L’angolino di Calcifer, lo spirito del Fuoco:
Una storia nata un po’ per frustrazione e un po’ per caso, di sicuro scritta di
getto (per cui scusate anticipatamente l’autrice per eventuali distrazioni
grammaticali o di battitura ma capitola poveretta, nutre la cieca convinzione
che lavorare troppo su una cosa scritta di getto la svilisca, ed è come sempre
beta-sprovvista). L’idea non voleva saperne di andar via, tra l’altro le è
venuta mentre rifletteva su un altro fandom in cui si vorrebbe gettare il prima
possibile (Ace Attorney, per chi si sintonizzasse con noi solo in questo
momento), ovvero non appena un’idea decente le solleticherà le narici, ma è
dura. L’ha scritta quasi tutta d’un fiato mentre stava preparando il pranzo.
Risultato, pentola da buttare e riso bruciato. Nel senso di nero.
Nel senso che ha preso fuoco.
Sperando che ne sia valsa la pena,
lasciamo alla lettura.
PER QUESTO FUGGI
*
*
E’
un nuovo locale pieno di dolci deliziosi che volevi assolutamente assaggiare
quello in cui vi siete ritrovate questo pomeriggio per fare quattro chiacchiere
frivole. Niente esami in vista anche se a guardare Ami sembrerebbe di sì visto
che passa più tempo col naso ficcato in un libro che a interagire con voi. Ma è
Ami e voi le volete bene anche con le sue risposte distaccate e
quell’aggrottamento biasimevole di sopracciglia con cui pare soppesarvi a volte.
Niente nemici da affrontare, anche se a sentire Rei il pericolo è in agguato e
trama nell’ombra per stritolarvi tra le sue spire. Ma secondo Rei il pericolo è
in agguato anche in una toilette pubblica quindi tendete a non prenderla troppo
sul serio, a meno che qualcosa effettivamente non attacchi. Sei stata tu a
proporre questa uscita. Ti piace stare con loro, sono le tue amiche, le tue
compagne.
E i dolci sono
squisiti come ti avevano detto.
Sei persa in pensieri
inconsistenti di gioia e appagamento, felice di avere la pancia piena di cose
buone e quel sapore di panna e fragole che ti hanno lasciato nella bocca, e
mentre ti chini in avanti per sorseggiare la tua bibita qualcuno, di certo
Minako visto che queste proposte partono sempre da lei, accenna qualcosa a
riguardo di un fantomatico concorso di canto a cui tu e lei dovreste
assolutamente partecipare. A quel punto prima che tu riesca a pensare a un modo
cortese di rifiutare la sua proposta (perché cantare non ti interessa, nemmeno
ascolti la musica, perché questi concorsi non ti interessano, perché in cuor tuo
sai anche se non vuoi pensarci che Minako ti vuole assolutamente con lei perché
stonata come sei servirai a farle fare una figura migliore) Rei si sente in
dovere di replicare col suo solito piglio da zitella acida qualcosa a riguardo
della tua irrecuperabile tontaggine che trasformerebbe il concorso in una farsa.
Ed è a questo punto che ci si attende che tu te ne esca con qualcosa di
esilarante.
Ne è la prova questo
silenzio carico d’aspettativa.
Rei ti ha lanciato un
assist.
Ci sono dei momenti,
tipo questo per esempio, in cui sei convinta che ci sia uno schema preordinato
in questi siparietti da cartone animato. Come se prima di incontrarsi con te si
dessero delle direttive d’azione, o si preparassero un copione da seguire, o
chissà che altro: contando sul fatto che ritardataria come sei sarai l’ultima a
presentarti a un appuntamento hanno tutto il tempo di mettersi d’accordo
su cosa dire o fare per stuzzicarti. Non per cattiveria, ma perché è quello che
ci si aspetta da te.
Ma se non ne avessi
voglia, se fossi triste?
O molto più
semplicemente, se questo schema ripetitivo ti avesse stufata?
Potrebbe succedere.
E’ già successo. Volte in cui la tentazione di non stare al gioco, di guardare
Rei dritto in quegli occhi alteri e dirle “Non sono in vena,
smettila di fare la bambina” è talmente forte che senti le parole premerti
contro le labbra per uscire. Le assapori nel palato, lasciando correre lo
sguardo alle tue amiche che già si sporgono quasi impercettibilmente sulle sedie
pregustando lo spettacolo. Ti pare che a Makoto addirittura brilli lo sguardo.
Non vede l’ora di
separarvi.
Il suo ruolo di
tranquillizzatrice di animi la esalta.
Tranquillizzatrice è
una parola buffa, rifletti. Potresti usarla una volta o l’altra, di certo
riderebbero tutti e Luna scuoterebbe la testa con fare bonario e materno, perché
tu sei Usagi e sei fatta così, ti si vuole bene anche per questo. Le guardi e
pensi che potresti farlo davvero. Lasciarle di stucco, gustarti le loro facce
basite mentre finisci in pace la tua bibita.
Ma non riesci, e dopo
quella che t’è parsa un’eternità ma che nel pratico è stata solo una questione
di un secondo o forse due (e non se ne accorgerà nessuno) la lingua fa capolino
dai denti in una buffa smorfia e una replica offensiva ma bonaria collaudata ti
è già scoppiata dal petto.
Per quando avrete
finito la bibita sarà già diventata calda ma non puoi farci niente.
*
*
Un’aula
universitaria è molto diversa da una di liceo per molti motivi, ma il migliore è
che i frequentanti non indossano divise: questa è una cosa molto buona perché
così per questa volta sei potuta entrare senza ricorrere ai poteri della Penna
Lunare, cosa che a te non avrebbe creato fastidi ma che avrebbe indotto Luna a
farle una delle sue ramanzine chilometriche sull’importanza di non usare la
magia per cose stupide.
E questo sì che ti
avrebbe infastidita.
Nessuno ha degnato di
un’occhiata né te né Mamo al vostro ingresso, eppure non puoi fare a meno di
lanciarti attorno occhiate guardinghe, scrutando le facce degli studenti che ti
circondano in cerca del dubbio, del sospetto. Che qualcuno si chieda cosa ci
faccia una ragazzina lì. Sono tutti seri e concentrati, potresti ballare loro
nuda davanti sventolando dei ventagli e non ti degnerebbero di un’occhiata,
eppure continui ad aspettarti che da un momento all’altro uno di loro si alzi in
piedi dal fondo dell’aula e puntandoti contro l’indice gridi qualcosa nella tua
direzione e ti smascheri, perché hai sempre avuto una faccia da ragazzina e
anche se ormai hai l’età per andare al liceo sembri appena uscita dalle
elementari.
Ti agiti sulla sedia,
non trovi pace.
E quando Mamo ti
copre la mano che tieni in grembo con una delle sue ti volti a guardarlo in
allarme.
E’ stato lui a
parlarti di questa lezione. Anzi, ad essere pignoli ne stava parlando con Ami un
giorno che eravate tutti insieme e tu eri casualmente a portata d’orecchio. Mamo
non si sognerebbe mai di parlare di queste cose con te, teme sempre di annoiarti
e in effetti la maggior parte delle volte è così. I discorsi complicati ti danno
il mal di testa e dei libroni di medicina che studia ne capisci meno di tua
madre, assidua telespettatrice di telefilm ospedalieri. Persino quando vuoi
occuparti di qualche amica malata combini un disastro dietro l’altro. Ma Mamo
stava raccontando a Ami che la facoltà di Fisica avrebbe tenuto un’interessante
conferenza su meteore e comete e che certi suoi amici l’avevano invitato ad
assistere, e mentre la tua amica annuiva con educato contegno a un argomento
intellettivamente stimolante ma che non le interessava più di tanto tu ti sei
aggrappata al suo braccio, facendolo quasi cadere a terra per la sorpresa, e
l’hai supplicato di portarti con sé.
Hai dovuto insistere
parecchio per convincerlo.
Non gli pareva il
caso, aveva obiettato, ti saresti annoiata a morte.
Tu hai scosso la
testa cocciutamente e gli hai assicurato che no, non sarebbe accaduto nulla del
genere. E poi gli hai fatto quegli occhioni lacrimevoli da cucciolo a cui
raramente resisteva, e l’hai chiamato Mamo-chan con quella voce piagnucolante
che ispira tenerezza, e gli hai premuto la guancia contro la spalla
insistendo ancora, e lui non sa mai dirti di no a lungo perché sei la sua
principessa e ha acconsentito con un sospiro di gentile rassegnazione
carezzandoti la testa.
A lui piace molto
viziarti.
Assecondare i tuoi
capricci di bimba.
Anche adesso, mentre
ti vede tutta agitata al tuo posto, e guardare ovunque, e reprimere a fatica gli
sbadigli dietro il dorso della mano, sai che non ti sgriderà né adesso né dopo
quando sarete soli, che non ti farà sorbire predicozzi né ti apostroferà con
qualche supponente “Te l’avevo detto” come farebbero altri. Semplicemente,
accetterà la cosa come parte integrante del carattere della ragazza che ama.
Ti sorriderà con
tenera condiscendenza.
Forse ti bacerà.
Per il momento invece
si aspetta solo che tu gli dica qualcosa di sciocco.
Ti accarezza il dorso
della mano in punta di dita, solleticandoti coi polpastrelli fino a farti
sfuggire un brivido: ti guarda con gli occhi blu che brillano di una luce
particolare. E forse è amore, o forse è una strana forma di autocompiacimento
perché tu magari sei quella che salva il mondo ogni giorno relegandolo sullo
sfondo a lanciare qualche rosa qui e lì e a pontificare qualche frase demagogica
e populista, ma lui è accademicamente superiore a te che a scuola rasenti a
stento la sufficienza, e questo gli piace perché solletica il suo orgoglio
maschile anche se non te lo dirà mai perché forse nemmeno se ne rende conto.
Si china verso di te
sfiorandoti appena l’orecchio.
- Mi dispiace che tu
ti stia annoiando, Usa – ti sussurra piano.
Senti il suo sorriso
segreto lambirti la pelle e lotti contro te stessa per non aggrottare le
sopracciglia in una smorfia piccata mentre il viso ti si colora appena
d’indignazione. Stringi le labbra sperando che la tua espressione sia scambiata
per una d’imbarazzo, poi chiudi gli occhi e sospiri, perché le stelle e i
pianeti ti hanno sempre affascinata anche quando non sapevi di averne il
potere. Fin da piccola prendi di nascosto, centellinando i soldi della tua
paghetta, libri e riviste di astronomia che nascondi sotto il letto, neanche
fosse qualcosa di scabroso o di cui vergognarsi. Non sai perché non l’hai mai
detto a nessuno: forse da piccola ti vergognavi delle prese in giro, ma invece
adesso di che hai paura, principessa?
Nel corso degli anni
ti sei abbeverata a quei testi, leggendoli fino a impararli a memoria: prima le
riviste per ragazzi, poi testi scolastici, fino ad arrivare a saggi che
avrebbero messo in difficoltà più di uno dei presenti. Li hai capiti, li hai
amati, li hai fatti tuoi. Si potrebbe dire che sei arrivata alla tenera età di
14 anni sapendone più di quel pomposo relatore che si limita a tratteggiare
grafici bambineschi in modo assurdamente complicato.
Lo guardi con il
cuore gonfio di qualcosa che somiglia tanto alla mortificazione.
Perché il fatto che
tu vada male a scuola non ti rende automaticamente una persona stupida, vorresti
dirgli, e vorresti anche andare alla cattedra per spiegare un paio di cose a quel professore:
gettare l’aula nel caos più completo, mandare tutto a scatafascio.
E forse perderesti il
tuo Mamo.
Non puoi. Non
reggeresti, non ce la faresti.
Per questo alla fine
scuoti la testa e gli sorridi nel modo più ingenuo che puoi.
- Che sciocca sono
Mamo-chan – gli sussurri di rimando - credevo che avrebbero parlato di come far
avverare i desideri.
*
*
Spesso eri tu ad accompagnare a casa
Chibiusa dopo la scuola quando era piccola. Mamma Ikuko aveva già il suo gran
daffare con la spesa, e le pulizie, e occuparsi dei rifiuti che quel maiale di
Shingo disseminava per casa al suo passaggio, come se li producesse per incanto
dal nulla. Tu invece non frequentavi corsi dopo la scuola che ti tenessero
impegnata e non eri certo il tipo di persona che avrebbe passato le giornate ad
ammazzarsi sopra ai libri, per cui non era un problema sgravare la mamma di
quell’incombenza e approfittarne per farsi una passeggiata. Molte volte era
anche un modo per allontanarsi dalla sua collera cieca, all’arrivo dell’ennesimo
votaccio.
Arrivavi che Chibiusa non era ancora
uscita da scuola.
Restavate in silenzio tutto il tempo.
La tenevi per mano.
Quella bambina ti riusciva davvero
insopportabile per motivi che non riuscivi a comprendere e il sentimento pareva
reciproco. Capitava addirittura che a volte chiedessi a Mamo di accompagnarti
per smorzare la tensione: quando c’era lui era tutta sorrisi e allegria. Gli
correva incontro e gli saltava tra le braccia con un grido di gioia mentre con
te strascicava il passo di malavoglia. Per tutto
il tempo chiacchierava di quanto fosse stata bella la sua giornata e di come
tutti la trattassero bene mentre passeggiando con te si rinchiudeva in un
mutismo esasperante.
Lui se la caricava sulle spalle.
Ridevano e scherzavano insieme con
leggerezza.
Tu rimanevi un po’ in disparte, qualche
passo indietro, a guardare distrattamente il cielo, e a chiederti perché con
quella bambina le cose fossero così complicate, per non dire irritanti. Poi una
volta dei lavori in corso imprevisti ti hanno costretta a una deviazione e sei
arrivata un qualcosa come cinque minuti in ritardo. L’hai trovata accucciata in
lacrime in un angolo del cortile dove gli altri bambini non potessero vederla, e
quando l’hai chiamata ha sollevato il viso che era tutto rosso e appiccicoso di
lacrime. Ti si è gettata in grembo in singhiozzi disperati, sporcandoti un vestito che adori e tu non hai potuto fare altro che stringerla a te, e
carezzarle i capelli, e chiederle scusa per aver fatto tardi. E quei suoi
mugugni disperati ti strizzavano dolorosamente il cuore in una morsa.
– Non lasciarmi sola – gridava
premendosi più forte a te, quasi ti si volesse imprimere nella pelle.
- Non lasciarmi!
Nessuna di voi due ne parla mai.
Lei è orgogliosa e testarda e tu non vuoi
umiliarla.
Però vai a prenderla da scuola anche
adesso che ormai e grande e potrebbe farlo benissimo da sola quel breve
tragitto. Lei non manca mai di ripetertelo, in effetti, ogni volta che ti trova
davanti a scuola: – Insomma Usagi, tra qualche anno andrò alle medie – sentenzia
con le mani sui fianchi e i piedi ben piantati a terra, a volte sollevando
nell’aria l’indice con un fare saccente che ti fa sorridere. – I miei compagni
cominceranno a prendermi in giro!
Tu sorridi facendo spallucce e le rifili
qualche scusa posticcia sul fatto che hai dei precisi doveri verso sua madre
(anche se conoscendoti credi che proprio non ce ne sarebbe motivo vista la sua/tua
notoria irresponsabilità e la vostra filosofia di vita all’insegna del take it
easy) o sul fatto che non è il caso che una ragazzina giri da sola perché
qualche malintenzionato potrebbe prenderla di mira (anche se sapete benissimo
entrambe che in caso di pericolo sarebbe Chibiusa a difendere te e non
viceversa), quando la verità pura e semplice è che la disperazione di quella
bambina tu non vuoi vederla mai più perché ti ucciderebbe.
E pazienza se non le sta bene.
Non è altruismo il tuo, ma va bene anche
così.
Sai che gli altri si aspettano che tu sia
sempre nobile e buona, ma non si rendono conto dell’assurdità di tutto ciò. Non
si può essere sempre amabili, onesti e sorridenti, non ci si può sempre
prodigare per gli altri in maniera disinteressata, non è umano. Ci sono delle
volte in cui persino in battaglia sentirti sproloquiare a vanvera ti dà la
nausea, volte in cui ti viene proprio da ridere nel sentirti parlare come
un’ingenua sentimentale del paese del PanDiZucchero. Accantonata da tempo la
pietà verso il nemico, è la cieca esaltazione della vittoria imminente a
guidare la tua mano, ad alimentare il tuo potere.
Uccidere è liberatorio.
Dopo tanti anni riempirti la bocca di
amore e giustizia non ha più senso.
E poi quelli sono mostri, esseri malvagi,
e se non li uccidi loro uccideranno te per cui non sei da condannare se facendo
quello che devi magari a volte, non sempre, ti diverti un po’. Se il male è ovunque e rischi la vita per
gente che nemmeno si prenderà la briga di ringraziarti forse non sei da
biasimare nemmeno se ogni tanto hai la tentazione di lasciar perdere.
Ma a Chibiusa questo non puoi dirlo perché
crede in quello che fate.
Tu che sei sua madre devi esserle
d’esempio.
Per questo educhi il tuo cuore alla fede e
al coraggio anche se ne hai fin sopra i capelli, ti adoperi a nutrire quella
luce salvifica che nei momenti disperati vi guidi verso la vittoria; per questo
quando sarai regina e lei crescerà nel tuo grembo carezzerai il tuo ventre
rotondo e le racconterai che Sailor Moon è una guerriera coraggiosa che crede
nell’intrinseco bene del mondo.
E lei smetterà di darti calci.
Eppure ci sono delle volte durante le
vostre passeggiate di ritorno da scuola, quando nel silenzio rilassato indugi
vilmente in questi pensieri, in cui hai l’impressione che lei ti capisca più
profondamente di quanto tu non faccia con te stessa, che ti trapassi da
parte a parte come una vetrata tirata a lucido.
Perché voi due vi somigliate più di quanto
tu creda.
Perché forse anche lei è stanca.
E quando un grido squarcia l’aria, un
gemito d’aiuto da parte dell’ennesima vittima dell’ennesimo mostro da
sconfiggere c’è quell’istante pregno di significato in cui tu la guardi e lei guarda te. E’ l’istante in cui cerchi una conferma, qualcosa che ti
faccia trovare nei suoi occhi quel barlume di egoismo che ti ha invaso l’anima. - Continuiamo a
camminare – vorresti dirle. – Lasciamo perdere. Ne abbiamo salvate tante di
persone, lasciamo perdere questa. Conosco un posto dove fanno ottimi gelati…
Ma la gola ti si serra in una morsa, non
osi.
E’ lei a rompere il silenzio, a
trascinarti verso il luogo dello scontro.
Ti prende per mano e te la stringe forte
forte, supplicandoti in silenzio di non abbandonarla di nuovo.
*
*
Ma adesso sull’orlo del calderone da cui le
stelle nascono e prendono forma sei da sola, Sailor Cosmos. Non c’è più nessuno
a guardarti e a giudicarti, nessuno a cui rendere conto di nulla o che pretenda
qualcosa da te. Ti sporgi in quell’abisso spaventoso, ne guardi i più reconditi
recessi mentre lui guarda in te, imbevendoti della sua potenza oscura, lasciando
che egli si abbeveri alla tua. Gli sorridi sfrontata mentre un ruggito che
sembra permeare l’universo intero ti scuote.
Il tuo cuore è calmo.
Adesso non hai che da fare i conti con te
stessa.
Ti viene data la libertà, forse per la
prima volta nella tua vita, di fare quello che davvero vuoi.
Per questo fuggi.
*Per questo
fuggi*
FINE
Il cantuccio di Sophie:
Magari questa storia non sarà bella, magari non sarà nemmeno decente, qualcuno
potrebbe trovarla addirittura OOC anche se io non credo, non lo so, credo che
ognuno possa pensarla in piena libertà perché anche questo è il bello del mondo
delle fan fiction. Ma devo dirla tutta, per la prima volta sono davvero
soddisfatta di una storia da me scritta e l’ho finita col cuore che batteva a
mille per l’emozione di poterla postare.
Usagi è un personaggio tragicomico, a me
personalmente fa tenerezza.
E quando un personaggio mi fa tenerezza
sono cavoli amari, devo infilarci a tutti i costi Il tocco di Sophie, una
cosa strana e un po’ perversa a metà strada tra la commedia e l’emo andante. Un
ringraziamento a tutti i lettori, uno speciale a chi vorrà commentare.
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