DISCLAMER:
Ogni fatto e avvenimento citato è puramente inventato e non
è mai avvenuto. La vita
delle persone citate, non mi appartiene; in tutta coscienza non credo
avrebbero
mai fatto una singola cosa, di quanto descritto nella storia.
In fine, questo scritto non è
stato creato a scopo di lucro, ma per un puro piacere personale, che
solo la
scrittura sa dare.
Dreams come true
Sogno.
Sogno... e sto volando. In groppa ad un enorme drago blu.
Volteggiamo sicuri, percorrendo immense distese erbose.
Librandoci liberi, in questo immenso cielo blu cobalto.
Improvvisamente, nel silenzio del mio sogno, una voce, flebile,
ma sempre più forte, si insinua nell’universo
intorno a me, catturando la mia
completa attenzione.
Nella confusione del momento, il mio orecchio riesce a
catturare solo poche parole:
“Perché.....
il rosso
era, per me, l’irraggiungibile....
Che sempre mi
ingannò....”
Al
solo sentirle, realizzo che queste parole fanno parte
della canzone con cui ho impostato la mia radiosveglia. Così
lascio,
malvolentieri, la groppa del mio fidato drago e comincio a svegliarmi,
per
iniziare un’altra giornata di lavoro.
Ancora avvolto nel torpore del sonno, mi metto seduto sul
letto, e cerco a tentoni la mia giacca da camera, che ho
l’abitudine di appoggiare
in fondo al materasso, e che immancabilmente, durante la notte, a causa
dei
miei spostamenti, finisce sempre per spostarsi. Dopo essere riuscito ad
infilarla, sposto le coperte che mi coprono e mi dirigo verso il bagno
attiguo
alla mia stanza per sciacquarmi il viso. Sembrerà strano, ma
se non faccio
così, non riesco a svegliarmi del tutto. Dal bagno torno
indietro, apro il
grande armadio laccato bianco e cerco qualcosa per stare comodo. Oggi
non devo
girare, quindi posso tranquillamente rimanere qui a rivedere le
sceneggiature
sulle quali sto lavorando. Scendo le scale che separano il soppalco dal
resto
del mio loft, e mi dirigo verso l’angolo cottura, dove
accendo la macchina del
caffè per preparare la mia tazza quotidiana di quel liquido
così caldo ed
invitante che piace tanto ad una dei miei soggetti, la quale ne
è completamente
dipendente. Anche io come lei senza la mia quotidiana dose di caffeina
non
riesco a dare il giusto inizio alla giornata. Mentre aspetto che il
caffè sia
pronto mi dirigo verso l’LCD che ho in questo mio
appartamento che al momento
potrei tranquillamente chiamare “campo di
battaglia”. Ieri i ragazzi sono rimasti
fino a tardi per provare qui con me una scena di cui nella mattinata,
passata
in studio a registrare, non eravamo rimasti molto soddisfatti. E
così dopo la
centesima prova, accortici che ormai si era fatta una certa oretta, ci
siamo salutati,
e quando sono rimasto solo, ero così stanco che non me la
sono sentita di
sistemare e sono andato dritto dritto a dormire.
Prima di arrivare a sfiorare il telecomando, una lucina
rossa, quella sella segreteria del telefono, cattura la mia attenzione.
Mi
volto verso il telefono, appoggiato su un tavolino in vetro e cliccando
il
pulsante, faccio scattare la segreteria per ascoltare il messaggio. Nel
frattempo che lei entra in funzione, torno alla macchinetta del
caffè che ha
ormai finito il suo lavoro e versando il caffè nella mia
tazza preferita,
ascolto con
noncuranza il messaggio.
“H...hei,
c-ciao grande capo!”. Una voce tremante e
preoccupata si irradia per la stanza.
“S-sono
Simon, av-avrei bisogno di parlarti”. La sua voce
è
distorta da un percepibile velo di incertezza e pianto.
“Potresti
chiamare, non appena senti questo messaggio? È
veramente importante...”. Voce roca per il pianto,
preoccupazione e Sime. Non
mi piace per niente la situazione. Appoggio la mia tazza dentro il
lavello e mi
vado al telefono per chiamare.
Compongo il
suo numero e aspetto che risponda.
Tu...
Tu...
“Pronto?”
risponde una voce incerta.
“Simon,
amico mio, tutto bene?” chiedo con impazienza.
“Ah!
Bruno, sei tu...” un sospiro di sollievo proviene
dall’altro lato della conversazione. Chi si aspettava che lo
chiamasse?
“Si,
amico, sono io. Ho sentito ora il tuo messaggio, ho
pensato fosse importante, ed ho chiamato subito;
c’è qualche cosa che non va?
Qualche problema?” gli chiedo impensierito.
“No
capo, va tutto bene; solo.....” prende un respiro e poi
continua.
“Non
è che potremmo incontrarci? Devo raccontarti una
cosa....” mi dice, con un leggero tremolio della voce.
“Certo
Sime, dimmi quando e io ci sarò...” ci conosciamo
ormai tutti da un bel po’ di anni, ed è come se
fossimo una grande famiglia; in
certe occasioni sono il papà cattivo e intransigente,
soprattutto quando
lavoriamo, ma quando la cinepresa si spegne, preferisco considerarli
come i
miei fratelli e sorelle più piccoli di cui mi devo prendere
cura, ed è per
questo che quando c’è qualche problema,
professionale o personale che sia,
sanno sempre che possono chiedere il mio aiuto.
“Ti
va bene fra una mezz’oretta, al bar di fronte casa
tua?”
“Certo
va benissimo, ci vediamo direttamente lì. A dopo
Sime”
Chiudo la
chiamata e rifletto su quanto appena accaduto. Non
credo si tratti di un problema che riguarda il lavoro, fino a ieri sera
non ha
dato segni di incertezza, quindi non è questo che lo
preoccupa. Forse si tratta
di qualcosa inerente alla sua famiglia. E non mi stupirebbe affatto,
dopo
quello che è successo.
Prima di andare
all’appuntamento con Sime, ho giusto il
tempo di dare una sistemata qua e la a casa, per poi uscire e andare
verso
l’ascensore, che dal mio attico mi porta direttamente
all’atrio del palazzo in
cui vivo. Arrivato di sotto, cammino verso la porta salutando il
portiere di
notte, che sta nel suo gabbiotto.
“Salve
John!” dico all’uomo gentile che sorveglia lo
stabile, con cui ogni mattina scambio qualche parola prima di andare
agli studi
di registrazione.
“Oh,
Buona giornata a lei, signor Heller” e così
dicendo, si
rimette a sedere al suo posto.
Esco fuori dallo
stabile e mi incammino verso il bar, in cui
mi ha dato appuntamento Simon.
Per fortuna
è una bella giornata primaverile, e posso godermi
l’aria fresca che soffia. Passeggio senza troppa fretta, pur
essendo curioso di
sapere cosa è successo.
Ripenso alle
prove dei giorni passati; stiamo girando un
episodio particolare. In un momento di negatività, ho deciso
di far ricomparire
in scena, e quindi in sceneggiatura, Walter Mashburn. E, dato che tutti
sappiamo cosa è successo fra lui e Teresa, ho inserito in
sceneggiatura anche
una piccola scena di gelosia per Jane. Ora il problema è
sorto, non quando i
ragazzi hanno saputo del ritorno di Mashburn, ma quando hanno capito
che sta
volta la parte dell’uomo geloso e possessivo toccava proprio
a Jane.
Si sono
letteralmente rifiutati di interpretarla, adducendo
come motivo che si vergognavano. Ma ci pensate? Grandi, grossi e adulti
e si
vergognano per una semplice scena di gelosia? Non hanno mai rifiutato
di fare
niente, ed ora? In un batter d’occhio, niente, il nulla
completo. Li ho anche
obbligati a farla, ma quando l’abbiamo provata, si sono
fermati talmente tante
volte, perché non ricordavano le battute o perché
non riuscivano ad andare
avanti, che alla fine ho deciso di sospendere le riprese. Non abbiamo
mai avuto
problemi interpersonali, anzi devo dire che da quando è
successo quello che è
successo, il cast, si è unito ancora di più.
Ricordo
ancora, come se fosse successo solo ieri, e non
qualche mese fa, la mattinata in cui, aspettando come al solito che
Simon si
presentasse in scena (quel santo ragazzo, se non arriva con una buona
mezz’ora
di ritardo, non è mai contento), ce lo siamo visto arrivare,
visibilmente
sconvolto e con gli occhi gonfi di pianto. Subito, Amanda e Robin sono
accorse
da lui per vedere se stesse bene, neanche in teatro fosse appena
entrato un
cucciolo di cane maltrattato. Dopo l’iniziale stupore, tutti
ci siamo avvicinati
a lui per sentire cosa gli era successo. Ma all’inizio si era
rifiutato di
parlare, perché ancora troppo sconvolto. Solo dopo una tazza
di the caldo, e
dopo che tutti i cameraman e gli attrezzisti se ne erano andati dal
teatro,
decise di confidarsi. E tra le lacrime, malamente trattenute ci
raccontò tutto.
La mattina
prima, avevamo finito le riprese prima del
previsto, così lui aveva deciso di tornare a casa prima, da
sua moglie, per
farle una sorpresa. Senza sapere che in quel momento, la sorpresa,
Rebecca la
stava facendo a lui. Infatti quando arrivò a casa, si
accorse della presenza di
una macchina a lui sconosciuta, nel vialetto. Subito aveva pensato che
un’amica
di Rebecca fosse andata a farle visita; ma quando, dopo essere entrato
a casa
sua, chiamò la moglie, nessuno rispose. Così
senza andare nel panico, era
andato a cercarla al piano di sopra, e giunto ormai
all’ultima stanza che
ancora non aveva controllato, il bagno, aprendo la porta,
trovò la sua dolce
mogliettina, discintamente avvinghiata al suo personale personal
trainer,
mentre insieme stavano facendo una calda, bollente, doccia di piacere
reciproco.
Ovviamente in
casa scoppiò il finimondo. Rebecca provò a
calmare Simon con la classica scusa del “Guarda caro che non
è come sembra”;
anche se, diciamocelo, non è che ci fosse modo di potersi
sbagliare su quanto
fosse accaduto. Ma il nostro Sime da bravo ragazzo qual è,
non ha cominciato a
dare di matto, come ci si potrebbe aspettare, anzi ha
“invitato” Rebecca ed il
suo istruttore a: uscire dalla doccia, vestirsi, e scendere di sotto
per
parlare ed avere una situazione chiara sulla loro relazione. Alla fine,
dopo
aver ascoltato il tutto, e deciso a quale avvocato rivolgersi, se ne
era andato
di casa e aveva passato tutta la notte da solo nella stanza di un motel.
“Le
cose fra noi due, non andavano bene già da tempo, ma per
i bambini avevamo continuato a far finta che tutto fosse come sempre,
non
credevo che le cose stessero in questo modo”. Ci disse, prima
di ricominciare a
piangere silenziosamente.
Rimanemmo
tutti sconvolti da quanto ci aveva raccontato, e
all’istante decisi di sospendere le riprese per quel giorno;
di certo non
potevamo girare con il protagonista KO. Unanimemente decidemmo di non
lasciarlo
solo, e i ragazzi mi dissero che avevano intenzione di portarlo a fare
un giro
per tirarlo su di morale.
Non so di
preciso cosa accadde, dal momento in cui decisero
di andare via dal teatro, al giorno dopo in cui si presentarono tutti
carichi e
pimpanti, Simon compreso, per ricominciare a lavorare. So solo che da
quel
giorno in poi, ci fu sempre un’atmosfera diversa in scena.
Era una cosa strana,
ma sembrava avessero stretto come una sorta di patto
d’amicizia fra di loro, e
il senso di unità e famiglia fu subito visibile anche in
camera.
Provai a
chiedere cosa fosse successo quella sera, ma
nessuno mi seppe dare una risposta concreta.
Owayn mi disse
che si erano presi tutti una bella sbronza.
Tim mi
raccontò che avevano passato la serata da Robin a
parlare.
Amanda invece
mi spiegò che avevano consultato il miglior
avvocato matrimonialista, per prendere informazioni.
Ma furono
soprattutto le reazioni di Simon e Robin a
colpirmi più di tutte.
Quando chiesi
a lei cosa fosse successo, arrossì e
toccandosi impercettibilmente le labbra, abbassò lo sguardo
e scappò via. Simon
invece, dapprima mi guardò con sguardo sognante, e poi dopo
avermi dato una
pacca sulla spalla, sorridendomi mi disse:
“
E’ andato tutto bene, amico mio, tutto bene........
Più
che bene, in effetti”.
Sta di fatto
che non ci capì niente.
Mentre ancora penso,
non mi rendo conto di essere ormai
arrivato al luogo del mio appuntamento. Ma quando ormai devo solo
attraversare
la strada per arrivare al bar, mi fermo incantato da ciò che
mi si presenta
innanzi.
Davanti a me,
seduti comodamente ad uno dei tavolini del
bar, ci sono Jane e Lisbon, che confabulano allegramente fra di loro.
Sono così
vicini, che mi chiedo se questo non sia un ennesimo sogno, o se io
abbia
effettivamente cominciato a dare di matto. Ma loro continuano a parlare
e a guardarsi
incessantemente, come se da questo dipendesse la loro stessa vita.
C’è talmente
tanta attrazione e trasposto fra loro, che quasi quasi vorrei chiedere
a
qualcuno di portarmi la mia macchina da presa, per riprendere questa
scena
perfetta. E magari anche una bella ciotola di popcorn, giusto per non
farsi
mancare proprio niente.
E poi, proprio
come nei migliori film, quando si comincia a
sentire quel pizzicorino infondo allo stomaco, la situazione cambia e
il
momento tanto agognato arriva. Il bacio scatta, e
l’esplosione che ne
scaturisce è quasi percepibile. Ed è
così che mi ritrovo ad essere spettatore
involontario di uno dei fenomeni naturali più belli del
mondo. L’Amore. Di
quello con la A
maiuscola. Perché è questa l’unica
parola che può venire in mente, mentre si guarda due persone
scambiarsi
un bacio così appassionato e vorace, quasi malato, data la
sua intensità.
Ed
è perché voglio vedere questo sogno avverarsi che
decido
che è ora di cambiare. Basta con la vendetta, basta con la
sofferenza, basta
con l’orrore della morte. Ora è il momento di dare
spazio ai sentimenti,
all’amore. Alla famiglia e al perdono.
So che non
potrò cambiare in un batter d’occhio tutta la
storia. Certo, ci vorrà almeno una stagione intera per
attuare il mio piano, ma
di sicuro le stagioni non mi mancano. E poi ora che ho deciso, nessuno
potrà
farmi cambiare idea, quindi non mi rimane che dare la notizia al cast e
cominciare a scrivere la nuova linea generale.
Deciso a
seguire la mia nuova via, mi riscuoto da questa
visione, e faccio attenzione per attraversare dall’altra
parte.
Arrivato nei
pressi del bar, do una rapida occhiata ai
tavolini posizionati qui fuori, per vedere se Simon è
già arrivato. E quello
che vedo, fa crollare completamente il mio mondo.
Esattamente
dove fino a poco fa credevo di aver visto due
dei miei personaggi baciarsi, mi rendo conto che quello che avevo visto
non è
altro che la pura e semplice verità.
Simon e Robin
si stanno baciando proprio davanti a me!
Subito tutti i miei
buoni propositi di rendere finalmente
felice Jane, vanno a gettarsi nella spazzatura. Non posso rischiare di
compromettere la vita lavorativa dei miei attori, per un mio personale
capriccio. Perciò mi costringo ad essere un partecipante
occulto di questo
segreto che ho appena scoperto.
Nel momento in
cui vedo Robin alzarsi per parlare al
telefono, decido di palesare la mia presenza alla coppia. Mi avvicino
al tavolo
e saluto Simon.
“Hei
amico, ciao! Cosa c’è di così
urgente?”.
Lui si gira, e
ancora con gli occhi brillanti di felicità mi
risponde.
“Ciao
Bruno! Ora ti spiego, vieni accomodati” e mi fa segno
di sedermi sulla sedia accanto a lui.
“Allora
vuoi dirmi perché tutta questa fretta?” non so
ancora come prendere la situazione, e di certo non deve essere facile
neanche
per lui. Insomma fino ad un paio di mesi fa era sposato, e
ora…..
“Aspetta
un attimo, Bruno. Ora ti spiego tutto, ma fai
arrivare una persona e poi ti dirò”
“Ah
quindi non sei solo?” non posso fare a meno di
chiedergli.
“No,
non sono solo!” mi risponde, sempre col sorriso sulle
labbra.
“Come
va, Sime?” chiedo con apprensione, mentre aspettiamo.
Prende un bel
respiro e poi comincia a parlare.
“Beh,
Rebecca in questo momento è dai suoi genitori, con i
ragazzi. Ha deciso di prendersi un momento per riflettere, e mi ha
lasciato in
custodia la casa. Ma non me la sento di rimanere li, non posso pensare
che in
quella stessa casa, lei...” una lacrima scappa dai suoi
occhi, e china la testa
per non far vedere il suo momento di sofferenza.
“Scusa,
non volevo essere invadente!” gli dico,
appoggiandogli una mano sulla spalla e stringendogliela. Simon si fa
forza e
poi mi dice.
“Grazie
del sostegno, lo apprezzo davvero...”.
“Quindi
dove hai intenzione di alloggiare?”, cerco di fare
conversazione anche per destarlo dai suoi pensieri, pur correndo il
rischio di
sembrare sfacciato.
“Non
lo so, ci devo ancora pensare, troverò un posto da
qualche parte”, mi dice provando a ridere, ma non gli riesce
molto bene.
Forse potrei
ospitarlo io per qualche tempo, almeno finche
non troverà una casa.
In quel
momento vediamo Robin ritornare verso il tavolo.
“Ciao
carissima, anche tu qui, vedo...”. Sto insinuando? No, non sto insinuando.... Lei
arrossisce e mi risponde.
“Ciao
Bruno, è un piacere vederti”.
“Tutto
bene al telefono?, ho visto che eri preoccupata prima,
quando hai risposto”
“Oh,
no, tutto apposto. Era mia sorella, che mi chiamava
dall’aeroporto, per dirmi che l’aereo stava
partendo. Ha deciso di fare un
viaggio di piacere intorno al mondo, e così mi ha lasciato
sola a casa”. Ah! Mi
sorge un’idea.
“Allora
perché non ospiti tu Sime a casa tua? Mi ha appena
detto che non ha praticamente un posto dove andare”. Mi
guardano tutti e due ad
occhi e bocca aperta, senza proferire parola.
Dopo un
pò, in cui non hanno fatto altro che fissarmi, Robin
si riscuote e dice.
“Non
ci vedo niente di male, in fondo sarà solo per poco,
vero? Il tempo che trovi un posto stabile dove andare...”. Si
comincia sempre
così e poi...
Anche Simon
accetta l’idea della “precaria”
convivenza e
sotto i miei occhi si accordano per il trasferimento, senza degnarmi di
uno
sguardo.
“Emh
non per disturbare - dico inserendomi nella
conversazione - ma potrei sapere finalmente perché mi avete
fatto venire qui?”
se gli servivo solo da wedding-planner potevano dirmelo.
“Si
hai ragione, è arrivato il momento di farti
sapere”, mi
dice Simon. Era ora.
“Ma
mettiti comodo, perché la storia è
lunga” mi avvisa.
“Non
ti preoccupare, sono tutto orecchie, comincia pure” lo
invito. Prende un sorso d’acqua dal bicchiere davanti a lui e
poi comincia a
raccontare.
“Ieri
sera, Bruno, ho fatto un sogno molto vivido, che mi ha
particolarmente sconvolto, e anche turbato, devo dire.
Ero a San
Gimignano, un paesino medievale della Toscana, in
Italia.
Era una
giornata di sole, e io mi ritrovavo tutto solo a
passeggiare per questo centro abitato, sperduto in mezzo alle colline
della
Maremma, col sole a picco. Mi aggiravo per le stradine tortuose, fino
ad
arrivare nella piazza principale, in cui ho notato due figure vestite
di rosso.
Avvicinatomi verso l’enorme pozzo che si trova al centro
della piazza, capivo
che le figure che avevo visto prima, erano due ragazzine, coperte da un
mantello di lana rossa che gli arrivava fino ai piedi; mantello che
grazie ad
un cappuccio, adagiato sulla loro testa le copriva totalmente,
lasciando
visibile solo la faccia.
Mi avvicinavo
sempre di più al pozzo, quando all’improvviso
le due ragazze cominciavano a muoversi e mi si avvicinavano. Arrivate
davanti a
me, si sono bloccate e mi hanno detto, all’unisono.
-Ciao Simon,
ti stavamo aspettando. Prego, seguici per
favore.- e girando su loro stesse, si sono per la piazza.
Incuriosito,
io le seguivo. Inoltrandomi insieme a loro, per
le stradine del paese. Procedevamo per un po’ nel
più completo silenzio, finché
loro si sono fermate sotto un arco, sul quale io notavo, incisa, la
dicitura
“Rogue’s Library”. Le ragazze entravano e
si inoltravano all’interno del
maestoso palazzo. Non me ne ero subito accorto, ma quello che sembrava
un
normale muro in pietra, non era altro che la facciata esterna di un
torrione
circolare, con un diametro così grande, da non far notare la
curva del muro. Seguendo
le ragazze, mi inoltravo anche io, entrando in quella che si rivelava
essere un
enorme sala di lettura nella quale facevano bella mostra di se una
serie di
enormi scaffali in legno d’ebano, pieni di tomi rilegati in
pelle, e tondi
tavoli bassi, sui quali vi erano appoggiati vari laptop utilizzati da
altre figure coperte da quelli stessi
mantelli rossi, che lì dentro, riflettendo
la luce dell’enorme camino posto in fondo alla sala, e delle
particolari
fiaccole in vetro di murano, che pendevano dal soffitto, sembravano
risplendere di luce propria, facendo
risaltare subito all’occhio il grande numero di gente che
popolava la stanza.
Oltre agli
enormi scaffali,
ai tavoli e al camino, notavi anche che vicino al camino vi erano delle
enormi poltrone di pelle rossa, sulle quali comodamente sedute stavano
persone
che leggevano. Altre poltrone invece erano sistemate a cerchio e coloro
che le occupavano
sorseggiavano tranquillamente the, con delle tazze di porcellana
azzurra.
Ancora intento
ad ammirare tutto ciò che mi circondava, non
mi sono accorto che le due ragazze erano davanti a me, col cappuccio
del
mantello abbassato. Una delle due era castana scura, con un espressione
molto
saggia in faccia; l’altra invece era quasi bionda,
un po’ più giovane della prima e sicuramente
più vivace, data la luce particolare dei suoi occhi.
-Ben arrivato
Simon, questa è la Rogue’s Library-
mi hanno
detto, sempre in perfetta sincronia.
-Chi siete
voi?- chiesi.
-Io sono
Giorgia, vengo dalla Sicilia, ma mi sono trasferita qui per
studiare- disse la prima.
-Io invece
sono Grazia, sono nata a Firenze, e sono venuta
qui per passione- spiegò la seconda.
-Si ma che
posto è questo?- chiesi affascinato.
-E’ la Rogue’s
Library, non te lo abbiamo forse già detto?-
mi hanno chiesto, sempre parlando insieme; Mentre io mi chiedevo che
problema avessero.
-Si, me lo
avete detto, ma perché mi avete portato qui?- non
capivo cosa avrei dovuto farci io in una biblioteca.
-Beh, vedi, in
quanto Rogue Girls, il nostro compito è
quello di diffondere per l’etere, il verbo sui Jisbon. Ed
è per assolvere a
questo nostro incarico, che qui, in questa sala noi raccogliamo e
creiamo fanfiction,
one-shot o drabble, proprio su di loro.- mentre mi spiegavano tutto
ciò, mi
condussero ad esplorare la loro biblioteca, e mi mostrarono tutti i
loro
lavori.
-Ma continuo
ancora a non capire perché io sia qui...-. Loro
mi hanno guardato, hanno tirato un sospiro e hanno chiesto:
-Sai
cos’è il Jisbon?-
-No, certo che
no.- gli risposi esitante.
-Eppure ti
riguarda direttamente... Vedi, Jisbon non è altro
che l’unione dei cognomi dei nostri due personaggi
preferisti, del telefilm The
Mentalist. Secondo la nostra modesta opinione, la coppia Jane/Lisbon,
ha molto
da poter dire, ma Heller non sembra pensarla come noi, al momento. E
quindi noi
ci diamo da fare per creare quello che lui non ci da. Ed è
per questo che ti
abbiamo fatto venire qui.-
Ed io ero
scombussolato tanto che non facevo che chiedermi
di cosa mai stessero parlando e da quando Jane e Lisbon fossero una
coppia. Non
avevo mai sentito una cosa così assurda, anche se interpreto
proprio Jane.
-Ma di cosa
state parlando? Siete per caso tutte pazze? Non
c’è nessuna coppia!- gli ho urlato in faccia.
-Ne sei
davvero sicuro?- mi chiese Giorgia. Certo che lo
ero.
Feci di si con
la testa e risposi alla sua domanda.
-Bene, allora
se ne sei così sicuro, penso non avrai niente
in contrario se ti facciamo vedere un paio di cose, vero?- scossi la
testa.
-Bene, Grazia,
prepara il cinema, mostreremo a questo
miscredente un po’ di sano Jisbon. -.
Improvvisamente,
senza neanche che me ne fossi accorto, una
tela bianca cominciava a scorrere su una parete, e
all’istante un proiettore vi
riproduceva le sue immagini.
Dopo avermi
fatto accomodare su una poltrona rossa, Giorgia
e Grazia mi hanno mostrato tutti gli episodi delle prime 3 stagioni del
telefilm, commentandoli passo per passo e facendomi notare cose a cui
non avevo
mai prestato occhio. Cose che, più gli episodi si
susseguivano, più mi
gettavano nello sconforto e nel terrore, quando ho realizzato che
effettivamente i due personaggi si stanno dirigendo verso un punto di
non
ritorno.
Finito il
filmato, mi hanno chiesto:
-Ora ci credi?
Hai capito finalmente?- incapace di articolare
anche una sola parola, sono rimasto fermo a fissare il pavimento.
-Cosa posso
fare per impedire tutto ciò?- non era questo che
volevo per il mio personaggio.
-Oh mio caro
Simon, ma noi non vogliamo che tutto questo
finisca, anzi vogliamo che continui e si accresca, ecco
perché ti abbiamo
chiamato qui.-
-Cosa volete
da me, di preciso?- era assurdo quello che mi
stavano chiedendo. Ed era ancora più assurdo che io non
riuscissi a trovare una
soluzione a quel problema. O che addirittura non fossi del tutto certo
di
volerla trovare.
-Noi vogliamo
che tu interceda presso Bruno, affinché Jane e
Lisbon possano avere finalmente il loro momento di gloria; non
pretendiamo che
sia una cosa fulminea e che tutto cambi da una puntata ad
un’altra, ma che
almeno col passare del tempo, il loro legame sia sempre più
tangibile e forte.-
Assurdo, impossibile. Non sarei mai riuscito a fare una cosa del
genere, ho
pensato.
-Beh, tu hai
più potere di quanto pensi di averne, e poi male
che vada puoi
sempre chiedere aiuto a Robin, no?-
-No, lei
lasciatela in pace, non vi ha fatto niente.- dissi
colto fa un improvviso attacco di rabbia.
-Hei
giovanotto, calma! Non te la tocca nessuno la tua
amichetta.- mi diceva Giorgia.
Inconsapevolmente
ho sorriso, al pensiero di poter
coinvolgere Robin.
-Ah
l’ho visto! Il sorrisino malizioso, avevo ragione io,
che vi dicevo?- esclamò contentissima Grazia, saltando sul
posto e battendo le
mani.
-Zitta Grazia,
non si devono dire certe cose!- la rimproverava
Giorgia.
-Cos’è
che non si deve dire?- avevo chiesto incuriosito.
-Oh niente,
perdona la sua esuberanza, certe volte non
riesce a contenersi- mi ha detto Giorgia, incenerendo con lo sguardo la
piccoletta al suo fianco.
-Quindi hai
capito tutto bene? Devi intercedere per noi
presso Bruno, e far progredire la cosa, o passeremo alla seconda parte
del
piano.- Ero nel panico, di che piano stavano parlando?
Ma non feci in
tempo a chiedere altro, che mi risvegliai in
camera mia, nel mio letto, in un bagno di sudore e scosso dalle
lacrime.”
Spiazzato dal racconto
appena finito di Simon, mi prendo
qualche minuto per pensare.
Rifletto su
tutto quello che ha detto, e capisco che la
strada che avevo sognato di intraprendere non meno di
un’oretta di ore fa, è
effettivamente davanti a me, e non aspetta altro che io compia il primo
passo.
Prendo un
sorso d’acqua dal bicchiere che mi trovo davanti.
“Bene,
Simon, quindi tu cosa proponi di fare?”. Abbassa
gli occhi sulle sue mani, e se le
contorce spasmodicamente, quasi attraverso quel gesto volesse trovare
la forza
di dirmi la sua opinione. Poi lancia uno sguardo a Robin, che in tutto
questo è
sempre rimasta calma e inflessibile - come se sapesse già
tutto - per cercare la
sua approvazione, e poi parla:
“Vedi,
dopo che mi sono svegliato, non sono più riuscito a
prendere sonno. Ero troppo sconvolto. Così dopo aver
riflettuto, ho deciso di
chiamare Robin e di parlarne con lei.” Ecco perché
lei non ha fatto una piega
durante tutto il racconto.
“E
abbiamo deciso, che siamo pronti per affrontare questa
situazione, quindi… Si, per noi non ci sono problemi. Puoi
benissimo cominciare
a scrivere le nuove scene.” Bene, benissimo non volevo
sentire altro. Ma prima
voglio fugare un ultimo dubbio.
“Robin,
mia cara, potresti per favore fare un giro di
telefonate, fra attori, produttori e sceneggiatori e dire loro che io
ho
indetto una riunione straordinaria per questo fine
settimana?”. Lei
semplicemente annuisce, si alza e comincia ad allontanarsi aprendo il
telefono.
Quando ormai sono sicuro che non potrà sentirmi parlare, mi
giro verso Simon.
“Allora,
dimmi un po’, da quant’è che va avanti
questa
storia?”. Lui mi guarda confuso, probabilmente non ha capito
a cosa mi
riferisco, perciò specifico.
“Tu
e Robin, da quant’è che vi frequentate? Vi ho
visto
prima che vi stavate baciando, non tentare di negarlo....”.
Sbianca di colpo,
rendendosi conto di essere stato praticamente beccato con le mani nel
sacco.
Respira
velocemente e sembra veramente non sapere cosa dire,
poi si ricompone e inizia a spiegare.
“E’
cominciato tutto per caso, o per gioco, dovrei dire.
Ricordi il giorno in cui vi dissi che avevo scoperto che Rebecca
mi tradiva?”. Annuisco e lui riprende.
“Bene,
quel giorno, dopo che tu ci desti la giornata libera,
andammo a prendere informazioni dal migliore avvocato matrimonialista
della
città. Dopo aver passato varie ore a parlare con lui,
andammo a casa di Robin,
e passammo tutto il giorno a parlare, a ridere tutti insieme e a
giocare come
dei ragazzini, per esorcizzare la mia tristezza. Penso tu conosca il
gioco dei
“7 minuti in paradiso”, giusto?”. Chiese.
Annuii.
“La
sorte volle che io e Robin dovessimo passare sotto
quella prova insieme, e così.....”. Capito.
“Ma
dopo quella sera, non successe più niente. Insomma io
avevo appena scoperto la gravità della mia situazione e non
me la sentivo di
complicarla ulteriormente. Così decidemmo di far finta che
non fosse successo
niente in quello sgabuzzino. E siamo sempre riusciti a non far
insospettire
nessuno e a rigare dritto. Almeno fino a ieri sera. Quando
l’ho chiamata ancora
scosso dal pianto, lei è corsa subito a casa mia temendo che
fosse successo
qualche cosa di grave. E sai, da cosa nasce cosa e il passo
è breve dal divano
alla camera da letto, così...”. Ho già
anche sentito troppo per i miei gusti.
“Basta,
amico, basta. Ho capito! Mi fa piacere che tu abbia
finalmente trovato un po’ di tranquillità e
serenità. Ma sei sicuro che tutto
questo vi permetterà di mantenere sempre la
professionalità in scena? Insomma,
c’è sempre la clausola che proibisce agli attori
di intraprendere relazioni fra
di loro, al di fuori del set, da avere presente. Non vorrei dovermi
trovare
senza gli attori che mi interpretano i personaggi
principali.”. Sarebbe
veramente una grossa catastrofe, qualora dovesse avvenire una cosa del
genere.
Certo però che...
“No,
non ti preoccupare, sapremo mantenere il contegno.” Mi
rassicura.
“Certo,
ne sono sicuro. Mi fido del vostro giudizio.”.
Rimaniamo a
chiacchierare del più e del meno, fino a che non
torna Robin, comunicandomi che tutti
sono stati avvisati.
Definiamo una
prima nuova impronta della strada da seguire,
fino a che non si fa ora di pranzo e quindi di tornare ognuno alla
propria
casetta.
“Bene
ragazzi miei, a quanto pare è tutto concordato,
allora. Buon inizio di convivenza, e soprattutto non provate troppo, e
cercate
di andarci leggeri sul set. Ci si rivede questo sabato alla riunione.
Baci a
tutti!”. E così dicendo, mi alzo dalla sedia del
bar, e mi dirigo verso il mio
attico, in cui non vedo l’ora di arrivare, per poter
finalmente buttare giù le
nuove idee.
Rifaccio la stessa
strada di questa mattina, ma sta volta al
contrario, correndo. Arrivato al palazzo dove vivo, chiamo subito
l’ascensore,
impaziente di arrivare al mio attico per cominciare a scrivere. Quando
finalmente le porte dell’ascensore si aprono sul mio piano,
mi catapulto verso
la porta di casa. Apro, butto le chiavi nella ciotolina apposita, che
si trova
su un piccolo tavolino vicino la porta, appoggio la giacca
sull’appendi abiti,
e mi dirigo velocemente al mio divano, davanti al quale
c’è il tavolino da
caffè col mio laptop bianco, appoggiato sopra.
Apro il pc,
premo il tasto d’avvio, e aspetto che si
accenda. Quando finalmente tutto è acceso e funzionante,
faccio per aprire il
foglio di scrittura, ma il mio occhio cade sul messaggio lampeggiante
delle
e-mail ricevute, e sapendo che se prima non controllerò la
posta, non riuscirò
a concentrarmi sul lavoro, decido che tanto vale vedere il messaggio e
poi
cominciare a scrivere. Tanto so già che molto probabilmente
è solo pubblicità.
Apro la posta,
e vi trovo un unico messaggio, che capisco
essere proveniente dall’Italia, dato il classico “
.it “ con cui finisce
l’indirizzo di posta. Apro la mail e comincio a leggere.
“Alla gentile
attenzione del Sig. Bruno Heller.
Salve,
Oh grande e onnipotente Bruno. Noi siamo un
gruppo di sue fan, sparse per tutta l’Italia, ma con un unico
denominatore
comune. La ferma
convinzione nello Jisbon.
Non staremo qui a spiegarle cosa esso sia, dato che, come suo effettivo
creatore, noi crediamo che lei già sappia di cosa stiamo
parlando.
Questa mail è stata scritta non per minacciare o
per lodare, ma bensì per sfidarla. Vogliamo giocare signor
Heller, proprio con
lei.
Vede, lei non sembra volerci dare poi troppa
soddisfazione, nei suoi episodi, quindi noi abbiamo cominciato a
fantasticare
su di essi e a creare quasi un mondo parallelo. Ma come ben sa, la
fantasia
certe volte non basta, ecco perché ci è venuta
l’idea di sfidarla.
Se lei vorrà. Noi saremmo disposte a mandarle ogni
settimana, una nostra storia basata su un episodio qualunque delle sue
serie, a
patto però che lei faccia progredire, sulla giusta rotta la
storia fra Jane e
Lisbon.
Sperando in una sua, quanto più presto possibile,
risposta, la salutiamo cordialmente.
Rogue
Girls
03/05/1994”
Rogue
Girls, ancora loro! Tutto
questo non ha senso. Simon le ha sognate, loro non possono essere vere,
eppure
la mail io la sto leggendo. Non c’è niente di
finto, in tutto questo. È qui
davanti a me, e ogni parola letta è impressa nella mia mente.
Mi piace l’idea di poter avere un
rapporto così stretto con le mie fan, e di sicuro io non le
obbligherò a
smettere di sognare e fantasticare sui miei personaggi. E poi voglio
proprio
vedere questi tanto decantati sogni a cosa potrebbero portare. Quindi
senza
neanche pensarci, clicco sul tasto Rispondi, e comincio a digitare.
“Mie
care Rogue Girls, non so chi voi siate, o se esistiate davvero o meno,
ma mi
piace molto la vostra sfida e ho deciso di accettare. Sappiate fin da
ora che
ci sono grandi cambiamenti in vista nel telefilm, cambiamenti che non
sto qui a
specificarvi…
Ma…
larga è la foglia, stretta è la via. Dite la
vostra, che io ho detto la mia!
A presto mie care!
Bruno Heller”
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“Fuori
è quasi giorno, sto aspettando te….
Disperato vuoto dentro me…”
Spengo
la sveglia, e mi giro dall’altra parte del letto,
continuando a dormire. Non voglio ancora lasciare Sacramento, quello
che ho
scoperto mi piace troppo, e non lo voglio dimenticare.
Dei passi non troppo pesanti, si avvicinano alla mia camera.
La porta di legno scuro si apre, e mia madre mi sussurra.
“Svegliati Monia, devi sbrigarti o non riuscirai a prendere
l’autobus per andare a scuola.”
Di mala voglia, desiderando ancora crogiolarmi nel tepore
delle mie coperte, sono costretta ad alzarmi, e a dirigermi verso il
bagno per
lavarmi. Apro il rubinetto dell’acqua e aspetto che si
riscaldi. Mi guardo allo
specchio, contemplando la mia immagine riflessa. I miei capelli dopo la
notte
appena passata, sembrano un’enorme balla di fieno.
Perderò almeno un quarto
d’ora per spazzolarli come si deve. Continuo a guardare la
mia immagine e noto
che i miei occhi hanno una luce particolare. Un misto fra profondo
orgoglio e
la pura pazzia.
Un sorriso maligno, completa la mia immagine da perfetta
psicopatica.
E
poi ricordo! Sacramento, Bruno, Robin, Simon, le Rogue, i
segreti da celare e le E-mail alle quali rispondere. E il sorriso sulla
mia
faccia si allarga.
Credevate che fosse tutto reale,
non è vero? E invece no: era
solo l’ennesimo sogno.
Dice l’autrice:
Bene, eccoci arrivati alla fine. A chiunque avesse finito di
leggere tutta la storia, dico: Grazie mille, per aver retto fino alla
fine. A
chi, invece, ha preferito mandarmi a quel bel paese, dato i temi
trattati,
dico: Ti capisco perfettamente amico, e non ti porto assolutamente
rancore. Ma
qualora aveste finito di leggere tutta la storia, una piccola
recensione, anche
per dirmi che sono una pazza che dovrebbe essere rinchiusa in un
manicomio,
farà sempre piacere.
Beh, Baci a tutti e Buone feste.
Naky
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