Questa storia è stata scritta per un
concorso che chiedeva di presentare il proprio fandom a qualcuno che
non lo conosce, ispirandosi in più a tre elementi casuali
(che riporto in fondo - a me sono capitati una parola, una canzone e
un'immagine). Ho provato quindi a mettere insieme una tramina che
racchiudesse un po' tutto quello che 'fa Myst', con diari, Ere e cose
da comprendere. E Atrus che fa Atrus e Catherine che fa Catherine, al
meglio delle mie possibilità. E Chroma'agana che non
è propriamente un caposaldo della serie ma insomma XD Spero
di essere stata convincente! :)
Per chi passasse di qui dalla pagina del concorso o generalmente digiuno di Myst: le note introduttive alla serie sono in fondo in fondo. Il gioco invece è reperibile qui o su Steam (oh, io spammo, sai mai).
Come cerchi di pietra
Le grosse gocce che scivolavano dalle
foglie battevano irregolari sulle lanterne ai lati del sentiero,
suonando la loro melodia sulla percussione ininterrotta della pioggia
filtrata dal bosco.
Per Atrus, cresciuto nel deserto, ogni
goccia non aveva mai smesso di essere una benedizione, ma avrebbe
fatto a meno della barba bagnata e del velo di umidità che
gli
appannava gli occhiali. Si strinse nella tela cerata, abbassando la
testa fino a sfiorare la scatola di fiale che reggeva in braccio, e
proseguì alla cieca verso casa.
Fu distratto da un brillio lontano
colto con la coda dell'occhio: oltre le querce, nella radura alla
sinistra del sentiero, le luci della pagoda erano accese.
“Catherine?”, si chiese appoggiando
il primo piede nell'erba alta. Ignorò il freddo umido che
dal cuoio
delle scarpe aggrediva i calzini: una piccola deviazione non avrebbe
annacquato né lui né l'esperimento che stava
riportando al caldo e
al sicuro nel suo studio.
“Catherine!”
Sua moglie alzò la testa da un
quaderno e lo salutò con un sorriso distante, inclinato.
“Il temporale mi ha sorpresa qui”,
disse. “Poteva accadere in posti peggiori.”
Sdraiata sulla panca
centrale del loro rifugio in mezzo al bosco, carta e penna in mano,
sorretta da tutti i cuscini che era riuscita a raccogliere e sotto
più coperte di quante Atrus ricordasse di aver mai portato
lì,
Catherine sembrava svanire sotto la luce ambrata dei faretti. Al di
fuori, la pioggia slavava il mondo in verdi e blu.
Atrus appoggiò la cassa e si avvicinò
per lasciarle un bacio fra i capelli. Inspirando il suo profumo,
aprì
un occhio per accertarsi di non aver sgocciolato in modo indecoroso e
si trovò a leggere la prima riga della pagina aperta.
Scostò lo
sguardo per discrezione, ma una frase gli era rimasta incisa: Myst
è troppo piena; Chroma'agana, troppo vuota.
La ripeté sul suo
diario quella sera stessa: gli risuonava ancora e suonava vera.
L'abbiamo riempita di errori,
aggiunse dopo la data 88 10 18, e del desiderio
stesso di
riempirla. Abbiamo deciso di uscire dal passato e questo comporta non
ricadere nelle stesse trappole, ma è una questione di
bilanciamento
sottile quella che si pone, perché servirebbe riempire il
vuoto
senza riempire gli spazi. Ragionerò su questo distinguo ora
che
Catherine, anche inconsapevolmente, mi ha aiutato a mettere a fuoco
l'incertezza di questi giorni. Confido in una... non una soluzione,
forse, ma una direzione. Possiamo trovare una direzione.
Ma le
riflessioni di Catherine, quel giorno, dallo stesso principio
continuavano: Dovrei trovare un flusso, una
corrente fra i
due estremi e utilizzarla, ma vedo passato e futuro giacere inerti
senza uno scopo. Non c'è un presente che li colleghi. Ho
ritrovato
Katran abbandonata nel villaggio dell'infanzia per vederla morire
insieme al suo mondo: sono incompleta. Sono stanca. Sono ferma. Anche
la voce acuta della nostalgia tace. Non appartengo – non a un
luogo
e nemmeno a me stessa.
88 10 20
Pochi progressi. Mi è stato noto
fin da principio che il filo di questi pensieri appartiene al fuso di
Catherine più che ai miei ragionamenti e vorrei potermi
confrontare
con lei, ma so anche di stare lavorando per la sua serenità
e vorrei
poterle già proporre una soluzione. O una direzione, nel
minimo. Il
primo obiettivo è una direzione.
Per quanto io possa struggermi nel
sapere D'ni sempre lontana, è una perdita che mi accompagna
da che
ho memoria. L'Era di Riven brucia ancora. Sta a me muovermi.
Dal nulla in cui ci troviamo, la via
non dovrebbe essere complessa. Cosa sto trascurando?
Catherine riemerse
da un sonno profondo, ma stava ancora sognando. Si guardò i
piedi
nudi, l'orlo di una stoffa bianca che le sembrava di riconoscere da
un'altra vita, buttò indietro la testa e sentì
bussare su un vetro,
poi eco di pioggia. Seguì quei rumori fino al risveglio;
quando
Atrus bussò alla porta della loro stanza, accompagnato dal
profumo
di pane fresco, fu in grado di articolare un
“Arrivo”.
“Ti vedo
altrove.”
“È una brutta
cosa?”, chiese Catherine. Cercò di concentrarsi
sul pranzo e trovò
che la salsa di noci nell'insalata facilitava non poco il compito. Se
ne servì altra.
“Dimmelo tu.”
“Questo posto è
già uno e molti. Mi è capitato di viaggiare.
Né bello né brutto,
di per sé. Semplicemente accade.”
“Dove ti
trovavi?”
“Ricordo la cima di un colle. Dormivo e penso che
fosse un'attesa, ma sono certa di un cielo indaco da un orizzonte
all'altro, un colore intenso, fisso, senza la transitorietà
di un
tramonto. Tingeva tutto della sua luce – una luna immensa
sopra di
me, una foresta ai piedi del colle... fiori, no, un fiore. C'era un
fiore al mio fianco. E una colonna. Era un buon posto.”
Atrus aveva annuito
al sentir menzionare la luna e a ogni elemento successivo della
descrizione.
“Una colonna?
Davvero?”, chiese spostandosi in punta di sedia.
“C'è qualcosa
che dovrei sapere?” Catherine rise. Sentì che le
faceva bene.
“Mmh.”
“Non
sai mentire.”
“E a te non si può fare una sorpresa”,
rispose placido Atrus barricandosi dietro un sorriso.
“Non due anni
fa.” Catherine tornò a rabbuiarsi. “Se
dovessi chiudere ancora
gli occhi così...”
“Faremo in modo che non accada. Insieme.”
“Certo. In fondo,
non accadrà più nulla.”
88 11 15
Non so cosa sto facendo. Catherine
ha ragione: siamo arrivati a una fine. Approdiamo qui soli, con una
patria distrutta e l'altra chiusa da porte che quattro mani non
riusciranno mai ad aprire. Non era così diverso vent'anni
fa, se
ripenso al senso di vertigine dei primi giorni su Myst, come una
brusca frenata dopo i rischi che avevamo corso, ma noi eravamo
persone diverse. Anna era ancora con noi. Altri... erano solo nei
nostri pensieri. Se c'è una via che Anna ha iniziato a
percorrere e
su cui mi ha instradato, sembra che si sia ristretta fino a terminare
qui.
Ma in sincerità vedo che la spinta
alla conoscenza non mi ha abbandonato. Non la vedo diversa da quei
tempi, anche se a volte la penna esita a scrivere la prima gahrohev
sulla pagina bianca, e mi impegno affinché non muti. La
meraviglia
dell'Albero deve continuare a sostenerci.
88 11 16
Possibili progressi. Il
fertilizzante che ho sperimentato negli orti su Sinan ha causato un
ingrandimento notevole dei frutti di nolte e la varietà
artificiale
che ho selezionato ne ha perfezionato la forma. Resta da stabilire se
fornire le medesime condizioni del terreno fin da principio possa
portare a uno sviluppo parallelo al mio esperimento in serra. Non
potrò però accertarmene fino a che non
avrò messo piede nell'Era,
passo che rischia di richiedere tempo fino a che non avrò
prove
della stabilità della sua luna gassosa. Composizione
curiosa,
quella, che avrei dovuto forse tenere come esperimento separato, ma
sarà un giorno spiacevole quello in cui avrò meno
progetti che
tempo per le mani.
So però per certo che Catherine
l'ha vista in sogno e suppongo che valga come riprova dei miei
successi. Le dimensioni del satellite, come anche il colore
dell'atmosfera, sono compatibili con il Libro Descrittivo. La colonna
resta incognita e non nego che sia causa di preoccupazione. Da un
lato, riprendere i contatti con una civiltà andrebbe oltre i
nostri
sogni più arditi. D'altro canto, sarebbe spiacevole trovare
il
terreno del mio esperimento ricoperto di mattoni.
Catherine si era
fermata al limite del bagnasciuga, lasciandosi sfiorare le dita dalle
onde più lunghe. Una mano era appoggiata sulla lamiera
metallica
alla base del loro futuro osservatorio, calda ma non ancora rovente
sotto il sole mattutino; l'altra giocherellava assente con uno
straccio oleoso che aveva trovato appoggiato a un tubo.
“Eccoti”,
salutò sentendo dei passi alle sue spalle.
“Ti disturbo?”
Catherine scosse la
testa. “Cercavo superfici. Oggetti. Speravo che trovando un
contatto questa nebbia se ne andasse.” Si indicò
la fronte.
“Funziona solo a fiotti.”
Atrus le prese di
mano lo straccio. Si annerì le mani di grasso e olio e
strinse la
sua già sporca, tracciando linee sulle nocche e per tutta la
lunghezza delle dita. Cercò la mano ancora pulita e
passò a
impiastricciare anche quella.
“Così?”
“Mi sento già
più io”, rise.
“Bene.” Si
fermarono a guardare il mare.
“Per quello che
possiamo sentirci noi, invece – pensavo, se vuoi
seguirmi...”
Catherine annuì.
“Iniziavo a temere che ci avresti messo l'intera
giornata.”
“Come,
prego?”
“Quello che ho indosso”, disse indicandosi la gonna
bianca da lontano, attenta a non macchiarsi, “è il
vestito del
sogno indaco. Me ne sono accorta uscendo. L'ho preso per un invito:
hai terminato l'Era, non è vero? Posso vedere a cosa hai
lavorato in
gran segreto in quest'ultimo mese?”
“Ha! E nell'avere
ancora una volta ragione...”
“Nei
sogni?”
“Nell'avere ancora una volta ragione in tutto”,
disse Atrus, “penso che tu abbia ogni diritto di sentirti
pienamente te stessa.”
Le offrì il
braccio.
La rilegatura del
Libro era semplice e non portava ancora iscritto un nome;
dell'immagine-porta Catherine distinse solo il color indaco intenso
prima di allungare la mano e lasciarsi avvolgere dal buio del Legame.
Si trovarono
sull'altura del suo sogno, una piccola vetta di pietra liscia e
chiara, tinta di viola dall'atmosfera. Non c'erano odori nell'aria e
alle orecchie giungeva solo il fischio secco del vento.
“Il fiore non
c'è”, disse dopo aver avanzato qualche passo.
Alzò lo sguardo al
cielo, dominato dall'unica luna di quell'Era: il colossale satellite
vegliava sull'orizzonte, all'apparenza immoto ma mostrando un volto
sempre diverso all'osservatore attento, anche a occhio nudo.
“E quella? Come
hai fatto a tenerla su? Sta su? Atrus, pensavo che avessimo finito di
fare gli scavezzacollo con le lune.”
“È gassosa”,
giunse la risposta alle sue spalle. Non le sfuggì una
sfumatura
compiaciuta.
“Ma è un
satellite! La massa...”
“Rotazione”,
disse con la soddisfazione di un ragazzino. Si voltò e gli
andò
incontro, pronta a fermarlo con un bacio prima che finisse di dire
“forza centripeta”.
“La mia
colonna!”, disse Catherine quando lo raggiunse: Atrus stava
esaminando un fusto di pietra spezzato all'altezza delle sue
ginocchia. Altri due frammenti giacevano vicini, incastonati nel
suolo petroso. “Cosa pensi che significhi?”
“Non è una
colonna.” Atrus indicò la valle, dove si stendeva
una foresta
grigia di radici e tronchi abbattuti. “Silexite. Opale
xiloide.
Legno silicizzato.”
“Era un albero.”
Catherine si chinò a guardarne la sezione, accarezzando gli
anelli
preservati dal quarzo.
“C'è sempre
stato solo un congresso d'alberi ad attenderci.”
“L'abbiamo fatto
attendere troppo.”
“Sessanta milioni
di anni, forse più. Quando anche questa collina era coperta
dalle
acque. Guarda lì: arenaria.”
“Non era questo
che avevi in mente.”
“Non... no. Siamo
arrivati tardi. Anche questo posto ha raggiunto la sua fine. La
foresta che immaginavo è passata da molto, molto tempo...
scusami,
Catherine.”
“Ma manca il mio
fiore.” Catherine guardò in basso.
Provò a fare un passo in
avanti tenendo stretta la mano di Atrus.
Suo marito la
seguì. “Andiamo a cercarlo, allora.”
Discesero. Vennero
inghiottiti dal labirinto della foresta pietrificata, dove la strada
era dettata dai resti di alberi secolari. Si aiutarono a vicenda a
scavalcare due tronchi che sembravano tagliare loro ogni via
d'uscita. Sentirono i piedi atterrare sul soffice: oltre quella
barriera si era accumulato del terriccio. Poco più in
là, la prima
felce.
Atrus accelerò il
passo. Le chiese di fermarsi quando il sottobosco si fece
macchiettato di cespugli dai frutti gialli grossi come noci e
schiacciati come bottoni.
“Sono
loro?”
“Dev'essere estate.”
A Catherine la
forma dei frutti e delle foglie ricordò una specie nativa di
Sinan
che avevano coltivato in serra, troppo aspra per venir mangiata ma
caratterizzata da un grazioso seme forato che aveva intrecciato in
alcune ghirlande. Ma quella era arancio e poco più larga di
una
fragolina.
Atrus colse un
frutto, ne liberò il nocciolo e prese a lucidarlo con un
fazzoletto.
“Ho pensato a
molte cose in quest'ultimo mese, amore mio”, le disse.
“La
conclusione era sempre la stessa: giriamo pagina. Ho cercato un
simbolo.”
“Tu? Dev'essere stata un'impresa.”
Si sistemò
gli occhiali. “No. Sì. Era ovvio, ma non volevo
che fosse metallo.
Volevo offrirti qualcosa di vivo.”
Mise in tasca il
fazzoletto e aprì il palmo, offrendole il nocciolo asciutto
e
pulito: un piccolo anello impreziosito dalle venature del suo legno
chiaro.
“Ancora una
volta.”
“Non riscriviamo
nulla. Non stiamo cancellando una virgola dai giorni che furono,
Atrus, che sia chiaro.”
“Non giriamo pagina? Non spezziamo il
Legame, intendi?”
“Sì.”
“Non giriamo pagina, allora.
L'Arte sottosta a delle regole, non la nostra vita. Abbiamo la
libertà di andare a capo e ricominciare.”
Credevo che la
definizione “congresso d'alberi” fosse mia, ma mi
sa che deve
parecchio ai magnifici testi di Sword&SworceryEP. Se avete un
iQualcosa vi prego fatevi un favore e giocatelo *_* (...e se vi
piacciono le avventure grafiche d'atmosfera ma... in caso contrario,
che ci fate qui?)
Note:
@ Era: il suo
aspetto viene da uno dei temi del concorso, quest'immagine
qui. Gli altri erano “anello di
fidanzamento” e una canzone
che mi ricordava abbastanza Catherine nei suoi momenti no.
@ interpretazione
di Myst come 'troppo piena': io non ci metterei bocca, ma l'ha detto
Yeesha quindi suppongo conti canone: Father could not keep
Myst
simple - new structures and new Ages he brought. Mother could not
keep Myst solitary - two new sons she brought - my brothers - Sirrus
and Achenar. And they grew up strong, and hungry, and lustful, like
their Grandfather Gehn - unable to control the power of Books - the
power of writing Ages. And as a result all became prisoners.
Prisoners in their refuge.
@ date: la fanfic
inizia ad aprile 1808 e si estende per un mesetto. Si ringrazia
sempre il Cavernian
Calendar Converter per non farmi sparare stupidaggini anche
nel
conteggio degli anni.
@ fare gli
scavezzacollo con le lune: c'è un episodio abbastanza
imbarazzante
nel Book of Atrus e poi quel diarietto extra di Gravitation. ...non
il manga, l'Era.
@ colonna che è un
albero pietrificato: si ringrazia il museo di storia naturale di
Londra, che mi è venuto incontro durante la stesura della
trama XD
Ho fatto quasi più foto alla sala dei minerali che ai
dinosauri...
@ titolo: per una
volta Words non c'entra. Pensavo ai molti inizi di Atrus e Catherine,
di cui Atrus stesso parla in Exile e Reve, e mi hanno ricordato i
cerchi concentrici di un albero che cresce. Qui l'albero è
di
pietra... e la pietra da queste parti è always relevant. Mi
sembrava
un titolo carino.
@ note qua sotto:
il tema principale del concorso era scrivere una storia che potesse
fare da introduzione per il proprio fandom e corredarla di note. Mi
sembra di aver coperto le basi con una storia su Atrus, Catherine,
diari, sogni e la scrittura di un'Era... e qui sotto ci sono le note.
Introduzione al fandom:
“Asocialità: il videogioco”,
al secolo Myst, è una serie di avventure grafiche basata su
osservazione e logica stretta. I suoi luoghi
immobili,
discreti
e solenni
raccontano la storia di chi li ha abitati: quasi non si interagisce
con questi protagonisti narrativi, che restano sullo sfondo
dell'azione presente che si svolge a giochi
fatti, a
piccole tragedie compiute, ma li si osserva a fondo, tramite le
tracce che la loro esistenza ha lasciato negli spazi e gli
immancabili
diari con cui si raccontano. È la storia di una
famiglia che
lungo quattro generazioni si trova allo snodo di una Storia
millenaria; Atrus
e Catherine, la terza di queste quattro generazioni, sono i
protagonisti più influenti.
Catherine viene da un mondo morente. Si
è sempre sentita esule in patria nella cultura isolana da
cui
proviene, senza trovare nessuno che comprendesse il suo spirito
inquieto. Dal suo diario emerge una dignità profonda, una
personalità visceralmente femminile, rigorosa, secca e
fragile, con
una mente che oscilla fra il cristallino e l'offuscato. Dover
abbandonare la sua patria Riven nelle mani di un tiranno l'ha
spezzata, anche se nel farlo ha trovato in Atrus la sua
àncora e in
Myst una vera casa. Per come la vedo, questo senso di appartenenza
fratturata è uno dei punti cardine di un personaggio segnato
dalle
dicotomie già nel nome: Katran è il suo vero
nome, ma è anche
un'identità che si è lasciata alle spalle
identificandosi nella
buffa pronuncia errata del marito, che non ha mai smesso di
chiamarla Catherine. L'anno prima degli avvenimenti di questa
fanfiction, i loro due figli psicopatici hanno deciso di liberarsi
dei genitori imprigionando la madre nel mondo d'origine, dove si
è
messa a capo della resistenza e ha fatto un sacco di cose
interessanti, e obbligando il padre a nove mesi della prigionia
più
atroce mentre lavorava giorno e notte per evitare che Riven
collassasse. I figli s'imprigionano da soli (complimenti!) e
Catherine riesce a fuggire, ma il suo mondo è oltre ogni
possibilità
di salvezza.
Tutto questo perché, sì, Atrus sa
creare e manipolare i mondi, o “Ere”, come vengono
chiamati. È
il discendente dell'ultimo sopravvissuto della civiltà D'ni
(ok, non
ci crede nessuno che era l'ultimo, neanche lui, ma per ora non sa se
e dove sono gli altri), che aveva il potere di scrivere mondi. In una
lingua speciale, con inchiostro speciale, su carta speciale, si
può
descrivere un mondo e il libro diventa un portale per quel mondo,
trasportandovi chiunque metta la mano sull'immagine in prima pagina.
Ora, nonostante i D'ni chiamassero questo processo l'Arte e il tutto
sembri
molto un portale per Narnia, la descrizione non dev'essere in
bella prosa, ma scientifica e puntuale, e il libro non crea un mondo,
ma crea un collegamento a un mondo già esistente da qualche
parte
nel multiverso (il Grande Albero delle Possibilità, come lo
chiamavano i D'ni). Modifiche successive al testo si riflettono
sull'Era: si può scrivere una grotta e sarà
sempre stata lì, ad
esempio, ma cambiamenti troppo radicali spezzeranno del tutto il
legame, portando invece a una versione parallela.
Atrus, dunque, dopo essere cresciuto
con la nonna umana in mezzo al deserto del New Mexico e dopo un certo
numero di peripezie in gioventù, si trova con le mani in
mano
sull'isola di Myst. Lì sta con l'amata moglie (bene), cresce
i figli
(malissimo, a giudicare da come vengon su) e si riempie le giornate
facendo quello che gli viene meglio: pastrugnare con tutto quel che
ha a tiro. Atrus è un animo placido, retto, schivo, facile a
stringere amicizia ma restio ai contatti duraturi, osservatore,
incarna un po' la figura del genio rinascimentale che si cimenta
nelle arti a seguito di un interesse profondo verso il mondo in tutti
i suoi aspetti. È quindi scienziato, costruttore, astronomo,
geologo, diarista assiduo (come un po' tutti in canone tbh,
c'è una
vena da scienziatino che corre anche al di fuori della famiglia e
caratterizza la visione del mondo della serie), porta avanti
esperimenti naturalistici e non di ogni sorta, ma il suo campo di
studio prediletto è, ovviamente, la scrittura di Ere. Ne
aveva
scritte così tante su Myst, deliziandosi ogni volta di come
la
realtà corrispondesse a quello che aveva scritto e al
contempo lo
superasse oltre ogni possibile immaginazione, studiando le
corrispondenze nel terreno, nell'aria, nelle forme di vita e, qualche
rara volta, stringendo contatti con le civiltà che
incontrava. Ma i
figli hanno appiccato fuoco alla sua biblioteca e a Chroma'agana ha
portato solo molti ricordi e qualche tomo annerito.
Riprendersi sarà dura senza avere
nulla cui aspirare: la perdita dei figli pesa ovviamente su entrambi
e all'orizzonte si prospetta solo una serie identica di giorni in
solitudine condivisa, senza altri scopi. Riven è distrutta
per
sempre e D'ni per il momento è irraggiungibile...
La fanfiction si colloca un annetto
dopo la fine del disastro dei figli (due anni dopo il suo inizio),
quando i due hanno stabilito che Myst si è riempita di
ricordi
troppo tristi e si sono trasferiti da poco su Chroma'agana, un'altra
Era scritta appositamente per fare da nuova casa. E giustamente,
visto che stanno cercando di ricominciare dopo decenni di solitudine,
si saranno trovati una ridente cittadina, un villaggetto
pittoresco...? Nossignori, si piazzano su un'altra isola deserta come
la prima – e quando dieci anni dopo Atrus riunirà
i sopravvissuti
del suo popolo, lui e Catherine andranno a vivere in mezzo al
deserto. “Asocialità: il
videogioco”, come dicevo... ad ogni
modo, dati a Chroma'agana un nome e una descrizione molto sommaria il
canone salta a dieci annidopo. L'episodio che narro è quindi
completamente inventato, sia nei luoghi sia negli avvenimenti.
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