Seconda e ultima parte della storia
Seconda e ultima parte della storia. Ho visto che
l’avete letta in tanti, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, anche solo
per sapere com’è andato il mio primo esperimento yaoi (infatti, le ff su
Alexander le ho scritte dopo). Spero che la conclusione non vi deluda.
Buona
lettura.
-
II parte -
Era una sera quieta e la luce di
una grande luna piena frugava tra gli ulivi; Patroclo non si sentiva molto di
compagnia, per quello aveva deciso di sgattaiolare dalla casa per andare a
sedersi sulla riva del limpido ruscello, che scorreva tra gli alberi. Ora
sgranocchiava svogliatamente una mela, concentrandosi sull'allegro scorrere
dell'acqua. La giornata non era stata delle migliori, in senso fisico e morale,
per questo si sentiva stanco. Era riuscito a farsi prendere da un senso
d’inadeguatezza che, di solito, provava solo alla presenza di suo padre; non
sapere minimamente che cosa fare era opprimente. Staccò l'ultimo pezzo di mela,
poi gettò il torsolo nel ruscello.
"Sei triste?" Gli
domandò una voce bassa e profonda, ben conosciuta; si voltò sorridendo
stentatamente, come diavolo faceva a comparirgli sempre alle spalle senza farsi
sentire?
Achille gli sedette accanto e
prese ad osservare anche lui il ruscello; il ragazzo gli rivolse un'occhiata che
doveva essere fuggevole, ma i suoi occhi rimasero incatenati alla sua figura
illuminata dalla luna... Santi numi, la
sua bellezza a volte è veramente sconvolgente... La sua pelle serica,
illuminata dai lattei raggi della luna, diveniva quasi opalescente, i suoi
capelli chiari ricadevano in morbidi ricci argentei e risplendevano nell'ombra,
gli occhi di mare rilucevano come stelle.
In quell'istante, però, Achille
si voltò verso di lui con sguardo interrogativo, e Patroclo ricordò di non
aver ancora risposto alla sua domanda. Chinò gli occhi, imbarazzato.
"Non sono triste, sono solo
stanco." Mormorò.
"Bene, mi sarebbe
dispiaciuto molto trovarti triste..." Ribatté l'altro con estrema
dolcezza; Patroclo lo guardò, piacevolmente stupito dal tono usato.
"Scusa." Affermò il
ragazzo, dopo alcuni attimi di silenzio; Achille l'osservò aggrottando le
sopracciglia, non capiva perché si scusasse.
"Perché?" Gli chiese.
"Beh, oggi pomeriggio ti ho
messo in imbarazzo..."
"No, sono io che.." Si
affrettò ad intervenire lui, mettendosi in ginocchio vicino all'amico seduto
sull'erba.
"Non hai nemmeno
nuotato." Dichiarò sconsolato Patroclo. "Mi pare di aver capito che
ti piace molto farlo, scusami anche per quello..." Continuava a parlare
guardandosi i calzari.
"Non è un problema,
davvero." Lo interruppe sereno Achille. "Lo farò domani."
Aggiunse posandogli le mani sulle spalle; Patroclo alzò lo sguardo su di lui,
si guardarono un attimo negl'occhi, poi entrambi sorrisero.
"La prossima volta che
decido di affrontarti, ti prego, riportami alla ragione prima che sia
tardi." Disse Patroclo, dopo che si furono rimessi in piedi.
"Come vuoi." Rispose
l'amico, sorridendo divertito.
I due ragazzi s'incamminarono
verso la casa, si stava facendo tardi; fatti alcuni passi lungo il ruscello, però,
vista l'oscurità dovuta ad una nuvola che passava davanti alla luna, Patroclo
mise un piede in fallo e cadde seduto nell'acqua bassa.
"Cazzo!" Imprecò,
passandosi una mano bagnata tra i capelli.
"Ahahahahaha!!"
Achille, invece, era scoppiato a ridere, osservando la sua ridicola posizione
alla luce di una luna di nuovo splendente.
"E tu aiutami, invece di
ridere come un idiota!" Gli urlò indignato.
Con ancora le lacrime agli occhi
per le risate, Achille si avvicinò e gli porse la mano.
"Scusami, ma è stato
troppo divertente!" Gli disse, mentre Patroclo afferrava il suo polso per
tirarsi su; ma, quando fu a metà della risalita, invece di spingersi con le
gambe per rialzarsi del tutto, fece leva sul braccio sbilanciando Achille, che
perse l'equilibrio e cadde a pancia in giù nell'acqua.
"Ahahahah! Adesso rido
io!" Esclamò il ragazzo soddisfatto, pur essendo ricaduto anche lui; nel
frattempo Achille aveva risollevato il viso dall'acqua e lo guardava con occhi
che non promettevano nulla di buono.
"Se ti prendo..."
Minacciò ringhiando.
"Uh, sei anche permaloso!
Mamma mia!" Ribatté divertito l'altro, cominciando a scappare verso la
riva; Achille lo inseguì.
Lo afferrò per le ginocchia,
facendolo cadere con la faccia sull'erba, Patroclo si girò e gli schizzò la
faccia, ormai era chiaro che il gioco si faceva duro. Achille lo tirò per le
gambe e lo fece andare con la testa sott'acqua, lui tornò subito su, tirandogli
una grossa manata d'acqua. Continuarono a schizzarsi per un po', ridendo e
divertendosi come bambini, finché non crollarono esausti sull'erba.
Solo dopo qualche minuto
Patroclo si accorse di avere la mano di Achille ferma sull'addome; lo guardò:
era a faccia in giù e con il capo voltato dall'altra parte. Il ragazzo prese un
sospiro più profondo e poi mise la sua mano su quella dell'amico, stringendola
delicatamente.
"Che fai?" Gli domandò
Achille, senza girarsi.
"Niente..." Rispose
Patroclo leggermente imbarazzato; l'altro ragazzo si alzò sui gomiti e,
finalmente lo guardò.
"Che ci sta
succedendo?" Era maledettamente serio.
"Non lo so, vorrei capire,
ma non ci riesco." Ammise con sincerità Patroclo.
"Ma noi siamo amici, o
cosa?" Chiese il ragazzo dagl'occhi di mare, sembrava rivolto più a se
stesso che all'altro, fissava chissà cosa davanti a se.
"In questo momento sarei più
propenso per il cosa..." Rispose poco seriamente Patroclo.
"Smettila di fare lo
scemo!" Sbottò il Pelide.
"Ascolta..." Gli
mormorò, avvicinando la testa alla sua. "Io penso che siamo solo due
ragazzi un po' confusi, so soltanto che quando sono con te sto bene, anche se mi
fai venire dei dubbi che mai avevo avuto prima. Cosa c'è tanto da pensare?
Staremo a vedere cosa ne verrà fuori." Concluse il discorso con un sorriso
dolce; Achille lo fissò per alcuni istanti.
"Dunque sostieni che
dovremmo seguire il nostro istinto?" Gli domandò poi.
"Uhum." Annuì
Patroclo.
"Seguire i propri desideri
a volte può essere pericoloso..." Mormorò allora Achille, scostandogli
delicatamente i capelli bagnati dal viso, quasi con una carezza, mentre lo
guardava serio.
"Non questa volta,
credimi." Sussurrò il ragazzo castano, fissandolo negli occhi.
Si guardarono per alcuni,
infiniti, attimi, complice la luce argentata della luna piena, entrambi preda di
confuse emozioni, ancora più confuse pulsioni, e dei battiti accelerati dei
loro cuori; poi Achille, che aveva fermato la sua mano sul collo di Patroclo, lo
attirò a se, senza incontrare resistenza, e posò le proprie labbra sulle sue.
Fu un bacio piuttosto lungo e
appassionato; si abbracciarono, stesi sull'erba della riva, passando le mani
l'uno nei capelli dell'altro, mentre le reciproche lingue esploravano bocche
assetate di emozioni. Il momento era dilatato come un’eco.
Quando si separarono, Patroclo
si sollevò sulle braccia per guardarlo in faccia; si scambiarono uno sguardo
imbarazzato, poi il ragazzo distolse gli occhi, non riuscendo però a trattenere
una risata divertita.
"Perché ridi?" Domandò
stupito Achille.
"No, è che... è assurda
questa cosa! Ahahah!" Rise ancora Patroclo. "Io, che venendo qua mi
chiedevo cosa avrei fatto al posto tuo, con tutte queste donne intorno, mi
ritrovo a baciare proprio l'unico uomo! Troppo divertente! Ahahahah!"
"Non ci trovo nulla di
divertente..." Replicò imbarazzato Achille, voltando il capo.
"Non hai senso
dell'umorismo, tu." Disse l'altro, mentre posava la testa sul suo addome;
il Pelide sgranò gli occhi, dandogli un'occhiata imbarazzata. "Se dovessi
prenderla sul serio, sarebbe un bel problema..." Sussurrò poi,
socchiudendo gli occhi; Achille sorrise dolcemente, poi abbracciò la sua testa
e gli carezzò i lunghi capelli castani. Rimasero così, stesi sull'erba,
illuminati dalla luna.
La luce del sole ferì gli occhi
di Patroclo, appena la tenda fu scostata; il ragazzo sollevò lentamente le
palpebre, e la prima cosa che vide, nella luce chiara e fresca del mattino, fu
Achille, con le braccia appoggiate sul davanzale della finestra, nudo. Sorrise,
stropicciandosi il naso.
"Buongiorno." Mormorò
poi; Achille si voltò con un sorriso. "Questa non è camera mia."
Aggiunse Patroclo, accorgendosi del grande letto e dell'arredamento prezioso
della stanza.
"No, è la mia."
Rispose l'amico, sedendosi sul bordo del letto; e ancora una volta, Patroclo si
trovò ad ammirare il suo corpo perfetto.
"Non ho fatto qualcosa di
cui mi possa pentire, vero?" Gli domandò, distogliendo l'attenzione da
quella pelle liscia e candida.
"Assolutamente no, e
comunque non te lo avrei permesso." Ribatté Achille, sistemandosi una
ciocca di capelli dietro l'orecchio; ogni più piccolo gesto lo rendeva
desiderabile, era un capolavoro.
"Bah, il fatto è che non
mi ricordo di essermi addormentato qui..." Guardò sotto il lenzuolo.
"...nudo." Aggiunse alzando gli occhi sull'altro ragazzo.
"Sarà perché già
dormivi, quando ti ci ho portato." Replicò retorico Achille, con un mezzo
sorriso; Patroclo rispose sbuffando e coprendosi il viso con l'avambraccio.
"Hai fame?" Gli chiese allora; lui tolse il braccio, i suoi vivi occhi
nocciola brillarono.
"Da morire!" Rispose
allegramente.
"Allora vestiti." Gli
consigliò Achille, che, dopo essersi messo in piedi, stava indossando un lungo
abito bianco panna.
"Ma che fai?" Disse
Patroclo, sollevandosi a sedere sul materasso. "Ti vesti ancora da
donna?"
"Per favore." Replicò
serio l'altro, girandosi verso di lui. "Sai che non posso farne a
meno."
"E' solo tua la
scelta." Dichiarò Patroclo, fissandolo negl'occhi; Achille chinò il capo,
continuando a vestirsi.
Scesero a fare colazione,
recandosi direttamente nella cucina; le figlie di Licomede li osservavano
stupite scambiarsi sorrisi complici, mentre Achille mangiava come una fanciulla
non dovrebbe mai fare, sotto lo sguardo divertito di Patroclo. Durante la
mattinata vennero anche a sapere che Ulisse era sceso al porto; Patroclo si
meravigliò che non lo avesse avvertito, ma Achille replicò che, forse,
semplicemente non lo aveva trovato, visto che dormiva in camera sua. Il ragazzo
rimase perplesso.
La risposta ai suoi dubbi,
Patroclo l'ebbe quella sera: Ulisse rientrò a casa di Licomede con due carri
carichi di merci. Il ragazzo e Achille osservarono la scena dalla balconata che
dava sul cortile interno; il falso mercante annunciò l'arrivo delle sue
mercanzie, quella sera le avrebbe mostrate agli abitanti della casa. Patroclo
s'insospettì, non era uno stupido e conosceva Ulisse abbastanza bene da sapere
che il re di Itaca aveva in mente qualcosa; si voltò verso Achille, ma sembrava
che l'altro non si fosse curato molto delle novità. Avrebbe scoperto tutto solo
dopo cena.
Il grande salone era illuminato
riccamente ed invaso da stoffe, casse di gioielli, oggetti rari e preziosi; il
padrone di casa era disteso sul suo lungo sedile, circondato dalle figlie. Un
po' in disparte, appoggiata ad una colonna c'era Altea, vicino a lei Patroclo.
"Guardate!" Annunciò
Ulisse, indicando la mercanzia. "Guardate, che meraviglie vi ho
portato!" Continuò con fervore. "Sete e lini, intessuti di perle e
d'oro, come usa sulla sponda orientale del Ponto Eusino, legni profumati e
incensi dal sud, gioielli tanto belli che nemmeno la regina di Argo ne
possiede!" Continuò, ma non gli era sfuggito lo sguardo scettico della
*fanciulla* dagli occhi color oceano e il suo sorrisetto sardonico. "Non ti
piacciono queste stoffe... Altea?" Domandò, sottolineando il nome; lei
rispose solo increspando leggermente un lato delle sue perfette labbra.
"Eppure questo colore ti dona..." Riprese, posandogli sulla spalla un
panno dai cangianti colori rosa; lei lo spinse via piano, facendolo cadere a
terra, sempre con la stessa espressione indecifrabile. Patroclo li guardava
preoccupato. "Preferisci forse il verde mare, Altea? Ho anche
quello..." Ma lei lo ignorò, scostandosi con eleganza, mentre le altre
fanciulle si assiepavano intorno ai prodotti con risolini entusiasti.
Percorse alcuni passi, con aria
distratta, come se nulla di quello che vedeva la interessasse; Patroclo ne
seguiva ogni spostamento, cominciava ad intuire dove voleva arrivare Ulisse, ma
quello che lo preoccupava di più era pensare che Achille, invece, lo aveva
capito benissimo e lo stesse assecondando.
Un ultimo sensuale passo avvicinò
Altea ad un grosso baule aperto; lanciò uno sguardo e un sorriso retorico ad
Ulisse, poi chinò gli occhi sul contenuto dello scrigno. Vi erano gioielli,
bracciali, collane e orecchini, ed altri oggetti preziosi, come pugnali
intarsiati, scacciamosche finemente decorati, fibbie d'oro.
"Preferisci forse i
gioielli, Altea?" Le chiese Ulisse; Patroclo fece un passo verso di loro,
mentre lei sollevava dal baule un fodero di cuoio decorato da fili d'oro e
pietre preziose, in cui era riposta una spada.
Achille guardò di nuovo Ulisse,
e ancora increspò le labbra, mentre gli occhi chiari dell'uomo ebbero un
luccichio soddisfatto; Patroclo scosse la testa, abbassando il capo, in quel
momento sentiva come se l'inevitabile fosse già successo e l'eco di tutto un
destino già piombato su di loro, tutti loro.
Fu allora che Achille sfoderò
la spada, con un sibilo metallico inquietante; le figlie di Licomede
sobbalzarono, alcune gridarono, il padrone di casa balzò in piedi. Il giovane
puntò la lama alla gola di Ulisse.
"Tu lo sai chi sono io,
vero?" Gli domandò minaccioso, ma senza perdere il suo sorrisetto.
"Santi Numi del cielo, che
cosa stai facendo!" Gridò Licomede, avvicinandosi; il ragazzo si girò e
indirizzò la spada verso di lui, che spalancò gli occhi allibito.
"Taci tu, codardo, non sto
parlando con te!" Ribatté deciso Achille, con nella voce tutto il
disprezzo represso per anni; le fanciulle urlarono. "Zitte!" Gli ordinò
il ragazzo, loro si ritirarono impaurite in un angolo.
Ulisse, nel frattempo, al
contrario di Patroclo, sorrideva, non troppo sorpreso dalla personalità che il
giovane semidio stava dimostrando in quel salone; quando Achille si voltò di
nuovo verso di lui, lo trovò impassibile, con un sorriso furbo e gli occhi
scintillanti.
"Tu sai chi sono io."
Gli disse.
"Io lo so." Rispose
Ulisse. "Ma sei tu che ti devi dichiarare." Aggiunse con calma.
Il ragazzo afferrò la spalla
del suo vestito e la strappò con forza, mostrando un torace decisamente
maschile; Patroclo si passò una mano sul viso, Ulisse sorrideva soddisfatto e
Licomede diventava sempre più paonazzo.
"Io sono Achille, figlio di
Peleo." Affermò poi, con sicurezza.
"Tu, tu, stolto!" Cominciò ad urlare il padrone di casa,
brandendo l'indice verso Achille. "Non hai il diritto di fare questo, non
puoi condannare me e la mia famiglia alle maledizioni di tua madre! Io ti ho
ospitato nella mia casa, ti ho campato per anni!" Continuò con espressione
isterica.
"Smettila, inutile
omuncolo, credi che non sappia il motivo che ti ha spinto ad accogliermi?"
Replicò il Pelide, osservandolo con malcelato disgusto. "Mi hai tenuto qui
solo per paura, solo il timore dell'ira di mia madre e le sue promesse di
prosperità per la tua casa, mi hanno dato un tetto." Aggiunse. "Fosse
stato per te, sarei cresciuto per la strada, come un cane randagio."
"Queste accuse sono
gratuite!" Protestò Licomede. "Ti ho curato come farebbe un
padre!" A quelle parole, Achille prese un lungo respiro, poi si girò verso
di l'uomo, con uno sguardo raggelante.
"Non hai idea di quanto
false siano le tue dichiarazioni!" Gli gridò con rabbia. "Un padre
non mi è mai mancato, e lo sai, tu non sei degno nemmeno di pulirgli i calzari,
coniglio!" Licomede tremò, tirandosi indietro; le sue figlie
piagnucolarono, nell'angolo dove si erano rifugiate.
Ulisse e Patroclo si scambiarono
un'occhiata, entrambi non erano stupiti da questa dimostrazione di carattere del
Pelide, sapevano che lui era come un fuoco sopito, e sarebbe bastato attizzarlo
per far esplodere la fiamma che era celata sotto la cenere; adesso il colpo era
dato, nessuno lo avrebbe fermato più.
"Fuori da qui, donne!"
Gridò Achille, rivolto alle fanciulle, torvo. "Non sopporto più le vostre
voci, le vostre frivole risate, le inutili lacrime, USCITE!" Piangendo
spaventate, le ragazze si ritirarono nelle stanze interne della casa; lui si girò
verso i due falsi mercanti, soddisfatto. "Erano anni che sognavo di
farlo." Poi spostò gli occhi sul solo Ulisse. "E ora dimmi, Re di
Itaca, che cosa vuoi da me?"
"Anche tu sai chi sono,
allora." Affermò l'uomo dai capelli neri.
"Non è stato difficile
scoprirlo, mio padre ti conosce." Spiegò Achille. "Adesso
parla." Lo incitò poi; Ulisse si mosse, cominciando a spostarsi per la
stanza.
"In questi anni ci sono
state molte battaglie, che per lo più, ogni regno della Grecia ha combattuto da
solo, ora, un simposio dei principi greci, ha firmato un'alleanza." Cominciò
a spiegare l'uomo. "Certo, i combattimenti non sono finiti, ma i regni
principali sono in pace." Affermò allargando le braccia. "Adesso si
prospetta una guerra contro Troia, e abbiamo bisogno di nuove leve, nuovi
condottieri per gli eserciti..." Achille ne seguiva i passi, ascoltandolo.
"...la leggenda afferma che tu, saresti diventato un guerriero più grande
di tuo padre... e lui ha vinto molte battaglie..."
"Dove vuoi arrivare?"
Fece il giovane, con un cenno del capo, osservandolo a braccia conserte.
"La domanda giusta è dove
vuoi arrivare tu." Replicò Ulisse. "Quanta gloria sei disposto a
conquistare, su un campo di battaglia? Questa sarà la più grande guerra mai
vista, tutti i più valenti guerrieri di questa generazione vi parteciperanno,
è la tua occasione." Rincarò l'uomo, aveva notato l'espressione del
ragazzo. "E' il tuo destino, se lasci questa vita, l'alternativa è la
guerra, e potresti diventare il più grande eroe che la Grecia abbia mai
avuto." Aggiunse, fermandosi ad un passo da lui.
"Il più grande?"
Domandò Achille; Ulisse annuì. "Più grande di Perseo?"
"Nemmeno lontanamente
paragonabile." Rispose l'uomo.
"Più di Giasone?"
"Molto, molto di più."
"E più di... Eracle?"
Stavolta la risposta ci mise un po' di più ad arrivare, sotto lo sguardo
incuriosito di Patroclo.
"A quel livello
almeno." Precisò Ulisse; Achille fece un sorrisino divertito.
"Bada, che ancora non ho
deciso se accettare." Dichiarò il ragazzo.
"La scelta è tua."
Affermò l'uomo, allontanandosi e allargando le braccia. "Hai davanti le
alternative, ma a questo punto, sappi che rimanere qui sarebbe un peccato nonché
uno spreco." Aggiunse tranquillo.
"La mia decisione non
dipende solo da me." Precisò Achille, tornando serio. "E sappi che,
se decido di accettare, non sarò disposto ad essere comandato, io non sono un
cane e non ho padroni." Aggiunse, fissando i suoi occhi verdeblu in quelli
trasparenti del suo interlocutore.
"Mah, per quanto mi
riguarda..." Ribatté Ulisse, stringendosi nelle spalle. "...da quel
punto di vista non ci sono problemi." Concluse allargando le mani; così
aveva scaricato la famigerata patata bollente nelle mani di qualcun altro. E
gli hai dato una bella gattina da pelare, a quella boriosa vescica di vacca di
Agamennone... Pensò Patroclo, sorridendo sotto i baffi.
"Avrai la mia risposta
domani al tramonto." Dichiarò Achille, interrompendo i pensieri dell'altro
ragazzo, che lo guardò.
"L'aspetterò."
Rispose Ulisse; il Pelide annuì, poi gli diede le spalle, allontanandosi.
Patroclo fece per seguirlo, ma
fu fermato dalla mano dell'uomo, che si strinse sulla sua spalla; si scambiarono
un lungo sguardo, Ulisse scosse il capo, come a volergli dire di non andare.
"Sei sicuro che abbiamo
fatto bene?" Domandò il ragazzo, incerto.
"Questa scelta è il suo
destino, ma per noi è una necessità." Replicò Ulisse, posando una mano
sulla sua spalla. "Il bene di molti viene prima di quello di uno."
Aggiunse, poi se ne andò.
Il problema, però, per
Patroclo, era che quell'uno fosse Achille, che fosse la sua vita il prezzo da
pagare per vincere una guerra, e questo no, non lo poteva accettare.
Achille era fermo sulla sabbia,
dove l'acqua limpida lambiva i suoi piedi; aveva appena finito di nuotare e si
era portato i lunghi capelli bagnati dietro la schiena, ora sembrava in attesa
di qualcosa. Pochi istanti dopo, lo specchio di mare davanti a lui, cominciò ad
incresparsi, poi a schiumare, finché, lentamente, sorse una figura fatta
d'acqua, che si trasformò infine in una persona. Era una donna, molto giovane
all'apparenza; conchiglie, coralli e perle le adornavano i capelli, in tutta la
loro lunghezza, e anche l'abito, una semplice tunica bianca. Aprì gli occhi,
che avevano il colore dell'oceano, e si prese le mani.
"Tu hai già deciso."
Affermò poi, guardandolo negl'occhi.
"Sai sempre tutto,
tu." Replicò il ragazzo, chinando il capo.
"Mi hai tradito,
Achille." Continuò la donna, restando impassibile; lui rialzò gli occhi e
la guardò.
"No, non l'ho fatto,
madre!" Gridò indignato. "Ho solo preso una decisione da solo, per la
prima volta in vita mia non dipendo dal volere degli altri."
"Tutto ciò che ho fatto,
è stato per proteggerti Achille." Ribatté Teti.
"La scelta che mi è stata
posta davanti, madre, solo io posso farla." Riprese il ragazzo. "La
mia vita non ti appartiene."
"Io, ti ho dato quella vita
che denigri tanto!" Esclamò la dea, portandosi una mano al petto.
"Non lo faccio,
madre!" La sua voce era accorata. "Credimi, sull'amore che ti porto,
io ho solo bisogno di dimostrare a me stesso che valgo qualcosa!"
"Con la morte, lo vuoi
dimostrare? Perché lo sai, questo è scritto, se combatti morrai, il filo sarà
reciso..." Teti lo prese per le braccia.
"Che lo sia." Dichiarò
serio lui. "Io non tornerò a fare una vita che mi umilia e degrada, il mio
orgoglio non è più disposto ad accettarla."
"Le scelte che ho fatto
sono state per il tuo bene." Insisté lei.
"Quante? Quante scelte hai
fatto al posto mio?!" Gridò Achille adirato. "Dimmelo, madre! Come
hai cambiato la mia vita?!"
"Tu non puoi
capire..." Mormorò la dea, scuotendo il capo. "Io volevo portarti con
me sull'Olimpo."
"Ma non hai potuto."
Disse il ragazzo. "E allora perché non mi hai affidato a mio padre?! Perché
mi hai tenuto lontano da lui per anni, affidandomi a gente estranea?! Ha dovuto
cercarmi!"
"Non capisci..." Fece
ancora Teti, tenendo gli occhi bassi. "...il tuo amore per Peleo ti acceca
lo sguardo..."
"E' il tuo odio per lui,
che io non capisco." Affermò il ragazzo, interrompendola; la dea rialzò
gli occhi su di lui, colta di sorpresa.
"E' un mortale,
Achille."
"Anch'io lo sono."
Replicò il giovane. "Odi forse anche me?"
"Ma che cosa dici!"
Ribatté con veemenza lei, prendendogli il viso tra le mani. "Io ti amo, tu
sei mio figlio!"
"E allora, lasciami
andare." Rispose lui. "Sciogli quest'ultima catena che mi lega a te, e
lasciami vivere la mia vita, lunga o breve che sia, gloriosa o inutile, ma
lascia che sia io a sceglierla."
"Come faccio a lasciarti,
sei tutto ciò che ho." Sussurrò la dea, abbracciandolo; Achille la
strinse a se.
"Lo so, per una dea
immortale è arduo rassegnarsi al fatto che suo figlio non lo sia." Mormorò
poi, carezzandole i capelli. "Ma non devi avere rimpianti, poiché mi hai
dato tutto l'amore che una madre può dare, e so che non mi lascerai, fino alla
fine." Aggiunse dolcemente; Teti si scostò leggermente.
"Il mio conforto e il mio
consiglio non ti mancheranno mai." Dichiarò, carezzandogli il viso.
"Grazie, madre mia."
Disse il ragazzo; lei lo fissò ancora per qualche attimo, poi gli baciò la
fronte, infine si allontanò di qualche passo e scomparve come era venuta.
Achille respirò intensamente il
profumo del mare; non sperava che Teti avrebbe accettato la sua decisione, ma
forse lei già sapeva che lo avrebbe fatto e, conoscendolo, sapeva che
l'opposizione sarebbe stata controproducente. Fece un sorriso amaro, poi si voltò;
c'era Patroclo, a qualche passo da lui, sulla spiaggia.
"Con chi parlavi?" Gli
domandò l'amico, con una strana espressione.
"Non prendermi per
pazzo." Rispose Achille. "Era mia madre, tu non puoi vederla."
Aggiunse; allora Patroclo sorrise. "Sei qui da molto?" Gli chiese poi.
"Beh, no, sono appena
sceso..." Indicò la scogliera. "Ti ho visto ringraziare l'aria e...
ho pensato di raggiungerti, ecco." Spiegò.
"Capisco." Annuì il
Pelide sorridendo con una punta di tristezza; Patroclo lo guardò negl'occhi.
"Ti ha accordato il suo
permesso?" Chiese poi, indicando col capo il mare.
"Sì." Confermò
Achille. "Adesso dovrò parlare con mio padre, e sarà più difficile, lei
mi potrà seguire, lui no." Aggiunse mesto.
"Vuoi che venga con
te?" Si offrì Patroclo; l'amico gli sorrise dolcemente, ed era stupendo
quando lo faceva.
"Non è necessario,
comunque grazie." Gli rispose, poi gli diede un tenero bacio sulla guancia.
Il ragazzo lo guardò andar via,
come sempre turbato dalla sua contraddittoria presenza, da quel contatto così
spontaneo eppure strano; da una parte sentiva così naturale, ciò che lo
spingeva verso Achille, come se lo avesse sempre cercato, e dall'altra gli
sembrava di andare contro le convinzioni che lo avevano animato per anni. Una
cosa era certa, più passava il tempo, e meno sapeva fare a meno di lui, il solo
pensiero di poter essere presente, il giorno della sua caduta, gli lacerava il
cuore.
"Lo sapevo." Affermò
Peleo, quando il figlio ebbe finito di esporgli la situazione e comunicato la
propria decisione. "L'ho saputo fin da quando ho conosciuto Patroclo, che
era arrivato il momento."
"Non lo faccio per lui, ma
per me stesso." Replicò Achille.
"So anche questo."
Annuì il padre. "E' probabile che sarebbe successo comunque, non possiamo
sottrarci al nostro destino, la vita è un percorso che qualcuno ha deciso prima
di noi." Aggiunse. "Tu sei stato privilegiato, ti è stata data la
possibilità di scegliere il tuo fato, ma io ero consapevole che la scelta
sarebbe stata questa, perché tu sei nato per combattere."
Achille ascoltava la parole di
suo padre standogli al fianco, col capo chino e gli occhi persi nel luccichio
delle onde sotto la scogliera; non sapeva cosa rispondergli, in quel momento
aveva solo voglia di piangere, non si era mai sentito così fragile.
"Io ti ho insegnato tutto
quello che so." Continuò Peleo, osservando l'orizzonte. "Non ti resta
che dimostrare di essere più grande di quanto io sia stato mai, e so che lo
farai..." Lo interruppe l'impetuoso abbraccio del figlio; lui lo strinse a
se, carezzandogli il capo.
"Non avrò mai parole, per
ringraziarti di ciò che ho imparato da te, ma soprattutto..." Mormorò,
cercando di trattenere le lacrime. "...per l'amore che mi hai dato, il tuo
insegnamento più grande."
"Figlio mio..." Disse
l'uomo, commosso. "...io ho combattuto a lungo per te, ma non sono pentito,
perché tu mi hai reso orgoglioso, anche con la tua scelta di oggi." Lo
scostò da se, tenendolo per le spalle, e gli baciò la fronte.
"Grazie, padre..."
Achille si passò una mano sugl'occhi e gli fece un breve sorriso. "...io
sono orgoglioso di essere tuo figlio." Anche Peleo sorrise.
"Non ho più lezioni da
farti." Affermò allora l'uomo. "Ma un dono invece sì." Il
figlio lo guardò incuriosito. "Seguimi."
Andarono in una rimessa a lato
della casa, dentro la piccola costruzione c'era un bellissimo carro da guerra;
era costruito in legno pregiato e cuoio decorato, i raggi delle grandi ruote
sembravano il disegno di punte di stella.
"Questo carro..."
Esordì Peleo. "...mi ha portato a molte vittorie, in passato."
Achille lo osservava, girandoci intorno, i suoi occhi splendevano. "E'
robusto, ma leggero, molto maneggevole, e bene armato..." Si era accorto
che il figlio osservava le lame poste sui perni delle ruote. "Ma,
soprattutto, è imbattibile se trainato da loro." Il ragazzo alzò gli
occhi e vide suo padre indicare due cavalli ricoverati nella stalla ricavata
dall'altra metà della rimessa.
"Mi dai Balio e Xanto?!"
Chiese incredulo ed entusiasta; l'uomo annuì.
"Conosci la storia di quei
due cavalli, vero?" Gli domandò poi.
"Sì, me la narrasti anni
fa." Annuì il figlio. "Te li donò Poseidone il giorno delle tue
nozze."
"E' così." Confermò
il padre. "E da allora non sono invecchiati un giorno." Aggiunse,
avvicinandosi alle bestie e carezzando il muso di entrambi. "I magici
cavalli del dio dei mari, capaci della stessa velocità nell'acqua, sulla sabbia
e sulla roccia..." Annunciò, poi si girò verso Achille, guardandolo
negl'occhi. "Fai che ti riportino sempre indietro sano."
"E' un dono troppo grande,
non so che dire..." Ammise timidamente il ragazzo.
"E non devi farlo."
Ribatté Peleo. "Io sono tuo padre, questa è la mia eredità." Si
guardarono negl'occhi, sorridendo.
"Ora devo tornare."
Dichiarò infine Achille; il padre lo strinse per le spalle.
"Torna quando sarà il
momento di partire, ti darò il carro e ci saluteremo." Affermò l'uomo; il
ragazzo annuì, poi, dopo un ultimo sguardo al dono del padre, se ne andò.
Un tramonto particolarmente
infuocato arrossava l'orizzonte, affascinando lo sguardo di Ulisse, che lo
osservava dal balcone della casa di Licomede; Patroclo lo raggiunse.
"E' tornato?" Gli
domandò il ragazzo; Ulisse non si girò, ma scosse il capo.
"Lo sto aspettando."
Rispose poi.
"Sei deciso..."
Commentò Patroclo.
"E' lui che deve esserlo,
non sono autorizzato ad intervenire." Affermò l'uomo, continuando a
guardare il panorama.
"Ma lo hai fatto."
Replicò l'altro; lui si strinse nelle spalle.
"Non mi sembra più di
tanto."
"Io non credo che Achille
sia del tutto consapevole del fatto che se combatterà perderà la vita."
Dichiarò Patroclo, posando le mani sul parapetto del balcone.
"Oh, ti sbagli."
Ribatté Ulisse, voltandosi verso di lui. "Lui lo sa perfettamente, e
comunque, probabilmente, moriremo tutti, questa è la guerra." Aggiunse
calmo.
"Ma lui..." Mormorò
il ragazzo; l'uomo gli posò una mano sulla spalla.
"Patroclo..." Esordì.
"...so quanto è difficile pensare alla morte di qualcuno che si ama, io ho
una moglie e un figlio, che mi aspettano a casa."
"Non capisco cosa vuoi
dire..." Disse Patroclo, evitando il suo sguardo; per un qualche misterioso
motivo si sentiva in imbarazzo.
"Vi ho visti ieri
mattina..." Il ragazzo continuava a guardare altrove, ma si era irrigidito.
"Quando ho trovato il tuo letto vuoto, sono venuto a cercarti, in camera
sua..." Il cuore di Patroclo subì un'accelerazione. "...dormivate,
non abbracciati, ma tu gli tenevi la mano." Questo non lo ricordava, era
quasi sicuro di essere arrossito in quel momento.
"Non è successo niente di
quello che puoi pensare!" Replicò con veemeza, alzando gli occhi su
Ulisse.
"Io non penso nulla."
Affermò l'uomo, allargando le mani.
"E invece sì, perché ci
hai visti insieme, nudi a letto, e..." Protestò il ragazzo, sollevando le
mani strette a pugno. "Noi siamo solo amici!"
"E calmati!" Lo blandì
il re di Itaca. "Io non contesto la vostra amicizia, l'affetto, o qualsiasi
cosa vi unisca, è solo che il tuo attaccamento a lui ti ha portato perfino a
rinnegare la missione che ci ha portati qui." Spiegò poi. "Per
salvarlo saresti disposto a sacrificare una causa in cui credevi."
"Forse non ci credevo poi
così tanto..." Commentò Patroclo, col capo chino.
"Forse hai trovato qualcosa
che vale più di un ideale." Ribatté tranquillamente Ulisse; lui lo guardò,
sorpreso dalla verità di quelle parole. "Ad ogni modo, Achille verrà con
noi, perciò sembra che rimarrete insieme, anche se in battaglia."
Aggiunse, dandogli una pacca sulla spalla, poi tornò a girarsi verso il
balcone. "Sta arrivando." Annunciò.
Patroclo voltò a sua volta lo
sguardo verso l'esterno, vide subito l'elegante figura di Achille incedere
decisa verso la casa; il ragazzo era confuso, preoccupato e anche un po'
imbarazzato, era veramente così palese quello che provava? Si sentì indifeso.
Seguì Ulisse, dopo qualche
attimo di smarrimento, e quando arrivarono di sotto, Achille stava entrando nel
cortile; li guardò, poi si avvicinò al re di Itaca.
"Togliti dalla faccia quel
sorrisino soddisfatto." Gli disse. "Tanto lo sapevi che alla fine
avrei accettato." Aggiunse tranquillamente.
"Ho idea che la schiettezza
sarà il tuo peggior problema, Achille." Rispose Ulisse, mentre il ragazzo
gli passava accanto, camminando verso la casa.
"Tu non ti
preoccupare." Ribatté lui, alzando una mano. "I miei problemi li
risolvo da solo." Dichiarò salendo le scale.
"Salpiamo domani, prima di
mezzogiorno." Gli annunciò Ulisse, girandosi verso di lui.
"Così presto?"
Intervenne Patroclo, che fino ad allora era rimasto in silenzio; gli altri due
lo guardarono.
"La situazione in Grecia
sta precipitando, non abbiamo più tempo." Gli rispose Ulisse.
"Sarò pronto." Annuì
Achille, deciso come un generale navigato di fronte alle truppe, poi gli diede
di nuovo le spalle e scomparve dentro la casa.
Era inutile, quella sera
Patroclo non aveva voglia di dormire, benché si sentisse abbastanza stanco; la
luna era alta, e lui non sapeva far altro che vagare tra le piante di salvia,
rosmarino e alloro, nell'orto di Licomede. Si fermò sbuffando, appoggiato ad un
ulivo.
"Non riesci a
dormire?" Gli domandò Achille; lo aveva visto arrivare, e come sempre il
cuore ora gli batteva più forte.
"A dire il vero, non ci ho
nemmeno provato." Rispose il ragazzo.
"Che cosa ti
preoccupa?" Gli chiese dolcemente l'amico. "Non sei felice che venga
con voi?" Patroclo si girò, posando la fronte contro il tronco
dell'albero.
"Sono felice, ma allo
stesso tempo non lo sono." Confessò. "Tu mi confondi, io voglio stare
con te, ma temo di vederti in una battaglia." Aggiunse, socchiudendo gli
occhi.
"Purtroppo credo che sia la
mia stessa natura a causare queste contraddizioni, io sono un paradosso
vivente." Affermò Achille, poggiando la schiena allo stesso ulivo.
"Sono un semidio invulnerabile, i comuni mortali non potranno mai
accettarmi del tutto..." Continuò chinando il capo. "...e comunque
resto un uomo, che prima o poi morrà, perciò troppo poco per gli dei, non
degno di essere accolto nell'Olimpo." Patroclo lo guardò, stupendosi di
trovare un'espressione serena. "Per tutti questi motivi, mi sono costruito
una specie di mondo mio, dove solo io decido le regole."
"A volte mi fa un po'
paura, questo tuo mondo." Mormorò l'altro ragazzo, guardandolo negl'occhi.
"Sei stato tu a decidere di
metterci piede, Patroclo." Gli ricordò; lui sbuffò sorridendo, e tornò a
posare la fronte contro l'albero. "Oh, su!" Esclamò Achille,
abbracciandogli le spalle e posando il mento sulla sua spalla, Patroclo lo guardò.
"Lascia i timori, e ti assicuro che insieme conquisteremo il mondo!"
Sembrava tranquillo ed entusiasta, sorrideva.
"Se lo dici così, finirò
per crederci..." Disse Patroclo.
"Perché? Cosa ci
manca?" Chiese Achille, allegro, non lo aveva mai visto così.
"Abbiamo ardore, gioventù e forza, e siamo favoriti dagli dei."
Aggiunse stringendolo di più, poi rise. "Almeno per il momento, lo
siamo." Precisò divertito.
Patroclo lo osservava in
silenzio, gli sembrava trasformato, ora era veramente se stesso, senza doversi
più preoccupare di mantenere un segreto che di sicuro gli pesava; ed era bello,
come non lo aveva mai visto, dolce e deciso, luminoso, con un sorriso
irresistibile. Troppo tardi si accorse di essere rimasto imbambolato a fissarlo,
senza accorgersi che non parlava più ed ora lo osservava incuriosito; si
scambiarono uno sguardo, sorridendo, ma Patroclo voleva di più. Allungò il
collo e gli posò un fuggevole bacio sulle labbra; Achille non rimase stupito, e
replicò allo stesso modo.
Patroclo si girò nelle sue
braccia, e cominciarono a baciarsi lentamente; non fu una cosa passionale come
l'altra volta, piuttosto un reciproco e paritario scambio di tenerezza. Con le
mani di Achille sul viso, Patroclo stava bene, se fosse morto in quel momento,
sarebbe morto felice.
Rientrarono a casa quando la
notte era già alta, sereni, camminando affiancati e scambiandosi ogni tanto un
sorriso; quando furono sulle scale, Patroclo fermò Achille, lui lo guardò
interrogativo.
"Sai una cosa?" Gli
disse con dolcezza. "Tu devi essere proprio un grande condottiero."
L'altro ragazzo lo ascoltava incuriosito, reclinando il capo di lato.
"Anche senza armi, qualcosa lo hai già conquistato..." Achille
sorrise, con quel misto d'innocenza e decisione che lo rendeva unico, poi lo
prese per il collo, avvicinandolo a se, e gli baciò la guancia.
Peleo era seduto sul bordo del
pozzo, stava pulendo un piccolo scudo, ma era inutile negare che aspettava suo
figlio; nel suo animo si agitava un misto di consapevolezza, orgoglio e
malinconia che gli attanagliava il cuore. Sarebbe stata l'ultima volta che lo
vedeva.
E Achille arrivò, correndo su
per la collina; il padre lo accolse alzandosi e incrociando le braccia, ma
quando si fermò davanti a lui, le sciolse subito. Il ragazzo aveva il viso
arrossato e gli occhi lucidi, il fiatone non gli permetteva ancora di parlare.
"Che succede?" Gli
domandò preoccupato Peleo.
"Ho pianto per tutta la
strada." Rispose Achille, senza trattenere le lacrime che arrivavano di
nuovo; il padre sorrise tristemente e gli posò le mani sulle spalle.
"Sono felice di averti
insegnato anche a non nascondere i tuoi sentimenti." Stavolta fu il figlio
a fare uno stentato sorriso. "Vieni qui." Gli disse abbracciandolo.
"Non volevo che tu mi
vedessi così, ho cercato di smettere..." Mormorò il ragazzo.
"Non temere, il tuo nobile
cuore non è una debolezza." Affermò Peleo; Achille lo guardò, con una
smorfia e tirando su col naso. "Ora basta lacrime, oggi festeggiamo."
Gli diede una pacca sulle spalle e s'incamminò verso la casa.
Il figlio lo guardò
allontanarsi, preso ancora una volta dall'immensa ammirazione che aveva per lui
e dal magone che gli suscitava il pensiero che quello era il loro ultimo
incontro. Stava per seguirlo, ma l'uomo si fermò, posando una mano sulla
staccionata che costeggiava il vialetto.
"E' venuta tua madre, ieri
sera." Gli riferì; Achille spalancò gli occhi stupito e lo raggiunse
correndo.
"Veramente?" Gli
chiese. "Che cosa ti ha detto?" Nonostante gli anni passati e la
perfetta conoscenza della situazione, lui continuava a sperare in una loro
riappacificazione.
"Questa è per lui."
Disse Peleo, imitando il tono imperioso della moglie. "Solo questo,
nient'altro, poi è andata." Continuava a guardare davanti a se. "E'
ancora bella come allora..." Commentò.
"Io... io non
capisco..." Mormorò invece Achille.
"Ha portato qualcosa per
te." Spiegò allora il padre, ed entrò in casa; il figlio lo seguì.
Peleo si spostò su un lato,
vicino al tavolo; al centro della stanza, sopra un tappeto di canapa
intrecciata, c'era un'armatura: stava eretta, come se dentro avesse un sostegno,
le maglie del gonnellino erano disposte intorno, a cerchio. Era un vero
capolavoro, sicuramente di bronzo puro, decorata con smalto bianco e lamine
d'oro, splendeva anche in penombra; l'elmo era sovrastato da un cresta di
pregiate piume rosse, il fodero e la spada avevano gli stessi disegni del
pettorale e dei coprispalle. Achille si avvicinò quasi timoroso, e
completamente stupito.
"E' bella, vero?" Gli
fece il padre; lui lo guardò, incapace di proferire parola. "L'ho
osservata bene, quella corazza non è stata forgiata da mano d'uomo."
Dichiarò l'uomo; altro sguardo sorpreso del ragazzo.
"Vuoi dire che..."
Suggerì Achille.
"Tu lo sai, tua madre è
stata la balia di Efesto." Replicò il padre. "Non credo che lui le
avrebbe negato un'armatura preziosa per proteggere suo figlio in
battaglia." Il ragazzo tornò a guardare ammirato la corazza.
"Oh, Dei, è
bellissima..." Mormorò, sfiorandola appena con le dita; poi sentì la mano
di suo padre sulla spalla e si girò a guardarlo.
"Indossala." L'incitò
Peleo con un sorriso; il figlio annuì entusiasta.
"Aiutami." Gli chiese
poi.
L'armatura forgiata nella fucina
degli Dei gli calzava a pennello, nemmeno se gliela avessero costruita addosso
gli sarebbe stata meglio; la sentiva leggera, pratica, non impediva i suoi
movimenti. Provò a maneggiare la spada, ci riusciva come se il suo corpo fosse
libero, e si sentiva potente, un vero condottiero di eserciti; con quella
corazza non avrebbe temuto nulla. Lui ed il padre si scambiarono un'occhiata
soddisfatta.
"Adesso andiamo
fuori." Dissi allora Peleo. "Ho fatto preparare una tavola, sotto i
pini." Il figlio annuì e si fece precedere oltre la porta.
Arrivati fuori, si trovarono di
fronte, schierati, i guerrieri di Peleo; Achille, sorpreso per l'ennesima volta,
si sfilò velocemente l'elmo e sorrise. Considerava molti di quegl'uomini, che
avevano contribuito al suo addestramento, come amici, ed era felice di poterli
rivedere.
"Siete venuti per
salutarmi?" Domandò allegro; il luogotenente di suo padre si fece avanti.
"Noi ti seguiremo, mio
signore." Dichiarò deciso, con un sorriso; incredulo, il ragazzo guardò
il padre.
"Io non c'entro
nulla." Affermò l'uomo stringendosi nelle spalle. "Hanno deciso da
soli." Achille tornò a guardare il soldato.
"Chi, meglio di noi, che ti
abbiamo istruito, può conoscere il tuo valore Pelide." Riprese orgoglioso.
"Gli ultimi guerrieri Mirmidoni sono pronti a tutto per il loro
principe."
"Grazie." Disse a quel
punto Achille, già fiero di quegl'uomini; il padre attirò la sua attenzione
toccandogli il braccio, lui lo guardò.
"Mettili al comando dei
reggimenti che ti daranno, e avrai un esercito devoto e implacabile." Gli
suggerì saggiamente, il ragazzo annuì. "E ora, brindiamo." Tutti i
presenti si riunirono intorno al grande tavolo, e fu versato vino, si levarono
canti d'incitamento e risate.
Achille passò tutta la
mattinata nella casa di suo padre; quando il sole era già alto, i due si
allontanarono dalla casa, facendo una passeggiata lungo la scogliera. Quasi non
si parlarono, solo camminarono, affiancati, o tenendosi per le spalle, decisi a
godersi per l'ultima volta la reciproca compagnia; Peleo guardava con orgoglio
il suo unico figlio, che aveva lottato per veder crescere, Achille osservava un
padre che era stato tenero e severo, che gli aveva insegnato tutto ciò che
sapeva, e che lui amava sopra ogni cosa. Infine si abbracciarono, rimanendo così
per un lungo momento, per imprimere il loro affetto in maniera indelebile nel
cuore, come se ce ne fosse bisogno; era arrivato il momento.
Achille rimise l'armatura, infilò
l'elmo e salì sul carro, che era già stato preparato; strinse le redini e
guardò il padre, che era in piedi, di lato al mezzo. L'uomo sospirò.
"Ricorda sempre i miei
insegnamenti." Gli disse infine. "Ascolta il tuo cuore, non accettare
compromessi con la tua coscienza, combatti solo se credi in quel che fai... e
non ti guardare mai indietro." Aggiunse fissandolo negl'occhi. "Questi
sono i miei ultimi consigli."
"Li ascolterò,
padre." Annuì il ragazzo; i suoi occhi erano di nuovo lucidi.
"Addio figlio." Salutò
infine Peleo; il ragazzo esitò per un momento, prima di rispondere.
"Addio." Mormorò
infine, con voce tremante, poi girò il capo, guardando davanti a se, ed incitò
i cavalli a partire.
L'uomo seguì con lo sguardo il
carro che si allontanava, mentre il vento di mare dalla scogliera gli
scompigliava i capelli. Guardava suo figlio scomparire all'orizzonte, uscire
dalla sua vita; non si era mai sentito in colpa, per averlo addestrato alle
armi, fino a quel giorno...
"Sei contento, ora?"
Gli domandò una triste voce di donna, dalle sue spalle; lui si voltò e vide
Teti, immobile e splendida come una statua.
"No." Rispose
mestamente; avevano negl'occhi le stesse lacrime.
"E' in ritardo."
Commentò Ulisse che, fermo sulla banchina del porto, guardava il sole con le
mani sui fianchi. "Gli avevo detto prima di mezzogiorno..."
"Oh, per tutti i fulmini di
Zeus!" Esclamò ridendo Patroclo, che invece stava già sul ponte della
nave; l'altro, prima gli lanciò un'occhiata insospettita, poi girò gli occhi
nella direzione in cui guardava lui e li spalancò sbalordito.
Un carro da guerra scendeva la
collina, diretto verso il porto e, più si avvicinava, più si distingueva la
figura che lo conduceva; l'armatura che indossava riluceva investita dai raggi
del sole, infastidendo la visione, i cavalli galoppavano come se non ci fosse
domani, a breve distanza lo seguivano molti uomini di corsa. Ad Ulisse venne da
ridere, doveva immaginarselo che li avrebbe stupiti ancora; scambiò una risata
con il ragazzo sulla nave.
Achille fermò il suo carro a
pochi metri dalla banchina e discese, affidando le redini ad uno dei marinai di
Ulisse, poi si avvicinò al re di Itaca, sfilandosi l'elmo; l'uomo l'osservava
con un sorrisetto sardonico.
"Beh, che c'è?" Fece
Achille, sorridendo a sua volta. "Credevi che un condottiero non avesse una
corazza?" Aggiunse ironico; Ulisse scosse il capo.
"Alla faccia della
corazza!" Intervenne Patroclo, sporgendosi dalla prua. "Nessuno ne ha
una come quella!" Il Pelide rise, poi gli lanciò l'elmo, che l'altro prese
al volo; Patroclo lo osservò compiaciuto per un attimo, infine se lo provò.
"Mi va perfetto!" Achille sorrise.
"Ah..." Riprese,
tornando a girarsi verso Ulisse. "...non ti preoccupare per i miei uomini e
i cavalli, mio padre ha già fatto preparare un'altra nave." Gli annunciò,
indicando l'imbarcazione ancorata all'altra banchina, e detto questo, gli diede
una pacca sulla spalla e raggiunse Patroclo.
"Ma tu resti qui con noi,
vero?" Gli domandò subito l'amico, con lo stesso tono di un bambino,
quando gli arrivò accanto; Achille gli sfilò delicatamente l'elmo e sorrise.
"Certo." Annuì con
dolcezza; anche Patroclo sorrise. "Allora, non si parte?" Domandò poi
ad Ulisse, che era ancora sul pontile.
Il re di Itaca guardò il suo
capitano e disse: "Devo rassegnarmi al fatto che questa nave non è più
quella di Ulisse, ma ormai quella di Achille principe dei Tessali
Mirmidoni." E, con divertita rassegnazione, salì la passerella, l'altro
uomo rise.
Era quasi il tramonto quando, a
remi, si staccarono dal pontile, navigando verso il centro della baia del porto;
i marinai stavano ultimando i preparativi per la navigazione. Achille e Patroclo
guardavano verso terra.
"Ti mancherà, casa
tua?" Domandò il ragazzo castano, accorgendosi dell'espressione
indecifrabile dell'altro; l'amico lo guardò, interrogativo.
"No." Negò poi.
"Casa è il posto che tuo cuore chiama così. Io non ho una casa, non l'ho
mai avuta." Aggiunse Achille. "Io dimoro solo nell'animo delle persone
che mi amano." Disse poi, tornando a guardare l'orizzonte.
"Ognuno di noi ha un luogo
cui è legato, che gli ha dato le origini." Replicò pacato Patroclo;
Achille sollevò le sopracciglia.
"Se è così, quel posto
per me è il mare." Rispose poi; l'amico sospirò.
"Non si può vivere senza
radici, Achille." Gli disse infine; lui lo guardò di nuovo, con la
determinazione negl'occhi.
"Allora me le costruirò."
Affermò sicuro. "Adesso basta guardarsi alle spalle..." Aggiunse,
prendendo per un braccio Patroclo e facendolo girare su se stesso. "...è
venuto il momento di rivolgersi al futuro." Continuò, indicandogli il mare
aperto davanti a loro; poi spostò la mano sul suo collo, stringendolo in un
gesto affettuoso, e gli sorrise.
Patroclo non aveva davvero più
bisogno d'altro, radici e legami erano dimenticati, era pronto a vagare senza
mai fermarsi, pur di seguirlo ovunque; gli strinse la spalla, sorridendo a sua
volta.
"Alzate le vele!"
Ordinò Ulisse alle loro spalle. "Rotta su Argo."
Achille sentì il vento, che
spingeva le vele, accarezzare il suo viso e far muovere i suoi capelli; quel che
lasciava era perduto, ma non aveva rimpianti, la sua vita cominciava quel
giorno.
FINE
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