Disclaimer: I personaggi non sono di mia proprietà e questa storia non ha
assolutamente fini di lucro.
ACCIDIA
24 Luglio 1998
Arklay Mountains
Villa Spencer
Albert Wesker
stava seduto di fronte alla scrivania: le gambe distese e i piedi appoggiati
lascivamente sulla superficie liscia di mogano. Poco gli importava che gli
stivali d’ordinanza imbrattassero di fango la superficie lucida e i documenti
sparsi.
“Tanto questa
villa non vedrà l’alba di domani…” pensò tra sé e sé.
La testa era
reclinata all’indietro, mentre giocherellava con la pistola d’ordinanza, una
Beretta 9 mm. L’ufficio, in cui si era rifugiato dagli orrori della villa, era
ben nascosto da una libreria piuttosto ampia e, nonostante tutto, da quella
postazione, avrebbe potuto udire tranquillamente l’arrivo di Barry con i suoi
preziosi medaglioni.
Era stato fin
troppo facile convincerlo a collaborare: era bastato dirgli che qualcosa di
brutto sarebbe potuto capitare alla sua famiglia e quell’idiota aveva ceduto
senza troppe storie. La consapevolezza di non dover affrontare quel gravoso
compito era stato un vero sollievo. Non gli rimaneva altro da fare che
aspettare: Barry avrebbe affrontato le creature nella villa e recuperato i
medaglioni per sbloccare la porta dei laboratori.
Nel frattempo
lui si sarebbe rilassato in attesa del suo ritorno.
AVARIZIA
“My
precious G-virus.
No
one will ever take you away from me.”
William Birkin
osservava con orgoglio il frutto delle sue ricerche: il G-virus.
Finalmente tutti
avrebbero riconosciuto il suo genio. Quello che aveva tra le mani era il
coronamento del suo sogno.
La Umbrella si
sbagliava se pensava di poter fare ciò che voleva. L’invenzione era sua e sua
soltanto: il suo potere, le sue potenzialità, ogni elemento perfetto di quel
campione era legato a lui. Le notti insonni, migliaia di dati che si
confondevano, tutti i suoi sforzi erano racchiusi in quella semplice provetta. Quella
straordinaria scoperta era solo sua e non l’avrebbe condivisa con nessuno.
Dei passi
affrettati, la porta del laboratorio che si apriva di scatto. William afferrò
la pistola che teneva nel cassetto della scrivania e la puntò verso gli uomini
d’ordinanza della Umbrella.
“Sapevo che
sareste venuti”
“Dottore, ci dia
il campione” lo intimò uno dei due puntando l’arma.
“Mi dispiace, ma
non credo che la cosa sia fattibile”.
Birkin arretrò di
qualche passo. Un tonfo, causato da un bicchiere caduto in terra, fece
sobbalzare uno dei due agenti che sparò al giovane dottore.
“Fermati!” urlò
l’altro “Prendi il campione e andiamocene!”
Presero la
valigetta dalla scrivania lasciando William disteso a terra, ferito
mortalmente.
Conscio di avere
solo qualche minuto di vita, William giurò che nessuno poteva appropriarsi di
ciò che era suo e con le ultime forze rimaste, s'iniettò il potente virus.
Si sarebbe
ripreso ogni cosa.
GOLA
Da quando aveva
abbandonato la sua misera natura umana ed era rinato, molti dei bisogni
fisiologici che contraddistinguevano quella deplorevole condizione erano
scomparsi. Tra questi, anche il bisogno di nutrirsi. Il suo corpo era in grado
di produrre autonomamente le sostanze di nutritive di cui aveva bisogno.
Nonostante
tutto, Albert Wesker, era sempre stato un amante della buona cucina e questo
poteva essere considerato l’unico vizio in suo possesso. Adorava circondarsi di
prelibatezze di ogni tipo, il tutto coronato da un ottimo vino.
Frequentava i
migliori ristoranti che potessero esistere.
Purtroppo, però,
era un lusso che non poteva concedersi spesso, considerando che
quell’insopportabile spina nel fianco di Chris Redfield era sempre sulle sue
tracce.
Non avrebbe
sopportato di veder rovinato un ottimo pasto mentre una squadra d’assalto
entrava sfondando finestre e buttando giù porte. A quel punto, probabilmente,
se fosse stato di buon umore, si sarebbe limitato a una morte rapida e indolore
per ciascuno, lasciando intatto il proprio posto a tavola con le relative
pietanze, per poi tornare a consumare il proprio pranzo in totale tranquillità.
Invidia, Ira
Un set di
provette vuote andò a schiantarsi contro il refrigeratore. I frammenti di vetro
si sparsero tutt’intorno, ma in quel momento William Birkin non se ne curò.
“Se solo Miss Alexia fosse qui!”
Le parole degli
altri ricercatori gli rimbombavano nel cervello come un martello. Cosa avevano
da ammirare, ancora non riusciva a capirlo. I laboratori degli Asford non
avevano più fornito risultati utili da decenni e William non riusciva a
capacitarsi del perché avessero così tanta ammirazione nei loro confronti.
“Io sono il
migliore!” urlò sparpagliando appunti e risultati sul pavimento. Era appena
sedicenne quando fu nominato capo-ricercatore e ora quella stupida ragazzina di
appena dieci anni aveva già raggiunto la sua posizione.
Com’era
possibile? Cercò mentalmente di calmarsi, ma il suo orgoglio ferito glielo
impediva. Il trofeo immaginario che si era costruito era caduto dal piedistallo,
infrangendosi in mille pezzi proprio come le provette di cui stava calpestando
i frammenti.
Con la mente
completamente accecata dalla rabbia e dall’invidia, Birkin tornò al suo
ufficio, con l’intenzione di dimostrare a quegli esseri patetici che le sue
capacità erano ben superiori rispetto a quelle della Dottoressa Ashford.
Lussuria
Ada Wong aveva
appena fatto rientro dalla sua missione recuperando con successo il campione di
“Plagas”. Anche questa volta aveva rischiato di mandare all’aria la missione a
causa del suo patetico coinvolgimento sentimentale con Leon Scott Kennedy.
Doveva ringraziare le sue incredibili capacità se non era ancora morta. Aveva
ancora bisogno di lei e questo era un motivo più che sufficiente per tenerla in
vita. Sentì bussare alla porta dell’ufficio e, senza aspettare risposta, colei cui
stava pensando si materializzò di fronte a lui. Era bellissima come sempre:
corpo sinuoso e slanciato come quello di un gatto, vestito attillato color
cremisi, pelle candida e corti capelli neri.
Si sedette
lascivamente sul bordo della scrivania accavallando le gambe.
“Anche questa
volta ho fatto bene i compiti…” Sussurrò con voce suadente consegnandoli la
fialetta.
Wesker accennò
appena un sorriso compiaciuto: era veramente scaltra e sapeva il fatto suo.
Poche persone osavano rivolgersi a lui in maniera tanto sfrontata. Lo temeva,
certo, ma non si poteva dire che avesse paura di lui. E questo gli piaceva
immensamente.
Spesso si
ritrovava a pensare quanto sarebbe stato piacevole sentire quel corpo fremere
sotto il suo: i gemiti di piacere, le mani sul suo corpo, sentirla inarcarsi
sotto le sue spinte. Inoltre l’idea che avrebbe dovuto combattere per averla lo
eccitava ancora di più. La conosceva fin troppo bene: non si sarebbe fatta
sottomere al suo piacere tanto facilmente, ma sapeva ancora più perfettamente
che una volta preso il controllo, sarebbe stata lei a chiedere di più e a quel
punto avrebbe perso qualunque attrattiva nei suoi confronti.
Sì, sarebbe
stata una sfida molto interessante.
SUPERBIA
“The
right to be a God. Your right is now mine”
Albert
Wesker
Perfetto.
Quello era l’aggettivo
che meglio descriveva la sua superiorità rispetto al resto delle misere
creature che si ritrovava a osservare costantemente al di là delle lenti scure.
Tutte quelle persone che gli sfrecciavano intorno non sapevano che un essere
superiore li osservava alla stregua di un ragno che tesse la propria tela
intorno alla preda. Si divertiva nel vederli affannarsi, correre, sbrigare le
faccende, insomma, nel vederli vivere, costatando la loro fragilità, la loro
misera imperfezione. Quella
deplorevole condizione era qualcosa che aveva abbandonato ormai da molti anni:
del resto, il Dio del nuovo mondo, non poteva permettersi alcun tipo di
debolezza.
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