Note Autrice:
{EDIT:
inserito il banner di Hiko a fine storia}
In teoria non
dovrei avere la connessione Internet, in
realtà sono troppo esaltata e l'ho fregata momentaneamente -
quindi non so quando potrò rispondere, mi spiace!
Perdonate se
le note sono prima della storia, ma dovrei puntualizzare
alcuni dettagli.
Nel titolo,
«Blood's Revolution», quel
«Blood», ossia «sangue» in
italiano, vuol essere inteso come nel modo di dire «sangue
del mio sangue».
Lo sgualembro
è una tecnica di combattimento con la spada
che consiste in un colpo di taglio diagonale, dalla spalla al fianco
opposta, eseguito dall’alto verso il basso.
La
«red coat» è la giubba rossa
utilizzata da un corpo militare degli inglesi, chiamato per questo le
giubbe rosse: erano soldati molto disciplinati, si diceva fossero i
meglio addestrati d'Europa. E non utilizzavano stivali, o perlomeno non
quelli da pirata, come accade nella storia.
Al tempo della
Rivoluzione Americana, la composizione della bandiera
degli Stati Uniti era la stessa di oggi, con l'eccezione di tredici
stelle su sfondo blu invece di cinquanta - a simboleggiare le tredici
colonie americane che si ribellarono.
Il Leone
è uno dei più celebri simboli del Regno
Unito. Qui, con una licenza poetica, ho ¨spostato¨ il
simbolo direttamente su Arthur, nominandolo Leone d'Inghilterra, il che
mi sembrava troppo epico perché non venisse pronunciato - lo
stesso vale per America e per l'Aquila.
Francia non
è presente con le truppe di terra,
perchè ho preferito immaginarlo nelle battaglie marittime
tra Francia e Inghilterra.
Questa storia
è arrivata quarta al contest «Una
storia per una canzone» indetto da Parsifal - la canzone che
ho scelto è stata «Blood», di Papa Roach.
Non so come
esprimere la mia esaltazione per un risultato del genere,
ma in casa avranno pensato che sia il caso di ricoverarmi da uno
psichiatra in gamba. Se potessi piangerei di gioia, ma dato che sono di
stampo Arthuriano, non piango.
Inoltre Hiko
ha creato un banner che è una meraviglia,
appena capirò come inserirlo lo metterò. Insomma,
non saprei come ringraziarle. *commossa*
Mi sono
divertita tanto a scrivere questa storia, benché
l'argomento non sia uno dei più allegri. Scrivere di Arthur
e Alfred è sempre molto intrigante, e muoverli in uno
scenario di guerra, oltre a essere stato molto interessante e
coinvolgente, mi è sembrato davvero azzeccato per questi
due. Per me, loro sono cane e gatto: se davvero volessi renderli come
coppia, non potrei mai scrivere qualcosa di sdolcinato - a parte che
non so scrivere romanticherie a priori xD
Vi ringrazio
per avermi lasciato qualche minuto per spiegare, buona
lettura! :D
claws_Jo
Blood's Revolution
... Because freedom doesn't
come free.
[1584, prima dello scoppio
della guerra anglo-spagnola]
«Arthur, quando
tornerai a trovarmi?»
L'inglese gli
accarezzò la testolina bionda.
«Presto, Alf. Devo solo tornare a Londra per discutere di
alcuni problemi con il Re, e poi sarò di nuovo
qui.»
Per quanto Alfred attendesse
il suo ritorno, il vascello inglese che
lui avrebbe riconosciuto tra mille non attraccò per molti
anni a seguire, costretto in mare dalla furia e dalla rabbia di Spagna.
[1760, dopo la presa di
Montreal nella Guerra dei sette anni]
«Arthur, dopo la
guerra non cambierà nulla,
vero?»
«No, non
cambierà niente. I tuoi cittadini avranno
gli stessi diritti che abbiamo noi inglesi. Puoi starne
tranquillo.» E Arthur quasi sorrise, prima di scomparire
dietro il legno della porta.
Ma i nomi che comparivano su
vari documenti in disordine sulla
scrivania di America, fogli che si accatastavano come casse di frutta
al mercato, non recavano buone notizie: Navigation Acts, Molasses Act,
Sugar Act, Stamp Act, Tea Act, Quebec Act.
...Ad Arthur tutte quelle
bugie sarebbero costate care in seguito.
[Yorktown, 14
ottobre 1781]
«Arthur,
perché? Perché hai privato
della libertà la tua colonia?»
Le gocce di
pioggia producevano una litania malinconica quando si
schiantavano sul terreno. Il fango lordava le uniformi sia
dell'Esercito Continentale che di quello Britannico, tuttavia moschetti
e fucili erano puntati gli uni contro gli altri.
Attendevano
solamente che i due uomini, le loro Nazioni, cominciassero
a duellare come eroi epici nell'ultimo scontro.
«Non
dirmi che hai voluto tutto questo.»
Rincarò lo statunitense.
Inghilterra
non rispose. Le lacrime si confondevano con la pioggia,
formando rivoli d'acqua lungo la giubba rossa, fino a raggiungere il
grilletto del fucile. Riusciva a stento a puntare il suo nemico - un
tempo sua adorata colonia.
«Posso
perdonare tutto quello che è successo da
quando scelsi te come madrepatria, solo perché sono un eroe.
Ma gli eroi non dimenticano. E tu lo sai. Lo sai perché non
mi hai raccontato altro, quando ero piccolo, avevi così
tante storie di cui parlarmi.»
La pioggia
precipitava dal cielo con tanta forza che il fucile,
brandito da Arthur, cominciò a tremare.
O forse era
lui ad essere scosso?
«Dopo
questa guerra l'avrai capito.»
Gli eserciti
erano immobili alle loro spalle. I vessilli portati dagli
alfieri non accennavano a sventolare sopra gli elmi dei soldati, i
cavalli dei generali nitrivano e s'impennavano, come se avessero
avvertito l'elettricità che avvolgeva le due figure al
centro del campo.
«Ti
credevo capace di tanto, credevo che potessi darmi la
libertà che mi spettava, e quando ero piccolo lo credevo
davvero. Ero felice.»
«Sono
l'Inghilterra, Alfred» esordì
l'altro «sono stato anch'io un possedimento altrui, prima
dell'Impero Romano, poi della Danimarca. Anche io ho combattuto contro
altre Nazioni per trovare la libertà. Questo è il
tuo turno.»
America non lo
ascoltò nemmeno. «Basta,
Inghilterra. Ho rinnegato il mio rispetto e affetto per te, quando
è cominciata questa guerra.»
«Non
ne dubito.» Nonostante la consapevolezza di
aver troncato i rapporti con la sua colonia, Arthur non era ancora
riuscito a metabolizzarli. Erano come un albero caduto lungo la strada,
una interminabile giornata di bonaccia mentre navigava verso i
mercantili spagnoli, quando ancora braccava Spagna e i suoi commerci.
Erano il pezzetto di metallo incastrato tra due ingranaggi della sua
anima; compromettevano tutta la sua persona, i suoi pensieri,
amalgamati con le paure e l'indignazione degli inglesi. E tramortivano
in particolare un muscolo striato racchiuso dalla gabbia toracica.
A quello
stesso organo aveva mirato Alfred, quando aveva puntato la
baionetta contro l'inglese.
Un secondo
prima di essere colpito dalla lama, Inghilterra fece un
rapido passo indietro, ansimando per lo spavento e la pioggia, che
rendeva i respiri veloci e brevi.
«Dovresti
stare attento, Inghilterra.
Saresti dovuto stare
attento, perché non sapevi cosa stava succedendo alla tua
piccola colonia indifesa. Ora questa colonia vuole la
libertà. Tu gliel'hai negata, hai sputato sui rappresentanti
che avremmo voluto portare al vostro Parlamento. Non immaginavi una
guerra, eh, Inghilterra?»
«Idiota.
Ti ho cresciuto. In tutti questi secoli, pensi che
non ti abbia conosciuto fino in fondo? Ti credi un eroe, America, ma
riuscirai a salvare tutto il tuo popolo?»
I soldati
cominciarono a rumoreggiare da ambo le parti - tuttavia
nessuno aveva abbassato le armi.
Il generale
britannico Cornwallis, in sella, attendeva con impazienza
l'inizio dello scontro. Aveva disubbidito agli ordini dei suoi
superiori solo per assistere a uno stupido discorso tra due Paesi che,
benchè parlassero la stessa lingua, non riuscivano a
comunicare?
«Non
credo che tu non mi abbia conosciuto. Penso piuttosto
che tu non capisca tutte le offese e le ingiustizie che hai sputato
contro di noi, che ti abbiamo servito per decenni, e che abbiamo
sopportato i tuoi soprusi. Non hai capito il nostro
cambiamento.»
«Questa
guerra è uno stupido pretesto, America.
Sei tu che non hai capito nulla.»
«Allora
spiegami, lurido inglese!»
«Dovresti
riflettere, prima di parlare come un marmocchio
sconsiderato. Non arrabbiarti per qualcosa che non riesci
a
contemplare.»
Fu l'ultimo
momento di esitazione, per Alfred. Nel mezzo delle loro
allocuzioni aveva ricaricato la baionetta - ed Arthur non lo aveva
fermato dal prepararsi per un nuovo attacco.
Inghilterra si
esibì in un sorriso cinico ed irritante.
«Tu, mia piccola colonia, saresti dovuto rimanere con me.
Sarebbe stato meno doloroso, nel breve e nel lungo periodo.»
Assottigliò gli occhi per prendere meglio la mira.
«Ah,
sì?» Il tono era quello di sfida.
«E sentiamo, mia arrogante madrepatria:
perché?»
«Un
eroe alquanto stupido.» Sentenziò
l'inglese. Prese un profondo respiro, prima di riprendere la sua
spiegazione. «Questa guerra è una follia. Una
pazzia in cui siamo finiti entrambi. L'unica differenza è
che, per quanto tu ne uscirai vincitore formalmente, avrai perso tanto.
Tante cose, tanti uomini, e tutta quella sfrontatezza che esibisci
davanti a me. E solo allora penserai che da questa confusione non avrai
ricavato altro che documenti che certificano la tua vittoria e un Paese
da ricostruire.»
Un fulmine si
abbattè poco lontano, con un frastuono feroce
che aggredì i timpani delle migliaia di presenti.
«Da
questa guerra, distruttore di sogni,
guadagnerò anche la libertà!» Alfred,
con uno scatto, imbracciò la baionetta e premette il
grilletto.
Il colpo,
tuttavia, non raggiunse l'obiettivo. Arthur alzò
il braccio che reggeva il fucile, e l'attacco si schiantò
sul ferro dell'arma inglese, rimbalzando fino a terra.
«Sei
troppo inesperto, America. Io posso vantare secoli di
guerra sui mari, tu solo tanta incoscienza.»
«Quell'esperienza
sarà la tua rovina,
Arthur!» Era la prima volta che lo chiamava per nome. Voleva
ristabilire un dialogo umano, da persona a persona, e non tra due
Nazioni?
Era ancora un
bambino, Alfred. Uno stupido ragazzino che giocava a fare
l'eroe.
«Ti
sopravvaluti troppo. La tua sicurezza è solo
una maschera. E sarà proprio la tua superbia a farti fuori.
Dovresti abbandonarla e pensare sul serio a quello che
accadrà tra poco.» Aggiunse lo statunitense,
detergendosi il viso con una manica della giacca blu.
«Bada
a te stesso, America, perché in questa
battaglia sarò il tuo incubo e demone peggiore, che ti
annienterà.»
Due secondi
dopo, contemporaneamente, i due puntarono le armi da fuoco
l'uno contro l'altro e spararono.
Alle loro
rispettive spalle, ribelli e inglesi cominciarono la loro
offensiva.
Inghilterra e
America furono inghiottiti dalla pioggia. I due eserciti,
trincerati e distanti mezzo miglio tra loro, non riuscirono
più a individuarli.
Nemmeno il
Conte de Rochambeau, il generale George Washington e il
marchese Lafayette, al comando delle truppe franco-americane, che erano
ben più vicine ai due Paesi, li avevano più visti.
Eppure stavano
duellando come due lupi per decidere chi, tra i due,
sarebbe stato il nuovo capo del branco. I colpi a fuoco non avevano mai
colpito punti vitali, per la loro esperienza o i loro riflessi nessuno
dei due aveva ferito gravemente l'avversario.
I rivoli di
sangue si mescolavano alla pioggia - che stava diminuendo
lentamente d'intensità - e alla polvere, raggrumandosi sui
vestiti e le armi.
Terminati i
proiettili, fu la volta delle spade, appena incrostate da
piccoli scivoli d'acqua e terra.
«Ricordo
ancora tutte le volte in cui mi dicesti "Tornerò presto, hai
la mia
parola"» esordì Alfred, menando uno
sgualembro - prontamente bloccato - verso la spalla del nemico,
«e per anni non ti vidi tornare. Quando mi promettesti che
niente sarebbe cambiato, mentre tutto si trasformava a causa
tua.»
«Forse
hai dimenticato le mie profonde scuse per te a ogni
mio ritorno nelle tue terre.»
«No,
le rammento. Piuttosto, però, mi ricordo la
sofferenza dell'attesa, e la delusione del perdono.»
Arthur si
esibì in una stoccata - e se avesse indossato un
tricorno, avrebbe davvero dato l'idea di un veterano e pirata inglese
del Seicento -, tuttavia il colpo non andò a segno,
perché il fuoco franco-americano lo aveva colpito, in quello
stesso istante, alla spalla dominante, la cui mano stringeva con forza
l'elsa della spada.
Il ferro cadde
a terra con un suono quasi tintinnante, oscurato dal
lamento di dolore dell'inglese, che si riversò al suolo
quando lo stivale di Alfred lo spinse al torace.
Lo
statunitense gli puntò la punta dell'arma bianca alla
gola, con un sorriso di scherno sul viso lurido d'acqua. «Mia
madrepatria, è forse tua prerogativa, tua unica natura
ingannare e ferire le persone a cui vuoi bene?» Disse,
modulando la voce fino a sembrare un attore di teatro, o meglio, un
eroe del teatro, per rendere l'intera scena ancor più
grottesca.
Inghilterra
rimase ad occhi chiusi in un testardo silenzio.
Stava pensando
a una contromossa, o a una eventuale, ma disonorevole,
ritirata.
«O
forse» aggiunse lo statunitense «non
hai mai voluto bene neanche a me, la tua preziosa e adorabile
colonia?»
Le corde
vocali di Arthur rimasero immobili. La punta della lama gli
pizzicava la gola.
«A
questo punto, mi domando come tu abbia potuto mascherare
le tue intenzioni per così tanti secoli.»
No,
Inghilterra non poteva ascoltare oltre quei deliri.
Estrasse dallo
stivale sinistro un pugnale, col quale
squarciò il tessuto che rivestiva il polpaccio del nemico.
E dire che
Cornwallis lo aveva deriso, quando per la prima volta lo
aveva visto indossare la red coat con il paio di stivali di pelle con
cui aveva solcato l'Atlantico! Al diavolo la raffinatezza, contava il
salvarsi la pelle, in terra e per mare!
Alfred
cacciò un grido tremendo, tanto che i soldati
franco-americani della prima linea, avanzati verso i britannici per
prendere meglio la mira con l'artiglieria, si spaventarono parecchio;
in quello stesso momento Arthur si scansò dalla presa della
lama e si rialzò in piedi, barcollando per colpa della
perdita di sangue dalla spalla.
«Non
hai capito niente, America.» Rispose, con un
ghigno.
Un altro sparo
sfiorò la testa dell'inglese, tranciando una
ciocca bionda che scese a terra mulinando sotto i colpi della pioggia
leggera.
Capì
di dover mettere da parte l'orgoglio e di tornare
dietro le linee britanniche, o sarebbe rimasto nelle mani degli
americani - il che significava la morte per i suoi soldati e la fine
irreparabile di quella guerra.
Raccolse in
velocità il fucile e la spada, poi, dopo aver
mosso alcuni passi all'indietro per non essere colpito alle spalle, si
voltò e prese a correre con foga lungo il campo, verso
l'Esercito Britannico.
Era un'onta
terribile, per il suo animo, per l'Inghilterra intera e per
il suo re, tuttavia era un sacrificio necessario per non incappare
nella totale sconfitta.
...Quella notte, non sarebbe
bastata una bottiglia di rum per
trascinare Arthur nell'oblio, lontano dall'acqua che colava sul viso,
dal viso.
[Yorktown, 17 ottobre 1781]
Inghilterra
era sfuggito alle sue domande, però non si
sarebbe mai sottratto all'ultimo scontro.
Se Arthur
fosse stato un uomo comune, quella ferita alla spalla lo
avrebbe irrimediabilmente portato a un'infezione e poi all'amputazione
del braccio.
Ma una Nazione
vive, prima di tutto, perché il suo popolo la
vuole.
E
così, ancora una volta, aveva indossato la giubba rossa
sopra la medicazione, ed era sceso sul campo seguito da tutto
l'Esercito Britannico, per la battaglia.
Dall'altra
parte della pianura, Alfred aveva piantato in terra la punta
della baionetta e stava guardando verso gli inglesi; no, forse verso
l'orizzonte, che si stagliava proprio alle loro spalle con quel
mantello blu elettrico, o verso il fiume di York.
In piedi come
uno degli eroi omerici, lo statunitense però
non pensava alla battaglia, ma alla lotta interna che lo aveva portato
a ribellarsi.
Non era stato
facile decidere se passare dalla parte degli insorti o
meno perché, malgrado tutto, Inghilterra era il suo
fratellone, e duellare con un fratello è un colpo al cuore
in ogni caso. Aveva impiegato molti giorni per convincersi che lui
stesso, assoggettato ad Arthur e a quella madrepatria di cui non aveva
mai apprezzato i pub o i paesaggi - perché le uniche volte
in cui aveva toccato suolo britannico erano stati viaggi diplomatici, e
non di piacere -, non poteva essere felice. E neanche libero.
Soprattutto libero.
Per lui, la
libertà rasentava la purezza della
felicità. In tutte le storie che Arthur gli aveva
raccontato, quegli uomini vivevano nella più ampia
libertà di movimento e scelta, come i racconti riguardo
Robin Hood, che lo avevano affascinato da sempre.
Certo, non
escludeva che Inghilterra le colorisse e ampliasse sempre
più, ma questo non gli impediva di sognare, no?
Che colpa ne
aveva Alfred, se tutto ciò che Arthur gli aveva
narrato aveva instillato in lui una irresistibile voglia di vivere in
libertà?
Questo suo
desiderio di indipendenza totale, oltre ai tanti problemi
che affliggevano le colonie americane, lo aveva spinto alla guerra.
Non era
più il bambino di un tempo, né una
colonia fragile. E neanche il pupazzo con cui Arthur poteva giocare e
fingere di essere un bravo fratellone, perché alla fine la
determinazione aveva invaso e infiammato il cuore di tutti gli
statunitensi.
Sembrava quasi
che, in contemporanea con Alfred, tutti loro avessero
preso atto della loro dignità e del loro desiderio di
emancipazione, e che come una sola persona avessero scelto di
combattere per ottenerle.
La bandiera
con le tredici stelle sventolava, energica come non mai. A
quel pezzo di stoffa aveva votato l'anima e il corpo. A lei sola aveva
rivelato il suo sogno e sempre a lei aveva promesso di raggiungerlo.
Stava ancora
rimestando ricordi e obiettivi, quando si levarono in aria
le armi.
Vide che la
battaglia aveva ripreso come quattro giorni prima.
Il suo istinto
gli sussurrava che quello sarebbe stato l'ultimo duello
con Inghilterra.
«America,
che ti succede?» La voce dell'inglese
piombò nelle sue orecchie con uno sprezzante tono di sfida.
«Come mai sei ancora trincerato dietro i tuoi uomini,
eroe?»
Alfred,
benchè fossero ancora lontani, aveva la canna del
fucile britannico puntata alla gola. Deglutì vistosamente.
Non lo aveva
intimidito l'arma da fuoco.
No.
Era stato il
viso di Arthur a sciogliergli le ginocchia.
Un volto
trasfigurato dalla consapevolezza che il suo mondo e il suo
impero sarebbero presto crollati.
E, prima
ancora del dolore, Alfred si sentì deluso.
Inghilterra
non era forse stato il suo muro da scavalcare, il pugile da
mandare fuori gioco, la parete di roccia da scalare?
Vederlo in
quello stato gli fece capire che Arthur sembrava
più un uomo, che una Nazione. Che era sempre stato
più un essere umano che un Paese, per quanto fosse attento
ai problemi del Regno Unito e fosse conscio di essere una vera Nazione.
«Aspetti
che il Leone d'Inghilterra venga personalmente a
sbranarti?»
Il silenzio
che seguì veniva continuamente interrotto dal
rumore degli spari.
Quel grido
aveva spezzato i confini dello spazio - mezzo miglio -
giungendo ad Alfred come se glielo avesse sussurrato in un orecchio,
come quando narrava racconti del ciclo bretone a lui e a Canada. E lo
aveva scosso come una scarica elettrica, che al contempo gli aveva
donato nuova energia.
«Se
vuoi, posso ancora concederti la resa, colonia. E' la tua
ultima possibilità per non essere spazzato via dalla
madrepatria contro cui ti sei ribellato. E la stessa tortura per
Francia, che perisca affogato nella sua Senna!»
«No.»
Disse, quasi tra sé. Infine, con
un respiro che saliva dalle profondità dei monti Appalachi,
gridò. «No! L'Aquila americana piomberà
dal cielo e i suoi artigli ti squarteranno, Inghilterra!»
Inghilterra
voleva un duello epico? E America glielo avrebbe concesso,
come ultimo dono prima della sconfitta, a partire dalle parole.
«Per
ultima cosa, Inghilterra» aggiunse, con un
altro stentoreo grido, mentre un soldato, accanto a lui, veniva ucciso
da un proiettile. «Tutte quelle promesse vacue che mi hai
fatto verranno buttate alla cenere e alla polvere delle miniere! Per
secoli mi hanno ingannato, e tu con loro. Ma non sono né
stupido, né sordo. Ho impiegato tanto a capire che c'era
qualcosa, nascosto dietro ogni giuramento, e che te ne sei infischiato
per anni. Questa sarà la resa dei conti,
Inghilterra.»
Uno squarcio
nel cielo illuminò la distesa di erba secca.
«D'accordo,
America. Apprezzo il tuo tentativo.»
Rispose l'inglese, con quel tono da pirata arrogante, mentre Washington
gridava un ordine rimasto incompreso ad Alfred.
Come nelle
precedenti battaglie, le due Nazioni caricano, sguainando
baionette e spade, mentre il campo attorno a loro romba per le grida e
per i passi furenti di corsa.
Tutto
è pronto. O, se non lo è, non importa
più.
Col cozzare
delle due lame, il mondo attorno a loro scompare. Ci sono
solo i loro sguardi accesi di sfida e la loro concentrazione, rabbiosa
o determinata.
...Come si
chiuse il sipario scarlatto, alla fine, tutti noi lo
sappiamo.
|