prologo
New York, Quartier
generale dell'ONU - 23.58, lunedì
Il corridoio
era deserto a quell'ora
di notte. Chuck Bartowski, in equilibrio all'interno di un condotto
dell'aria, confidava soprattutto in quello, e magari in un
provvidenziale colpo di fortuna. Aveva studiato la pianta dell'edificio
nei minimi dettagli, sapeva di essere poco ad est del grande ufficio al
terzo piano che doveva raggiungere. La scalata attraverso l'impianto
d'aerazione era stata un'impresa titanica, continuava a scivolare da un
piano all'altro. Aveva rimpianto di non aver utilizzato l'ingresso
principale, ma sapeva che sarebbe stato impossibile eludere i due
addetti alla sicurezza ben armati senza attirare necessariamente
l'attenzione, e non poteva permettersi di attendere il cambio delle
sentinelle per sgattaiolare all'interno indisturbato. Inoltre adorava
calarsi a testa in giù dal soffitto, come se fosse spider
man.
Fingersi un supereroe era uno dei lati positivi del suo lavoro. In
compenso ce n'erano fin troppi di negativi.
Appeso
per le gambe al buco aperto
nel soffitto, Chuck valutò che sicuramente qualcosa sarebbe
andato storto. Non poteva essere davvero così semplice
infiltrarsi nel palazzo di vetro, sicuramente qualche super guerriero
ninja sarebbe spuntato da un angolo per catturarlo e metterlo a marcire
in una cella buia per il resto dei suoi anni. Finchè si
trovava
in quell'edificio non era legalmente sul suolo degli Stati Uniti, se
l'avessero preso l'avrebbero sicuramente processato come terrorista.
Rabbrividì, una goccia di sudore gli imperlò la
fronte e
scivolò lentamente sui suoi capelli per poi infrangersi con
un
impercettibile "plic" sul pavimento di linoleum. Trattenne il respiro,
aspettando di sentire il suono di una sirena rompere il surreale
silenzio che regnava nel palazzo. In attesa, immobile, sentiva il suo
respiro rimbombare nelle orecchie. Cercò di concentrarsi per
calmare i battiti del cuore che gli impedivano di ascoltare
ciò
che gli accadeva intorno. Che quelli fossero passi? O forse era solo la
sua immaginazione. Doveva mantenere i sensi in allerta.
Sobbalzò spaventato quando sentì l'imbragatura,
che lo
sosteneva in quella posizione innaturale, gemere, troppo tesa sotto il
persistente peso del corpo umano. Chiuse gli occhi e pregò
che
la corda non cedesse, sperando che qualche entità benefica
non
meglio definita lo esaudisse. Gettò l'occhio all'orologio,
il
tempo sembrava non trascorrere mai, eppure due minuti non dovrebbero
essere così lunghi. Seguì il quadrante digitale,
scandendo gli ultimi secondi che lo separavano alla mezzanotte... 58,
59...
Il blackout lo colse di sorpesa, nonostante lo avesse organizzato
proprio lui. Era ciò di cui si era occupato nel pomeriggio,
era
entrato mimetizzandosi fra un nutrito gruppo di diplomatici europei,
per poi utilizzare un pass temporaneo rubato ad uno sventurato
elettricista allo scopo di infiltrarsi nei sistemi di sicurezza del
palazzo e inserire il timer. Era andato quasi tutto per il verso
giusto, era decisamente incredibile, mai un suo piano era andato come
previsto. Ormai la sua vita era un continuo colpo di scena. Certe volte
avrebbe desiderato solo un po' di tranquillità, una casetta
sulla spiaggia, il sole al tramonto, una brezza fresca fra le foglie
delle palme, il rumore delle onde, il sorriso della sua Sarah sotto un
cielo rosso come il fuoco, le curve del suo corpo infiammate dalle
ultime luci del giorno, esattamente come quando in luna di miele erano
rimasti soli su quel tappeto di sabbia fine e bianca e...
Un brivido gli attraversò la schiena e spalancò
gli occhi
sul buio, disorientato. Non poteva perdersi a fantasticare, non ora che
il tempo era poco. Aveva esattamente altri nove minuti prima che il
programma di Orion riattivasse la corrente cancellandosi
automaticamente dal sistema informatico, e quelli che sentiva
rimbombare nel corridoio erano decisamente passi. Con un unico tocco si
lasciò cadere sul pavimento, atterrando maldestramente in
ginocchio.
-Chi va la!- Urlò un uomo di mezza età,
dall'altro lato
del corridoio. Chuck non poteva vederlo, ma sentiva la sua voce
profonda tremare. Doveva essere lui, appurò la spia
indossando
gli occhiali ad infrarossi. La massiccia mole del diplomatico
sessantenne che si stagliava di fronte a lui sembrava rimpicciolire
mentre vagliava il buio alla ricerca del suo invisibile nemico.
-Arthur Rosenfeld?- Scandì Chuck, chiedendo una conferma di
cui
non aveva veramente bisogno. Quell'ometto insulso era un venduto, un
traditore, non osava nemmeno lasciare quel palazzo per paura di
sfiorare il suolo americano.
-S... si?- Pigolò Mr. Rosenfeld addossandosi alla parete in
cerca di un interruttore, una maniglia dell'allarme antincendio,
qualunque cosa potesse attirare l'attenzione. Chuck era disgustato da
tanta viltà.
-Lei era in affari con un trafficante legato alla mafia russa- la sua
voce era di ghiaccio mentre gli elencava le sue colpe -Lei lo usava
come tramite. Gli dava informazioni governative segrete, e lui avrebbe
portato i suoi nuovi acquisti al suo capo, un brav'uomo Ivan
Vassiljevich, ho visto il suo cadavere. Era un uomo di parola.- Si
fermò sentendo di nuovo squittire di terrore l'uomo. Sapeva
di
non avere scampo, ma stava arretrando lentamente verso quello che
doveva essere l'ufficio. Chuck estrasse una pistola dalla cintura e
gliela punto contro con uno scatto metallico. Il diplomatico dovette
riconoscere il rumore perchè si immobilizzò
all'istante.
-Eh si, il caro vecchio Ivan. Prima di morire ha dato informazioni
importanti alla mia collega, informazioni che ci portavano dritti a
lei, Mr. Rosenfeld. In questo momento la CIA. sta elaborando un mandato
governativo di estradizione. Domani mattina lei sarà
costretto
ad uscire da questo edificio e verrà arrestato.
Sarà
incarcerato in una prigione di massima sicurezza, insieme ai peggiori
assassini, che probabilmente si divertiranno molto a fare di lei
ciò che vogliono-
-Lei è... è della CIA?- Il terrore si sentiva
chiaramente nel tono piagnucoloso della voce di quel verme.
-Io posso offrirle un accordo- Chuck sfuggì volutamente alla
domanda. Che credesse pure che era della CIA. Era più veloce
e
lui non aveva tempo. Mentì con sicurezza, in
realtà come
spia freelance non aveva alcun potere, men che meno in un momento del
genere, ma negli anni aveva imparato a sfruttare l'ignoranza altrui a
suo vantaggio. -Ivan e il suo capo non erano in proprio, giusto? C'era
qualcuno che li spaventava ben più di un mandato federale.
Siamo
stati a San Pietroburgo, Mr. Rosenfeld. Sappiamo che non si tratta solo
di documenti riservati sfuggiti alla dogana, un complotto
internazionale sta per mettere alla prova i governi di tutto il mondo-
Una pausa ad effetto lasciò spazio solamente al silenzio
rotto
dal ronzio lontano del generatore d'emergenza che scalpitava
incapace di entrare in funzione.
-Mi aiuti a fermarli. Mi basta un nome e le farò avere tutto
ciò che desidera. Anche la libertà.-
Gli occhietti porcini di Rosenfeld brillarono bramosi attraverso
l'oscurità. Chuck non riuscì a reprimere un
sorriso
soddisfatto, capendo che aveva vinto. Gli avrebbe detto ogni cosa, e
ciò che lui sapeva lo avrebbe avvicinato di un passo alla
verità, e a Sarah. La sua Sarah, i suoi capelli dorati e il
suo
sorriso innamorato, che lo aspettavano, da qualche parte.
-Io- balbettò l'uomo, incerto -mi dispiace, io non so nulla
di
una cospirazione russa, ma se vuole sapere la verità il capo
di
Ivan si chiamava...-
Rosenfeld cominciò a sputare nomi di mafiosi russi, di altri
colleghi corrotti, persino di un trafficante d'armi curdo che gestiva
una cellula terroristica nel centro di New York. Per la CIA sarebbe
stata una manna dal cielo. Ma a Chuck non importava, ormai non
ascoltava più.
Non aveva dubbi, quell'uomo non sapeva nulla. Dalla velocità
con
cui stava cercando di dare tutte le informazioni di cui era in possesso
era chiaro che avrebbe detto qualunque cosa pur di non finire in
carcere. Era un debole, in prigione non sarebbe durato nemmeno un
giorno, e lo sapeva. La spia guardò l'orologio: 00.09.
Ancora un
minuto.
Era stato tutto inutile. Risalire a quell'uomo con fatica, trovare un
modo per entrare in uno dei palazzi più sorvegliati della
costa
est, completamente senza supporto, perdere giorni e giorni dietro a
quella pista. Non era servito a niente, solo un buco nell'acqua. E ora
che la CIA era venuta a conoscenza dello scandalo, lui non aveva
più uno straccio di indizio da seguire. Sentì la
rabbia
montare dentro, l'impotenza era disarmante. Quell'uomo era inutile,
Sarah era perduta e lui era completamente solo in un mondo totalmente
nemico..
Arthur Rosenfeld stava andora parlando quando la pallottola gli
perforò il cranio. L'esplosione rimbombò nel
corridoio,
subito seguita dal tonfo sordo del corpo morto, ancora con la bocca
aperta, a svelare quegli ultimi segreti. Traditore fino alla fine.
Le luci si riaccesero di colpo. Chuck aveva forse ancora trenta secondi
prima che anche le telecamere di sorveglianza entrassero
nuovamente in funzione.
Tolse il dito guantato dal grilletto e velocemente infilò
l'arma
in mano al diplomatico, in modo che la posizione potesse far credere ad
un suicidio. Forse avrebbe trovato un medico legale abbastanza
distratto da non accorgersi che il colpo era stato sparato a distanza,
e in ogni caso a nessuno sarebbe dispiaciuto, a nessuno sarebbe mancato
quell'essere ignobile. La CIA l'avrebbe prelevato cadavere l'indomani.
Velocemente Chuck si riagganciò alla corda che prontamente
si
riavvolse riportandolo nella sicurezza del caldo e angusto condotto di
lamiera. Solo lì, mentre lentamente si trascinava verso
l'uscita, potè lasciarsi andare al senso di nausea che lo
assaliva. In parte perchè gli sembrava che gli occhi
spalancati
di Rosenfeld lo stessero ancora fissando, mentre i resti di sangue e
cervello gli colavano piano sulla fronte. E in parte perchè
non
riusciva a provare nulla, nemmeno il più piccolo rimorso,
per
aver tolto la vita ad un altro essere umano, a sangue freddo, in una
splendida notte di primavera.
Burbank, California, Casa
Bartowski - 3.42, martedì
Chuck rientrò in casa fradicio e trafelato.
Fuori la
pioggia cadeva fitta infrangendosi sui tetti, sugli alberi e su tutti i
tiratardi come lui, che ancora non si erano rifugiati fra le mura
domestiche. Appoggiò le chiavi sul mobile in entrata,
gettò la valigetta contenente il suo portatile sul divano,
desiderando solamente togliersi i vestiti bagnati e andare a dormire.
Dopo quasi sei ore di volo trascorse ad autocommiserarsi era giunto
alla conclusione che non poteva arrendersi.
Non aveva ancora nessuna idea di come fare a trovare Sarah, ma era
certo che l'avrebbe raggiunta ad ogni costo. C'era sicuramente un modo,
anche se ancora non sapeva quale. Dopotutto glielo
aveva giurato, era pronto a dare la vita per salvarla, lo sarebbe stato
sempre. E decisamente non avrebbe mollato solo perchè si era
ritrovato in un vicolo cieco. La mattina successiva avrebbe
ricominciato tutto da zero, avrebbe ricontrollato tutti i fascicoli
inerenti San Pietroburgo, avrebbe provato con altri metodi di ricerca.
Tutto sarebbe andato bene.
Questo si ripeteva mentre lasciava cadere a terra la giacca e la
camicia zuppe d'acqua, rimanendo in maglietta e pantaloni. La casa era
talmente buia e silenziosa che non si era nemmeno dato la briga di
guardarsi intorno. Non aveva acceso la luce, l'oscurità lo
tranquillizzava, e poi non ne aveva bisogno, conosceva ogni angolo di
quella stanza, poteva tranquillamente attraversarla ad occhi chiusi.
Per questo motivo quando sentì la voce squillante di Ellie
provenire da quello che doveva essere il tavolo da pranzo, si
spaventò abbastanza da lasciarsi sfuggire un gemito di
sorpresa,
prima di rendersi conto che non c'era alcun pericolo.
-Sei impazzito? Lo sai che ore sono?- Lo aggredì la giovane
donna, accendendo la luce che, com'era prevedibile, lo
accecò
per alcuni istanti. -Non puoi andartene senza nemmeno avvisare! Hai
idea di quanto io mi sia preoccupata?-
-Ellie, calmati. Sono un uomo adulto e responsabile, ricordi?- Certe
volte sua sorella lo trattava ancora come un bambino. Sapeva che si
comportava in questo modo solo perchè gli voleva bene e non
voleva perderlo, ma a volte avrebbe preferito non dover rendere sempre
conto a qualcuno di tutti i suoi spostamenti.
-Un uomo adulto e responsabile non scompare per un giorno intero senza
lasciare nemmeno un biglietto!-
-Se eri così preoccupata potevi telefonarmi. I cellulari
sono
stati inventati proprio per questo- Chuck sospirò
esasperato,
non era la prima volta quella settimana che era costretto ad affrontare
una simile conversazione, e quella sera non era decisamente in vena di
discussioni.
-Quale cellulare? Quello che hai dimenticato a casa di Morgan? Tu...-
Ellie
cercava di mantenere la voce bassa, era pur sempre notte fonda e non
aveva intenzione di svegliare tutto il vicinato, ma la voglia di urlare
contro il fratello era forte. Era frustrante rimanere a casa ad
attendere una telefonata, con il timore che qualcuno potesse ucciderlo
e portarglielo via per sempre. Ma lui sembrava non capire, continuava a
rischiare la sua vita, anche senza protezione, e lasciava crollare
tutto ciò che negli anni Sarah lo aveva aiutato a costruire.
Ellie vedeva il suo fratellino andare verso l'autodistruzione e non
poterlo salvare la rendeva irritabile e incredibilmente triste.
Voleva parlargli ancora, aiutarlo a sfogarsi, ma fu lui a fermarla. Gli
occhi di Chuck sembravano quelli di un vecchio mentre la fissavano.
Quegli occhi avevano già visto tutto il dolore possibile,
non
c'era più paura, non c'erano più lacrime,
nè la
minima scintilla di gioia in quello sguardo. Le si avvicinò
e la
cinse in un maldestro abbraccio, il suo corpo umido e freddo la fece
rabbrividire.
-Scusa. Lo so, sto sbagliando tutto. Ma non ce la faccio El-
Mormorò, come se avesse paura di confessare questa debolezza
che
lo rendeva ancora più vulnerabile.
-Va tutto bene- Sussurrò lei appoggiando la testa sulla sua
spalla. -Non importa-
-Ne parleremo domani, ok?- Chuck abbozzò un sorriso di scuse
allontanandosì dalle braccia calde e sicure della sorella.
Era
sicuro che se fosse rimasto in quella posizione anche solo per un altro
minuto sarebbe scoppiato in lacrime come un bambino. -Loro...?-
-Stanno dormendo- Ellie sorrise accennando al corridoio che portava
alle camere. -Vado, Devon mi avrà data per dispersa.
Buonanotte
Chuck-
-Buonanotte sorellina- A Chuck non sfuggì lo sguardo triste
di
Ellie, mentre usciva dal portone per raggiungere la sua abitazione, a
pochi metri di distanza. Quella situazione stava divorando la sua
famiglia.
L'uomo sospirò e spegnendo la luce dietro di sè
imboccò lo stretto corridoio. Si sentiva così
stanco che
era certo che se la sua testa avesse sfiorato un cuscino avrebbe potuto
dormire per anni ininterrottamente, eppure era altrettanto certo che la
mattina successiva sarebbe stato sveglio all'alba, tormentato dagli
incubi che affollavano le poche ore in cui riusciva a chiudere occhio.
Ormai non riposava decentemente da settimane, precisamente due
settimane e mezza, anche se a lui sembravano secoli.
Mezzo mese non sembra così lungo in apparenza: diciotto
giorni,
quattrocentotrentadue ore, venticinquemilanovecentoventi minuti, un
milione e cinquecentocinquantacinquemiladuecento secondi senza Sarah. E
ogni scatto della lancetta di quel maledetto orologio lo allontanava
sempre più da lei.
L'avevano presa. Era in Russia, doveva essere una missione semplice,
per questo aveva accettato. Doveva essere a casa per l'ora di cena,
invece non era più tornata. Era scomparsa nel nulla.
Più il tempo passava, più girava voce che in
realtà l'avessero uccisa, ma Chuck non poteva rassegnarsi.
Sapeva bene che i criminali professionisti erano soliti far scomparire
i corpi delle loro vittime: un veloce bagno dell'acido e i pochi resti
gettati nelle fogne o sepolti nel deserto. Migliaia di "scomparsi"
sulla carta erano in realtà solamente morti, perduti per
sempre.
Rifiutava di credere che sua moglie fosse fra quelli, che della sua
pelle candida e sottile non fosse rimasto in realtà
più
nulla.
Odiava la pietà che lo circondava da giorni. Amici e parenti
stavano solo attendendo che impazzisse dal dolore, per questo lo
seguivano, cercavano ogni occasione per non lasciarlo solo, quando lui
voleva soltanto poter cercare l'amore della sua vita in santa pace.
Nessuno gli avrebbe mai fatto accettare una realtà in cui
Sarah
non esisteva. E se non avesse trovato lei, almeno avrebbe trovato la
vendetta.
Chuck si accasciò contro lo stipite della porta di quella
che un
tempo era stata la sua camera. Sulla destra troneggiava un letto a
castello, con due cuscini gemelli e due coperte identiche, azzurre a
pallini blu, in perfetto ordine, sulla sinistra invece, incassato
nell'armadiatura c'era un letto rialzato, candido e soffice, con le
lenzuola a cuoricini di diverse sfumature di rosa. Ovviamente nel buio
della stanza lui non poteva distinguere quei colori, ma riusciva ad
immaginarli perfettamente, esattamente come immaginava il mucchio
indistinto di bambole, pupazzi e robot sicuramente abbandonato sul
tappeto nel centro della camera, e il sorriso felice di Sarah nella
fotografia adagiata sulla scrivania addossata al muro, accanto alla
finestra su cui ancora batteva insistente la pioggia. Prevedibilmente
la stanzetta era deserta, ormai stava diventando un'abitudine trovare
quei cuscini freddi e vuoti la sera.
Facendosi forza Chuck finì di spogliarsi, si
strofinò i
capelli bagnati con un asciugamano e indossò una maglietta
asciutta e dei pantaloni di una tuta ancora abbandonati sul pavimento
dalla sera precedente. Poi con passo strascicato zoppicò
lentamente fino all'altra camera, quella sua e di Sarah, nella quale
entrò cercando di essere il più silenzioso
possibile.
La poca luce bluastra che filtrava attraverso le persiane lasciate
socchiuse illuminava tre fagotti indistinti abbandonati sul grande e
comodo letto matrimoniale. Chuck si scoprì a sorridere
osservandoli, sorridere per il sollievo di vedere quel miracolo con i
suoi occhi, sorridere sinceramente per la prima volta negli ultimi
giorni.
A destra, con i capelli lunghi e biondi ad incorniciarle il viso, era
stesa supina Samantha, dieci anni, una piccola copia di Sarah. Con le
sopracciglia aggrottate sussurrava qualcosa nel sonno, come se stesse
sognando qualcosa di particolarmente complicato, il volto spigoloso
contratto nello sforzo di concentrarsi. Raggomitolato in posizione
fetale, giusto accanto a lei e con la testa sprofondata fra i cuscini,
stava il piccolo Peter, tre anni appena, gli occhi azzurri e grandi
nascosti sotto le palpebre e i capelli corvini incollati alla fronte.
Infine, ad occupare tutto lo spazio rimasto, a pancia in giù
e
con le gambe e le braccia spalancate, c'era Christopher, sette anni,
con i suoi capelli castani arruffati e la bocca aperta, a Chuck
ricordava molto sè stesso da piccolo, almeno nell'aspetto.
Quei bambini erano tutta la sua vita, ciò che di
più
prezioso gli restava, ognuno perfetto nella sua minuscola
personalità in formazione.
Sentendo le gambe cedergli per la stanchezza si scavò un
buchetto fra i corpicini caldi dei suoi figli, fiduciosi e vivi, e
finalmente al sicuro
con la sua famiglia, si addormentò.
NOTE
Solo due piccole
precisazioni, non per tediarvi, ma perchè sono d'obbligo.
Prima che me lo dimentichi, gli orari sono riferiti al luogo indicato,
tenendo conto del fuso orario. Non ho inserito riferimenti
all'intersect, semplicemente perchè ora come ora non so se
Chuck lo recupererà, decidete voi se le sue
abilità come cecchino derivano da quindici anni di pratica
nello spionaggio o ancora da un aiutino mentale. So che fargli uccidere
una persona a sangue freddo è stato un po' azzardato, ma la
disperazione spinge a fare cose impensabili, quindi prendetela come una
dimostrazione di quanto l'assenza di Sarah possa cambiarlo.
Cercherò di essere fedele al telefilm, il prossimo capitolo
sarà meno malinconico, conosceremo meglio i piccoli
Bartowski, incontreremo lo zio Morgan e farà una capatina
anche il caro vecchio Casey.
Spero che interessi a qualcuno, in ogni caso dovevo scriverla,
perchè mi frullava in testa da troppo tempo.
Il telefilm Chuck e i suoi personaggi non mi appartengono, sono di chi
ne detiene i diritti, e questa storia non è assolutamente a
scopo di lucro.
Sono ben accette (e molto desiderate) le recensioni.
A presto,
M.
|