provvedendo a
detergere anche il volto del più giovane con cura e attenzione per non fargli
ancora più male.
Takahashi era poggiato
con la schiena contro uno dei comignoli, ma sentiva uno strano sbuffo d’aria
calda provenire da lì.
“E-Ehi… Cos’è questo
calore?” borbottò lui, alzando di poco la testa nel tentativo di richiamare
l’attenzione di Kusama su ciò che stava sentendo.
Il moro si avvicinò
leggermente, poi il bruno lo vide sbiancare: “Dobbiamo andarcene subito di qui,
ai piani più bassi è scoppiato un incendio.” annunciò seriamente, “ E non ci
vorrà molto prima che ci raggiunga quassù!” dichiarò, “Ce la fai a camminare?”.
“E da dove scendiamo?”
la voce del più giovane suonava spaventata.
“Aggrappati a me, le
scale antincendio sono ancora agibili ma dobbiamo fare presto.”.
Nowaki gli tese
nuovamente la mano e lo sollevò in piedi, ma Misaki stavolta urlò, sofferente:
si accasciò a terra, tenendo le braccia attorno allo sterno mentre la camicia si
stava macchiando di sangue.
Non c’era altro tempo
da perdere.
“Scusami…” gli mormorò
il moro, e senza tante cerimonie se lo caricò in spalla, cercando di arrecargli
meno dolore possibile, e si diresse cautamente verso la struttura metallica sul
retro dell’edificio. Da lassù, riusciva a vedere tutta la città illuminata,
udiva le sirene delle ambulanze e vedeva tutti i mezzi che circondavano il
palazzo.
Laggiù c’era la
salvezza, per sé e per quello scricciolo che teneva stretto a sé.
Ce l’avrebbero fatta,
lui sarebbe tornato da Hiro-san e Misaki avrebbe chiesto scusa alla persona con
cui aveva litigato.
Un piano perfetto.
Lentamente, scese uno
a uno i gradini, anche se dovette aggrapparsi più volte alla ringhiera per
evitare di cadere e per bilanciare il peso di Takahashi sul proprio corpo mentre
il vento forte sembrava volerli abbattere senza pietà.
Erano quasi arrivati
in fondo alle scale, mancava davvero poco, quando una nuova esplosione sventrò
uno dei piani sopra di loro: Kusama si rannicchiò su sé stesso, facendo scudo al
più giovane mentre lo scoppio poderoso faceva cadere una pioggia di cristalli su
di loro, graffiandogli leggermente la pelle scoperta di collo e braccia.
Ma quel dolore era
nulla rispetto alla vicinanza della salvezza.
Nowaki fece un piccolo, ultimo sforzo nel
sollevare il diciottenne semiprivo di sensi e quando infine riuscì a toccare
l’asfalto della strada, le sue gambe, che fino ad allora avevano retto
egregiamente, lo abbandonarono, lasciandolo prostrato al suolo.
Subito, i suoi sensi
ovattati percepirono grida, urla e altre sirene, che gli trapanarono
letteralmente i timpani: era esausto e non voleva sentire tutto quel chiasso,
voleva solo che Misaki stesse bene e voleva rivedere Hiro-san.
Punto.
Il resto non contava.
“NOWAKI!!”
La voce che lo assordò
un minuto dopo risuonò forte sopra tutti gli altri rumori e quando finalmente
riuscì ad aprire gli occhi, si trovò davanti il volto rigato di lacrime di
Hiro-san, che lo teneva leggermente sollevato: “STUPIDO! Dov’eri finito?!?!”
accidenti, doveva averlo fatto preoccupare davvero tanto, “M-Misaki-kun…?”
borbottò il moro con un lieve sorriso.
Hiroki si asciugò il volto: “A lui ci pensa
Akihiko.” lo rimproverò, mentre aiutava i soccorritori a distenderlo su una
lettiga.
Con la coda
dell’occhio, Kusama vide il piccoletto venire portato via da un uomo coi capelli
argentati, che subito identificò come Usami Akihiko, l’amico del suo fidanzato,
lo vide baciarlo con dolcezza, pur se davanti a tutti, vide le braccia di Misaki
strette attorno al collo dello scrittore.
Rise sommessamente:
“Allora era da lui che dovevi tornare…” mormorò con tono divertito mentre una
mano sconosciuta gli metteva sul viso una mascherina per l’ossigeno: “Chiedigli
scusa come si deve…” si raccomandò con un filo di voce, prima di crollare
definitivamente.
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