DIAH 1
London Calling
La vita non poteva essere tutta lì. Agnes voleva di
più, molto di più. Quel pensiero la assillava da quando
si era diplomata e aveva deciso di interrompere gli studi. Nonostante i
suoi genitori avessero tentato di dissuaderla, lei era stata
irremovibile: lo studio non era la sua strada. Non perché fosse
stupida o svogliata, ma semplicemente perché in quel
campo non aveva mai primeggiato e Agnes aveva un'unica
certezza: qualsiasi cosa avrebbe fatto della sua vita, lei sarebbe
stata la migliore.
L'ultimo anno era volato e non era affatto soddisfatta di
sé: mentre le sue ex compagne erano tutte impegnate a
sperimentare la vita fuori casa, ad assaporare le grandi città
dell'Inghilterra e a programmare il loro futuro, lei era rimasta
bloccata nel paesino a fare da semplice assistente al padre. Non poteva
crederci nemmeno lei: la popolare Agnes, la ragazza più carina
dell'ultimo anno era ancora lì, in quell'angolino di mondo
così angusto da non poter contenere nemmeno uno dei suoi tanti
sogni.
In quella tiepida sera di settembre, Agnes si sedette su una panchina
del giardino di casa, quello stesso giardino, rigoglioso e
verdeggiante, che la faceva sentire
protetta tanto da superare le sue insicurezze e riuscire a
strimpellare la chitarra e a intonare qualche ballata rock dai toni
delicati.
Agnes amava la musica. Si può dire che fosse l'unica cosa a
coinvolgerla fino in fondo. Sapeva anche di avere una voce particolare
che poteva risultare piacevole se controllata, ma le rare volte in
cui aveva tentato di cantare davanti a qualcuno che non fossero i suoi
genitori o suo fratello, si era sempre bloccata, beccando delle
stonature che l'avevano fatta sprofondare dall'imbarazzo. Si
accontentava di cantare per sé, tra i roseti del suo giardino.
-Agnes.
La ragazza fermò le mani sulla chitarra e si girò verso
la figura slanciata che stava camminando nella sua direzione: Teodore
Dayle, stimato medico della piccola comunità di cui facevano
parte, si sedette accanto alla figlia e rimase un po' in
silenzio.
Paternale in arrivo, pensò scocciata la ragazza.
-Diventi sempre più brava.
Quel commento finì con il sorprenderla: suo padre non aveva
mai commentato la sua passione per la musica, nonostante
l'avesse ereditata proprio da lui.
Da quello che aveva capito Agnes, ai tempi del college, il suo
mite e dolce papà non era esattamente quello che si direbbe uno
studente modello. Lungi dall'essere interessato ai suoi studi, Teo
Dayle, con la sua fedele Strato, aveva suonato nelle band dai nomi
più improbabili; i componenti di queste finivano quasi
sempre con il prendersi a scazzottate davanti a quelli che solo
qualcuno un po' troppo di parte, o troppo ubriaco, avrebbe chiamato
fans. Non sapeva come né perché, ma a un certo punto Teo
aveva smesso di crederci; accantonato l'amore per la sua chitarra, ne
aveva scoperto uno tutto nuovo per una donna: la ragazza
più studiosa del suo anno, Andy. Per lei, e per lei soltanto,
aveva desiderato qualcosa di diverso, di migliore: Teo voleva essere
all'altezza di quella donna e ancora ora, dopo anni di matrimonio, non
provava alcuna vergogna nel riconoscere che non aveva smesso di provare
a meritarsela davvero.
Agnes non seppe come rispondere a quel complimento inaspettato.
-Non guardarmi così: dico davvero,- le rivolse un'occhiata intenerita,- dovresti prendere coraggio, però.
Puntuale come sempre, suo padre era andato dritto a colpire il solito
tasto dolente. Non gliene faceva una colpa, in fondo. Ma
quell’argomento sembrava diventato il preferito dei suoi
genitori, insieme all’aumento vertiginoso delle imposte negli
ultimi anni e alle discutibili doti culinarie della zia Molly. Agnes
abbassò lo sguardo e cominciò a pizzicare le corde della
sua chitarra.
-A quanto pare questo è il tema della mia vita,- replicò con una piccola smorfia.
Il padre sospirò, passandole un braccio intorno alla spalla.
-Cosa vuoi, Agnes? Vuoi continuare a farmi da segretaria? Sai che per
me non c'è problema, ma ti conosco e so che non vuoi questo.
Vuoi passare la vita a sognare senza mai provare a realizzare i tuoi
sogni? Vuoi stare qui a chiederti come sarebbe vivere davvero?
Nonostante il tono dolce erano parole dure, pesanti come solo la
verità può essere. Qualcosa si mosse dentro Agnes.
-Io vorrei...
-Io voglio, Agnes. Tu vuoi qualcosa e te lo vai a prendere.
-Voglio Londra, papà.
Lui sorrise, soddisfatto. -E ci hai messo un anno prima di capirlo?-
replicò fingendosi burbero, prima di alzarsi. -Sai che non
sarà facile convincerla, vero?
Lei non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, prima di annuire.
-E sai anche che non devi dirle che ti ho spinto io a prendere questa decisione, vero?
-Lo chiamavano Cuor di leone,- commentò con un sorriso ironico.
***
Il cambiamento iniziava con un viaggio in treno. Agnes avrebbe dovuto
essere soddisfatta, forse addirittura compiaciuta di un taglio
così netto rispetto alla sua vita precedente. Ma qualcosa le
impediva di gustare a pieno quel particolare momento, distraendola dal
libro che aveva portato con sé e persino dalla musica che,
attraverso le cuffie, filtrava nelle orecchie. Un sottile senso
irrequietezza la portava a girarsi nervosamente sullo scomodo sedile e
a guardare l’ora sul cellulare stretto tra le mani.
La verità era che non riusciva a provare neanche una goccia
dell’entusiasmo che tante volte aveva immaginato che
l’avrebbe colta in una situazione del genere.
"Un conto è sognare, un altro è vivere...", constatò con gli occhi fissi sul finestrino.
Sì, perché nel sogno lei era sorridente, allegra e finiva
con il fare amicizia con qualcuno seduto sul sedile accanto, fino a
scoprire che anche lei o lui si recava a Londra per realizzare i propri
sogni. La realtà, invece, era terribilmente noiosa. Tra uno
sbadiglio e l'altro, si rendeva conto che non aveva molto per cui
sorridere e che nessuno sul sedile accanto avrebbe ricambiato il
sorriso. Né i marmocchi che bisticciavano sui sedili di
fronte né l'uomo di mezza età, impegnato a leggere
il Financial Times.
Un messaggio in arrivo giunse a distrarla dal torpore del viaggio.
"Sei stata grande sorellina.
Non pensare troppo alla mamma. Nonostante tutto, sono sicuro che la farai ricredere.
Papà ti ricorda di non dare confidenza ai clienti di Gheorghe…Né a Gheorghe, soprattutto!
Rey."
Agnes sorrise davanti a tanta dolcezza. Nata solo dopo undici mesi
dalla nascita di Rey, non aveva mai avuto un rapporto idilliaco con il
fratello: dopo un'infanzia passata a bisticciare e un'adolescenza
trascorsa ad ignorarsi amabilmente, avevano finalmente capito che nella
continua lotta con i genitori l'altro poteva essere un alleato e non un
nemico.
Le sue labbra si strinsero in una smorfia infastidita, quando
ricordò a se stessa che più che lotta con i genitori il
tutto si risolveva in un perenne scontro tra ciò che volevano i
figli e quelle che erano le aspettative di sua madre.
Quei pensieri riportarono alla mente di Agnes la discussione che era
esplosa in casa alcuni giorni prima, quando si era decisa a parlare dei
suoi progetti futuri. Poteva ancora sentire il tono con cui la madre
aveva pronunciato le parole "irresponsabile", "come tuo padre" e "piedi per terra".
Fortunatamente per lei, Teo, sentitosi chiamare in causa, era
intervenuto nella discussione. E da lì il compromesso era
arrivato presto.
La madre aveva contattato una sua compagna del college, chiedendole se
per i primi tempi potesse accogliere la scapestrata figlia facendole da
guida.
Il padre le aveva trovato un lavoro di cameriera presso un suo vecchio
amico, sotto gli occhi inviperiti della moglie che tremava al pensiero
di che razza di amico potesse mai trattarsi.
E Agnes... Agnes si sentiva un bel pacco postale formato gigante.
***
La prima volta fu rapida e - quasi - indolore, senza uno scambio di parole.
Erano trascorse due settimane dal suo trasferimento a Londra e non
aveva avuto un attimo per riflettere sulla portata di questo
avvenimento. Per lei, da sempre portata ad analizzare tutto ciò
che le accadeva, era un’autentica novità.
Ogni risveglio era accompagnato dalla voce petulante di Kayla Bishop,
l’amica cui sua madre aveva voluto affidarla. Kayla, una
divorzista di successo con due matrimoni alle spalle, aveva la
fastidiosa tendenza a controllare ogni suo movimento e a criticare
tutto ciò che la riguardava. Ormai Agnes si era convinta che sua
madre l’avesse mandata di proposito da quella donna, dal momento
che era così odiosa, petulante e ligia al dovere da poter
scoraggiare chiunque in brevissimo tempo. Ma si sbagliava,
perché non solo Agnes non si sarebbe arresa, ma anzi era
più motivata che mai a cercare una diversa sistemazione.
Il lavoro, invece, le aveva riservato delle sorprese, alcune delle
quali non molto piacevoli. Più che una cameriera, Gheorghe
cercava una barista che fosse disposta a pulire e rassettare il locale.
Così, quando aveva scoperto che Agnes non sapeva nulla di
cocktail e soprattutto di whiskey, aveva iniziato a maledire Teo Dayle
e tutta la sua discendenza. Poi, passata l’incazzatura per la
bugia che gli aveva rifilato il vecchio amico, aveva iniziato a
spiegarle pazientemente le differenze tra i vari alcolici, i marchi
migliori e come servire i diversi drink, avvisandola che se non avesse
imparato in fretta l’avrebbe rispedita indietro.
A quanto pareva, però, oltre all’altezza e
all’interesse per la musica, sembrava che Agnes avesse ereditato
dal padre anche una certa predisposizione per i drink. Così,
sotto la rigida supervisione di Gheorghe e quella fastidiosa di Kirk,
l’altro barista che lavorava solo occasionalmente al
Kirchherr’s, Agnes aveva imparato a destreggiarsi dietro al
bancone del locale, tra Guinness e Scotch.
Erano le quattro del pomeriggio, il pub era pressoché deserto e
Agnes era in pausa. Seduta sulla panchina, si stava gustando qualche
pagina del suo nuovo romanzo, quando li vide. Sapeva di essere
un'attenta osservatrice, ma era chiaro che per chissà quale
motivo quei due ragazzi li avrebbe notati chiunque. Stupidamente, per
prima cosa provò un moto di invidia, perché il suo sogno
inconfessato era proprio quello: non passare mai inosservata. Tuttavia
le bastò una semplice occhiata per capire che a quei due non
fregava proprio niente dell'effetto che facevano sul mondo intorno a
loro.
Erano belli, in due modi molto diversi l'uno dall'altro, e in quel
momento Agnes non era in grado di stabilire chi dei due lo fosse di
più.
Forse il ragazzo appena un po' più alto, magro ma
più largo di spalle. Bello anche con i capelli castani malamente
coperti da un berretto da baseball, così come gli occhi erano
nascosti dietro un bel paio di Rayban neri; Agnes si sentì
attratta dalla forma particolare del viso e quel filo di barba incolta
che gli conferiva un'aria decisamente virile.
Ma poi il suo sguardo si soffermò sull'altro ragazzo e
capì che non era affatto da meno: i capelli scuri, quasi neri,
gli ricadevano appena sulla fronte liscia; anche i suoi occhi si
nascondevano beffardi dietro delle lenti scure. Agnes si
soffermò su quelle labbra carnose che rosse spiccavano
rispetto al viso chiaro e imberbe.
Camminavano lungo la strada con un'espressione poco rilassata sul viso
e ogni tanto uno dei due si girava verso l'altro rivolgendogli qualche
parola: erano nervosi, scocciati per qualcosa.
Agnes fu sorpresa nel vederli fermarsi proprio vicino a lei. Colse
l'occasione per osservarli con la precisione che solo lei sapeva
dedicare ai dettagli più insignificanti: quello con il berretto
si era attaccato al cellulare e si guardava nervoso intorno; indossava
una di quelle camicie a quadrettoni, larga, lasciata aperta a scoprire
una semplice t-shirt bianca, sopra un paio di jeans scuri.
L'altro, dalla figura più sottile, le dava le spalle con una
mano sul fianco, intento anche lui a guardarsi intorno. Indossava una
t-shirt con una stampa particolare e dei jeans chiari. Mentre
l'altro era impegnato nella telefonata, lui si accese una sigaretta e
si girò verso Agnes.
Non abbassò lo sguardo. Non era timida, Agnes ma neanche
sfacciata: rimase nell'esatta posizione e con la stessa espressione in
cui il ragazzo l'aveva beccata a fissarlo, pregando che non l'avesse
notata e sperando segretamente di non essere talmente anonima da non
poter essere notata neanche a una distanza così ravvicinata.
Lui, per tutta risposta, sollevo un po' il capo, portò la sigaretta alle labbra e infine le rivolse un sorriso obliquo.
Agnes quasi sgranò gli occhi per la sorpresa. Se l'era immaginato o le aveva sorriso davvero?
-Alla buon'ora, ragazzi!
L'inconfondibile vocione di Gheorghe la distrasse da quella muta
domanda. Si era affacciato da una finestra del piano superiore e,
sventolando la mano con cui teneva il cellulare, stava richiamando
l'attenzione dei due giovani.
Come se ne avesse bisogno, con quella voce!
-Che fate lì imbambolati? Su entrate.
I due stavano entrando nel pub, quando il vocione tornò a tuonare inesorabile.
-Agnes sei ancora lì? Benedetta ragazza...Ti avevo detto di andare a comprare qualcosa per il cesso intasato!
I due, come il resto dei passanti, si girarono ghignando nella sua
direzione. Stavolta non poté fare a meno di sgranare davvero gli
occhi e dileguarsi quanto più veloce possibile. Quei due,
talmente perfetti da farla star male, l'avrebbero associata a un cesso
intasato.
Ringrazio Trigger per la splendida immagine che fa da copertina
e un grazie a chi passa da qui e regala un po' del suo tempo alla mia storia.
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