Nota introduttiva:
vabbé, lo studio mi sta facendo male. Ultimamente sono
affetta da Wolfstarismo compulsivo, tant’è che ho
deciso di raccogliere tutte le mie Remus/Sirius in una piccola serie,
di cui ciò che seguirà è solo un altro
breve capitolo.
Non so come giudicare
quello che mi è uscito stavolta: in genere non amo le
drabble. Sono prolissa di natura, preferisco ampliare, dettagliare, non
lasciarmi condizionare da limiti di parole. In questo periodo
però sono a corto di tempo, perciò, presa da
questa malsana ispirazione, ho deciso di provarci: la prima e la
seconda, stando al contatore di Word, sono di 100 parole precise, la
terza di 102 (argh). Tutte dal punto di vista di Remus, ambientate nel
post-Azkaban di Sirius, e tutte con una tematica, ripresa dalla
flashfic che ho pubblicato poco tempo fa: i due piccioncini che dormono
insieme. Come al solito, non sono stata né dolce
né romantica. In queste drabble ci sono tutta
l’amarezza, l’incertezza e la malinconia con cui ho
sempre condito le mie storie su questo pairing. Magari un giorno
scriverò qualcosa in cui potrò regalare loro un
lieto fine, ma non è questo il momento (sigh).
A chi
deciderà di avventurarsi, buona lettura.
Hai le mani fredde.
Me ne accorgo
perché so che non è normale che tu mi tocchi
così.
Gli amici, in genere,
non vanno oltre qualche pacca sulla spalla o qualche abbraccio fraterno.
Anche la punta del tuo
naso è gelida: la sento sfiorarmi la clavicola, mentre
emetti strani rumori nel sonno.
I piedi, non ne
parliamo: di’ la verità, hai fatto apposta ad
incastrarli in mezzo alle mie gambe.
Mi stai semplicemente
sfruttando come fonte di calore in questa lugubre notte
d’inverno.
È solo per
questo che ti sei avvinghiato a me in questo modo disperato, vero?
…
vero?
*
La volta in cui sei
rimasto con me più a lungo dopo il tramonto è
stata proprio l’ultima volta che ti ho visto, prima di
ritrovare la tua figura ammanettata e delirante sulla prima pagina del
giornale.
Ti ho lasciato
raccogliere le tue cose e fuggire senza replicare, perché
ero troppo vigliacco per sforzarmi di trovare una soluzione ad una
storia così assurda e piena di sospetti.
Ora
non riesco a dormire. Sto aspettando, con ridicolo terrore, che di
nuovo tu ti alzi e te ne vada, lasciando il ricordo di ciò
che è successo dietro a una porta socchiusa.
*
Non mi piace sentirti
avere incubi.
Fai un gran macello.
Ti agiti, scalci, borbotti, trattieni il fiato, finché non
arriva il momento in cui ti metti a urlare.
Non so se devo
destarti, come calmarti, come affrontarti. Non ho idea di cosa si provi
a dover dormire in cella per dodici anni, con la consapevolezza che un
sogno pieno di cose spaventose sia molto meglio di ciò che
troverai al risveglio.
Rimango immobile, le
labbra strette e la vergogna che mi invade per ciò che sto
pensando.
Se
non avessi mai sospettato di me, mi avresti avuto al tuo fianco ogni
notte.
Piccola noticina finale:
il titolo di questa mini-raccolta è lo stesso di una canzone
dei Camera Obscura.
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