Non c’era niente di più bello che tornare a casa.
Le aveva viste lui, quelle
cartoline panoramiche che ritraevano la vita dei campi come un idillio con i
germogli bagnati da un tiepido sole dorato e i contadini sempre entusiasti e
sorridenti al lavoro…
Stronzate. Se avessero chiesto
a lui, Romano, di esprimere il suo punto di vista, lui avrebbe mostrato loro la
vera vita del mezzadro irridendo tutte quelle sciocche fantasie bucoliche.
Alzarsi già stanchi nel cuore
della notte, raggiungere la piantagione di pomodori con gli occhi gonfi,
raccogliere i pomi uno ciascuno sempre con lo stesso meccanico movimento di
sempre e non fermarsi mai, mai, nemmeno quando senti tutti i tuoi muscoli
irrigidirsi, la tua schiena spezzarsi ad ogni affondo di aratro, il sole ardere
cocente sulla tua testa…
Era proprio come morire,
quante volte lo aveva pensato? Quante notti si era svegliato di soprassalto
dall’incubo di non arrivare a vedere l’alba seguente?
Ma allora perché non sei scappato, Romano?
“Oh, è naturale” spiegava
Romano a chiunque osasse rivolgergli quella domanda “Io non ci tengo di certo
ad essere riempito di piombo dal mio padrone e restare nella piantagione per il
resto dei miei giorni come concime per i pomodori!” , ma non era abbastanza
convincente per essere credibile. Il suo broncio e un velato rossore tradivano
che , in realtà , c’era qualcosa di più che lo spronava ad andare avanti.
Romano lavorava anche con la
febbre addosso ed era arrivato anche a sputare sangue per disossare quei
terreni molto più resistenti e solidi di lui ma, proprio in quei momenti in cui
credeva di non farcela più, arrivava lui.
Antonio.
Così, se la zappa non voleva
saperne di alzarsi da quello stramaledetto terriccio, ecco che arrivava lui,
gli metteva una mano sulla spalla e con un sorriso gentile gli diceva : “Lascia
fare a me, per oggi basta così.”
E , se camminando per la
strada dissestata che portava al deposito la cassa di pomodori sopra la sua
testa cominciava pericolosamente a barcollare, ecco che una mano che non gli
apparteneva la sorreggeva miracolosamente evitando che si rovesciasse
tutto: Romano si voltava, e incontrava
il volto gaudioso e beato di Antonio. “Sta’ più attento la prossima volta, Lovinito!”
Antonio aveva anche sempre un
fazzoletto apposta per lui quando il sudore, invece di rigargli fascinosamente
le tempie come nobilitazione dell’uomo, gli sgorgava persino sulle palpebre e
non riusciva a fermarlo neppure sfregandosi continuamente gli occhi con le mani
graffiate sporche di terriccio: il fazzoletto di Antonio era così profumato e
delicato che sembrava surreale. Ed era sempre così, ogni volta al tramonto.
Antonio, sempre Antonio.
Antonio che di nascosto
svuotava un po’ del carico di Romano per portarlo al suo posto, Antonio che
inspiegabilmente portava sempre la cassa di pomodori più pesante, Antonio che
faceva sempre i lavori più pericolosi e faticosi sempre con il sorriso sulle
labbra, Antonio che si era fatto in quattro per rimediargli del chinino,
Antonio che era così vero eppure irreale.
Antonio, Antonio, sempre lui.
Come avrebbe fatto senza
Antonio? Romano non se l’era mai chiesto, non ne aveva mai avuto il bisogno
perché sapeva, ogni volta che tornavano a casa insieme con le tasche piene di
pomodori rubati che avrebbero passato la sera stessa per farci il sugo sugli
spaghetti, che Antonio sarebbe stato sempre lì per lui. E che sapore aveva
quella salsa che cucinava!
Sì, tornare a casa con Antonio
era decisamente ciò che del suo lavoro amava di più.
Non c’era niente di più bello
che tornare a casa, dopotutto.