Ciao a tutti! Sono ancora io la vostra
carissima e bellissima (SEEEEEEHHHHH!!!!!) Cassie chan! Ho scritto questa nuova
fic, che per me rappresenta un esperimento! Per questo, ho deciso di pubblicare
prima della storia vera e propria, questa piccola paginetta di avvertimenti,
avvisi, e segnalazioni dell’autrice, che altrimenti non ci sarebbero andati
nella presentazione.
1.
Se c’è qualcuno tra quei poveretti che
si apprestano a leggere questa fic e che ha letto altre mie storie, rimarrà
abbastanza sorpreso! Di solito scrivo cose molto dolci e romantiche… bè, sta
fic è tutto il contrario… certo, ci sono anche delle parti romantiche, delle
cose carine e gentili, dato che io non ne posso fare a meno. Ma non aspettatevi
una storia, che inizia e finisce in un modo, non è così! Succedono parecchie
cose strane, per questo ho deciso di alzare il rating a PG13, voglio essere
sicura!
2.
Questa storia è ovviamente in capitoli,
saranno più o meno otto o nove, e questi sono in prima persona con il punto di
vista del personaggio che compare accanto al titolo!
3.
ll linguaggio, sebbene non sia proprio
scioccante, è un po’ più simile al parlato, perciò c’è qualche parola un po’
più forte; non voglio chiamarle parolacce, credo che siano parte del modo di
esprimersi. Questo, soprattutto quando parlano i ragazzi, le ragazze le ho
fatte un po’ più delicate, anche se pure a loro sfugge qualcosa!
4.
Ho scelto dei pairing un po’ strani, che
non mi sembra di aver mai trovato, ma ho notato leggendo qualche fic di Slam
Dunk, che molte di esse sono yaoi oppure hanno personaggi femminili inventati!
Senza nulla togliere a queste fic, ho deciso di “staccarmi”, e di scegliere
Ayako, che tendenzialmente è un bel personaggio, molto di più di Haruko Akagi,
non me ne voglia nessuno! Il cognome di Ayako l’ho anche dovuto inventare!
5.
Alla fine di ogni capitolo, ho
inserito una canzone che fosse rappresentativa di quello che avevo scritto, e
che rispecchiasse quello che non ero riuscita a fare esprimere al mio
personaggio o che volutamente era rimasto in ombra. Non dico che vi dovete
leggere tutte le canzoni dall’inizio alla fine, ma mi piacerebbe che ne
leggeste almeno qualche verso!
6.
Nello scrivere la fic e nel nominare
Akira Sendo, ho sempre scritto il suo cognome in questa maniera. Ho scoperto
tardi, quando la fic era quasi finita che si scriveva SENDOH, ma sinceramente
mi rompeva un po’ cambiare tutto! Quindi, chiedo scusa, prendetelo per buono!
Prima di
concludere, voglio dedicare questa fic ad una persona, Alex. Nonostante quello
che è successo tra me e te, ti voglio ringraziare per avermi reso la persona
che sono oggi. E adesso basta con tutti questi avvisi, buona lettura, e mi
raccomando: COMMENTI!!!! Altrimenti, mi demoralizzo e addio! non saprete mai
come va a finire! Va bene tutto, anche- RITIRATI!-, basta che sia
sufficientemente motivato!
Capitolo 1 ---
Something stupid (Kaede Rukawa)
Ancora non riuscivo a crederci. Non che non ci
credessi fino in fondo, ma avevamo passato tanto di quel tempo a ripetercelo
che oramai sembravano solo parole. Destinate a non diventare mai fatti, eventi
concreti, che si possono vedere, toccare, assaporare, ascoltare, percepire.
Tremendamente vicine a menate di adolescenti frustrati. Quella parola… TORNEO
NAZIONALE… era diventata piena di milioni di significati… ne avevo piene le
scatole delle pieghe che ci potevo trovare. La prima occasione per me di farmi
vedere fuori dalla mia scuola e dalla mia città, la prima occasione per
trovarmi faccia a faccia con giocatori, i cui nomi erano solo scritte in
grassetto su riviste patinate, la prima occasione per iniziare a diventare
quello che volevo. E adesso era tutto reale… sentii i pugni stringersi forte,
mentre l’adrenalina non abbandonava ancora il mio corpo, dopo
quell’interminabile partita contro il Ryonan. Ero morto, non mi sentivo più le
braccia e le gambe, ma avrei potuto pure ricominciare a giocare. E l’avrei
anche fatto, se non avessi saputo che nessuno m’avrebbe seguito, la verità è
che erano tutti soddisfatti dal primo all’ultimo dei miei compagni di squadra.
Li guardai… Akagi, il gorilla stava persino piangendo, Mitsui pregava
l’immagine del mister, Miyagi e quel ritardato di Sakuragi si prendevano a
sberle ovviamente per scherzo, o almeno così sembrava. Tutti soddisfatti naturalmente.
Che c’era di meglio in quel momento? Guardai il tabellone del punteggio, uno
scarto non elevatissimo… 70 a 66… 4 miseri punti… certo nelle mie migliori
fantasie questa dannata partita finiva almeno 150 a 30, ma non si può avere
tutto, ormai l’ho imparato, anche se a me invece piace avere tutto, in ogni
campo, in ogni senso, altrimenti che senso avrebbe provarci? Non so che farmene
di mezze vittorie o di scheletriche soddisfazioni. Alla fine, se ci ripenso,
per quello che me ne fregava, quella maledetta partita potevamo anche perderla,
l’importante era che io battessi Sendo. Non ero poi tanto sicuro di avercela
fatta, mi aveva fatto fesso un paio di volte o due, specie alla fine era
davvero imprendibile… i benpensanti avrebbero detto che eravamo più o meno alla
pari, lui avrebbe risposto che non c’era stata storia per me, e io non avrei
risposto nulla, convinto e sicuro che il sapore della vittoria su di lui non lo
provavo, a meno che questo non fosse spaventosamente simile a quello di un
umiliante pareggio, quelli che ti lasciano la bocca amara e lo stomaco in
fiamme dall’insoddisfazione. Non che avessi mai provato il gusto della
vittoria, fino a quel momento. Semplicemente non ci arrivavo, ero già oltre,
alla prossima partita e ai prossimi canestri da segnare. Guardai Sendo e lo
vidi ancora immobile, e solo allora mi sfuggii un sorrisetto. Sarà per l’anno
prossimo, bello…
Feci qualche passo, e mi fermai di botto.
“Ce l’avete fatta!”. Ayako mi tese la mano,
sollevandosi in punta di piedi. Non mi ero mai accorto che era almeno quindici
centimetri più bassa di me…
“Già…” risposi con la stessa espressione di poco
prima, il ghigno soddisfatto che doveva averli fatti girare a Sendo. Portai la
mia mano contro la sua, e lei mi sorrise: “Finalmente, siete una vera squadra!
Le mie preghiere sono servite a qualcosa almeno!”
“Preghiere?” chiesi, senza capire. Che non ci
credeva che avremmo vinto?
“Sì” disse lei sorridendo, poi assunse una voce
implorante e disse: “Dio, fa che Sakuragi e Kaede non si ammazzino prima della
fine del campionato, Dio fa che Mitsui non si rimetta in quella banda di
teppisti di strada, Dio fa che non perda la mia salute mentale a stare dietro a
loro…”. Mi fece venire da ridere la sua voce, ma mi trattenni. Mi sentivo
cretino a ridere per una cosa del genere.
Mi sentii chiamare da Miyagi e mi affrettai a
girarmi. Ci dovevamo cambiare per la premiazione. Un altro momento inutile,
perchè dovevamo assistere all’ennesima parata di quei quattro coglioni del
Kainan? I campioni… quella cosa mi bruciava ancora… avevano vinto per il
diciottesimo anno di fila e non c’era stato niente da fare, ero persino
crollato in quella stramaledetta partita. Gli altri se ne erano scordati
scommetto, in fondo non c’avevano mai creduto nel battere il Kainan, era un sogno
che amavamo fare, ma niente di più. Poi c’era andata bene. Io invece me lo
sentivo ancora addosso quello stramaledetto peso, che mi irritava quella
apparente giornata perfetta.
Tornammo nello spogliatoio e ci infilammo solo
le maglie e i pantaloni, mentre ancora scoppiavano piccoli tumulti tra i miei
compagni praticamente in visibilio.
“Stasera dovremmo festeggiare!” propose Miyagi,
mentre infilava la testa di Sakuragi sotto la doccia bollente
“Festeggiare?” chiese Kogure, riaggiustandosi gli
occhiali, storti dopo uno scambio affettuoso di sberle con Mitsui. Erano sempre
gli stessi, non c’era niente da fare… vivevamo solo per mettere quella palla in
quel canestro, per litigare e per fingere di picchiarci a sangue.
“F-E-S-T-E-G-G-I-A-R-E, quattrocchi!” scandì
Sakuragi “Vabbè, che non sai nemmeno il significato della parola FESTA, vista
la vita da talpa che fai, ma per una sera puoi anche uscire dal tuo squallido
buco!”
Kogure arrossì a disagio, e chiese dove si
poteva andare, mentre gli altri ridevano a crepapelle.
“Che ne dite di quel nuovo locale che hanno
aperto in centro? Si chiama - Peppermint Milk -…” chiese Ayako. Non mi ero
nemmeno accorto che era con noi nello spogliatoio, era talmente abituata a
passare del tempo con noi che non si faceva il minimo scrupolo a rimanere anche
in quei momenti unicamente maschili. A me non faceva effetto, credo che
considerassi Ayako molto vicina ad un altro componente della squadra. Ci
passavo davanti senza nemmeno accorgermene, se c’era o non c’era era la stessa
identica cosa per me; facevo persino fatica a distinguerla dalla sorella del
gorilla e ci riuscivo solo perchè Ayako era stata mia compagna di classe alle
medie.
“Va bene AYAKUCCIA!” eruppe Miyagi, slanciandosi
su di lei per abbracciarla, ma lei si spostò con un sorriso, e poi uscì,
dicendo di sbrigarci con la sua solita voce raramente gentile.
Evidentemente non tutti la pensavano come me…
“Che aspetti a provarci, Miyagi?” chiese Mitsui,
mentre si allacciava una scarpa
“Eh? Con chi, con Ayako?” domandò sorpreso
Kogure, che come al solito non aveva capito un cavolo, l’avevo capito pure io,
il che era tutto dire, considerato come ero attento in queste cose…
“E con chi sennò?! Con tua nonna?!” scoppiò a
ridere Sakuragi, trascinando anche gli altri in una grassa e prolungata risata,
non condivisa solo da me e dal gorilla, io che mi affaccendavo nel mio
armadietto e lui che si controllava preoccupato la caviglia. Doveva fargli
ancora male, che faceva il forte non cambiava tutto questo… e mi aveva anche
detto di non giocare da solo, che c’erano anche loro. Miyagi con quasi quattro
falli, Mitsui semicosciente, lui con quella caviglia, e Sakuragi il mentecatto
che faceva divertire il pubblico con i suoi numeri. Meno male che alle volte mi
veniva di giocare da solo…
Sakuragi aveva preso Miyagi per il collo e lo
strattonava con forza, mentre diceva con la sua migliore intonazione di persona
che sa tutto del mondo, quando invece non c’ha mai capito un cazzo pure lui:
“Lo sai che oltre ad essere il genio del basket, sono anche il genio
dell’amore? Se non ci provi, lo farà qualcun altro ed allora addio Ayakuccia!”
Mi era quasi venuta voglia di dire… e chi, secondo lui, c’avrebbe provato con
Ayako? Tanto per il gusto di contraddire quel celebroleso… poi mi trattenni,
non me ne fregava niente di quel discorso…
Miyagi annuì seriamente, poi disse, guardandolo
in tralice: “E tu? Che aspetti a provarci con Haruko?”
Inutile dire che cosa accadde. Akagi si
dimenticò della caviglia e corse a picchiare sia Miyagi che Sakuragi, mentre
Mitsui e Kogure facevano il tifo per il gorilla. Io mi defilai, prima che
mettessero in mezzo pure me. Quando c’era di mezzo quella lì, alla fine
rischiavo di prenderle pure io.
Uscii fuori dallo spogliatoio, proprio mentre
Ayako arrivava, richiamata dalle varie urla di gatti sgozzati, che provenivano
dallo spogliatoio: “Che diamine sta facendo quella massa di ritardati?! La
premiazione sta per cominciare!” urlò, le mani appoggiate sui fianchi
La guardai, sollevando le spalle, mentre lei
sospirava e mi disse, la voce adesso più calma: “Per piacere chiamali, prima
che mi facciano definitivamente perdere la pazienza, e allora non ci sarà più
una squadra per il torneo nazionale!”
“Non li puoi chiamare tu?” replicai infastidito.
Adesso si faceva tanti problemi ad entrare nello spogliatoio?
“Va bene, Kaede… figuriamoci se puoi farmi un
piacere” disse con un sospiro, poi mi fece l’occhiolino e disse: “Ringrazia
solamente che sono contenta che abbiate vinto, e quindi oggi sono
particolarmente generosa…”
Inarcai un sopracciglio, solo adesso mi ero reso
conto che mi chiamava per nome… in effetti, adesso che ci ripensavo era da
quando ero nello Shohoku che mi chiamava sempre Kaede, chissà perchè me ne ero
accorto solo allora. Retaggio della vecchia conoscenza, forse…
Gli altri arrivarono di lì a poco in palestra,
mentre io mi ero già posizionato in palestra, nel piccolo spazio dedicato alla
nostra squadra. Sentivo addosso gli sguardi degli altri giocatori e del
pubblico, quei coglioni non arrivavano ancora e stavo lì a fare lo stoccafisso,
ma non ci pensavo molto. Stavo cercando di configurarmi nella mente il momento
in cui avrebbero nominato i migliori giocatori delle varie squadre. Sicuramente
ci sarebbero stati Maki del Kainan e Sendo, ed ero certo che ci sarei stato
anch’io. Almeno una piccola soddisfazione in quella merda di giornata. Mi venne
quasi da ridere, era diventata una merda di giornata, una in cui ero nella
seconda squadra del campionato e stavo per andare ai campionati nazionali. Ma
dove avevo perso lo stimolo di una sfida, finita in un risultato non
schiacciante, e dove ormai non ne sentivo più altri. Non c’era più nessuno.
Come avevo previsto, i migliori giocatori furono
Maki e Jiin del Kainan, Sendo, ed io e Akagi. Prevedibile… ritirai una specie
di medaglia, mentre gli applausi del pubblico a malapena mi raggiungevano le
orecchie.
Mentre la gente si dileguava, Mitsui venne a
dirmi che avevano programmato di andare a trovare il mister, e poi di cambiarci
e di andare a festeggiare. Non ero molto d’accordo, non tanto con l’idea di
andare a trovare Anzai, anche perchè credo che Mitsui mi avrebbe menato come un
salame, ma con questa fottuta idea della festa. Che c’era da festeggiare?, mi
dicevo, ma alla fine accettai. Non avevo nemmeno voglia di stare a casa, e di
allenarmi non se ne parlava. Non avevo più sangue nelle vene, ma solamente
acido lattico. Strano, ero pure stanco di allenarmi.
Andai a prendere la bici, che avevo lasciato
fuori dalla palestra, legata con una catena malconcia, e mi incamminai verso
l’ospedale. Pedalavo sempre più veloce, cercando di non fermarmi troppo vicino
a gruppi di persone, che potevano riconoscermi. Mi davano fastidio le loro
facce beote e i loro sorrisi d’ammirazione da bar; arrivammo all’ospedale tutti
assieme, anche se gli altri avevano preso la metro e io ero venuto in
bicicletta.
Salimmo di sopra, tra le urla delle infermiere,
e demmo il grande annuncio ad Anzai, che ovviamente rise come al solito, come
quei Babbo Natale troppo grassi, seduti nei centri commerciali, che prendevano
sulle ginocchia i mocciosi. Lo facemmo persino balzare in aria, l’aria dei
festeggiamenti che per un attimo contagiò anche me, quel vecchio, anche se era
malato e debole, era capace di darci forza e coraggio, come nessuno mai. Anche
a me. Di solito non mi serviva niente per darmi forza, ma nei suoi occhi vedevo
quante più partite avesse visto di me, quanti canestri più difficili dei miei,
quanti rimbalzi più imprevedibili dei nostri, quanti giocatori più o meno bravi
di me, che io invece non avrei visto mai. Per questo, alla fine lo
rispettavo.
Mi rattristai persino quando stavamo per
lasciarlo, ma non è che potevo passare la serata lì, anche se forse alla fine
dei conti era lui quello con cui avrei potuto capire che cavolo mi stava prendendo.
Ma mi feci trascinare fuori, e annuii quando mi dissero che ci saremmo
incontrati dopo un’ora a quel locale con il nome strano… sarebbero venuti anche
gli amici di Sakuragi e quelli di Mitsui, perfetto… proprio quello che volevo,
e certamente non sarebbe mancata nemmeno la sorella di Akagi e le sue amiche
idiote.
Tornai a casa sempre con la bici, stavolta senza
fretta, avevo voglia di restarmene da solo e in silenzio. Aprii la porta di
scatto, e la mia casa era naturalmente spenta. Mia madre doveva essere fuori
con quel riconglionito del suo nuovo fidanzato, e mio padre… Dio solo sa dov’è
pure lui…
Gettai le mie cose su una sedia, e salii di
sopra, mi feci una doccia e mi infilai un paio di pantaloni azzurri e una
camicia bianca. In poco meno di mezz’ora, ero pronto… perfetto, ero stato anche
veloce a vestirmi, il mio programmato ritardo di un’ora non era neanche
fattibile. Poi quella casa mi stava troppo stretta, non la sopportavo, quindi
mi affannai ad uscire, facendo un lunghissimo giro per arrivare in quel dannato
posto. Alla fine, ero comunque in perfetto orario.
Miyagi era già arrivato pure lui, lo riconobbi
dal brillare del suo orecchino nel vicolo buio, sotto l’insegna verde smeraldo
del “Peppermint Milk”. Stava con le mani in tasca e andava avanti ed indietro
nervosamente, come se gli avessero messo qualcosa nei pantaloni.
Quando mi vide, sollevò il capo e mi fece un
cenno, era elegante anche lui, portava persino la cravatta. Io mi sentivo già
in carcere così, figuriamoci lui…
“Ascolta Rukawa, voglio chiederti una cosa…” mi
chiese dopo un po’, guardandomi dall’alto in basso, aveva ragione Sakuragi,
quando lo chiamava pigmeo. Scossi leggermente il capo e annuii.
“Senti, insomma, so che non è una domanda molto normale…
ma… insomma… che tipo era Ayako alle medie? Aveva un ragazzo?” eruppe alla
fine, il viso rosso più del normale. Certo che le donne fanno proprio
rimbecillire, uno dei più grandi playmaker della prefettura adesso era lì,
davanti a me, a balbettare come un idiota. Le donne avevano proprio un potere
assurdo, e in effetti era l’unico modo con cui potevano sopravvivere. Che altro
sapevano fare?
Lasciai perdere quelle mie teorie pseudo
evoluzionistiche e risposi, cercando di utilizzare un po’ di tatto, che sapevo
perfettamente di non avere, ma in fondo Miyagi mi faceva pena.
“Non la frequentavo… non lo so…” risposi
inespressivo come sempre
Lui si grattò il capo e mormorò con un debole
sorriso: “Stasera, ho intenzione di chiederle di uscire e quindi volevo sapere
qualcosa di più su di lei… ma se non sai nulla, non fa niente…”
Lo guardai ancora, senza capire, poi ci sentimmo
chiamare da qualcuno alle nostre spalle. Erano Akagi e la sorella con le sue
amiche, il gorilla sembrava una di quelle buffe creature da circo, costrette ad
indossare giacca e cravatta, forse eravamo così abituati a vederci solo con le
uniformi e con pantaloncini e maglia da gioco che quei nuovi panni ci davano
un’aria spaesata e confusa. Le amiche della sorella di Akagi cercarono di
spingerla verso di me, mi voltai dall’altra parte, sentendo provenire delle
urla dalla parte opposta del vicolo. Come era da aspettarselo, erano Mitsui e
Sakuragi con quei loro amici da rissa. Erano anche loro relativamente eleganti
ed erano gasatissimi, sembrava che non fossero mai andati ad una festa.
“Chissà se troveremo qualche bella gnoc…”
stavano commentando tra loro, quando rimasero tutti immobili a fissare qualcosa
alle mie spalle. Mi voltai senza pensarci due volte, rimanendo con le mani in
tasca. Non mi aspettavo niente di grandioso, ma dovetti rimanere anch’io un po’
sbigottito.
C’era una ragazza dietro di noi, seminascosta
dall’oscurità del vicolo, i capelli ondulati resi di un colore stranissimo
dalle luci di quell’insegna fosforescente. Aveva un vestito nero con delle
pailletes sparse un po’ ovunque e con lo scollo rotondo, perfettamente
invisibile, dato il gran numero di collanine d’argento varie ed eventuali, che
portava. Era davvero una bellissima ragazza, impossibile non notarla, ma aveva
qualcosa di familiare. Per questo, continuavo a fissarla come un imbecille,
convinto di non avere una faccia molto intelligente in quel momento. Era strano
che una ragazza mi facesse un effetto simile, di solito le ignoravo a priori,
non sopportavo le loro risatine vezzose. Nella maggior parte dei casi, sono
sempre oche stupide che mi infastidiscono, e sta tipa non doveva fare
eccezioni, mi convinsi mentalmente. Però… insomma… era proprio carina…
“Ayakuccia!!!” sentii Miyagi gridare, correndo
verso di lei, mentre quasi cadevo a terra per la sorpresa. Ayako? La stessa
Ayako che conosco io? Quella, tanto per intenderci, con la maglietta rosa, le
scarpe da ginnastica, la coda di cavallo e i modi violenti? Quella era una che
poteva andare in passerella a fare la modella, non la nostra manesca manager.
Lei sorrise a Miyagi e disse raramente gentile:
“Non mi costringere ad uscire fuori il bastone dalla borsetta…”, fece la buffa
imitazione di un sorriso forzato e si avvicinò a me e a Sakuragi. Sembrò non
guardarmi neppure, e disse al mentecatto, accanto a me: “Allora non entriamo?”
Quello rise con aria saccente e mormorò: “Ayako,
stasera sei proprio una bomba! Ti sei messa forse in gingheri per qualcuno?”
Lei aggrottò le sopracciglia e rispose: “E per
chi, razza di imbecille? Per voi, forse? Non ci sperare troppo Hanamichi!”
“Veramente non ci spero io, ma Miyagi!” rise lui
sguaitamente, mentre Ayako si voltava a guardare il nostro playmaker che
arrossiva vistosamente e simulava un pugno nella direzione di Sakuragi. Lei
rise a sua volta e poi entrò, seguita da tutti noi. Salutò qualcuno all’entrata
e la vidi mettersi a parlare cordialmente con un cameriere, un tipo biondo con
gli occhi azzurri che fece svenire le amiche idiote di Haruko Akagi.
“Chi è quello?” le chiesero dopo, mentre
entravamo nel locale vero e proprio “E’ proprio un figo da paura!”
Lei ostentò indifferenza e rispose tranquilla:
“Chi, quello? E’ Shinichi, un mio vecchio amico… lo conoscevo bene quando
lavorava in quell’altro locale in centro, quello accanto alla stazione, che
hanno chiuso un mese fa. Adesso lavora qui…”
“Lo conoscevi bene?” chiese una di loro con aria
maliziosa “Ci uscivi insieme?”; lei sorrise e rispose: “Qualcosa del genere,
frequentavo molto quel posto e quindi anche lui…”
Mi voltai con un mezzo sorrisino verso Miyagi,
che sembrava un cane bastonato. La descrizione mentale che forse aveva della
sua Ayako non corrispondeva a questa nuova versione festaiola e frequentatrice
di locali notturni, e per di più mezza fidanzata con un ragazzo che era almeno
venti centimetri più alto di lei. E di lui.
Ayako con aria sicura ci condusse per un
corridoio, al termine del quale c’era una vera e propria sala da ballo,
pienissima di gente, che si pigiava sempre di più, cercando di ballare una sorta
di litania di musica house. Proprio quello che volevo, un luogo pieno di gente,
magari anche strafatta, che ballava scompostamente. Sentivo ancora i suoni
della partita della mattina dentro di me, e forse gli volevo tenere ancora per
molto in me stesso; mi piaceva da morire quando sentivo per tutto il giorno la
scarica elettrica che mi dava una partita, soprattutto se alla fine avevamo
vinto. Non che, come avevo già notato, fosse stata questa grandissima
soddisfazione per me, ma in fin dei conti avevamo vinto. Lo Shohoku aveva
vinto, almeno la squadra aveva vinto.
Gettai un’occhiata ad Akagi e a Kogure, i più
riluttanti a farsi trascinare in quel vortice di luci abbaglianti e suoni
assordanti, e loro mi fecero segno di seguirli in un parte della pista che sembrava
più appartata e meno rumorosa. Li seguii di buon grado, mentre Sakuragi, Miyagi
e persino Mitsui si facevano trascinare da Ayako. Mi sedetti con loro, ed
altrettanto ovviamente iniziarono a parlare di basket, delle squadre delle
altre prefetture, della stella di Aichi e di altri quasi leggendari giocatori.
Stranamente, quella sera, non riuscivo a seguirli benissimo, forse ero stanco,
forse era quella stramaledetta musica, oppure non lo so. Alla fine, mentre loro
due commentavano delle azioni di Sendo, cosa che, descritta nei loro criteri di
perfezione assoluta, me li faceva girare, mi voltai verso la pista, appoggiando
le braccia sullo schienale della sedia. Se ne stavano proprio andando di testa
tutti quanti… ballavano come dei forsennati, alcuni in maniera ridicola come
Mitsui e Miyagi, e poi... bè, c’era un’ evidente distanza rispetto al modo che
aveva invece Ayako di ballare. Non potevi fare a meno di fissarla, e non a caso
aveva attorno a sé una massa di imbecilli, che le sbavavano dietro. Lei sembrava
non guardarli nemmeno, e continuava ad agitarsi, come se fosse sulla pista
completamente da sola, i suoi capelli catturavano ogni raggio di quella luce
artificiale e si espandevano nell’aria, quasi cercando di prendere quanto più
spazio possibile. Sorpresi le mie mani a tremare leggermente, che cazzo mi
prendeva? Mi incazzai con me stesso, e mi voltai bruscamente, smettendo di
fissarla, anche se era come se avessi un dannato terzo occhio che continuava a
farmela vedere davanti al naso.
Rimasi in quella posizione tutta quella dannata
serata, cercando di concentrarmi su altro, sulla partita appena giocata, su
quelle che avevo ancora da giocare, ma non era semplice, come al solito. Per la
prima volta, non trovavo facile pensare al basket, per la prima volta
collaudavo che cosa volesse dire avere desiderio di una donna, di una ragazza o
di qualsiasi altra cosa simile. Non che fino a quel momento fossi stato un
verginello timido ed indifeso, che non era mai stato toccato da alcun pensiero
carnale, ma era stata una cosa, potrei dire, teorica. A parte le donne
luccicanti della televisione o dei giornali, nessun’altra mi aveva dato niente,
la benché minima emozione. Il basket mi eccitava a tal punto da non avere più
bisogno di nient’altro. E invece adesso, sebbene per poco, avevo voluto una
donna. Ayako, poi… se qualcuno lo avesse saputo, si sarebbe fatto una bella
risata, bè, non proprio tutti, se lo avesse saputo Miyagi, m’avrebbe menato a
sangue.
Erano le due, quando iniziai a vedere la gente
andarsene, e infine fummo raggiunti dagli altri, che avevano passato tutta la
sera sulla pista; quella maledetta musica finalmente si era abbassata e potei
di nuovo sentire la voce di qualcuno che non era a dieci centimetri da me.
“Ehi voi, potevate anche venire a ballare un
po’!”. Mi voltai e vidi che aveva parlato Ayako, ma era diversa dal solito. Per
essere gentili, era diversa dal solito. In quel tempo, in cui mi ero imposto di
non guardarla, doveva aver bevuto abbastanza, aveva i capelli spettinati, gli
occhi lucidi e barcollava, per rimanere in piedi, doveva sorreggersi con il
braccio al collo di Sakuragi. A parte lei, anche gli altri erano brilli, Miyagi
prendeva a spallate Mitsui, Haruko si gettò ridendo tra le braccia di Kogure,
che fu subito allontanato con uno spintone da Akagi, e gli amici di Sakuragi…
meglio non parlarne proprio… quello che forse stava meglio era proprio
l’idiota, che reggeva Ayako, che continuò a ridere scioccamente, fino a quando
crollò di sonno, addormentandosi di botto.
“Gorilla, per Haruko ci pensi tu, ma per
Ayako?!” chiese Sakuragi, in preda quasi al panico, cercando ancora di
reggerla, mentre lei gli scivolava dall’altro lato
“L’accompagno io a casa!!!” urlò Miyagi, ridendo
fragorosamente
“Come no, tappo…” disse lui “Io devo accompagnare
questi quattro idioti a casa, altrimenti domani mattina li troviamo ancora per
strada, Kogure tu pensa a questi altri due, e… per Ayako…”, lo vidi guardami
con gli occhi ridotti a fessure… che cazzo vuole? Mi chiesi mentalmente, già
con la testa proiettata nel mio letto. Quella fascia attorno ai capelli rossi
lo faceva sembrare una specie di derelitto umano, ancora di più del solito.
Mi guardò con aria di profondo disgusto, alla
quale io risposi nella stessa identica maniera, salvo poi afflosciarmi, quando
mi disse: “Stronzetta, sai dove abita Ayako? Non abita vicino a casa tua…?”
“E con questo?” chiesi nella mia più convincente
interpretazione di gnorri
“Accompagnala, imbecille! Saprai fare almeno
questo nella tua patetica vita?!”
“Non se ne parla proprio…” dissi con
indifferenza, alzandomi
“CHE COSA?!!!”. La voce dell’idiota era già
salita di tono, ma stavolta fu accompagnata dalle voci anche degli altri, di
solito Akagi si limitava a menare cazzotti sulla testa di quel coglione, ma
adesso erano tutti d’accordo con lui. Mi sentivo scoppiare la testa, quindi
alla fine annuii e mi caricai sulle spalle Ayako, che dormiva profondamente,
mentre Haruko urlava: “Voglio andare io con Rukawa!!”, salvo poi
riaddormentarsi dopo quattro secondi netti.
Uscii dal bar, imprecando tra me e me, cosa che
si incrementò notevolmente, quando mi ricordai della bici. La dovevo pure
lasciare qua… e domani mattina mi dovevo alzare tre ore prima per andare a
prenderla… ma chi cazzo me l’aveva fatta ad uscire quella stramaledetta
sera???!!!
Faceva abbastanza freddo, e quindi cercai di
affrettare quanto più possibile il passo, me ne volevo soltanto andare a casa a
dormire e invece dovevo pure fare quell’altro giro per accompagnare Ayako.
Continuavo ad imprecare tra me e me, mentre sentivo il respiro regolare di
Ayako sulla nuca solleticarmi i capelli. Ad un tratto, mi fermai per riposarmi
un po’, e lei si svegliò, ma la sua voce era ancora impastata di sonno e di
irrazionalità alcolica.
“Dove sono?” chiese, stropicciandosi gli occhi
Non avevo voglia di risponderle, quindi mormorai
solamente: “Stiamo andando a casa, Ayako…”
“Chi sei?” mi chiese ancora con voce confusa,
appoggiandosi di nuovo a me. Che cavolo le dovevo dire? Decisi ancora di non
rispondere, sperando che si assopisse e rimanesse addormentata fino a casa sua.
Ma nella sua specie di delirio non capire chi fossi doveva essere agghiacciante
per lei, e quindi continuò a ripetermi quella domanda, accentuando ogni mio
ennesimo diniego di risponderle con un calcio violento negli stinchi.
Alla fine, stremato le risposi: “Sono Rukawa…
andiamo insieme a scuola…”
Lei si calmò all’istante, e si riappoggiò di
nuovo a me, poi ridendo disse: “Conoscevo un ragazzo che si chiamava così alle
medie…”
“Davvero?” sussurrai sarcastico
“Sì” continuò lei con voce malferma “Era bravo a
giocare a pallacanestro… ma era un asociale nato, se la credeva un bordello…”
“Davvero?” chiesi stavolta più interessato. Era
tanto per fare conversazione, per quella che in quel momento si poteva fare con
Ayako, questo mi dicevo. Ma anche io mi ero reso conto che ero stranamente
interessato a quello che lei pensava di me. Mi resi conto con una punta di
disapprovazione per me stesso che avevo sempre voluto sapere che cosa pensasse
Ayako di ognuno di noi; era sempre così sarcastica ed aggressiva, ma c’era
qualcosa sotto che non mi convinceva di lei. C’era qualcosa che non diceva. E
adesso forse me l’avrebbe detto.
Lei continuò, intervallando le sue parole con
espressioni sconnesse e con risatine senza motivo: “Non che non fosse un tipo
che non avesse motivo di credersela… era un figo da paura, tutte le mie amiche
erano cotte di lui…”
“E tu?” chiesi con un sorrisetto. Il colmo
sarebbe stato pure scoprire che piacevo ad Ayako.
“In prima media…” la sentii dire. La sua voce
era cambiata, era diventata più malinconica e la sentivo stringermi forte la
camicia tra le dita.
“E poi?” chiesi velocemente, stupendomi ancora
del mio interesse. Il mio desiderio di farmi due risate esulava di molto dalla
mia sollecitudine a conoscere quelli che erano stati i sentimenti di Ayako.
“Niente” rise lei in maniera acuta e fastidiosa
“Lui non se ne accorse nemmeno, era troppo preso dalla pallacanestro… era
veramente bravo… te l’ho detto? Me la feci passare. Mi iniziò anche a stare
antipatico, se proprio la devo dire. Era bravo, ma che cavolo! Poteva anche
parlare con qualcuno qualche volta, perchè doveva fare sempre la parte
dell’uomo solo con il suo destino?”
Non risposi alla sua domanda, e lei poco dopo si
riaddormentò di nuovo sulle mie spalle, le sue braccia strette attorno al mio
collo. Rimasi parecchio con le sue parole che mi ronzavano nel cervello, come
un fastidioso brusio nelle orecchie, che non voleva saperne di andarsene.
Cercai di ricordarmi come era Ayako alle medie, ma non c’era alcuna immagine
troppo nitida di lei. A malapena, riuscivo a rivedere una ragazzina con le
trecce e i nastri azzurri, che spesso mi seguiva quando mi allenavo e che
incontravo quando tornavo a casa. Lei arrossiva e scappava via, ed io scrollavo
le spalle, fregandomene altamente. Poi la ricordavo diversa, sempre avvolta
nelle fitte nebbie della mia totale indifferenza per lei; si tagliò i capelli
e, se non mi ricordo male, se li schiarì, diventando quasi bionda. Non ci
guardavamo in faccia, e quando l’incontravo, fingeva abilmente di non avermi
visto. Mi parlò solo una volta, quando con aria scocciata, schioccando la
lingua con fastidio, mi consegnò una lettera di una sua amica, che strappai e
gettai dieci secondi dopo. Di quel periodo, ricordo solo i miei infiniti
allenamenti, di lei non ricordo più niente. O meglio non so proprio niente,
semplicemente perchè era già molto che sapessi come si chiamava. Anzi adesso
che ci ripenso seppi il suo nome, quando entrai nello Shohoku e lei ci fu
presentata come nostra manager. L’avevo riconosciuta ovviamente, ma fu lei a
dirmi che si chiamava Ayako Kuno, altrimenti addio… non avrei mai indovinato il
suo nome…
Finalmente ero arrivato a casa sua. Mi chiesi se
ci sarebbero stati genitori o fratelli, a cui spiegare il suo ritardo, e mi
feci prendere dal panico, poi mi ricordai che Ayako viveva da sola in quella
casa. Non aveva mai detto il perchè non vivesse con i suoi. Aprì il
cancelletto, e feci il piccolo vialetto. L’appoggiai su una sedia a dondolo che
c’era fuori e armeggiai con la sua borsetta per trovare le sue chiavi di casa;
dopo averle trovate, cercai quella giusta e poi la ripresi in braccio, mentre
spingevo la porta con un piede. Riuscii per miracolo ad accendere la luce e la
distesi su un divano che era immediatamente lì. Lei si girò di fianco, e
riprese a dormire come se niente fosse. In fondo, facevo meglio a lasciarla là,
chi ci sarebbe riuscito a portarla in camera sua, ammesso e non concesso che
capissi quale fosse. E poi diamine avevo già fatto tanto… l’unica cosa che mi
azzardai a fare fu quella di prendere un plaid, che era appoggiato su una
poltrona, di aprirlo e di metterglielo addosso. Quel movimento la svegliò e mi
guardò con gli occhi annacquati per qualche secondo.
“Sei a casa” le dissi “Dormi”
Lei sorrise e mi mise una mano sul viso,
accarezzandomi piano una guancia. La guardai senza capire e mi chinai su di
lei, mentre continuava a passare le sue dita fredde sul mio volto.
“Sei diverso da quello che conoscevo io…” mi
mormorò, poi sollevò leggermente il busto e con quello stesso sorriso mi baciò
sulle labbra. Così senza motivo, senza preavviso. Serrai forte i pugni e sentii
nella mia il sapore della sua bocca, un sapore di alcol, un sapore nonostante
tutto buono… come di latte e menta, incredibilmente dolce ed anche forte, straordinariamente provocante e
pungente, che faceva quasi male. Continuò a stamparmi piccoli baci a fior di
labbra sulle mie, mentre sentivo, come prima, i nervi incendiarsi ancora di
desiderio di lei. La volevo, la volevo disperatamente, ancora peggio di quando
entro in area a cinque minuti dalla fine di una partita ed un giocatore in
difesa ti impedisce di fare la schiacciata, che già avevi visto nella tua
testa. Ancora più di voler battere definitivamente Sendo, ancora più di voler
vincere milioni di miliardi di partite. Mi sconcertava tutto questo, mi faceva
quasi ribrezzo desiderare qualcosa fatto solo di carne, qualcosa che in fondo
era solamente una ragazza ubriaca, niente più di questo. Punto. Non era niente
per cui valesse la pena perdere tempo. Me ne accorsi con rabbia e, le labbra di
Ayako ancora nelle mie, morsi con furia il fiore della sua bocca, mentre Ayako
crollava di nuovo di sonno sul divano. Non me ne sarei mai andato. Mai, me ne
sarei andato da quelle sue labbra che avevano accarezzato le mie, fino a fino a
farmi spezzare qualcosa dentro. Sì. Strano a dirsi e a pensarsi. Lei mi aveva
spezzato qualcosa dentro. Qualcosa, che andava oltre le ovvie reazioni fisiche
che avevo avuto. Qualcosa di estremamente stupido, ma che non avrei trovato mai
più, se non in lei. Qualcosa che d’ora in poi avrebbe cambiato la mia vita per
sempre.
I am the son and the heir
of a shyness that is criminally vulgar
I am the son and the heir
of nothing in particular.
You shut your mouth
how dare you say
I go about things the wrong way
I am human and I need to be loved
Just like everybody else
Does
When you say it's gonna happen now
When exactly do you mean?
See I've already waited too long
And all my hope is
Gone
There's a club if you like to go
You could meet someone
Who really loves you
So you go and you stand on your own
And you leave on your own
And you go home
And you cry and you want to
Die.
(How Soon Is Now (Theme Song of “Charmed”) (love Spit Love)