MAXIMO
One shot – The eagle tales > Massimo
Marcus detestava svegliarsi senza trovarlo vicino, nonostante sapesse il motivo dell’assenza di Esca.
Il tepore del suo corpo, era sorgente di molte emozioni, che avevano
avvolto il suo cuore di soldato, in un’aura alla quale non sapeva più
rinunciare.
La sua fierezza era indomita, così il coraggio nell’affrontare le lunghe
giornate, aspre e faticose nel mandare avanti la loro fattoria,
superando periodi di carestia e siccità, che avrebbero messo a dura
prova chiunque.
Erano trascorsi tre anni ed il ricordo delle comodità acquisite nella
villa dello zio ogni tanto si affacciava nella mente del romano: eppure
non esistevano rimpianti, perché ad ogni sorriso di Esca, anche Marcus
ritrovava il proprio: non era più da solo.
Poteva apparire come una follia, ricevere un simile dono da uno schiavo
britannico, quasi un torbido inganno, per entrare nelle grazie del
padrone e consentire allo stesso Esca di vendicare i torti subiti dai
familiari, vittime dell’usurpazione romana.
Tacitamente si erano resi conto di avere la stessa dignità, sia nel combattersi, che nell’amarsi.
Era intenso, acre e poi dolce, improvviso e doloroso, struggente in
differenti sfumature, quel sentimento che li univa, rendendoli
inscindibili.
Avrebbero affrontato qualsiasi avversità, onorando un giuramento di
assistenza reciproca, che non aveva mai avuto bisogno di parole
esplicite.
Marcus fissò le crepe nel soffitto ed i segni delle travi: chi aveva
costruito quell’edificio aveva sputato sangue, per poi vedersi depredato
del bestiame e costretto a vendere la fattoria e l’appezzamento
retrostante ad un prezzo modesto.
Esca era stato meno partecipe a quel racconto sofferto, non per mancanza
di scrupoli, bensì per la gioia di vedere materializzare un sogno
coltivato in anni di sottomissione.
Marcus lo assecondò, senza offrire una somma più
cospicua, senza mai realmente pentirsi anche del suo opportunismo.
Esca era accovacciato nei pressi della stalla.
Fissava l’ingresso al granaio, assorto in riflessioni strategiche.
“Ancora niente …?”
“Marcus … no … non fiatare, potrebbe arrivare da un momento all’altro.”
“Devo scendere al villaggio per le provviste, quindi divertiti da solo con il nostro visitatore …”
“Non lasciare neppure una fessura aperta, se cerca del cibo
dovrà per forza entrare lì e non avrà
scampo!”
Marcus sorrise, per il tono perentorio e minaccioso di Esca: gli baciò
una scapola, sentendo il calore della pelle, sotto il tessuto sottile e
ruvido.
Inspirò l’odore di Esca, che amava, come ogni cosa di lui; baciò anche
la parte opposta, salendo infine alla sua nuca, per morderla piano –
“Non essere spietato …” – bisbigliò, vedendo che la sua
concentrazione non veniva meno, nonostante il ritmo del suo respiro
fosse mutato, in preda alla stessa eccitazione, che stava torturando
Marcus.
Al suo rientro, l’ex comandante, notò uno strano silenzio provenire dalla casa.
Esca gli venne incontro, sorridendo.
“E’ incredibile …” – sussurrò.
“Cosa?”
“Vieni, ma devi tacere, potresti svegliarlo …” – e lo trascinò nella
camera dove riposavano, mostrandogli chi giacesse nel loro letto,
avvolto da una coperta.
Un bambino.
“E’ denutrito, ha graffi ovunque, ma è stato scaltro nel derubarci.”
“Quanti anni avrà Esca?”
“Quattro, forse cinque, di sicuro è spaventato e non parla.” – aggiunse fissandolo.
“Dovremmo andare in paese, forse è scappato da qualche
famiglia, lo staranno cercando …” – replicò
preoccupato.
“Temo di no, aveva questo appeso al collo, sono riuscito a toglierglielo mentre si lavava …”
Un ciondolo di foggia romana.
“Come è possibile Esca? Lo avrà rubato …”
“Per come gli è affezionato ne dubito.”
“Non possiamo tenerlo con noi …”
“E chi lo dice?” – chiese brusco.
“Esca cosa ti sei messo in testa?”
“Ha soltanto noi, dovremmo rifiutarlo? O abbandonarlo
chissà dove?” – ringhiò, riportando Marcus in
cucina.
“Non intendevo questo.” – ribattè serio.
“E’ solo un bambino, qui avrà cibo e riparo, al sicuro insieme a noi: io
l’ho trovato ed io decido!” – e se ne andò, prendendo la cesta per la
semina.
Marcus aggrottò la fronte, pensando fosse meglio che si calmasse.
Dal profondo di quell’animo ribelle, erano molteplici le voci che salivano a reclamare attenzione e rivalsa.
Esca meritava di dare libero sfogo ad ognuna di esse e nulla sarebbe mai divenuto insopportabile al cuore di Marcus.
“Prendi ancora del pane … prima o poi ci dirai qualcosa, vero?”
I modi di Esca erano attenti, ma al tempo stesso timorosi di provocare
ulteriore turbamento in quel piccolo cucciolo d’uomo, che aveva occhi
colore delle colline erbose, di quella natia Britannia, alla quale il
giovane era stato strappato troppo presto.
Le ciocche erano di un castano chiaro, le fattezze delicate, il suo sorriso timido, i modi impacciati in loro presenza.
“Lo spaventiamo …” – disse mesto, ma Marcus non era del suo medesimo avviso.
“Anch’io sono di Roma … Roma, ricordi? Tu vieni da
lì, ne siamo certi.” – e gli sorrise amichevole.
Il bimbo si rannicchiò vicino al caminetto, abbandonando il desco
imbandito al meglio da Esca, per sedare un appetito famelico: “Chissà da
quando lotta per procurarsi di che sopravvivere Marcus.”
“Forse mesi … Lasciamolo in pace.”
Esca posò i suoi zaffiri sul petto di Marcus, che gli prese un polso,
con delicata fermezza – “Potrà restare finchè vorrà, anche per sempre.” –
affermò, senza mai distogliere lo sguardo da quello dell’altro, che
finalmente sentì sciogliere il nodo, che gli attanagliava la gola.
A metà della notte, Esca si svegliò di soprassalto.
Quel misterioso fanciullo era seduto sul bordo del loro giaciglio.
“Massimo …” – disse flebile.
“Ti … ti chiami …” – “Massimo.”
Marcus si destò a fatica, spalancando poi gli occhi su quella rivelazione.
“Quanti anni hai?” – domandò Esca.
“Cinque … quasi sei. Ho sete …” – e finalmente abbozzò un sorriso.
Marcus prese dell’acqua, porgendogliela ed accarezzandogli i capelli – “Dove sono i tuoi Massimo?”
Lui si rattristò nuovamente – “Loro hanno detto che mi hanno venduto.”
“Chi loro?”
“Loro hanno detto che sono stato salvato … tanta strada, cattivi … Massimo scappa.”
Esca lo avvolse in una coperta – “Sta tremando … non ricordare adesso,
non importa …” – gli disse pacato, proteggendolo anche dall’aria
circostante.
Marcus lo prese in braccio, mentre Esca portava la brandina improvvisata per Massimo, accanto al loro pagliericcio.
“Dovrai abituarti a dormire da solo, ma per stanotte veglieremo su di te.”
Massimo annuì, raggomitolandosi ulteriormente e tendendo la minuscola
mano a quella di Esca, che la volle custodire sino all’alba.
I giorni volavano veloci.
Massimo si irrobustì, imparò a pescare, ubbidendo ai burberi rimproveri di Marcus ed imitando ogni gesto di Esca.
Il suo linguaggio divenne più sciolto, ascoltando i discorsi della
coppia, ma il trauma in cui appariva ingabbiata la sua memoria, non
sembrava dissiparsi.
“Cresce bene …” – disse una sera Marcus, notando che la veste di Massimo si stava accorciando.
“Hai ragione, ne procurerò un’altra.” – replicò Esca, richiamandolo a tavola.
“Non lasciare la frutta, ti sazierà.” – disse, sistemandolo al suo fianco.
Marcus ravvivò il fuoco.
“Ho qualcosa per te Massimo … ecco, sono per te, potrai giocarci quando ti annoierai con me.”
Aveva intagliato un soldato, un cane ed un bimbo.
Massimo arrise a quel dono inaspettato, ma dopo essere corso alla gerla
posta accanto al camino, riportò il pezzetto di un ramo, passandolo ad
Esca – “Tu dove sei?” –
“Sono qui …” – ed indicò il centro di quel legno.
“Anch’io ero qui Esca?”
“Tu sei qui.” – ed indicò il proprio cuore.
Massimo inclinò il capo riccioluto, guardando poi Marcus, che si
avvicinò, stringendoli sul petto, celando a malapena la commozione, che
lo stava ristorando meglio del focolare.
Il calpestio dei cavalli si stava avvicinando.
Esca si erse, stropicciandosi le palpebre: il giorno prima si erano
recati al borgo, c’era stata una fiera ed un mercato, dove acquistarono
nuovi arnesi, permettendo a Massimo di divertirsi con altri bimbi.
Barattarono anche diverse dozzine di uova con due tuniche per Massimo:
il mercante disse loro di provarle al bambino, ma lui non volle saperne
di seguire Marcus sino all’angolo dove si trovavano i tessuti e le
stoffe, tanto che Esca li acquistò ugualmente, non potendo trattenersi
oltre.
Quando lui ed il compagno si ritrovarono nell’ingresso due centurioni,
al cui seguito c’erano tre carri chiusi, non militari, dove viaggiavano
parecchie persone, rimasero interdetti.
Esca vide scendere dal capo fila un signore di mezza età, riconoscendolo
subito: “Quello è il tizio delle vesti per Massimo …” – sussurrò a
Marcus, che provò a chiedere spiegazioni, a coloro i quali un eternità
prima furono suoi subalterni.
“Quest’uomo afferma che voi avete suo figlio.” – disse il più grosso.
“Cosa va farneticando?!” – esclamò Esca, affrontandolo.
“Ieri vi ho visti, ma eravate troppo lontani, altrimenti vi avrei
fermati! Lavinia esci! E’ mia moglie, ah eccola!”
A quel vociare convulso, tra le proteste di Esca e la
perplessità di Marcus, Massimo corse a vedere cosa stesse
accadendo.
Appena vide la donna ebbe un sussulto.
“Mamma …? Mamma!!”
Lei si inginocchiò, accogliendolo con baci e lacrime.
Esca era sbigottito.
Massimo era palesemente corrucciato nei confronti del padre, ma quando
gli venne data la spiegazione dovuta, divenne meno intrattabile.
“E’ stato rapito, da alcuni parenti di mia moglie. Dopo la morte di uno
zio, scoppiò una contesa per l’eredità, destinata in gran parte a noi,
quindi l’unico mezzo per ricattarci era portarci via il primogenito.
Lavinia quasi impazzì, quando le venne riferito che Massimo era riuscito
a fuggire …”
“Lui non rammenta gli eventi, che lo hanno portato sino a qui. Era in
condizioni pietose, terrorizzato …” – disse Marcus, provando come se un
groviglio di rovi gli stesse lacerando lo stomaco.
“Voi ne avete avuto cura, io e Lavinia vi ricompenseremo …”
“Non vogliamo nulla da voi!” – tuonò Esca, puntando poi le iridi
disperate su Massimo, che si aggrappò a lui, ma solo per salutarlo.
“Non piangere Massimo, non cancellare i miei insegnamenti …”
“Veloce come un’aquila, fiero come un leone e …” - disse con voce
esitante – “Ssshh … ora non … non importa Massimo, il tuo pianto è il
segno di forza migliore, che tu potrai opporre all’aridità altrui …
Adesso vai.”
Marcus lo riprese a sé, cullandolo per pochi istanti, poi Massimo fece
un piccolo salto, precipitandosi all’interno, per recuperare qualcosa di
importante.
I due soldati, il bambino ed il cane: li mostrò ai genitori, che si
inchinarono a quelli che paragonarono a dei tutori speciali, prima di
andarsene.
Esca era come pietrificato e rimase immobile, finchè quella carovana non scomparve all’orizzonte.
Esisteva un posto, vicino al torrente, dove Esca andava ad isolarsi quando discuteva con Marcus.
Tornava sempre con qualche preda, cacciare gli faceva tornare il buon umore.
Quella sera non si era mosso dal sasso sul quale si sedeva a rimuginare.
Bruciava alloro e mirto selvatico, pronunciando formule oscure per Marcus, che lo aveva raggiunto.
“Rientriamo Esca.” - disse amareggiato.
“Non hai mosso un dito per impedirglielo. Non hai fatto nulla.” – quel
suo ragionare stava assumendo un volume crescente – “Hai permesso a quei
maledetti romani di portarcelo via!!”
Era un urlo, ormai, atroce e senza scampo, come il suo sguardo, puntato su Marcus.
“Esca … quei maledetti romani lo hanno messo al mondo e lo hanno amato
prima di noi.” – lo disse colmo di amorevole comprensione.
“Così noi non ne eravamo degni??! Di avere un figlio?!! O soltanto io?? Un miserabile schiavo!?”
Marcus indietreggiò, Esca non si mosse.
“Quando abbiamo coltivato questo sogno, eravamo ambiziosi Esca … A dire
il vero, eravamo molto di più. Anzi, NON eravamo più ciò che gli altri
credevano: un romano ed un britanno. Ci eravamo spinti fino ad un
confine inesplorato, impervio, ostile eppure non ci saremmo mai arresi:
il nostro amore aveva vinto su tutto, precedendoci ad ogni passo. Noi ci
siamo meritati ogni singola cosa, rendendoci degni dell’affetto di
Massimo, del suo rispetto: non ci dimenticherà mai, sappilo, le nostre
esistenze si sono arricchite ed illuminate, per merito delle sue risa,
del suo saluto all’imbrunire, della sua curiosità ad apprendere … Esca,
dobbiamo soltanto accettare il nostro destino e non rimanerne
sopraffatti. Credimi.”
Annullarono la distanza, stringendosi dal principio ancora sospesi in
quel limbo di angoscia, per poi soffocarsi, per quanto fosse intenso il
loro intreccio di corpi.
Si amarono selvaggiamente, strappandosi le vesti, divorando le
rispettive afflizioni, per poi cercarsi ancora, con sconvolgente
tenerezza, incapaci di rinnegare le emozioni, che da primordiali
mutarono in qualcosa di totalizzante, che arrivava ad una tale
profondità dentro di loro, da atterrirli.
Il viso madido di Marcus scivolava e risaliva lento su quello si Esca,
dopo un secondo orgasmo: il contatto era completo, ma quelle iridi
bruciate dalla rabbia per quella perdita, continuavano ad evitarsi.
“Marcus …”
“Sono qui …”
“Spesso ripenso al bambino della tribù degli uomini foca … se solo gli
avessi permesso di seguirci, forse non sarebbe morto: è una colpa che
macchierà la mia anima per l’eternità …”
“Ti sbagli … anche in quel frangente hai agito per il suo bene, stare con noi lo avrebbe condannato.”
Lo stava scrutando, nella speranza di convincerlo.
Esca gli sfiorò gli zigomi, con i pollici, segnando l’arcata
sopraccigliare di Marcus, che gli sorrise – “Tu … sei … bellissimo …”
Si baciarono, togliendosi il respiro: a loro non serviva, sarebbero esistiti comunque.
Sino alla fine.
THE END
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