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Red
Lemon
Autore:
ellephedre
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
8
- Usagi/Mamoru III
Ambientato nell'estate
del 1995, ovvero quasi un anno
e mezzo prima di Verso l'alba e un anno dopo 'Oltre le stelle'.
Il posizionamento dello scotch sull'apertura dello scatolone
riuscì talmente bene che Usagi per un momento non ci
credette.
Lisciò con una mano la striscia spessa e scura fino ad
appiattirla contro il cartone. Nemmeno un pezzetto in
rilievo. «Yuhuu! Questo non l'ho rovinato, è
pronto per
essere
portato di sopra!»
Mamoru controllò la scritta
che
aveva apposto sul lato della scatola. «Usako, questa poteva
anche
rimanere aperta. Sono solo libri.»
Per leggere a sua volta, Usagi si piegò in due.
Rilasciò
un sospiro sconsolato e si abbandonò seduta sul pavimento in
moquette.
Sotto i pantaloncini, il contatto con la superficie in pelo le fece
rilasciare una smorfia di fastidio. «Non ne combino una
giusta.» E in
quella stanza si moriva di caldo, come in tutta Tokyo.
«Non è vero.» Mamoru terminò
di chiudere
la scatola con gli
ultimi
piatti che gli rimanevano. «Non sei obbligata ad aiutarmi, mi
stai
dando una mano.»
«Come potevo non aiutarti? Ti stai trasferendo nella tua
nuova casa!»
Sì, pensò Mamoru. E ne era felice, anche se
sarebbe
andato a stare solo due piani più sopra nello stesso
edificio.
La differenza reale l'avrebbe avuta nello spazio a sua disposizione:
passava da un bilocale con cucinotto e bagno a un trilocale con tutta
una stanza in più. Il bagno era più largo e la
cucina era
anch'essa più grande, anche se sempre a vista: a lui piaceva
così. Si trattava ancora di un appartamento, ma la nuova
abitazione gli apriva maggiori prospettive per il futuro. Smettendo di
pagare un affitto stava mettendo in atto un vero e proprio investimento
per l'avvenire suo e di... Se lo avesse detto a Usagi, non ne avrebbe
più sentito la fine.
La verità era che in campo
immobiliare bisognava muoversi con molti anni di anticipo, come gli
aveva suggerito l'agente che gli aveva venduto la casa.
"Questa è una zona in espansione, Chiba-san! Il valore degli
immobili sta aumentando! Tra tre anni lei non si potrà
più permettere questo bellissimo appartamento, sa? Se ha i
soldi
ora, è una pazzia lasciarsi sfuggire questo affare."
Lui ci aveva creduto dopo essersi informato tra i vicini. Due
degli inquilini dei piani inferiori, in affitto come lui, gli avevano
confermato la validità dell'investimento.
"Uff..." aveva sospirato Kamiya-san, l'inquilina dell'appartamento 4 al
secondo piano. "Se solo potessi comprarlo io..." Aveva quindi proceduto
a flirtare apertamente con lui, forse confusa dal fatto di vederlo in
casa sua a bere un tè. Mamoru l'aveva garbatamente respinta
e si
era ripromesso di non farsi mai sfuggire notizia di quella vicenda con
Usagi: la gelosia di lei era sempre dietro l'angolo.
Usagi si mise a sedere sullo scatolone appena chiuso. Si
strofinò la fronte sudata col dorso della mano.
«Oggi è come una sauna...»
Già. Agosto 1995, piena estate, appena pochi giorni dopo il
compimento dei suoi vent'anni. Il caldo era asfissiante e persistente,
ma a Mamoru non
importava. Era diventato maggiorenne a tutti gli effetti e si stava
addirittura comprando una casa. Era fiero di se stesso.
«Oh.» Lo scatolone si piegò sotto il
peso di Usagi. «Fortuna
che
sono solo libri» ridacchiò lei. «A
proposito, sai che cos'ha
avuto
il coraggio di dirmi Shingo l'altro giorno?»
«No.» Mamoru stappò il pennarello blu
con la bocca e si
preparò a scrivere su un nuovo pezzo di cartone. Roba di cucina.
«Mi ha detto che sono ingrassata! Allora io per smentirlo
sono andata a
pesarmi e.... be', non gliel'ho detto, perché credo che la
bilancia sia rotta. Sarà più di un anno che non
mi peso,
ma non è possibile che io abbia preso quattro
chili.» Si
alzò in piedi e lisciò la maglietta contro il
ventre. «Vero?»
Lui le lanciò una rapida occhiata.
«Sì»
bofonchiò.
«Sì, non li ho presi?»
Mamoru terminò di scrivere e si
concentrò. «Sì, nel senso che
anche io ho visto che-» L'espressione di
lei
lo fermò all'istante. «No. Non quei chili in
più,
solo
che-»
«Solo che cosa?»
Gli occhi di Usagi si erano fatti feroci.
«In senso buono!» si affrettò a dire.
Capì
che non
stava andando meglio quando lei incrociò le braccia.
Si sollevò sulle ginocchia, tentando un avvicinamento.
«Nel
senso che sei cresciuta.»
«In altezza?»
«No-»
«Allora mi trovi grassa!»
«No!»
«Fa troppo caldo perché io stia a sentire queste
cose!»
Usagi
gettò a terra il nastro di scotch. «E in frigo tu
non hai
neanche una bibita fresca!»
Mamoru spalancò gli occhi. Cos'era quello scoppio d'ira?
Non fece in tempo a capacitarsene. Usagi era
già in corridoio. «Vado a comprare
qualcosa!»
«Usagi...» la seguì lui.
Lei si voltò e pestò un piede a terra.
«Pensavo
che fossi diventato più sensibile su questi
argomenti!»
Mamoru non capì nulla. «Non ho detto che sei
grassa.»
«Solo appesantita.»
«Non è vero!»
«Be', qualunque cosa pensi, a me non piace! Non potevi solo
dirmi 'Ma
figurati, tuo fratello è pazzo?'»
«Non ho detto che sono d'accordo con lui. Non mi hai neanche
lasciato
finire di-»
«A volte non ci vogliono grandi frasi. Ci vuole solo un po'
di
supporto. Un poco di sensibilità!»
L'accusa ripetuta lo irritò. «Cerco sempre di
pensare a
quello
che ti dà fastidio sentire prima di parlare.»
Quando mai era
stato insensibile negli ultimi tempi?
«Quindi mi nascondi la verità?»
Forse lei avrebbe fatto meglio a decidersi. «No. Ma sembra
che sia
quello che vuoi tu.» Ora lui non poteva neanche aggiungere un
'ma' che
subito veniva frainteso, neanche fosse un crimine offrire il suo punto
di vista.
«Vedi che lo stai dicendo di nuovo?! Si può sapere
cosa ti
costava dirmi che-?» Usagi si bloccò e
afferrò con uno scatto la
propria borsa. «Non mi importa!»
Non le importava?
«Tu non mi stai nemmeno ad ascoltare!»
«Perché su cose come questa tu non fai che
criticarmi!
Prendo
peso ed è perché ho mangiato troppo, non ottengo
ottanta all'esame ed è perché non studio mai
abbastanza-»
Non le aveva mai detto niente con quel tono! E nemmeno quelle cose che-
«Faccio qualcosa di sbagliato ed è sempre colpa
mia!»
«È un controsenso!» Lei stava andando
talmente a
razzo con quella
pazzia che lui nemmeno riusciva a seguirla.
«Non importa se è un controsenso! Non m'importa se
non
è
logico, io volevo solo che... A te devo sempre spiegarlo!»
Evidentemente sì, visto che lui ci stava provando con tutte
le sue forze ma non stava capendo niente. A quanto
pareva
non aveva mai capito nulla, dato che aveva sempre bisogno di
una spiegazione. «Non spiegare» le disse, ironico.
«Dimmi cosa vuoi che
ti dica.» Sembrava che contasse solo quello.
Usagi si infilò la borsa al braccio, lo sguardo basso e la
bocca tesa. «A Seiya non avevo bisogno di dirlo.»
Mamoru si fece rigido.
... a chi?
E cosa diavolo c'entrava?
Usagi si accorse di quello che aveva detto.
«Non lo
intendevo in quel senso.»
Già. Solo nel senso che richiedeva la
menzione di una terza persona in una faccenda che riguardava solo loro.
Se ne tornò in salotto.
«Non lo intendevo in quel modo! Non devi credere
che-»
«Non lo credo! Ma se tu fraintendi ogni cosa che dico,
sappi che sta cominciando a valere anche il contrario!»
«Non voglio che ci sia alcun fraintendimento su-»
«Nemmeno io!» La interruppe di forza, prima di
sentire un'altra
volta quel nome. «Perciò è meglio se
vai a casa.»
Attonita, Usagi esitò un attimo. Poi si diresse in corridoio
e aprì la porta.
Quando Mamoru la sentì chiudersi violentemente,
serrò i pugni.
E poi era lui quello che veniva accusato di insensibilità.
Per venire a capo di quello che era successo, Usagi si era prima
concessa un bel pianto. In camera sua, da sola.
Che disastro. Che disastro, che disastro, era tutto orribile!
«Usagi?»
Sollevò la testa, liberandola dal rifugio delle
braccia incrociate sul tavolo. Sulla porta sbucava il muso di Luna. Lei
interpretò il suo silenzio come un invito a entrare e Usagi
non ebbe parole per ringraziarla: era una mano tesa nel buio della
tristezza e del risentimento che non riusciva più a
sopportare.
«... che cos'è successo?» fu la domanda
cauta di Luna.
Usagi tirò su col naso. Disgustata, prese un fazzoletto e
soffiò. «Ho... litigato con Mamoru.»
Luna rimase preoccupata, ma rilasciò anche un sospiro. Aveva
fatto anche un'altra
deduzione: che fosse stata lei a cominciare.
Veniva presa per una
bambina e un'immatura nella relazione tra lei e Mamoru e se c'era
qualcuno a cui dover dare la colpa di qualcosa... be', l'attribuzione
della responsabilità era sempre automatica. Ma chi poteva
biasimare? In quel caso era stata proprio lei a iniziare, anche se...
Scosse mesta il capo. «Non è stato un bel litigio.
Mamoru mi
ha detto di andarmene.» Come aveva potuto?
Luna avanzò silenziosa sui cuscinetti. Spuntò
sopra il tavolo. «Gli avevi detto qualcosa di
brutto?»
... Sì. Anche se quando lui non la lasciava spiegare, lei
avrebbe voluto
torcergli il collo e mettersi a piangere.
Strinse i pugni. «Oggi ero così nervosa. Dovevo
parlargli di una
cosa molto importante.»
«Di che cosa?»
«Ho iniziato parlando di una sciocchezza. Dei chili che ho
preso, sai?
Volevo solo che mi dicesse che non li vedeva nemmeno, che mi
dimostrasse che... Lui non lo fa apposta, ma si comporta come te.
Quando
faccio qualcosa di giusto, per lui non è mai
abbastanza.»
Luna arricciò la coda attorno al corpo.
«Hm... non
è proprio così, Usagi. Comunque so che
posso sembrarti molto critica, ma Mamoru non è come
me.»
Infatti. «Non è che mi critica, lui... mi fa solo
notare quello che ho fatto di sbagliato, per farmi rimediare
la prossima volta. È come se ogni mio risultato buono fosse
solo
naturale, il minimo che può aspettarsi da me. Lui non fa
fatica a ottenere tutto quello che si prefigge, mentre io...»
Appoggiò la fronte contro
il palmo della mano. «Per il peso, lui stava sicuramente per
dirmi
che dovevo solo impegnarmi per perdere quello in eccesso. Come
se fosse
colpa
mia se l'ho preso.»
Luna chiuse la bocca prima di parlare.
«Ma il problema non è questo. Io volevo solo
che...» Aveva un bisogno infinito di supporto e fiducia.
«Che cosa dovevi dirgli di importante?»
Usagi raddrizzò la schiena. Asciugò col dorso di
un dito l'ultima scia di lacrime. «Voglio tentare
l'ammissione alla
Todai.»
Qualunque cosa si fosse aspettata Luna, non era quella confessione.
Lei sgranò gli occhi.
«L'università?»
«Sì.» Cos'altro si chiamava Todai? Era
l'università più importante della
città e dell'intero paese. L'università che
frequentava Mamoru e a cui solo Ami aveva osato aspirare.
La prima reazione di Luna - un minuscolo sorriso - le
confermò tutti i suoi timori.
«Non ce la farò mai, vero? È solo
un'idea,
solo...»
«No no.» Luna sospirò.
«È
solo... un obiettivo molto
ambizioso.»
Fuori dalla sua portata, cioè. «Per questo ci sto
pensando
con più di un anno di anticipo. Se non inizio ad impegnarmi
ora...»
«Certo. Sono orgogliosa di te, Usagi.»
«È un bene che sia ambiziosa?»
«È una cosa molto positiva che tu stia pensando a
obiettivi
tanto
grandi.»
Il che non significava che li avrebbe raggiunti, ma non chiedeva a
nessuno di credere in miracoli che spettava solo a
lei raggiungere.
«Mamoru riderà.» Era quello il problema,
la ragione
del suo
nervosismo, il motivo per cui gli aveva dato contro alla menzione di
una minima critica.
Luna si rassegnò a guardare il soffitto. «Non
è
vero.»
«Non in modo cattivo, però... Lui
sorriderà di
questa idea.» Con fare benevolo e comprensivo, Mamoru non
l'avrebbe
dissuasa dal concentrarsi sul suo obbiettivo, ma tra sé
avrebbe pensato a quel suo proposito come il desiderio esagerato di una
ragazzina che si stava dando da fare per crescere piuttosto che
la legittima aspirazione di una persona grande che si sforzava con
tutta se stessa per fare del suo meglio, conscia dei suoi futuri
doveri.
«Lui ti crede capace di fare tutto quello che ti metti in
testa.»
Sì. Nei panni di Sailor Moon. «Questa non
è una
faccenda di battaglie, Luna. Vorrei solo che avesse più
fiducia nelle mie capacità di persona... normale.»
Luna non la comprese. «Allora perché non glielo
dici?»
Perché non avrebbe voluto doverglielo dire. Forse era
davvero immatura e sciocca, ma si era sentita oppressa. Non da
lui solamente, ma dalla consapevolezza che, anche solo per un
secondo, tutti quanti l'avrebbero derisa nel sentirla dichiarare
che università voleva frequentare.
Noo, Usagi Tsukino che
pensa di andare alla Todai! È più facile che
costruisca un
razzo per andare sulla Luna!
Pensieri suoi, esagerati, ma la vergogna era uguale.
Sua madre aveva già sorriso quando lei aveva
menzionato per caso l'idea.
"Figlia mia... magari!" L'aveva sentita emettere un grosso sospiro,
interrotto da
una risatina sotto voce.
Si sarebbero divertite anche le ragazze. Persino Minako le avrebbe
detto, "Usagi...Non è che questa volta stai puntando troppo
in alto?"
Da Mamoru, dal suo ragazzo, lei avrebbe voluto solo supporto!
Lui però non era capace di darglielo nemmeno per una cosa
come
due
insignificanti chili di troppo... O quattro, va bene! La opprimevano
pure quelli, perché la bilancia non era rotta e lei non
sapeva nemmeno come li aveva presi!
«Usagi...» Luna si piazzò di fronte a
lei. «Credo che sia
più un problema tuo che suo.»
Ne era cosciente, ma questo non la rendeva più serena.
«Hai combinato disastri per tanti anni, non puoi pretendere
che ora gli altri non se ne ricordino.»
Luna era un genio a rigirare il dito nella piaga.
«Però sei anche maturata da allora, ce ne siamo
resi conto
tutti. Secondo me stai pensando che Mamoru riderà della tua
idea solo perché sei la prima a essere insicura.»
Sì! Da morire, per questo voleva appoggiarsi a lui e non
avere alcun dubbio sugli incoraggiamenti che le avrebbe dato.
Luna piegò piano la testa di lato. «Che cosa gli
hai detto di così
brutto?»
Se ne vergognava troppo per parlarne.
Nella sua testa non c'era mai stato alcun paragone con Seiya, ma lo
aveva fatto sembrare tale nel tirare fuori il suo nome davanti a
Mamoru. A metterlo in quel discorso aveva fatto sembrare Seiya
una specie di...
alternativa. Si coprì gli occhi.
Aveva pensato a lui per una ragione molto semplice: la
sua era stata l'unica voce di supporto che le era venuta in mente.
Seiya
aveva sempre creduto incondizionatamente che lei fosse capace di fare
tutto quello che si metteva in testa, senza alcun limite. D'altronde,
l'aveva conosciuta solo per pochi mesi; non aveva assistito come tutte
le sue amiche e Mamoru ad anni di entusiasmi facili e disastri a catena.
Inoltre per Seiya era stato facile dirle tutto quello che lei voleva
sentire: di carattere erano stati molto simili. Allegri tutti e due,
sempre pronti a dirsi 'Non mollare mai!', anche di fronte a obiettivi
impossibili. Il successo non era importante, contava il percorso e
crederci fino all'ultimo istante possibile.
Usagi si sarebbe detta ancora
d'accordo con lui se i suoi obiettivi non fossero cambiati: era
arrivata ad un punto della sua vita in cui si era resa conto che gli
insuccessi non erano più un gioco di cui poteva
ridere.
Sperava che Seiya stesse bene a casa sua, nel suo pianeta. Le mancava
soprattutto poter sapere che anche lui e gli altri stavano realizzando
i loro desideri, dopo la dura battaglia che avevano combattuto insieme.
Luna rilasciò un grosso sospiro. «Mamoru non
è un
ragazzo che si arrabbia facilmente. Faresti meglio a fare pace
subito.»
Scese dal tavolo e uscì dalla stanza.
Usagi guardò la porta socchiusa.
Quelle parole erano pura verità.
Quando Mamoru trovò la porta del suo nuovo appartamento
aperta, per un momento pensò a una distrazione.
Portava scatoloni e mobili su nella nuova casa da tutto il pomeriggio e
da
metà sera. Anche se pensava di aver chiuso l'ultima volta
che era uscito... Un ricordo preciso, un raggio di sole sulla sua mano
mentre aveva fatto girare per l'ultima volta la chiave, gli fece capire
che non era stato lui a lasciare la porta priva di protezione.
Alle nove il sole stava appena tramontando e non fu necessario
accendere le luci nel corridoio per vedere. La parete vicina era
illuminata di arancione. In sottofondo si udiva un rumore basso, di
aria che circolava.
Il nuovo condizionatore.
Mamoru sorpassò gli scatoloni che aveva lasciato
nell'ingresso e arrivò in salotto, silenzioso.
Nel vederlo, Usagi trasalì e si spostò dal getto
d'aria che aveva preso in pieno petto.
«Stavo... Sarei venuta di sotto.»
La sua presenza non lo sorprese molto.
Se qualunque loro discussione si concludeva nel giro di una giornata,
era perché lei si muoveva per chiarire prima che
facesse notte. Spesso al telefono, ma quello era un
litigio che non poteva essere appianato senza guardarsi negli occhi.
Peccato che lui non avesse ancora voglia di cercare una
riappacificazione.
Si diresse verso la sua nuova camera, ad appoggiare sul letto i due
cuscini che portava sotto il braccio.
«... dormirai qui stanotte?»
Sì. Aveva accelerato il trasloco durante la giornata, senza
darsi neanche un momento di respiro. Non aveva avuto voglia di
mettersi a pensare a una certa faccenda: non ne sarebbe uscito niente
di buono, a parte fantasie negative prive di alcun fondamento.
«Mi dispiace.» Nel tono di Usagi si nascondevano
fatica e risentimento. «È stata colpa mia
oggi.»
«Già.» Appunto per questo dimostrarsi
più pentita
non le avrebbe fatto certo male. Sarebbe stata una bella prova della
tanto decantata sensibilità che richiedeva a lui.
In piedi vicino alla finestra, lei aggrottò la fronte,
rigida.
Mamoru afferrò le lenzuola impilate sulla sedia e le
dispiegò in aria, sopra il letto, lasciandole ricadere.
«Non avrei dovuto nominare Seiya.»
Ma continuava a farlo, pensò lui a denti stretti.
«Allora
non parlarne più.»
«Lui non mi interessa!» gridò Usagi.
«Mi importa solo quello
che ti ho fatto pensare!»
Oh, ma non gli aveva fatto pensare niente.
Lui era stato bravo a evitare del tutto qualunque idea in merito da
quando lei se n'era andata. Lo sforzo era stato sovraumano e
spiacevole, ma necessario.
«Oggi ero nervosa. Per una cosa che... Per un problema mio,
anche Luna
me lo ha fatto capire. Non ne ho parlato né con te
né con le
ragazze finora. Seiya era solo l'idea di una consolazione
che-»
Lui schiacciò le mani sul letto, piegando tra le dita le
lenzuola appena stese. «Oggi continui a fartelo venire in
mente.»
«Sto solo cercando di spiegarmi.»
«Oramai mi hai costretto a fraintenderti, perciò
rispondi ad
una domanda.» Fece fatica a tirarla fuori.
«La risposta è no!» Usagi
salì in ginocchio sul
letto, afferrandogli le braccia. «Non penso a lui in quel
modo, erano
mesi che non mi ricordavo di quando era qui!»
«E che cosa faceva
quando era qui?» Aveva sbagliato a non chiederle altro fino a
quel
momento?
«Niente» rispose Usagi, con un filo di voce
accorato. «Eravamo solo
amici.»
Ma lei non aveva mai infilato una delle ragazze nelle
loro
discussioni, soprattutto per fargli notare una sua presunta
mancanza.
«Io ti do più di chiunque altro»
sibilò,
afferrandola per le spalle. «Non è colpa mia se
non sono
nella tua testa, ma nessuno ti conosce più di me!»
«È vero» espirò Usagi. Si
aggrappò a lui. «Ero
arrabbiata, Mamo-chan.» Lo intrappolò con le
braccia attorno
al collo. «È colpa mia.»
Lui cercò di allontanarla. Non la voleva vicina quando aveva
voglia di imprimere tanta forza da rompere qualcosa. Voleva anche
stringerla fino a rischiare di farle male, solo perché non
poteva
sopportare l'idea che lei volesse la consolazione di un'altra persona.
Usagi affondò le unghie nelle sue spalle, senza spostarsi di
un centimetro. «Non mandarmi via come prima.»
«Io non voglio perdonarti.»
Il brivido di lei gli fece venire voglia di imprecare.
«Non
voglio che
ci sia niente per cui doverti perdonare.» Non capiva?
«Non c'è! Io penso solo a te in questo modo, non
voglio che
ci sia nessun altro al posto tuo!»
«Allora perché-?»
«Perché voglio andare alla Todai!»
La dichiarazione lo immobilizzò sul posto.
Cosa?
Usagi lo lasciò andare. «Per favore, non ridere.
Nemmeno un
pochino, per favore.
Lo hanno già fatto mia madre e Luna. Lo faranno anche le
ragazze quando glielo dirò e l'unico che forse non avrebbe
sorriso era Seiya. Perché non mi conosceva abbastanza ed era
un illuso, come me. Tutto qui, non ho pensato a lui per nessun altro
motivo. Tutto qui.» La sua voce si fece piccola.
«Alla Todai?» ripeté Mamoru.
Lei si rifiutò di abbassare lo sguardo.
«Sì.
Voglio provarci, anche se non ce le farò mai.»
Mai non gli
piaceva in bocca a lei. «Hai ancora un anno.»
«Esatto. Ce la metterò tutta.»
«Ma è una decisione definitiva o-»
«Definitiva!» si affrettò a dichiarare
Usagi. «Se mi
concentro sui 'se' poi sarò tentata di abbattermi e lasciar
perdere tutto, invece... Io voglio farcela, capisci? Devo
farcela!»
Sembrava un grido d'aiuto. «Certo che ce la farai.»
Anche se
concorrevano in migliaia per passare l'esame di ammissione, tra i
migliori studenti di tutto il paese.
«... non lo dici perché è quello che
voglio
sentire, vero?» Usagi si sedette sulle ginocchia.
«Come hai detto
oggi. Anche se fa male, preferisco la verità.»
«È la verità. Ti aiuterò, se
sei
decisa. Non
sarà facile, ma ci sono migliaia di posti, non
solo migliaia
di candidati. Riuscirai a entrare anche tu, supererai chi
devi.»
Riprendendo a respirare, Usagi tremò.
«Pensavo...»
Sembrò confusa. «Oggi stavi per dirmi che mi
vedevi
appesantita.»
No, quello era il
modo in cui lei
aveva buttato giù la faccenda. «Volevo dire che
sapevo
dove stava quel peso.»
«È la stessa cosa» si risentì
Usagi.
Lui le prese il viso tra le mani. «Adesso mi lasci
finire.»
Usagi si zittì prima di dire un'altra parola.
«Ti avevo detto che non eri cresciuta in altezza, ma oggi mi
hai fatto
venire il dubbio. Mi sono misurato contro la parete, era tanto che non
lo facevo. Ho visto che ho preso un paio di centimetri. Se non vedevo
differenze con te, devi averli presi anche tu.» In fondo,
stavano
terminando entrambi l'età della crescita.
«Ma oggi mi hai detto che non ero più
alta.»
«Sì.» Le impose di nuovo il silenzio con
un pollice sulle
labbra. «Infatti all'inizio stavo pensando solo a come ti
avevo notata
più rotonda qui.» Lasciò scivolare la
mano sul
suo petto, prendendole tutto un seno dentro il palmo. Le fece
spalancare la bocca e trovò una risata silenziosa assieme a
lei nel gesto. «E poi anche dietro. Intendevo 'cresciuta' in quel
senso.»
Usagi voltò la testa, cercando di guardare in fondo alla
propria schiena. «Perciò, se ho preso un paio di
centimetri come te e sono diventata anche più...»
Invece
di concludere
la frase, sorrise tra sé e arrossì di gioia.
«Quando ti sei pesata l'ultima volta?» le chiese
lui.
«Cinque giorni fa.»
«No, prima dell'ultima volta.»
«Ah....» Per ricordarlo, Usagi impiegò
un momento.
«Ehm... quando avevo
quindici anni? Quando mi era venuto davvero un rotolino di ciccia sullo
stomaco. Tu me l'avevi fatto notare!»
No, l'aveva costretta a rendersene conto un mostro che si dilettava a
insegnare danza, stringendole la vita fino a farla quasi soffocare.
«A
diciassette anni è normale pesare di
più.» Anche
aver preso un paio di centimetri, soprattutto se non ci si misurava da
anni, come di sicuro era capitato a lei.
«Hai ragione!» rise Usagi. «Non sono
grassa!»
Infatti lui non lo aveva mai detto né lasciato intendere. A
parte un paio di volte due anni prima, certo, ma aveva imparato la sua
lezione allora.
Usagi abbassò lo sguardo su di sé. «E
ti piaccio
di più così?» Indico la mano che lui
non aveva
ancora staccato dal suo petto.
Gli impedì di rimediare quando mise il palmo sopra
quello di lui. Più che contro il seno, gli premette la
mano contro il cuore.
«Non litighiamo più.»
Se lo ripromettevano tutte le volte. Era un sollievo ogni volta.
«Mi dispiace» continuò Usagi,
circondandogli le spalle con
le braccia. «Anche tu hai capito che non ho mai pensato a
nessun altro?»
Lui capiva soprattutto che quella frase era una dichiarazione
esagerata,
genuina però nelle intenzioni e nel sentimento.
Si abbassò a premere la bocca contro quella di lei, calda
come la pelle del suo viso e del suo corpo. La temperatura era rimasta
alta anche di sera; avrebbe dovuto sentire fastidio nel toccarla,
ma dimenticò la sensazione nell'istante stesso in cui la
provò. Baciarla in quel momento era come diventare una
fornace lui stesso: tornare fresco lo avrebbe fatto sentire come ferro
abbandonato sotto il gelo.
Usagi sembrò avere il suo stesso
pensiero, premendosi contro di lui con tutto il
torso sino a sedersi sulle sue
ginocchia.
Lasciò scorrere le mani su di lui verso il basso, lungo i
fianchi, tracciando sulla sua maglietta una scia che lo
solleticò su milioni di terminazioni nervose. Lei raggiunse
l'orlo dell'indumento e lo sollevò con entrambe le mani, di
fretta. Lui la aiutò con le braccia alzate e poi
tornò a
stringerla per la vita, trovandole il collo con un bacio leggero,
delicatamente vorace.
Usagi gli passò una mano tra i capelli. «Il mio
adorato
Mamo-chan» sussurrò.
Sorridendo, lui le infilò le mani sotto
la maglietta
scollata e priva di maniche. Si dimenticò di dirle quanto
gli piaceva quando le prese i seni tra le mani. Non resistette e
abbassò subito le coppe leggere che la coprivano,
scoprendole i capezzoli e iniziando a giocarci.
«Il mio bellissimo Mamoru...»
Grazie. Non
fece in tempo a continuare che Usagi si era già allontanata,
seduta sul letto.
La vide togliersi la maglietta, veloce. Volle quasi pregarla di non
farlo fino a che non vide l'effetto del reggiseno scomposto e abbassato.
Non si mosse perché fu Usagi a raggiungerlo per prima,
abbastanza da riuscire a baciarlo e da tenersi separata da lui con il
resto del corpo, adagiandosi all'indietro, sulla schiena. Lui non
capì la ragione della distanza fino a che non
sentì la carezza della mano di lei sulla gamba dei
pantaloni, mentre risaliva senza soste.
«Non hai caldo?» la sentì chiedere in un
ansito, sollevando
leggermente il corpo, come a cercare una sensazione che la portava a
vibrare. Con la mano premeva e scivolava insistente su di lui, il palmo
largo e
fermo.
Sì, pensò lui. Faceva un caldo asfissiante. E
sarebbe morto in quel modo, felice e senza rimpianti.
Appoggiò il peso del torso sui gomiti, abbassandosi piano.
Un bacio lo sfiorò sul mento.
«Ti piace?»
Annuendo, lui quasi la colpì sul naso.
Le dita di lei cercarono il bottone dei suoi pantaloni e Mamoru non
resistette più: iniziò lui stesso a toglierli,
muovendo la mano confuso e al contempo preciso. Con la bocca si
ritrovò su quella di lei quasi per errore e, inebriato, non
la
lasciò più respirare, fisicamente costretto a non
smettere di mangiarla con tutti i baci che poteva darle.
Insieme produssero il suono soffocato di due creature che provavano a
muoversi il più possibile senza staccarsi.
Usagi gli sfuggì e lo trovò sullo sterno con la
bocca. Risalì piano, puntando la sua spalla con il cammino
tortuoso delle labbra. Più sotto aveva infilato la mano
dentro i suoi pantaloni aperti e sembrava aver imparato di colpo cose
che lui nemmeno le aveva detto.
Slacciandole il reggiseno sulla schiena, lui tentò di
scostarlo il più possibile per stuzzicarle il petto. Tra
due dita sentì una delle punte incredibilmente turgida
nonostante il caldo.
Le meraviglie dell'eccitazione.
Scese lungo la schiena scoperta di lei, godendosi ogni centimetro di
pelle liscia e morbida. Sensibile, come scoprì per
l'ennesima
volta quando affondò col dito in una piccola avvallatura
della schiena. Usagi tremò. Una carezza della sua mano - una
stretta decisa - lo spinse a
chiudere gli occhi.
Mordendosi il labbro inferiore, abbassò il tessuto dei
pantaloncini di lei, concentrandosi nel riempirsi il palmo.
Usagi si agitò sotto il suo tocco, portandolo a fremere con
la stretta delle dita, forte al punto giusto.
«Se ora sono più...» cercò di
dirgli.
«Sì» rispose subito lui. A qualunque
cosa. Cominciò a spogliarla
completamente e lei lo prese come un invito a fare lo stesso con lui.
Finirono con l'occuparsi ciascuno solo di loro stessi, ritrovandosi
nell'istante in cui non ebbero più nulla addosso.
Usagi lasciò affondare la nuca nel cuscino. Lui la raggiunse
lì col volto e la udì mormorare cosa voleva.
Lei glielo comunicò in silenzio anche con le ginocchia
piegate alte all'indietro, che più che stringerlo gli
diedero semplicemente campo libero, tutto lo spazio del mondo per
piegare a sua volta le gambe e darsi maggior leva.
Entrare dentro di lei lo fece fondere. Usagi si sciolse letteralmente
assieme a lui, lasciando cadere sulle lenzuola un braccio privo di
forza.
Le sue certezze stavano in quell'abbandono di sensi totale e in quella
concessione di fiducia assoluta, pensò lui. E se l'amava era
perché non poteva vivere facendone a meno, senza ricambiarla
allo stesso modo.
Usagi gli artigliò le braccia, violenta e delicata,
chiedendogli di farli morire di caldo e piacere entrambi. Fu quello
che lui fece, finché ebbe forza negli arti e
volontà nella testa. Poi sparì ogni cosa, persino
loro due come esseri separati. Vibrarono, si teserono e impazzirono
nello stesso preciso istante, come non succedeva quasi mai.
Non c'è
nessun altro per te, le disse nella propria mente.
Tornò a crederci completamente anche lui.
«Abbiamo l'aria condizionata anche qui»
mormorò Usagi, dando
per la prima volta un senso al lieve ronzio che udiva nella stanza.
L'apparecchio di condizionamento era attaccato tra muro e soffitto,
nell'angolo opposto a quello in cui si trovavano loro.
Mamoru seguì il suo sguardo. «Così non
mi arriva
direttamente sul corpo. Ad esagerare ci si ammala.»
«Per questo stavi venendo a dormire qui questa
sera?»
Lui annuì. «Hanno terminato di installare
l'impianto
stamattina.»
Funzionava alla perfezione, constatò lei. La calura
insopportabile se n'era andata e si iniziava a provare persino un
brivido di freddo. Sul suo corpo scoperto la patina di sudore si era
appena asciugata. Mettendosi seduta, armeggiò fino
a
spostarsi da sopra le lenzuola spiegazzate. Mamoru non
accennò a muoversi e lei riuscì a coprirsi solo
fino allo stomaco. Andava bene comunque, sorrise. «Ti ho
stremato?»
«Sì.»
Le uscì una risatina. «Hai terminato di portare su
la
maggior parte delle tue cose?»
«Tra la roba che posso portare da solo, mancano ancora alcuni
piatti.»
Quelli che gli rimanevano, cioè. Nel trasporto di un giorno
prima lei ne aveva rotti la metà cercando di portarli di
sopra a scatola aperta.
Fissò il bianco immacolato delle pareti, steso da
nemmeno una settimana. «A volte mi dà fastidio
quando mi
critichi.»
Percepì l'attenzione improvvisa di lui.
«Non mi critichi per davvero, ma... se ti racconto di un
pasticcio che
ho combinato, tu sorridi e mi fai notare dove ho sbagliato. So
già dove sbaglio, solo che non posso farne a meno. A volte
mi basterebbe riderne insieme a te.»
«Usa...»
Lei sollevò in alto una gamba. «Ecco, per esempio
qui.»
Indicò il lato di un ginocchio. «Un altro livido.
Spuntano
come funghi dal nulla, non mi accorgo neppure di essermi fatta male a
volte. L'altro giorno mi hai detto che dovevo stare più
attenta a come mi muovevo.»
«Perché non mi piace vedere che ti sei fatta
male.» Lui si
girò su un fianco, tirando su il torso. «E mi
comporto
così da sempre. Perciò per tutto questo tempo,
tu...?»
«No» chiarì subito lei. «A me
piace quando ti preoccupi per
me. Anche quando mi dici cosa devo fare, però... vorrei che
non lo facessi più come se fossi sicuro che io non
ci
posso arrivare da sola.»
«Non lo intendevo in questo modo.»
Va bene. «Cercherò di non prenderla in questo
modo,
allora.»
Mamoru rilasciò un sospiro. «E io
proverò a dire
meno cose come quella. Scusa.»
Scuotere la testa per lei fu naturale. «Non puoi entrare
dentro la mia
mente, hai ragione. Niente scuse. Sono io che avrei dovuto dirtelo
prima.»
Quel giorno era scoppiata, ma se l'era cercata da
sola, per non
aver chiarito in precedenza.
Forse anche il caldo opprimente aveva avuto la sua parte.
Mamoru era rimasto a studiarla in viso. Lo fece per un momento
così lungo che Usagi comprese di cosa stava per parlare
ancora prima di sentirlo aprire bocca.
«Allora sentivi che lui invece ti capiva senza
bisogno di
spiegare?»
Lei soffocò la risata tra le labbra chiuse. «A
volte. Ma non
era divertente proprio per questo. In senso romantico, intendo dire,
come con te. Piuttosto, erano le basi di una grande amicizia. Penso che
per amarsi bisogna essere un po' diversi, e simili dove... Dove siamo
simili noi, no?»
Lui annuì, più con la curva del suo nuovo
sorriso che con la
testa.
Usagi seguì il suo sguardo, puntato in basso, e
provò un intimo senso di soddisfazione. «Allora
sono
più grandi?» Prese in mano i propri seni. Le era
sembrato di notare dei
cambiamenti, ma
non aveva mai passato troppo tempo ad osservarsi allo specchio.
«Sì.»
«Anche dietro?» Aveva notato da un po' di
tempo che lui indugiava di
più nel toccarla sul fondoschiena, ma non aveva pensato ci
fosse una ragione specifica.
«Ho l'impressione che sia una di quelle domande in cui ogni
risposta saràu usata contro di
me.»
Lei sorrise al soffitto, lasciando riposare la mano sullo stomaco.
Iniziava quasi a sentire la carezza del fresco; avrebbe potuto
innamorarsi di nuovo di Mamoru anche solo per il suo condizionatore di
ultima generazione. «Questa casa è molto
grande.»
Lui le rispose con un suono di assenso.
«Che cosa metterai nella stanza in più?»
«Una scrivania e il computer. E una seconda libreria, quando
ne
avrò bisogno. Forse qualche attrezzo.»
«Attrezzo per cosa?»
«Per degli esercizi. Quando non ho tempo per uscire a correre
mi sento
con dell'energia di troppo addosso. Non riesco a dormire.»
«Povero Mamo-chan.»
Lo sentì sorridere e inspirò piacevolmente
l'odore carico di loro, di fatiche d'amore e di lenzuola pulite.
«Pensi davvero che ce la farò?» gli
chiese. «Per
l'università?»
«Posso darti i programmi per tutte le materie. Hai delle
grosse lacune nelle
basi, devi colmare prima quelle.»
«Ma ce la farò?»
«Sì, se lo vorrai abbastanza.»
La risposta non la lasciò soddisfatta. Si chiese
se fosse il caso di farglielo notare o piuttosto farsene una ragione.
Per quanto lo amasse, forse doveva semplicemente diventare meno
dipendente dalla sua opinione, forte come lui.
«Io mi ricordo ancora di quando avevi la tua testolina a
odango e mi
gridavi contro.»
«Ho ancora la testolina a odango» sorrise lei.
«Sì, intendevo... Mi ricordo di quanto mi sembravi
piccola.
Con tanti limiti. E mi ricordo anche di tutte le volte che mi hai
sorpreso: è stato come scoprirti di nuovo, puntualmente. Per
questo penso che l'unico tuo limite sia tu, Usa. Quando credi davvero
a una cosa è come se fosse già nelle tue
mani.»
«:.. quando sono Sailor Moon?»
«Sempre.»
Lei si riempì di un sospiro felice.
«Sì.» Volle
follemente prendergli una mano e abbracciarlo, ma la fermò
una domanda nello sguardo di lui.
«Posso chiederti una cosa?»
Proprio ora che lei si stava crogiolando nel suo ultimo complimento?
«Hm?»
Con un cenno della testa, il sorriso di lui crebbe fino a farsi
stranamente curioso. «Perché passi le mani
così?
Su di te?»
Lei prestò attenzione alle minuscole carezze che si era data
sul petto e sullo stomaco, tranquille e rilassanti.
«È
piacevole.»
«Sembra che lo sia molto» commentò lui,
allungando una mano
fino a sfiorarla con le dita.
Anche lei notò l'effetto improvviso sui seni.
«È
diverso se lo fai tu.»
«Hm.»
Presa da un'idea, gli impedì di toccarla di nuovo.
«Ti
piace anche quando non sei tu a farlo?»
Mamoru le concesse un sorriso. «Stavo guardando con
interesse.»
«Sono passati solo pochi minuti.»
«Hai trovato un trucco per farmi riprendere
prima.»
La invase un moto di pacata meraviglia. «Allora... Magari
puoi rimanere
a guardare per un altro po'? Così mi riprendo anche
io.»
«Non sai che biologicamente non ne hai
bisogno?»
«Be', posso usare il tempo per... scaldarmi.»
Gli occhi di lui si fecero più scuri. «Posso
pensarci io.»
«Ma a me piace farlo a te.» Lasciò
scivolare la mano dal petto fino al basso ventre. Tornò su,
piano. «È
una cosa
speciale.»
Senza parole, Mamoru si limitò a formare una vocale muta.
«Dimmi una cosa bella, Mamo-chan.»
«... una cosa bella?»
Adorava confonderlo. «Quello che vuoi.»
Lui rimase con lo sguardo sulla sua mano. Per un momento, parve non
pensare a nulla.
«Vorrei che questa fosse la nostra stanza.»
Lei rimase senza fiato. «Cosa?»
Gli occhi di lui tornarono pensanti e allerta. «Voglio
dire...» La guardò in volto e si riprese.
«Sì. Quando... quando staremo
insieme tutti i giorni.»
Oh.
Oh, era il modo più dolce, carino e
meravigliosamente
commovente di dirle che- Gli saltò addosso, abbracciandolo.
«Stringimi forte. Fortissimo.»
Mamoru affondò il naso nella sua guancia.
Rimase in silenzio e lei non disse più nulla.
Con te, lo
baciò sulla tempia, voglio
stare con te per sempre.
Senza spiegazioni.
Senza parole.
Solo con baci.
Gliene diede uno.
Solo con baci come
questo.
FINE
NdA : Olè. Volevo fare una lemon meno 'lemon',
per questo
ero addirittura indecisa se mettere questa storia qui o magari
aggiungerla a 'Oltre le stelle - scene'. Ma poi avrei dovuto alzare il
rating di
quella raccolta :D
Da quanto mi hanno detto, se commento troppo uno di questi episodi poi
vi tolgo le parole di bocca, perciò vorrei davvero sentire
solo voi.
Con questo episodio in particolare, per me è importante
sapere che ne pensate (del litigio, della fine, di tutto :) ).
Alla prossima!
ellephedre
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