Chi di
voi mi segue/stalkerizza su fb (nessuno, nda) sa che avrei voluto
aspettare il sedici per pubblicare, ma lo faccio ora perché
sulla pagina ufficiale degli LM.C maya dice che l'anniversario
è esattamente oggi. Il motivo dunque è questo, il
quinto anniversario degli LM.C.
In
realtà, poco conta la data esatta, no? Il pensiero
c'è, sempre.
Ora, potrei
perdermi in ringraziamenti per loro, elogi e roba varia, ma vi
risparmierò. In fondo sono sicura che loro sentano il mio
amore, anche se non sanno della mia esistenza. E così come
il mio, sentono l'amore di tutti i loro fan, chiaro. Ciononostante non
potevo non far qualcosa per ringraziarli, quindi eccomi con questa fic.
Buona lettura, care.
Avanti
Shinji, pensa, pensa... !
Come fosse un
mantra, Aiji ripeteva mentalmente questa frase, a tratti le sue corde
vocali vibravano leggermente e nemmeno se ne accorgeva, preso com'era a
riflettere. Sarà stata la millesima volta, come minimo, che
riviveva nella sua testa i momenti trascorsi la sera prima, un
disperato tentativo di ricordare dove aveva messo le chiavi
dell'auto. Eppure
era sicuro
di averle lasciate nel piattino all'ingresso, come sempre.
Erano le sette del
mattino, sette e dieci ormai. A quest'ora serebbe dovuto essere nella
sua auto, con la radio accesa sulla solita stazione, la borsa sul
sedile del passeggero, la mente proiettata all'intervista e al
photoshot che li attendeva quel mattino.
Non poteva far
tardi, era assolutamente fuori discussione arrivare
anche solo un millesimo di secondo dopo
all'ora prestabilita; il motivo era il più ovvio che si
potesse trovare: un bambino troppo cresciuto in altezza per avere
quattro anni, biondo e ghiotto di dolciumi.
«Io mi rifiuto di
venire alle otto.»
«Tu ci
vieni.»
«No.»
«Sì.»
«Altrimenti?»
«Maya...
!»
«Aiji...»
«Tu ci
vieni.»
«No.»
... e via dicendo.
Aveva tanto
insistito e faticato per assicurarsi che Masahito si presentasse
puntuale, che non poteva permettersi di dargli ragione. Le otto del
mattino non era troppo presto. Era un orario ragionevole al quale
iniziare a lavorare.
Decise che aveva
perso troppo tempo a cercare quelle stupide chiavi, per quella mattina
avrebbe preso la metropolitana, sebbene fosse una delle cose che
più odiava al mondo. Tutta quella gente accalcata, a volte
capitava che lo scambiassero per una ragazza e che la mano rugosa di un
vecchio pervertito finisse sul suo sedere, che disgusto. Non voleva
nemmeno pensarci.
Si chiese come
fosse possibile che a Maya invece piacesse.
«Ogni
mattina punto una persona diversa e inizio a immaginare la sua vita. Un
giorno è la nonnina, il giorno dopo il bimbo dalla
magliettina a righe e senza incisivi. Passi il tempo e tieni allenato
il cervello.»
Era risaputo, difatti, che gli esercizi di matematica venivano ormai sostituiti da
questo genere di attività.
Coi nervi a fior di
pelle uscì di casa, velocemente diede due giri di chiave
alla porta, e si avviò giù per le scale -
naturalmente l'ascensore era inutilizzabile a causa dei lavori di
manutenzione iniziati proprio il
giorno prima.
Nel preciso istante
in cui schiacciò il bottone che apriva il portone di
ingresso, gli venne in mente che aveva dimenticato l'ombrello.
Possibile che gliene stesse capitando una dopo l'altra?
Si
ritrovò sul marciapiedi e non fece molto caso alla strada e
alle poche persone che, in una direzione o nell'altra, si affrettavano
a testa leggermente abbassata.
Pregò
che non piovesse quel giorno, o almeno non a dirotto, e almeno in
questo caso qualcosa rigò per il verso giusto. L'espressione
corrucciata rivolta al cielo coperto di un intenso strato di nubi
grigiastre, uno sbuffo stanco, facilmente equivocabile come sospiro di
sollievo, portò gli occhi davanti a sé, la fine.
Le frecce della sua
macchina lampeggiavano, la vettura parcheggiata proprio di fronte a lui
- eppure
era sicuro
di averla lasciata nel parcheggio del condominio, come sempre.
Poi
notò il dettaglio. Un
insignificante metro e ottantatrè di cantante,
tranquillamente seduto al posto di guida, che si limava le unghie
succhiando il suo solito lecca-lecca, probabilmente alla mela verde e
limone, il gusto preferito al momento.
Masahito
abbassò il finestrino e si sporse leggermente, gli occhiali
da sole gli coprivano, come di regola, tre quarti di faccia. Con un
movimento della lingua spostò il chupa-chups che
finì a rigonfiargli la guancia sinistra, poi, sorridendo con
quella sua aria da bambinone, esclamò un «Era
ora!» che per sua fortuna lasciò Shinji talmente
esterrefatto che non riuscì nemmeno a pensare di prenderlo a pugni.
Prima o poi l'avrebbe fatto senza nemmeno realizzarlo.
«Pensavo
uscissi di casa alle sette, sono venti minuti che ti aspetto! No,
bugìa... diciannove.» si corresse. «Be',
sono comunque tant-»
«Sai
com'è, non trovavo le chiavi... !» lo interruppe
seccato, fingendo che non fosse l'altro la causa dello smarrimento.
«Ce le avevo io, infatti.», Masahito sorrise
sornione ancora una volta.
Shinji rimase
lì in piedi a fissarlo, totalmente incredulo,
finché Maya non lo incitò a salire in macchina.
«Tu non
guidi la mia macchina.» rifiutò deciso.
«Sì, invece. Vedi che sono al posto di
guida?» indicò il volante di fronte a lui,
incomprensibilmente euforico. «No, no, no. Non hai
capito. Tu-non-guidi-la-mia-macchina.
Scordatelo!» ribadì il concetto, ma fu del tutto
inutile.
«Aiji-san,
facciamo tardi sul set. Le otto sono vicine, sai. Arrivano
presto.»
«Aaah, ho
capito!» sorrise Shinji, arrendendosi. Fece il
girò dell'auto e salì, sotto lo sguardo
soddisfatto del band-mate. «Me la stai facendo pagare per
oggi.» finì, allacciandosi la cintura. Maya mise
in moto e partì.
«Mi hai
preso per un bambino di quattro anni?!» s'indignò.
«Eh, sai com'è... Difficile fare il
contrario!»
«Porta
rispetto per il Re.» ordinò autoritario.
«E comunque è tra un po' che pagherai.»
aggiunse facendogli gelare il sangue nelle vene. Cos'è che
aveva in mente?
«Ti ho
mai detto che mi terrorizzi, a volte?» non osò
nemmeno voltarsi a guardarlo, teneva gli occhi fissi sulla strada
davanti a loro. Masahito scoppiò a ridere di gusto, prima di
rispondere serio «Con una frequenza di... per quattro meno
cinque, diviso sette alla meno cinquantaquattro... tre virgola sette,
quasi otto, volte al giorno.»
«Ma-»
«Una
colazione galante da Starbucks ci attende!»
Un tavolino bianco
in acciaio freddo, tondo, minuscolo, due bicchieri in plastica
semi-opaca e il sorriso estasiato di Masahito; una particolare
concezione del termine galante. Lanciò una
breve occhiata all'orologio da polso, rischiavano di far tardi a
prendersela con calma a quella maniera.
«Maya, mi
spieghi cosa diavolo hai in mente?» sbottò poco
dopo, quella situazione non lo aiutava certamente a calmare i nervi
che, solo qualche minuto prima, avevano già dato segno di
cedimento. «Uh, nulla. Mi andava di far colazione con il mio
sempai...»
Portò
gli occhi sull'altro, le sue parole erano sincere. Eppure era sicuro
che fosse un'altra la motivazione che l'aveva spinto a rubargli le
chiavi della macchina e a trascinarlo in quel luogo, altrimenti avrebbe
potuto semplicemente proporgli di prendersi un caffé, la
sera prima, quand'erano a casa sua. C'è da dire che spesso
gli sfuggiva di mente di aver a che fare con Masahito
Yamazaki. Bah,
vallo a capire...,
pensò sospirando.
«Non sei
felice, Aiji?» domandò d'un tratto Maya, lo
sguardo rivolto fuori dalla vetrina alla sua destra. Shinji lo
fissò un attimo, interdetto; non capiva dove volesse
arrivare. «Che intendi?»
«Ora
dico. Non sei felice?» posò le sue iridi ambrate
su di lui, le vide brillare. Maya
era felice.
Verrebbe spontaneo
accusare la sottoscritta di raccontare ovvietà, ma
anziché affermare che Maya era
sempre felice,
sarebbe meglio dire che era
perlopiù allegro. Essendo un essere umano
gli era concesso di avere i suoi momenti no, concorderete. Nervosismi,
malumori, e via dicendo. Ma per la maggior parte del tempo esibiva
un'espressione innocente, definibile in tal modo solo grazie al suo
sguardo: sembrava sbarrasse gli occhi quanto più gli era
possibile, come se credesse che tenendo le palpebre più
sollevate del normale avesse la possibilità di farsi
sfuggire meno dettagli. Perché quando Maya diventava calmo e
silenzioso, significava che stava osservando il mondo. Cosa di preciso,
nessuno lo sa, nemmeno Aiji. Ma studiava ogni più piccola e
impercettibile sfumatura, curioso, arguto e insaziabile. Come un bambino che vede
per la prima volta un luogo, anche se spesso i luoghi erano visti e
stravisti.
«Mi hai
tenuto sveglio fino alle tre del mattino, sono troppo stanco per essere
felice.» sembrò rimproverarlo Shinji.
«Potevi andare a letto, nessuno te lo impediva!»
ribatté quasi indignato il biondo, trattenendosi a stento
dallo sghignazzare. Trovava così divertente che Aiji si
lamentasse di lui, erano esilaranti la sua faccia seria e la sua bocca
forzatamente serrata. Si obbligava a non dire niente, ma mentalmente lo
malediva, senza mai smettere di volergli un bene dell'anima. Maya lo
vedeva, lo sentiva.
«Già
così, non so come, sei riuscito a rubarmi le chiavi della
macchina da praticamente sotto il naso, figurati se andavo a dormire
sapendoti in giro per casa mia senza una balia!»
La potente risata
di Masahito risuonò in tutto il locale, facendo temere a
Shinji che qualcuno li riconoscesse, ma per fortuna nessuno
sembrò badare al chiasso proveniente dal loro tavolo.
D'improvviso il cantante si fece serio, e riportò lo sguardo
fuori dalla finestra, continuando a tenere stretto fra le lunghe dita
affusolate il suo bicchiere dal contenuto marroncino e un po' denso.
«Cos'è
che ti rende felice?»
«Cosa ti
fa credere che lo sia?» domandò Maya voltando
nuovamente la testa, eppure i suoi occhi non caddero su quelli di
Shinji, come se avesse riguardo per qualcosa, ma si posarono sulla sua
bevanda. «Non lo sei?»
«Fin
troppo.»
«E qual
è il problema, allora?»
«Ma
difatti non c'è problema.»
Shinji lo
fissò per qualche istante, nella vana speranza che l'altro
gli rivolgesse l'attenzione. Dopo qualche silenzioso secondo, che per
questo parve interminabile, si arrese all'idea che Masahito non lo
avrebbe guardato, e distolse lo sguardo a sua volta, spostandolo sulla
strada, come se sui cartelloni pubblicitari ci fossero scritti i
pensieri che attraversavano la mente del biondo in quel momento.
«Adesso
ti sei fatto serio d'un colpo, ecco.»
«Ti
dà fastidio? Non sei tu quello che prega che mi cada la
lingua perché non sopporta le mie inutili
chiacchiere?»
Se l'era presa, non
c'era dubbio. Il problema non era tanto questo, quanto la motivazione
così ben celata da sembrare inesistente. Aiji
sospirò, ora doveva soppesare bene le parole, ancor meglio
del solito. Ma ho lasciato intendere che quella non fu la sua giornata.
«A volte
lo desidero ardentemente, sì. Ma non per questo non mi piace
sentirti parlare, Maaya.»
evidenziò bene quella a prolungata, sapeva quanto
Masahito fosse pignolo al riguardo. «La m minuscola e il suono della
prima a
lungo!», quante volte l'aveva ripetuto...
Il biondo
sbuffò arricciando le labbra, ma non commentò.
Portò il bicchiere alle labbra e bevve un sorso del suo
frappuccino.
«Cos'è,
ora te la sei presa?» chiese vedendo che ancora Maya si
ostinava a portar avanti quell'inutile quanto improvviso sciopero della
parola. «Può essere, che ti importa...»
alzò quasi impercettibilmente la spalla sinistra, girando
gli occhi e piegando di un nulla la testa nella medesima direzione.
«Su,
Maaya! Non fare il permaloso, dai!»
«Io sono permaloso, prima di tutto.
E comunque non ho niente da dire, sai.», puntò il
naso all'insù con fare altezzoso, risultando fin troppo
buffo per essere credibile. Shinji ridacchiò, addolcito da
quel gesto.
Osservandone il
volto struccato, gli anni di Masahito si notavano. Non tutti, ma si
notavano. Non che questo facesse di lui un brutto uomo, anzi.
Semplicemente non si era mai soffermato ad osservare abbastanza quei
lineamenti in ogni caso delicati.
Sentì
qualcosa, dentro. Nacque dal cuore, gli deformò le labbra in
un sorriso. Un po' come quando ci si addolcisce nel vedere un cucciolo,
ma molto più forte. Provò l'impulso di
abbracciarlo, ma chiaramente si trattenne. «Sei proprio unico
ed inimitabile!» arrise, e Maya ne sembrò stupito.
Sussultò leggermente e scosse giusto di un poco la testa,
alzando finalmente lo sguardo sul chitarrista, come per cacciare dei
pensieri che improvvisamente erano diventati superflui ed ingombranti, come se avesse bisogno di
spazio nella mente per analizzare meglio ciò che gli era
stato detto. «Be', avevi dei dubbi?!»
scherzò, seppur mantenendo quella stessa aria seccata di
poco prima. «Neanche mezzo.» pronunciò
serio, seppur con una nota d'ironia nella voce, il sempai, ed entrambi
risero.
«In ogni
caso,» aggiunse Maya «tanti auguri a
noi.», abbassò il capo senza levar all'atro gli
occhi di dosso e sollevò il bicchiere solennemente, come
fosse un brindisi. Shinji rise di nuovo, «Lunga vita agli
LM.C!», brindò a sua volta. Sorseggiando il suo
caffé gli venne da sorridere nuovamente, e per l'ennesima
volta in quei cinque anni rischiò di combinare un danno a
causa di Maya. Allora era questo il motivo per il quale, quella
mattina, Masahito era tanto sorridente e particolarmente raggiante.
Sembrava un innamorato, a volte, quando parlava di ciò che
gli LM.C significavano per lui. Certo, con questo non si intende dire
che per Aiji fossero meno importanti, ma Maya... Era
semplicemente Maaya, sentirlo parlare dava un
nonsoché di fantastico e magico a tutto, forse
quell'impressione di Shinji era dovuta a questo.
«Vada per
la band, dunque.» proclamò Masahito quel lontano
giorno di cinque anni fa. Non sembrava convinto, semplicemente
perché non lo era. Non del tutto, almeno.
«Non mi
sembri sicuro della tua scelta. Se hai bisogno di altro tempo per
pensarci, fai pure. Io aspetto, sai.» tentò di
rassicurarlo Shinji, non voleva certo forzarlo. Si rendeva conto di
quanto la sua proposta fosse azzardata, di quanto potesse sembrare
rischioso per Maayatan scegliere di formare una band con lui e lui
soltanto. E Masahito, per quanto fosse orgoglioso e fiero, restava
parzialmente insicuro ed indifeso. «No, ti ho detto che
voglio farlo.» ribatté con una punta di offesa
nella voce, come se fosse stato ferito nel sopracitato orgoglio da
quelle parole del sempai.
Shinji
penetrò con lo sguardo le sue iridi ambrate per qualche
secondo, come in cerca della verità nascosta nell'animo del
futuro cantante. Vi trovò paura, quella stessa paura che
aveva scambiato -o a tratti diveniva-
incertezza, e determinazione. Sorrise sollevato,
«Bene!», tese la mano. «Un punto a noi.
Eravamo a meno uno, ora siamo a zero. Ma da zero si parte
sempre!»
Non è
giusto dire che nacquero gli LM.C, affatto. Nacque il
loro duo, la loro amicizia che, ora
come ora, era talmente forte da esser talvolta scambiata per qualcosa
di più. Erano talmente uniti che a tratti Maya dimenticava chi
Shinji fosse realmente, aveva la sensazione che fosse il fratello
maggiore con cui era cresciuto. E, a conti fatti, così era.
Quel giorno, il
giorno in cui gli fu proposto di formare una band, fu lo stesso in cui
si aprì la porta che dava sul sentiero luminoso verso il suo
futuro. Quella porta che inconsciamente o consapevolmente stava
cercando da un po'. Forse l'aveva trovata ma aveva paura di aprirla.
Forse l'aveva già aperta ma non osava incamminarsi da solo.
Restava lì, nel rassicurante calore del nido materno, al
fianco di quel Miyavi che gli dava tante attenzioni facendogli quasi
del tutto scordare che voleva di più dalla sua vita.
Era un re,
Masahito. E come tale sentiva il bisogno di raccogliere i suoi sudditi
e di accudirli amorevolmente, rassicurarli in tempo di guerra e dar
loro la forza di andare avanti. Ma aveva anche bisogno di un
consigliere fidato, e ne aveva trovato uno così paziente da
accettare, addirittura, di essere definito principessa. Così paziente
da sopportare tutti i suoi giochetti infantili.
Immagino dunque che
sarebbe più corretto definire Masahito un principino,
più che un re.
«A che
stai pensando?» domandò curioso il cantante.
«Uh, nulla...»
«Non
mentirmi, stai sorridendo come un ebete! Cos'è che ti rende
felice?»
«Ma
nulla!» abbassò lo sguardo imbarazzato, ed un
sorriso gli fuggì dalle labbra. «Allora sono
io.» decise Masahito, innocentemente.
Però
sì, era proprio lui.
DE's:
Sì, non
ha pretese. Sì, non ha un vero inizio e non ha una vera fine
(ma credo che vi possiate pur abituare a questo genere di shot, per
quel che mi riguarda), ma io la trovo una fic meravigliosa.
Sì, 'fanculo l'umiltà. Amo questa fic con tutta
me stessa, e lo sforzo che ci ho messo per scriverla è valso
la pena in tutto e per tutto. Spero quindi che anche voi l'abbiate
apprezzata altrettanto, e se così non fosse non importa.
Piace a me, e questo mi basta. (Mi rendo conto di quanto possa far
storcere il naso questo mio discorso, ma fa niente; ho detto
semplicemente quel che penso.)
Tornando a
ciò che ho scritto nella fic, non credo ci sia bisogno di
dare spiegazioni, mi pare abbastanza chiara. Forse l'unica cosa che
potrebbe non essere compresa è quella metafora sul re e i
suoi sudditi. Cioé, ovviamente maya è il re e noi
fan siamo i sudditi, spero almeno questo si capisca. Il "tempo
di guerra"
è l'adolescenza (perché immagino che siano
seguiti perlopiù da adolescenti), e gli LM.C con la loro
musica ci aiutano ad andare avanti, dandocene la forza, facendoci
tornare il sorriso e mostrandoci quanto il mondo possa essere un
meraviglioso giro sulle montagne russe, coi suoi alti e bassi. Almeno,
per me gli LM.C sono questo. E molto altro.
Ultima cosa, credo.
Se volete vederci un accenno di maya/Miyavi o Miyavi/maya chessia, fate
pure. Io non ce lo vedo, però. (Per una volta, Dio grazie!
nda)
Ora, come al
solito, incito a farmi sapere che ne pensate. Che vi sia piaciuta o
meno.
E vi ringrazio per
il tempo dedicatomi.
A presto, forse.
Bad Spider.
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