fraris
Nota d’inizio:
questo ultimo delirio - ehm - fatica che mi ritrovo a pubblicare
è una fanfiction che è stata scritta per due
contest
indetti sul forum di Efp: uno è il "Phoenix Order Contest"
di
Shadow_Soul, che prevedeva la scelta di un membro dell'Ordine e di un
incantesimo (ho scelto Marlene McKinnon e Prior Incantatio); l'altro
è "Scegli una coppia e vinci un pacchetto" di Chu, in cui ho
scelto il pairing Gideon/Marlene. Sono in attesa dei risultati,
perciò credo proprio che aggiornerò la storia con
i
giudizi non appena li riceverò.
Preciso fin da subito che non sarà una storia "facile". Si
parlerà di omicidi, adulterio e altre cose non esattamente
felici. L'ho scritta pensando ad una Marlene diversa da ciò
che
si trova di solito nel fandom, madre di famiglia e non coetanea dei
Malandrini (sono del parere che, se si fosse trattato di una vecchia
amica di scuola, Lily avrebbe speso un po' più di una riga
scarsa per parlare della sua morte a Sirius nella lettera che gli aveva
scritto e che Harry ritrova in HP7). Ci saranno salti temporali
frequenti e non sempre in ordine cronologico. Lo so, mi incasino sempre
la vita XD in ogni caso ringrazio di cuore Hariken, che ha accettato di
betare questa storia e mi ha dato un parere splendido, aiutandomi a
correggere alcuni passaggi non troppo chiari e a scrivere un finale
decente.
Da ultimo, preciso che il titolo cita un dialogo del film Brokeback Mountain,
che parla di una relazione extraconiugale, proprio come questa storia;
per tale motivo mi sembrava più che adatta. Sperando che
qualcuno possa trovarla di suo gradimento, vi auguro buona lettura :)
Finché
riusciamo a rimanere in sella
1
Settembre
1981
“Sale sul banco dei testimoni il signor Gideon Ignatius
Prewett.”
In quel momento,
Gideon era
consapevole di avere molti occhi puntati addosso. La gente si stava
chiedendo cosa ci facesse lì, i suoi compagni
dell’Ordine
non sapevano quello che aveva da dire alla giuria; solo Fabian ne era
stato messo al corrente. Lasciare che lo scoprisse al processo, davanti
a tutti e senza alcun preavviso, sarebbe stato un gesto troppo meschino
anche per uno come lui.
Perciò,
Gideon aveva
troncato la faccenda sul nascere: gli aveva confessato tutto il giorno
prima, appena dopo aver saputo che sarebbe stato chiamato a
testimoniare.
Fabian aveva
reagito come si
sarebbe aspettato. Aveva accolto le sue parole con un silenzio pesante,
carico di muta disapprovazione e di sconcerto.
“Signor
Prewett, racconti alla corte quello che sa riguardo alla notte in cui i
McKinnon furono uccisi.”
Centinaia di facce
grigie fissarono Gideon, serrando le labbra e protendendo il mento in
avanti, pronte all’ascolto.
Lui
cercò di individuare Fabian, ma non ci riuscì. La
confusione era troppa lì dentro.
Questa volta era
completamente solo.
“Avrei
solo una richiesta
da fare, prima di cominciare,” disse, spinto da un impulso
improvviso – forse un po’ troppo avventato, ma non
per
niente Gideon era un fiero ex-Grifondoro.
“Ci dica,
signor Prewett.”
Fece una pausa e un
sospiro
profondo, calamitando nuovamente tutti gli sguardi su di sé.
Voleva avere la piena attenzione di tutti prima di pronunciare quelle
parole.
Il
momento di uscire allo scoperto è arrivato, Marlene.
“Quello
che sto per
raccontare è... è qualcosa di molto
personale,”
spiegò, chinando il capo mentre nella sua testa si
affollavano
ricordi di capelli scuri sul cuscino, polsi stretti nelle sue mani,
lenzuola disfatte, fughe silenziose, bigliettini via gufo per non farsi
scoprire e, infine, lo sguardo disgustato di Fabian.
“Ciò
che
dirò non ha nulla a che fare con il motivo per cui i
McKinnon
sono stati uccisi. È soltanto necessario a spiegare
perché Marlene è stata l’ultima a
morire. Quindi,
vi prego... non giudicate.”
Avrebbe dovuto
rivolgere la
stessa supplica a Fabian, prima di confessargli ogni cosa. Forse,
così, il suo fratellino si sarebbe trattenuto e
anziché
biasimo avrebbe manifestato un briciolo di pietà,
accogliendo la
sua confidenza con un abbraccio e qualche parola di conforto.
Invece, Marlene era
morta e lui non sarebbe stato consolato da nessuno.
“Signor
Prewett... ci racconti cos’è successo quella
notte.”
Gideon
scambiò
un’occhiata con l’uomo che lo stava interrogando:
il suo
sguardo si fece duro, ora non provava più alcuna indulgenza
per
se stesso e per le sue azioni.
Se ci fossero state
conseguenze, le avrebbe affrontate con la piena consapevolezza di
esserne stato il responsabile.
“Quello
che è
successo, in realtà, l’avete già
spiegato voi poco
fa,” rispose, fronteggiando la platea a testa alta.
“Marlene McKinnon non avrebbe dovuto morire.”
2
Giugno
1980
“Posso vedere una foto dei tuoi figli?”
“Assolutamente
no.”
“Ma che
diamine, perché?!”
“Perché
non dovranno mai sapere che esisti, mi sembra piuttosto
ovvio.”
“Era solo
curiosità. Sta’ tranquilla, non mi
presenterò mai a
casa tua con un mazzo di fiori e due scope giocattolo.”
“Sarà
meglio per te.”
Marlene si
girò
dall’altra parte, le labbra strette e un muscolo sulla
guancia
visibilmente contratto. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma
ormai
ci era finita. Tutto ciò che poteva fare era alzarsi da quel
letto, raccogliere le sue cose in fretta e furia e scappare di corsa,
come una perfetta codarda.
Non capiva
perché fosse
così frenata: in fondo, fra le due persone presenti in
quella
stanza, quella smistata a Grifondoro ai tempi di Hogwarts non era stata
certo lei. Perciò, non rientrava nei suoi obblighi morali
dimostrare al mondo di essere audace e coraggiosa. Avrebbe potuto
fuggire tranquillamente, senza alcun rimorso; eppure, provava pena e
vergogna per se stessa.
Si
rannicchiò istintivamente in posizione fetale, finendo per
sfiorare, senza volerlo, il braccio di Gideon.
Lui
restò immobile, a dispetto del modo in cui l’aveva
toccata fino a pochi minuti prima.
Anche quando non lo
conosceva
bene, non le era mai sembrato un tipo particolarmente affettuoso.
Piuttosto, aveva avuto l’impressione che ogni tanto avesse
come
il bisogno di toccare
qualcuno, di instaurare un contatto che andasse
al di là di un semplice scambio di parole o di sguardi.
Perciò, capitava spesso che cominciasse a strattonarle il
braccio in un momento di noia, che le battesse una mano sulla coscia se
erano seduti a fianco o che le scompigliasse i capelli. Non era mai
riuscita a cogliere il reale senso di quel suo modo di fare, pertanto
era giunta alla conclusione che non avesse un particolare significato.
Non per forza doveva esserci una logica spiegazione per ogni cosa,
nonostante lei si sforzasse sempre di trovarla.
In ogni caso, ora
non si aspettava certo di essere coccolata.
La cosa le riusciva
estremamente
congeniale: Marlene odiava le smancerie. Le sue compagne di scuola la
chiamavano donna di
ghiaccio, i suoi suoceri si erano sempre dimostrati
scettici nel vederla stare a fianco di suo marito in perfetta calma,
senza mai prendergli la mano o chiedergli una carezza con lo sguardo.
Solo con i suoi figli si lasciava andare, perché loro non
erano
adulti bisognosi di attenzioni.
“Non
credo che tu me l’abbia mai detto, come si
chiamano?”
In tutta risposta,
lei si irrigidì. Ancora
domande.
“Tori e
Jesse,” rispose, sperando che ora Gideon la lasciasse in pace.
“Sono dei
nomi carini.”
“Ehi, ora
basta, voglio riposare almeno qualche minuto.”
“Come se
tutto il lavoro l’avessi fatto tu, poco fa...”
“Io ti ho salvato la
vita
perché tu
eri troppo impegnato a distrarti, perciò devi
ammettere che meritavo una ricompensa.”
“Mi
sembra di avertela data.”
“Appunto.
Che bisogno c’è di parlare ancora?”
Marlene
infilò un braccio
sotto il cuscino, assumendo così l’unica posizione
in cui
riusciva a dormire da quando potesse ricordare. Il calore emanato dal
fuoco del camino aveva un effetto calmante, quasi soporifero.
Provò a chiudere gli occhi, ignorando il respiro di Gideon
al
suo fianco. Era troppo stanca per scappare; la sua ciclica insonnia era
giunta al culmine, perciò ora, dopo tre notti quasi in
bianco,
sapeva già che sarebbe riuscita a prendere sonno.
Mentre scivolava
nel dormiveglia, si augurò di non sognare nulla che potesse
risvegliare il suo senso di colpa.
3
Settembre
1981
“Lei è il signor Jude Travers?”
“Al
vostro servizio,” rispose una voce carica di sprezzante
sarcasmo.
“Questo
è il
processo per l’omicidio della famiglia McKinnon. Lei
è
stato accusato di esserne complice. Cos’ha da dire in
merito?”
Gideon
osservò Travers scoppiare in una risata agghiacciante.
“È
stata fatta la volontà dell’Oscuro
Signore.”
Strinse forte la
balaustra con
entrambe le mani. Sapeva che non era vero: il cadavere di Marlene non
era mai stato nei piani di Voldemort.
“Lei
confessa quindi di aver preso parte all’omicidio?”
“Io non
sono che un umile servo dell’Oscuro Signore.”
“Dove si
trovava quella notte?”
“Dove
l’Oscuro Signore voleva che io fossi.”
“Chi
c’era con lei?”
“Sarebbe
meschino rivelarlo, non crede?”
“Stuart
Gibbon era con lei?”
“Chiedeteglielo
di persona.”
In quel momento
Gideon avrebbe
voluto che Fabian fosse al suo fianco, per potergli sussurrare i suoi
insulti nei confronti di quel fottuto Mangiamorte; suo fratello,
però, era seduto in mezzo al pubblico e in ogni caso, molto
probabilmente, non aveva alcuna intenzione di rivolgergli la parola.
Si sentì
assalire da
un’ira impotente. Era come se avesse perso il diritto di
soffrire
per la morte di Marlene, soltanto perché aveva fatto
qualcosa
che Fabian non approvava. Tuttavia, era sempre stato così:
lui
lo scapestrato, la testa calda, lo sbandato, Fabian invece il
più prudente, misurato ed assennato dei due.
“Lei
dunque non rifiuta le accuse di omicidio che le vengono mosse, signor
Travers?”
“Ribadisco
di aver fatto unicamente la volontà del mio
Signore.”
Non c’era
alcuna
umanità nello sguardo del Mangiamorte. Neppure ora che stava
seduto a quel banco, ad un passo da Azkaban. Quando l’aveva
catturato, Gideon sapeva che l’avrebbe ucciso, se non ci
fosse
stato Fabian insieme a lui. Suo fratello faceva sempre la cosa giusta,
perciò lo avevano consegnato senza discutere,
perché
Fabian non avrebbe accettato nessun’altra opzione. Neppure se
avesse saputo prima di lui e Marlene.
Gideon strinse i
pugni, incapace
di placare la collera che gli montava dentro. Non era giusto che suo
fratello non fosse lì a consolarlo, non era giusto che
avesse
scelto consapevolmente di abbandonarlo proprio nel momento peggiore,
mentre lui era costretto a guardare in faccia uno degli assassini di
Marlene che derideva la morte di una famiglia innocente, che aveva
scavalcato nella più assoluta imperturbabilità i
cadaveri
di due bambini, che aveva osservato con gioia la vita abbandonare la
loro madre.
Dopo quella notte,
il senso di colpa per non averle neppure detto addio non aveva ancora
smesso di ossessionarlo.
4
Ottobre
1968
Al quarto anno di scuola,
Marlene non aveva ancora visto Grifondoro vincere neppure mezza coppa
di Quidditch. Forse fu per quello che la partita contro Corvonero
andò a finire in quel modo così sanguinoso.
Marlene conosceva
le regole e
sapeva che i Bolidi erano parte del gioco, ma mirare con una tale
precisione al volto le sembrò un’azione subdola e
vergognosa oltre ogni limite. La sua amica, Vicky Collins, non si
aspettava minimamente quel colpo; forse non lo vide arrivare nemmeno.
Marlene urlò quando il Bolide era a soli trenta centimetri
da
lei e quindi, anche se ci fosse stato abbastanza silenzio
affinché Vicky la sentisse, non avrebbe probabilmente avuto
il
tempo di reagire.
Il Bolide la
gettò quasi
giù dalla scopa, rompendole il setto nasale e facendo volare
in
aria un violento schizzo di sangue.
Marlene divenne una
furia.
Scavalcò tutte le persone sedute intorno a lei sugli spalti
e
piombò in campo in pochi secondi. Dopo il fischio di
sospensione, Vicky era stata immediatamente circondata dai suoi
compagni di squadra e da Madama Bumb. Lei aspettò che il
Battitore di Grifondoro, quell’idiota con i capelli lunghi
che
faceva il cascamorto con tutte, toccasse terra; dopodiché,
si
diresse verso di lui con tutte le intenzioni di fargli del male fisico.
“Che
diamine hai nel
cervello?” gli urlò, imbestialita. Lui
tentò di
esibire un sorrisetto conciliante.
“Andiamo,
non l’ho fatto apposta, mi dispiace...”
“Non
l’hai fatto apposta?!”
Marlene
tirò fuori la bacchetta.
“Non
esagerare, sono un
prefetto!” protestò lui, strappandogliela di mano.
In
tutta risposta, lei gli tirò un pugno nello stomaco.
Lo
osservò boccheggiare
di sorpresa con estrema soddisfazione. Avrebbe potuto metterci
più forza, probabilmente, ma di sicuro gli aveva fatto
capire
con chi aveva a che fare. Probabilmente Gideon Prewett non si aspettava
che una come lei arrivasse a tanto, per quanto fosse visibilmente
arrabbiata.
“Ehi, non
sei tanto male
per essere una ragazza,” le disse, una mano ancora premuta
sotto
lo sterno, accennando un sorriso provocatorio.
“E tu...
tu sei
decisamente poco intelligente come tutti i maschi,”
replicò astiosamente lei, nascondendo il lieve stupore per
quella reazione inaspettatamente diplomatica. Poi sentì
Madama
Bumb chiedere “Che succede lì?”,
perciò si
fece ridare la bacchetta senza aggiungere altro e corse da Vicky. La
ragazza, che in quel momento aveva il naso ridotto in poltiglia e il
viso imbrattato di sangue, era l’unica persona in tutta
Hogwarts
a cui Marlene avesse mai detto “Ti voglio bene”.
Era
successo una volta soltanto, in un momento di crisi profonda; tuttavia,
a dispetto di questa scarsità di manifestazioni affettive,
da un
paio d’anni non si vedeva in tutta la scuola una coppia
più inseparabile di loro.
A Marlene non
importava di
nessun altro, perciò smise rapidamente di preoccuparsi di
Gideon
Prewett e, dopo che lui finì la scuola – un anno
prima di
lei – non sentì affatto la sua mancanza a
Hogwarts,
né tantomeno dopo.
5
Settembre
1981
“Insomma, signor Prewett, lei aveva una relazione con la
signora McKinnon?”
Gideon
pensò che sarebbe
stato più facile ammetterlo ora che la famiglia di Marlene
era
stata sterminata senza che nessuno fosse risparmiato, anche se la
disapprovazione di Fabian continuava a gravargli sulle spalle come un
baule pesante.
“Sì,
avevo una
relazione con lei,” rispose infine, dopo un breve sospiro.
Era
andato lì per raccontare esattamente ciò che era
accaduto, perciò ormai non aveva più senso
tirarsi
indietro.
“Era con
lei la notte dell’omicidio?”
“All’inizio...
all’inizio Marlene si trovava a casa mia. Poi abbiamo
litigato e
se n’è andata. Dopo circa dieci minuti ho ricevuto
un suo
messaggio, in cui mi diceva di essere nei guai. Ho chiamato mio
fratello Fabian e siamo corsi da lei, ma loro... loro erano
già
tutti morti. Siamo riusciti a catturare Travers perché lui e
Gibbon stavano discutendo e non avevano ancora lasciato la casa. Gibbon
però è riuscito a scapparci.”
Gideon si
sentì le mani
sudate. Una morsa improvvisa gli torse le viscere e gli fece quasi
salire un conato di vomito, al ricordo di ciò che aveva
visto
quella notte. Dopo due mesi, quelle immagini ancora non avevano smesso
di tormentarlo con ogni sorta di incubo possibile.
“Forse
sono stati aiutati
da altri,” concluse, passandosi una mano sul volto.
“Prima
che entrassimo in casa, però, abbiamo sentito delle voci.
Travers e Gibbon stavano litigando, perché uno dei due
sosteneva
che Marlene non avrebbe dovuto essere uccisa. Voldemort la voleva viva
per estorcerle informazioni riguardo ai Potter, perché
sapeva
che era loro amica. Ma lei deve essersi... deve aver lottato, dopo aver
visto come avevano ridotto i suoi figli...”
Gideon non
riuscì ad
aggiungere altro. Aveva detto tutto ciò che sapeva, le
persone
dovevano smetterla di fissarlo con quelle espressioni gravi e
silenziose. Era così sconvolto che non riuscì a
capire
cosa ci fosse di tanto impressionante da meritarsi tutta
quell’attenzione, finché quasi per caso non si
sfiorò una guancia.
“Va bene
così, signor Prewett. Può accomodarsi.”
“La
ringrazio.”
Mentre tornava
verso il suo
posto, Gideon non riusciva a raccapezzarsi di ciò che gli
era
appena successo. Era scoppiato in singhiozzi di fronte
all’intero
tribunale, dopo che per mesi aveva tentato inutilmente di versare in
solitudine quelle lacrime.
6
Aprile
1976
Il giorno in cui Gideon Prewett
rivide Marlene McKinnon, non ricollegò subito i suoi
lineamenti
fini e il suo sguardo di ghiaccio con quelli della ragazzina che gli
aveva tirato un pugno per vendicare un’amica. Ci
riuscì
solo dopo averle fatto qualche velato apprezzamento, a cui lei rispose
con una smorfia d’irritazione non del tutto contenuta; a quel
punto, si rese conto della gigantesca figuraccia che aveva fatto e si
impose di stare zitto mentre lei controllava i suoi parametri ed
esaminava le sue ferite.
A sua discolpa,
Gideon poteva
dire che era ancora leggermente intontito a causa della botta alla
testa presa durante la battaglia della notte precedente. Inoltre, Marlene
era cambiata molto e la frangia, che non portava ai tempi di Hogwarts,
modificava parecchio la fisionomia del suo viso. Tuttavia, non
poté proprio fare a meno di sentirsi in imbarazzo nel farsi
visitare da lei.
“Se dopo
tutto questo
tempo fai ancora così con tutte, devi essere proprio
sull’orlo della disperazione,” osservò
lei,
inarcando un sopracciglio mentre srotolava delicatamente le bende
intorno alla sua testa.
“Se
invece ti avessi
offeso cos’avresti fatto, mi avresti tirato un altro
pugno?” domandò lui, in tutta risposta. Dato che
lei
l’aveva riconosciuto, non c’era motivo di
continuare a far
finta di nulla.
“Sono
abbastanza
professionale da trattenere questi impulsi, non ti
preoccupare,”
replicò Marlene, poi cominciò ad occuparsi della
brutta
lacerazione che Gideon aveva riportato sulla tempia. Per fortuna lui
aveva smesso di portare i capelli lunghi come ai tempi di Hogwarts,
altrimenti sarebbe stato un vero pasticcio.
“Come te
la sei procurata?”
“Affari
segretissimi, tesoro. Mi spiace ma non posso dirti nulla.”
“Verosimilmente
sei volato
giù da una scopa, data la quantità di terra che
ho dovuto
rimuovere ieri notte. Hai corso un bel rischio, avrebbe potuto
infettarsi tutto e non sarebbe stato piacevole.”
“Non
preoccuparti, non stavo giocando a Quidditch. Con quello ho
chiuso.”
“Un gran
sollievo per tutti.”
“Come ti
ho già detto non posso rivelarti di più, mi
dispiace.”
“Bene.
Non mi interessa.
Ti ho chiesto cosa fosse successo soltanto per distrarti mentre
disinfettavo la ferita, in genere la gente si lascia impressionare e
comincia ad agitarsi rendendo tutto più difficile.”
“Che cosa
bizzarra, in genere voi donne siete sempre così
curiose.”
“Oh,
forse allora non ci hai provato proprio con tutti gli esemplari
femminili del pianeta.”
Gideon
sbuffò, poi
scostò la coperta con il braccio sano per lasciare che lei
gli
esaminasse la frattura all’arto sinistro.
“Perché
me
l’hai fatto immobilizzare in questa posizione così
scomoda?” domandò, osservando la fasciatura.
“Perché
è il
modo migliore per conservare i movimenti in flessione del gomito anche
dopo che la Pozione Cresciossa avrà fatto il suo lavoro. Se
ti
avessi steccato il braccio in estensione, l’articolazione
sarebbe
risultata molto più compromessa,”
spiegò lei, in
tono puramente professionale. Gideon si lasciò sfuggire un
sorrisetto.
“Sembra
che io sia in buone mani, dunque.”
“Ho
terminato la
specializzazione da meno di un anno, penso che tu possa ancora
considerarti una specie di cavia per i miei esperimenti.”
Gideon
annuì, poi si stiracchiò e allungò una
pacca sul braccio di Marlene.
“Mi sto
annoiando a stare
qui a far niente, si può avere un po’ di
musica?” le
chiese. Probabilmente lei avrebbe preferito mandarlo a quel paese, ma
anche in quel momento si attenne alla professionalità del
suo
ruolo.
“Ho solo
un disco dei Flying Broomsticks, per il momento ti dovrai
accontentare.”
“Quale? Halloween Night?”
“No, Dancing In The Clouds.
Quello mi manca.”
“Te lo
farò avere. Comunque va bene, hai gusto.”
“Il
migliore comunque è Stories
From The Banshee’s Land, ma quello
rimarrà ben lontano dalle tue grinfie.”
“Ne
riparleremo dopo che avrai ascoltato Halloween Night.”
Marlene
uscì senza
salutare, con una scrollata di spalle. Gideon la vide infilarsi un paio
di occhiali da vista per scorrere velocemente una pergamena clinica che
teneva in mano. Aveva notato l’anello al dito e il cognome
sulla
targhetta, che non corrispondeva a quello da nubile con cui
l’aveva conosciuta ai tempi di Hogwarts; sapeva qualcosa di
quella famiglia, i McKinnon, e se non ricordava male proprio suo marito
si era di recente esposto contro Voldemort, nonostante il suo fosse un
cognome rispettabilmente Purosangue.
Era difficile,
perciò, che sua moglie potesse pensarla diversamente.
Era brava nel suo
lavoro. Non
avevano ancora un Medimago nell’Ordine, ma sarebbe stato
decisamente utile. Prese mentalmente nota di lavorarsela il
più
possibile nei giorni seguenti, abbastanza da poterla presentare a
Silente come nuova affiliata in tempi brevi.
7
Settembre
1981
“La corte può ora ascoltare la testimonianza
dell’imputato Stuart Gibbon.”
A differenza di
Travers, il
secondo Mangiamorte aveva l’aria molto meno spavalda.
Sembrava
chiaramente terrorizzato dalla prospettiva di finire ad Azkaban: rimase
con lo sguardo fisso a terra per tutto il tempo, tormentandosi le
maniche della veste con gesti nervosi, finché non iniziarono
ad
interrogarlo.
“Signor
Gibbon, lei riconosce di essere stato presente sulla scena del
crimine?”
“Io... a
dire la
verità sono molto confuso. Non ricordo granché di
quella
notte. Ho iniziato a riprendere coscienza di dove mi trovassi solo dopo
che tutto era successo, e se sono scappato è stato solamente
perché avevo paura...”
“Paura di
che cosa, signor Gibbon?”
“E-ecco,
vede... quando ho
ripreso coscienza mi sono ritrovato in quella casa piena di corpi, con
tutto quel sangue a terra... lei capisce, chiunque ne sarebbe stato
terrorizzato...”
“Quindi
lei afferma di non aver assistito né preso parte
all’omicidio dei McKinnon?”
“Non...
non ne sono
così sicuro, signore, anche se non ricordo nulla di
ciò
che è successo prima di un certo momento... credo di essere
stato vittima di un equivoco, signore, credo di essere stato messo
sotto la Maledizione Imperius...”
“Non
è vero niente!”
Gideon si era
alzato
improvvisamente, e aveva urlato prima che qualcuno potesse trattenerlo.
Il Mangiamorte lo guardò con odio, tentando di mascherare il
tremore.
“Io ho
udito
quest’uomo discutere dell’omicidio di Marlene
McKinnon con
Travers in maniera assolutamente lucida, tutta questa storia della
Maledizione Imperius è una gigantesca idiozia!”
esclamò con veemenza, pur consapevole del fatto che non
avrebbe
dovuto intervenire senza essere stato interpellato. Non era sua
abitudine essere eccessivamente impulsivo, ma non tollerava
assolutamente il fatto che il Mangiamorte stesse cercando di farla
franca.
“Sapete
bene tutti quanti
che una persona sotto Imperius si limita ad eseguire degli ordini come
un automa. Quest’uomo parlava in piena coscienza, non sono il
solo ad averlo sentito!”
“Signor
Prewett, questo
non è il suo interrogatorio. Lei ha già
rilasciato la sua
testimonianza. La richiamo all’ordine.”
Gideon non poteva
fare altro per insistere, così si limitò ad
annuire.
“Signor
Gibbon, lei dunque si dichiara non colpevole?”
“Io non
avrei mai... c’è stato sicuramente un errore, voi
dovete credermi...”
“Qual
è l’ultima cosa che ricorda con certezza di quella
notte?”
“Io
davvero non saprei...”
“Non ho
altre domande. L’imputato può
accomodarsi.”
Il Mangiamorte
evitò con
accuratezza lo sguardo di Gideon mentre tornava a sedersi, ma lui non
lo perse di vista un solo istante. Voleva che quel processo facesse
giustizia una volta per tutte, senza errori né dimenticanze,
dopo che lui non aveva avuto neppure il diritto ad un ultimo saluto.
Marlene se n’era andata troppo presto, lui era arrivato
troppo
tardi. Nulla era andato correttamente. Ma anche se spedire ad Azkaban i
responsabili della sua morte non l’avrebbe riportata
indietro,
era l’unica cosa per cui Gideon poteva ancora lottare.
8
Giugno
1980
“Spiegami perché hai insistito tanto.”
“A quale
proposito?”
“Perché
era necessario che venissi proprio io?”
“Beh, ti
ho passato i
dischi di Wilma Wand per tutto lo scorso inverno, mi sembrava di averti
preparata abbastanza bene per un suo concerto.”
“Quindi
devo sentirmi in debito con te.”
“Ma no,
ma no... è
che non volevo venirci con qualcuno che sbadigliasse ogni due secondi e
mi dicesse che perdo ancora tempo ad ascoltare musica da
fighetto.”
“Capisco.
Allora, visto che non ti devo niente, ridammi i soldi della tua pinta
di Idromele.”
Gideon
sgranò gli occhi, stupefatto, poi portò una mano
alla tasca del mantello con aria estremamente riluttante.
“Sei
proprio una brutta persona,” la prese in giro, con una
smorfia. Lei inarcò un sopracciglio.
“Lo sei
di più tu,
dato che sei talmente tirchio da farti offrire da bere da una donna.
Comunque stavo scherzando, non fare quella faccia sofferente. Puoi
tenerti i soldi.”
Marlene non aveva
ancora ben
capito come fosse finita lì. Non era più una
ragazzina,
ma una madre di famiglia, e le madri di famiglia non vanno ai concerti.
Anche se in missione per conto dell’Ordine, dato che avevano
ricevuto una soffiata sulla possibilità che Wilma Wand
venisse
attaccata dalle schiere di Voldemort nel corso del suo tour per via
delle sue origini dichiaratamente Babbane. La cantante non ne aveva mai
fatto un mistero, anzi; le sue ultime canzoni inneggiavano in maniera
particolare alla ribellione contro quel metro di giudizio razzista ed
ingiusto. Così facendo, però, si era rapidamente
guadagnata l’elezione a possibile capro espiatorio
dell’odio di Voldemort contro i Sanguesporco.
Tuttavia,
nonostante si
trattasse di una missione, Marlene non si sentiva sufficientemente
all’erta. Era nervosa, ma per altri motivi. Una buona parte
di
lei continuava a dirle che non avrebbe dovuto essere lì.
Di fianco a lei,
Gideon
sorseggiava il suo Idromele in assoluta tranquillità,
battendo
il piede a ritmo della musica di sottofondo che era stata messa in
attesa dell’inizio del concerto. Marlene ancora non riusciva
a
credere di essersi fatta trascinare nell’Ordine della Fenice
da
un individuo simile. Non perché le dispiacesse combattere
contro
Voldemort – al contrario, se avesse saputo in precedenza
dell’esistenza dell’Ordine vi si sarebbe unita
diverso
tempo prima – ma per il modo in cui tutto era iniziato,
un’assurdità dopo l’altra.
Sapeva che Gideon
l’aveva
coinvolta con tanta insistenza soltanto perché lei era un
elemento utile alla squadra. Aveva imparato a conoscerlo più
a
fondo in quei cinque anni e si era resa conto di quanto spesso le sue
mosse avessero un secondo fine ben preciso, che a volte confessava
implicitamente lui stesso. Tuttavia, capitava ugualmente che scivolasse
con lei in discorsi ambigui, o che si permettesse di invadere il suo
spazio fisico con assoluta noncuranza e senza preoccuparsi del fatto
che lei fosse sposata. Era un comportamento la cui logica le sfuggiva
irrimediabilmente.
“Sai che
non dobbiamo dare nell’occhio, vero?”
“Certo,
non c’è bisogno di puntualizzare simili
ovvietà.”
“Perfetto.
Perciò, non appena inizierà il concerto, tu
verrai con me sotto il palco, in prima fila.”
“Ti
sembra un modo per non dare nell’occhio?”
“Assolutamente
sì:
ci mescoleremo con la folla, entreremo nel vivo talmente bene che
nessuno riterrà sospetta la nostra presenza. Andremo a
sederci
sulle transenne che separano il palco dal pubblico, così
potremo
osservare la platea con una buona visuale e renderci conto se qualcuno
di nostra conoscenza si avvicina.”
“Wow. E
io che pensavo che tu volessi davvero
goderti il concerto.”
“E
perché non dovremmo? Faremo entrambe le cose.”
“Credi di
saper gestire due impegni alla volta?”
“Certo,
ho avuto un sacco di relazioni clandestine. E tu?”
Marlene lo
osservò,
perplessa, mordendosi il labbro. Dovevano essere le sue pupille
perennemente dilatate a rendere così penetrante il suo
sguardo.
“Ci
proverò,”
disse infine, poi tornò a far vagare lo sguardo tra il
pubblico.
Si rese conto di essere nervosa ed eccitata per via di
quell’evento imminente, ma non riusciva a trovare una
spiegazione
logica per quelle sensazioni. Non aveva grandi motivi per mettersi a
fare la quindicenne scapestrata: la sua adolescenza era stata
già piuttosto soddisfacente, ed essere rimasta incinta a
soli
ventun’anni si era poi rivelato un trauma minore di quanto si
aspettasse. Adorava i suoi bambini: aveva dato loro tutto
l’affetto che, prima della loro nascita, non era mai riuscita
a
riversare su qualcun altro. Vicky era morta quasi
all’improvviso
di Porpora del Vampiro, una malattia magica incurabile, ma era successo
ormai tanti anni fa e lei era più che convinta di averlo
superato. Infine, per quanto il suo matrimonio fosse piuttosto
disastroso, aveva almeno dato ai suoi figli la garanzia di una
famiglia, di un padre e di una nonna che si prendevano cura di loro
quando lei non c’era. Non era una situazione tanto orribile
da
giustificare la sua presenza lì. Gideon non era suo amico,
per
quanto tante cose apparentemente li legassero, né aveva
interesse nel farla felice. Eppure non si era tirata indietro di fronte
a quell’incarico, ben sapendo cosa comportava; non aveva
chiesto
a qualcun altro di andare al suo posto. Per quanto non lo facesse
volontariamente, si ritrovava sempre a chiacchierare con lui di qualche
sciocchezza, perché sembrava che Gideon avesse la
capacità di riempire un certo tipo di vuoto che Marlene non
si
era mai resa conto di avere dentro, finché non aveva
incontrato
lui.
9
Settembre
1981
“Sale sul banco dei testimoni il signor Fabian Nicodemus
Prewett.”
Gideon
sussultò. Non se
l’aspettava. Fabian non gli aveva detto che anche lui era
stato
chiamato e, se avesse potuto fare qualcosa per evitare di coinvolgerlo,
avrebbe agito sicuramente. Ma ormai era troppo tardi: lo
osservò
alzarsi e dirigersi al posto che prima aveva occupato anche lui, il
volto ridotto ad una maschera impenetrabile.
“Signor
Prewett, ha qualcosa da aggiungere rispetto alla testimonianza
fornitaci da suo fratello?”
“Nossignore.
È
andato tutto come ha già spiegato lui. Siamo accorsi
insieme,
appena abbiamo potuto, ma era già troppo tardi per tutti. Ho
suggerito io di entrare di nascosto in casa dei McKinnon,
così
abbiamo sentito le voci di Travers e Gibbon. Abbiamo catturato Travers,
ma l’altro ci è sfuggito, così ci siamo
messi
subito in contatto con gli Auror.”
Fabian era sempre
stato
così. Il più preciso, il meno impulsivo. Tutti
gli
volevano bene. Con quel tono di voce pacato e sicuro, sarebbe stato in
grado di rincuorare chiunque.
“In ogni
caso, Marlene
McKinnon sarebbe stata uccisa comunque, in qualsiasi momento fosse
rientrata a casa. Voldemort voleva che gliela portassero, ma lei era
una donna forte e non si sarebbe mai lasciata prendere viva.”
Gideon
sentì una specie
di scossa percorrerlo lungo la spina dorsale. Non si aspettava che il
suo fratellino parlasse così bene di Marlene, dopo
ciò
che gli aveva confessato. Fabian era sempre stato una persona corretta
e fedele, con un sistema di valori ben saldi e precisi, e al momento
della sua confessione aveva reagito secondo la sua indole; tuttavia,
ora, Gideon non era più così sicuro del fatto che
gli
avesse definitivamente voltato le spalle.
“È
tutto, signor Prewett?”
“Sissignore.”
“Bene,
può tornare ad accomodarsi.”
Solo alla fine
Fabian si
voltò verso di lui, quando ormai era troppo lontano per
poter
decifrare correttamente la sua espressione: quello sguardo silenzioso
avrebbe potuto significare qualsiasi cosa. Tuttavia, Gideon scelse di
credere che il suo fratellino l’avesse perdonato,
perché
altrimenti non avrebbe avuto nient’altro a cui aggrapparsi.
10
Giugno
1980
Gideon sapeva bene che stava
approfittando volutamente del fatto che Marlene fosse ubriaca.
Prevalentemente ci era arrivata per merito suo, ma lei non aveva
mostrato di disdegnare nessun nuovo bicchiere. Era anzi rimasta
piacevolmente sorpresa della sua decisione di tirar fuori il
portafoglio: le aveva spiegato che non era una questione di avarizia,
quanto piuttosto del fatto che, ormai, offrire una cena o
qualcos’altro a una donna era un gesto che veniva fatto
esclusivamente con scopi poco nobili. Lui, invece, pagava il conto solo
se davvero ne valeva la pena.
“E quale
delle tante
ingenue fanciulle con cui sei uscito di recente hanno beneficiato della
tua generosità?” domandò lei, con un
sorrisetto
storto.
“Ultimamente
nessuna,” rispose lui, stringendosi nelle spalle.
“Ah,
allora devo ritenermi
un caso fortunato,” rise lei, e forse fu la prima volta che
Gideon la vide esprimere una tale allegria. Alle riunioni
dell’Ordine era sempre attenta e silenziosa, pronta ad agire
senza scomporsi. Prendeva tutto molto sul serio e non si soffermava a
scherzare con gli altri, come ad esempio facevano Sirius e James. Alle
volte aveva quasi avuto l’impressione che lei li guardasse
storto: per questo l’aveva inizialmente giudicata una barba.
Tuttavia, le loro discussioni culturali erano piacevoli. Lei ascoltava
buona musica, leggeva bei libri, aveva dei gusti precisi ma si lasciava
consigliare da lui senza pregiudizi, aprendosi volentieri a nuove
scoperte. Era praticamente l’unica, tra quelli
dell’Ordine,
con cui si potessero condurre conversazioni di quel tipo. Per questo
Gideon si ritrovava sempre ad avvicinarla, a dare
l’impressione
di essere uno dei pochi con cui lei si soffermasse un po’ di
più rispetto a dei semplici saluti.
“Il fatto
è che
cerco un tipo di donna ben precisa,” riprese poi, grattandosi
distrattamente la nuca. “Ma probabilmente non la
troverò
mai. Deve essere intelligente e deve avere buon gusto... ma allo stesso
tempo è necessaria almeno una quarta di reggiseno.”
Marlene lo
fissò ad occhi sgranati.
“Vorresti
dire per caso che per tutto il resto potrebbe avere anche
l’aspetto di un Troll di montagna?”
“Ma no,
certo che no,
è implicito che debba piacermi anche l’aspetto
fisico
globale. Però certe misure sono importanti per un
uomo.”
“Sei
veramente un cafone.”
“Voi
donne la pensate uguale, solo che fate attenzione a non
dirlo.”
“Non dire
fesserie, per piacere...”
“Sentiamo,
allora, perché avresti sposato tuo marito? Soltanto
perché andavate d’accordo?”
A quel punto,
Gideon si rese
conto di aver fatto con lei l’ennesima figuraccia: la vide
ammutolire e diventare seria di colpo, mentre lo fissava quasi con
rimprovero da sotto la frangia.
“Mi sono
sposata
perché ero rimasta incinta e mi sembrava orribile
l’idea
di abortire o di negare il diritto di una famiglia a un bambino che
avrebbe dovuto pagare per i miei errori, non lo trovavo giusto e
perciò ho fatto quello che era meglio fare,” gli
spiegò, poi distolse lo sguardo. Gideon annuì
lentamente,
sentendosi invadere da un cocente imbarazzo.
“Capisco...
beh, sono cose
che possono succedere,” commentò, cercando di
assumere un
tono rincuorante, ma con scarsi risultati.
“Se vai a
raccontare in
giro questa cosa, per te saranno guai,” lo
minacciò lei
qualche secondo più tardi, realizzando probabilmente di
essersi
sbottonata troppo più del normale.
“Ma che
dici?! È l’ultima cosa che mi è passata
per la mente!”
“Non mi
fido di te.”
“Non ci
credo.”
“Ah,
sì? E perché no?”
“Perché
mi hai appena fatto una confidenza importante, ecco
perché.”
“Ti ho
solo detto la verità!”
“E allora
perché ti interessa tanto che rimanga un segreto?”
“Perché
sono affari miei!”
“Ma sei
stata tu a dirmelo!”
“Sai una
cosa? Vai al diavolo. Siamo qui per un motivo ben preciso, non certo
per parlare del mio matrimonio.”
Marlene si
alzò e se ne
andò, scomparendo in mezzo alla folla nel giro di mezzo
secondo;
lo lasciò lì come un’idiota, senza
altre
spiegazioni. Gideon scosse la testa, insultandola mentalmente: erano in
missione per conto dell’Ordine, eppure lei si prendeva il
lusso
di comportarsi come una ragazzina.
Tornò a
fissare il fondo
del suo bicchiere di Idromele, lasciandosi sfuggire un impercettibile
sospiro. Si era reso conto di quello che poteva esserci sotto solamente
quella mattina, quando aveva informato Fabian del fatto che lui e
Marlene sarebbero andati insieme al concerto per tenere
d’occhio
la situazione. Ovviamente era stato lui a proporre il tutto a Silente,
compresi i loro due nomi, ma in precedenza non aveva pensato alle
implicazioni di quella mossa. Di fronte all’espressione
sorpresa
di Fabian, però, si era sentito improvvisamente come se
avesse avuto
la coda di paglia. Si era giustificato in fretta e furia, precisando
che l’aveva fatto soltanto per la musica. Sembrava che suo
fratello gli avesse creduto. Anche di fronte a lei, ora, aveva fatto di
tutto per non tradirsi; Marlene però si era lasciata andare,
gli
aveva dato un appiglio di speranza a cui non era riuscito a non
aggrapparsi.
Del fatto che fosse
diventata
molto carina se n’era già reso conto anni
addietro, quando
l’aveva incontrata al San Mungo, ma tutto il resto
l’aveva
scoperto così lentamente che fino a quella mattina non ci
aveva
nemmeno pensato, a mettere insieme i pezzi.
11
Settembre
1981
“Sale sul banco dei testimoni il signor John
Dawlish.”
Gideon
osservò
avvicinarsi, quasi a passo di marcia, l’uomo sulla trentina
che
Moody aveva inviato quella notte in risposta alla sua chiamata. Era lui
l’Auror che aveva catturato Gibbon, dopo che era riuscito a
sfuggire a lui e Fabian.
“Signor
Dawlish, vuole raccontarci la sua versione?”
“Certamente,
signore.”
Gideon si
attaccò con
forza ai braccioli della sedia. Non voleva più ascoltare una
sola parola, sapeva già tutto. Le prove cruciali sarebbero
state
presto sotto gli occhi di tutti e il processo si sarebbe concluso con
la giusta sentenza: Azkaban. Eppure, un ergastolo in compagnia dei
Dissennatori non era abbastanza disumano rispetto a ciò che
quelle bestie avevano fatto alla famiglia di Marlene.
“Quando
è giunto alla casa dei McKinnon, signor Dawlish,
cos’ha visto esattamente?”
“Beh...
non lo augurerei a nessuno. Davvero a nessuno.”
Dawlish fece una
pausa, ma
Gideon evitò di guardarlo. Ormai riviveva quei momenti ogni
notte, non avrebbe fatto differenza sentirne il racconto
un’altra
volta.
“Sono
entrato in casa
dalla porta sul retro. In cucina c’era il cadavere di Ruth
McKinnon, la madre di David McKinnon. Era pieno di bruciature, come se
qualcuno avesse infierito su di lei dopo la morte.”
Non avevano
risparmiato neppure
la suocera di Marlene, una donna anziana che non aveva nessuna colpa,
se non quella di essere andata ad accudire i nipotini nel momento
sbagliato.
“Sono
andato oltre. In
salotto c’erano segni di colluttazione: molti mobili erano
rovesciati, le finestre rotte. Sulle scale, poi, ho visto il cadavere
di David McKinnon. Era stato legato e aveva i vestiti strappati. Il
volto era tumefatto, come se fosse stato preso ripetutamente a pugni.
Sul torace gli era stata incisa a sangue una scritta: traditore.”
I McKinnon, come la
famiglia di
Gideon, erano Purosangue. Voldemort aveva tentato di portarli dalla sua
parte, ma non ci era riuscito. Per questo si erano divertiti tanto con
quell’uomo.
“Ho
scavalcato il corpo e
ho salito le scale, fino al piano di sopra. In corridoio
c’era
Marlene McKinnon, riversa in una pozza di sangue. Il muro dietro di lei
era macchiato: sembrava che ve l’avessero scagliata contro
con un
incantesimo estremamente violento. In mezzo al sangue c’erano
delle impronte. La bacchetta della donna era a terra, spezzata, e la
sua mano sinistra era stata calpestata con forza, fino a romperle le
ossa.”
Gideon non riusciva
ad
immaginare cosa Marlene poteva aver provato poco prima di morire.
Probabilmente era entrata in casa poco dopo avergli inviato il
Patronus, sola, con un’angoscia mortale nel cuore. Quasi
sicuramente aveva visto i cadaveri di sua suocera e di suo marito, ma
il peggio era arrivato dopo, quando era salita al piano di sopra.
Lì doveva aver urlato.
“Sono
entrato nella camera di fronte al corpo della signora McKinnon.
Lì dentro...”
La voce di Dawlish
s’incrinò. Gideon osservava il pubblico, smarrito,
e
improvvisamente riconobbe Fabian: anche lui lo fissava, con la stessa
vuota disperazione negli occhi, la stessa immobilità
impotente.
“Lì
dentro
c’erano i corpi dei due bambini. I loro occhi erano stati
strappati o bruciati... non sono riuscito a distinguere bene. Intorno
ai colli c’erano segni violacei, come se li avessero
soffocati
lentamente con un incantesimo. C’era sangue per terra,
dappertutto. Non... non ho avuto la forza di guardare più di
così.”
Gideon continuava
ad osservare
la platea. Alcune persone piangevano, incapaci di trattenere le
lacrime. Fabian fece una specie di cenno col capo. Gideon
pregò
che significasse che l’aveva perdonato, che non
l’avrebbe
lasciato solo. Non aveva la forza di stare solo in un momento come
quello.
La cosa peggiore di
tutte,
pensò Gideon mentre Dawlish scendeva dal banco per tornare
al
suo posto, era che i Mangiamorte non avevano lasciato a nessuno un solo
briciolo di dignità, neppure dopo averli uccisi. No, era
troppo
allettante la prospettiva di martoriare ed umiliare dei corpi indifesi.
Nel corso di tutti quegli anni a servizio dell’Ordine, Gideon
era
stato costretto ad uccidere un suo avversario più di una
volta,
ma mai aveva provato l’impulso di infierire barbaramente su
un
cadavere, o di osservare la vita scivolare via da un essere umano con
più lentezza possibile.
Checché
ne dicessero
tutti, la colpa non era interamente di Voldemort. Lui si era
semplicemente fatto portavoce ed interprete di bieche tendenze e di
crudeli impulsi che già facevano parte della natura di
alcuni
uomini. Aveva raggruppato un vasto numero di pazzi e assassini sotto il
suo comando, ma molti di loro erano entrati nelle sue fila solamente
per guadagnarsi il diritto di uccidere nel nome di qualcuno, fornendo
così una giustificazione per il loro desiderio di violenza.
Ancor più sconvolgente dell’omicidio di Marlene e
della
sua famiglia, secondo Gideon, era il fatto che simili impulsi
esistessero
e che alcuni esseri umani dessero loro sfogo, senza alcun
rimorso di coscienza.
12
Giugno
1980
Durante quel minuto e mezzo in
cui Gideon rimase incosciente, Marlene si sentì male quasi
come
durante il parto. I suoi tempestivi sforzi per rianimarlo sembravano
non funzionare affatto, nonostante fosse sicura di non aver sbagliato
nulla. Provò altre manovre e altri incantesimi, ma lui
sembrava
non volersi assolutamente svegliare.
Si costrinse a non
pensare che
Gideon Prewett era un idiota. Un idiota che aveva notato i Mangiamorte
entrare nel locale e aveva deciso di agire da solo. Un idiota che aveva
pensato di poterne fronteggiare quattro senza farsi dare una mano da
nessuno, finché non ne era arrivato un quinto alle sue
spalle. A
quel punto, quando il suo corpo esanime aveva toccato terra, Marlene
era riuscita ad intervenire. Prima aveva dovuto eseguire un Sortilegio
Scudo abbastanza forte da far capire alla gente del locale che doveva
scappare verso l’uscita sul retro. Aveva chiamato
immediatamente
gli altri membri dell’Ordine disponibili, che stavano pronti
al
quartier generale in attesa di un loro segnale. Solo a quel punto era
riuscita a trascinare fuori Gideon, ma fino all’ultimo
secondo
tremò al pensiero di essersi mossa troppo tardi.
Poi, lentamente, il
suo polso
ricominciò a farsi sentire. Il viso riprese colore, le vie
aeree
tornarono pervie e il suo corpo rigido si sciolse dalla Maledizione.
Gli posò
un orecchio sul torace, per sentire il cuore.
Lui probabilmente
riprese
coscienza in quel momento, perché d’istinto
tentò
di risollevarsi e strinse le braccia intorno a lei di colpo, senza
lasciarle il tempo di reagire. Una mano risalì lungo la nuca
e
s’infilò fra i suoi capelli. Marlene si
sentì a
disagio: non voleva che qualcuno li vedesse così.
Sollevò
rapidamente da terra il corpo di Gideon con un incantesimo e si
Smaterializzò insieme a lui, fino alla porta di casa sua.
Entrò
con lui in un
ambiente piccolo ma piacevole, decorato come la stanza di un
adolescente. Possedeva qualsiasi tipo di giradischi esistente, da
quelli magici a quelli Babbani. La stanza d’ingresso aveva
tre
pareti ricoperte da una gigantesca libreria, i cui scaffali cambiavano
di posto ogni due ore, scendendo, salendo, dividendosi a
metà o
richiudendosi su se stessi. Marlene sapeva che era un regalo del padre,
un dono prezioso che perfino Hogwarts gli avrebbe invidiato.
Percorse il
corridoio con passo
incerto, non sentendosi pienamente autorizzata ad invadere un ambiente
non suo. Depositò Gideon sul letto di camera sua, osservando
con
curiosità le pareti tappezzate di poster animati, alternati
ad
alcune fotografie; in una di queste riconobbe lui e Fabian, insieme ad
una terza persona. Doveva trattarsi di Molly, la sorella maggiore:
Marlene non l’aveva mai incontrata, ma il colore dei capelli
la
rendeva facilmente identificabile.
Tornò a
gettare un’occhiata a Gideon, che si stava lamentando come se
fosse in punto di morte.
“Che ti
succede?” domandò lei, non riuscendo a capire se
dovesse allarmarsi o meno.
“Ti stavi
già
disinteressando di me,” bofonchiò lui,
allungandole un
colpetto stizzito sul braccio. “Non ti dimenticare che sono
stato
gravemente colpito.”
Marlene
alzò gli occhi al
soffitto e scosse la testa. Il fatto che riuscisse a muoversi e a
parlare senza problemi costituiva un indizio molto forte di
un’ormai completa restitutio ad integrum¹ delle sue
funzioni
vitali.
“Mi hai
davvero salvato da
quei Mangiamorte cattivi? Wow, allora è vero che non sei
tanto
male per essere una ragazza.”
“Se non
sbaglio questo me l’hai già detto un po’
di tempo fa.”
“Hai
ragione. Ma ho
confermato quell’impressione. Tu, invece, non ti sei
ricreduta
sul fatto che io sia
poco intelligente?”
“Assolutamente
no.”
Il sorrisetto
storto che lui le
rivolse subito dopo aver pronunciato quella frase le causò
un
improvviso ed inspiegabile brivido. La stessa sensazione di sbagliato
che aveva avvertito quando erano ancora al locale la mise di nuovo in
allerta, ma lei stessa non riusciva a capire. In allerta da cosa?
Si sentiva strana.
Era abituata
a ragionare freddamente e secondo logica, ma quell’improvvisa
situazione d’emergenza l’aveva scombussolata. Non
era da
lei: in ospedale era in grado di controllare e gestire bene ogni
situazione, aveva sempre saputo di essere portata per quel lavoro. Si
rese conto che forse poco prima, con Gideon, si era lasciata coinvolgere
troppo. L’idea che la Maledizione non fosse reversibile
l’aveva gettata nel panico, un panico che di solito non
provava.
Si disse che doveva
andarsene da lì, subito dopo essersi accertata che Gideon
fosse in grado di badare a se stesso.
“Pensi di
stare bene adesso?”
“No.”
“Qual
è il problema? Riesci a muovere bene tutti gli arti? Hai la
vista offuscata?”
Gideon si
tirò su a sedere, avvicinandosi leggermente.
“Niente
di questo
genere... ma oggi c’è stata troppa tensione.
Dovrei
sciogliermi un po’. Anche tu dovresti.”
Quando lui
cominciò a
massaggiarle il collo con apparente noncuranza, Marlene si
irrigidì di colpo. Non riuscì a domandarsi niente
se non
che diavolo stesse facendo. Non si mosse. Magari non significava nulla
e mettersi a urlare sarebbe stato fuori luogo; era abituata ad essere
toccata da lui, ormai. Aveva imparato che lo faceva senza malizia, che
era il suo modo di stare a contatto con la gente e, nonostante non
fosse un comportamento in linea con la sua indole, aveva imparato ad
accettarlo.
Dopo una trentina
di secondi,
però, le mani scesero lungo la schiena e i fianchi e furono
sostituite dalla bocca. Non riusciva a vederlo in faccia e quindi non
era in grado di capire a che gioco stesse giocando. Avrebbe dovuto
ribellarsi, si stava prendendo troppe libertà. A che scopo
poi?
Lei non gli piaceva. Le parlava di altre donne, la calcolava solo
perché avevano degli interessi in comune. L’aveva
portata
nell’Ordine unicamente perché sarebbe stata utile
come
Medimago. C’era sempre un secondo fine, ma stavolta non
riusciva
a comprendere quale fosse. Il momento d’indecisione
passò
e Marlene non riuscì a fermarlo; si accorse di avere tutti i
muscoli del collo in tensione mentre lui ci passava sopra la lingua,
arrivando fino al lobo dell’orecchio. I battiti aumentavano
in
fretta e così il suo desiderio di contatto, un desiderio
anomalo, istintivo, incontrollabile. Non disse una parola quando Gideon
iniziò a spogliarla. Solo alla fine si voltò per
baciarlo, a lungo e profondamente; lui ne rimase quasi sorpreso e
sembrò fermarsi momentaneamente, perciò fu lei a
spingerlo sul letto, per non concedersi la possibilità di
mettersi a pensare con coerenza.
¹
termine usato in medicina, sta ad indicare il completo recupero delle
funzionalità di un distretto corporeo o
dell’organismo nel
suo insieme; dato che in questa storia Marlene è un
Medimago,
non mi dispiaceva l’idea di utilizzare per i suoi pensieri
espressioni tipiche di quell’ambito.
13
Settembre
1981
“Verrà ora eseguito
l’Incantesimo Reversus sulle bacchette dei due imputati, il
signor Jude Travers e il signor Stuart Gibbon.”
Le due bacchette
vennero
consegnate all’esaminatore da un impettito Bartemius Crouch,
presente al processo in qualità di presidente della giuria.
Gideon si voltò verso sinistra, cercando Fabian con lo
sguardo:
avrebbe dovuto ringraziarlo, dato che era stato lui a disarmare Travers.
Il giudice, dopo
aver ricevuto
le bacchette, si rimboccò le maniche con calma e
solennità. Un silenzio quasi improvviso calò su
tutto il
tribunale, mettendo a tacere perfino i più ostinati. Quella
era
la prova cruciale per dimostrare la colpevolezza dei due Mangiamorte: a
Gideon sembrava assurdo aver dovuto perdere tanto tempo in
rallentamenti puramente burocratici. Neppure Gibbon l’avrebbe
fatta franca, nonostante avesse cercato di salvarsi con la carta della
Maledizione Imperius e nonostante Travers non avesse dichiarato la sua
complicità. La giuria non poteva dimostrarsi tanto ingenua:
era
un trucco ormai abusato in casi come quello.
Quando il giudice
pronunciò la formula, Gideon si stava sforzando di non
pensare;
venne dunque colto totalmente impreparato da ciò che gli
apparve
davanti agli occhi.
Prior
Incantatio.
Ci furono scintille
e diversi
boati, ma i primi ad apparire furono gli spettri, accompagnati da urla
agghiaccianti. Le luci si spensero di colpo. Marlene uscì
dalla
bacchetta di Travers, in sottofondo le grida di protesta di Gibbon, che
ricordava all’altro che Voldemort la voleva viva. In seguito
apparvero i due bambini: prima il maschio, il più piccolo,
poi
la femmina. Intorno ai loro colli semitrasparenti persistevano quei
segni bluastri che Gideon aveva visto con i suoi occhi sui loro
cadaveri: un incantesimo li aveva soffocati, uccidendoli lentamente. Se
li erano spartiti, uno per ciascuno. Poi comparve il padre,
quell’uomo che probabilmente avrebbe ammazzato Gideon a mani
nude
se fosse sopravvissuto. Perché prima o poi
l’avrebbe
scoperto: Marlene non era una persona capace di mentire a lungo, anche
se non aveva mai avuto alcuna intenzione di distruggere il suo
matrimonio per il bene dei bambini. La nonna fu l’ultima;
l’aveva ammazzata Gibbon, senza pietà.
Per la prima volta
in vita sua,
Gideon pensò a quanto l’uso della magia potesse
essere
grottesco. In quel momento stava osservando quattro persone morte,
mutilate e torturate fino al loro ultimo respiro, e quei fantasmi a
loro volta lo fissavano con sguardo vitreo, spento, assente. Eppure,
rivedere un loro barlume d’immagine fluttuare davanti a
sé
provocava l’inevitabile desiderio di sporgersi per
afferrarli,
per poterli toccare un’ultima volta. Tutti i presenti si
aspettavano che parlassero, che pronunciassero qualche frase solenne di
condanna o di assoluzione, ma nessuno di loro disse una parola: erano
solo ombre, evocate artificialmente da un incantesimo, e come tali
sarebbero svanite di lì a poco.
Ai piedi di Marlene
si allargava
lentamente una pozza di sangue, la stessa in cui l’avevano
ritrovata i due fratelli Prewett. Gideon si fece forza e smise di
guardare.
14
Luglio
1981
Quella notte, Marlene era stata
davvero fin troppo scontrosa. Aveva fatto la difficile,
l’aveva
morso e graffiato durante il rapporto e aveva reagito con astio quando
lui, per sdrammatizzare un po’ la situazione, aveva risposto
assestandole una sculacciata; a quel punto, Gideon si era rotto le
scatole. Non l’aveva certo obbligata a venire da lui, se
proprio
non ne aveva voglia.
La
osservò mezzo
imbronciato mentre si rivestiva dandogli le spalle. Ancora adesso se ne
stupiva ma, per quanto incredibile potesse sembrare, Marlene era
davvero il
suo ideale di donna. Fisicamente non troppo appariscente
– si nascondeva bene dietro la lunga frangia e gli occhiali
squadrati – ma con un’ottima testa, e un corpo
gradevole.
Peccato fosse così difficile da avvicinare sul serio, con
quell’atteggiamento chiuso e quel carattere così
facile
all’ira.
“Non
volevo
offenderti,” le disse, cercando di fare ammenda con un tono
non
troppo solenne. Lei si strinse nelle spalle con aria fredda.
“Non
c’è
bisogno che ti preoccupi troppo,” rispose, in maniera
evidentemente sarcastica. Perfino uno scemo se ne sarebbe accorto.
Gideon si girò dall’altra parte e cercò
di non
cogliere la provocazione, ma alla fine non ce la fece.
“Qual
è il
problema, ti scatta il coprifuoco?” replicò, in
tono
altrettanto sferzante. Lei gli rivolse un’occhiata rabbiosa,
subito dopo aver finito di rivestirsi.
“Forse il
problema
è che la gente intorno a te ha una vita molto peggiore della
tua, ma il pensiero non ti sfiora nemmeno per sogno. Non sei tu che
devi tornare a casa da gente che ti odia perché non ci sei
mai,
perché hai scelto di combattere una guerra giusta e di fare
qualcosa per gli altri, anche se questo viene semplicemente
interpretato come un segno di egoismo e di indifferenza. Non sei tu che
tutte le sere devi sopportare gli attacchi di tuo marito e tua suocera
e poi dipingerti un sorriso in faccia per andare a mettere a letto i
tuoi figli, che sicuramente avranno sentito tutto. Perciò
grazie, ma della tua mancanza di comprensione non me ne faccio
nulla.”
Gideon rimase senza
parole per
alcuni secondi. Di certo non aveva previsto di scatenare una reazione
simile. Marlene non aveva mai parlato con lui dei suoi problemi a casa,
perciò non le aveva mai chiesto nulla per non invadere la
sua
sfera privata. Ovviamente lei aveva rigirato tutto, giusto per poterlo
accusare di qualcosa.
“Non puoi
svegliarti
adesso a cominciare con le confidenze, tesoro,” le rispose
quindi, in tono assolutamente non conciliatorio. Odiava quando le donne
decidevano di voler litigare e finivano per trovare a tutti i costi il
modo per farlo, anche il più stupido ed insulso possibile.
Era
un atteggiamento infantile e lui non aveva alcuna intenzione di darle
corda. In fondo era vero: non era affar suo se suo marito era un fedele
del Ministero, che non vedeva di buon occhio le iniziative indipendenti
e non ufficializzate di Albus Silente, organizzate senza il consenso
degli Auror o di chiunque altro. Inoltre, grazie al cielo non aveva
figli, perciò poteva evitare di pensare a cosa significasse
dover combattere contro una madre spesso assente e dover giustificare
il tutto agli occhi di due bambini di sei e quattro anni.
Marlene non si era
mai aperta con lui, perciò non era suo dovere fare nessun
tipo di sforzo per cercare di capirla.
“Ci
vediamo,” disse lei, prima di aprire la porta.
“Nemmeno
un bacio?”
ironizzò Gideon. Sapeva di aver pronunciato una frase fuori
luogo, ma non fece altro che compiacersene. Lei uscì senza
voltarsi.
15
Settembre
1981
“Un nucleo familiare completamente estinto. Non
rimarrà più nulla del loro cognome.”
“Certo,
stragi come queste
ce ne sono tante... sono stati fortunati stavolta, ad aver preso i
colpevoli... ma sai quante volte non succede.”
“Lo so,
lo so. Pare che li abbiano presi gli Auror. Per una volta sono riusciti
a fare il loro dovere.”
“Perché
questo sarcasmo? Il loro lavoro lo sanno fare. Sai quanti ci rimettono
la pelle?”
“In
questo caso
però si trattava di un’importante famiglia
Purosangue,
infatti si sono mossi subito. Sarà solo una
coincidenza?”
Gideon
passò a fianco ai
giornalisti raggruppati fuori dal tribunale, sentendosi pieno di rabbia
per i loro pettegolezzi e i loro discorsi fuori luogo. Qualcuno aveva
persino pubblicato su una delle minori testate le foto dei cadaveri,
una cosa totalmente priva di umanità e di rispetto. Avrebbe
voluto intromettersi, urlare loro che un cognome non aveva nessuna
importanza. Tutto ciò per cui lui continuava a provare quel
senso di vuoto e quel desiderio di morire era il fatto che Marlene non
ci fosse più. Che la loro relazione fosse andata
così
male. Che l’avesse lasciata andare giusto in tempo per
trovarsi
davanti agli occhi i corpi straziati dei suoi figli.
Non si erano mai
scambiati
grandi gesti d’affetto. Andare a letto insieme era una
faccenda
puramente meccanica. Non c’era mai stato niente di
particolare
fra loro, soltanto rabbia: rabbia da parte di Marlene perché
la
sua vita faceva così schifo, perché nonostante
avesse
tutto o quasi non riusciva ad essere felice e doveva ricorrere a lui
per cercare conforto. Rabbia da parte di Gideon perché
l’unica donna che avesse mai trovato come davvero la voleva
era
sposata.
In un anno di
appuntamenti
saltuari, sicuramente non aveva avuto il tempo per conoscerla a fondo.
Lei gli lasciava intravedere ben poco, da sotto quella sua spessa
coperta di diffidenza e scontrosità. La
complicità
profonda che a poco a poco si era venuta a creare riguardava soltanto
il lato fisico del loro rapporto: Gideon aveva imparato cosa le
piaceva, ma non cosa la rendeva felice. Probabilmente perché
non
si era mai sforzato abbastanza, o forse perché lei era morta
troppo presto.
Nonostante tutto,
Marlene non
gli era mai appartenuta. C’era sempre qualcun altro da cui
doveva
tornare di corsa, dopo essere fuggita dalla sua camera. Lui non aveva
idea di cosa significasse avere una famiglia propria, né
aveva
mai lasciato intendere di volerlo sapere. Non si era preoccupato di
informarla del fatto che non andava più a letto con altre
donne:
lei credeva il contrario e lui non aveva mai smentito, per non
complicare la vita ad entrambi. Il fatto che lei lo ritenesse un uomo
di quel genere non la metteva nella posizione di doversi chiedere se
non fosse meglio abbandonare tutto per fuggire con lui.
La loro era stata
una triste e
squallida serie di scappatelle, nulla di più. Aveva trovato
l’occasione di una vita e non aveva saputo sfruttarla,
preferendo
lasciare le cose come stavano. Si era comportato da vigliacco e non
aveva mai mosso un dito per portarla verso di sé.
Non gli sarebbe mai
capitata una seconda opportunità. La morte di Marlene aveva
inesorabilmente segnato la fine di tutto.
Con questa
consapevolezza che
gli pesava sul cuore, era uscito dall’aula proprio quando era
stato annunciato, di lì a qualche momento, il rientro della
giuria. Si era reso conto che la sentenza perdeva quasi tutta la sua
importanza di fronte al fatto che Marlene non sarebbe stata
lì
ad ascoltarla. Nessuno l’avrebbe risarcita per la sua
infelicità, né per l’orrore che i suoi
occhi
avevano dovuto vedere quella notte; nessuno avrebbe risarcito lui per
essere stato testimone di uno spettacolo così tragico e
raccapricciante, senza aver potuto fare niente per evitarlo. Azkaban
non era una punizione sufficiente per i due Mangiamorte, come non lo
era per nessuno di coloro che agivano in maniera simile.
Tuttavia,
probabilmente per
Marlene era più facile, ora. Non doveva più
preoccuparsi
di tante cose. Chi restava, invece, pagava le conseguenze della
perdita, dei rimpianti, delle ingiustizie. Gideon aveva finito per
sobbarcarsi di un fardello non suo, perché la famiglia di
Marlene non era mai stata la sua
famiglia. Lui neppure conosceva i suoi
figli. Eppure si era sentito in dovere di lottare ancora per lei,
avendo comunque la consapevolezza che un’eventuale vittoria
non
gli avrebbe restituito niente in cambio dei suoi sforzi.
Sopraffatto da
quelle sensazioni
di frustrante impotenza, aveva deciso di non rimanere. Era uscito in
fretta e aveva misurato la bianca scalinata che portava
all’ingresso del tribunale con passi lenti e distratti. Non
si
accorse di quando la gente cominciò a varcare le porte per
compiere il suo stesso percorso, finché non si
sentì
appoggiare delicatamente una mano sulla spalla.
Si voltò
e si
trovò di fronte Fabian. Aveva i suoi stessi occhi castano
liquido e i suoi stessi capelli, rossi e ricci, ma le somiglianze fra
loro finivano lì. Il suo fratellino aveva un sorriso solenne
ed
austero, capace di renderlo rispettabile agli occhi di tutti, che mai
Gideon sarebbe riuscito ad eguagliare. Fu proprio con quel debole
sorriso che gli restituì lo sguardo.
“È
fatta,”
gli disse. Gideon rimase lì a fissarlo, titubante,
chiedendosi
cosa Fabian pensasse ora di lui. Suo fratello sembrò
intuirlo e
abbassò lo sguardo, tentando di celare il fatto che gli
occhi
gli si fossero fatti improvvisamente lucidi.
“Anch’io
le volevo bene,” mormorò. “Di sicuro non
quanto te, ma...”
Gideon non lo
lasciò
finire e lo abbracciò forte. Fabian all’inizio
reagì con sorpresa immobilità, ma poi cedette. Il
vuoto
nel cuore del fratello maggiore si fece improvvisamente meno pesante,
perciò capì che non c’era bisogno di
aggiungere
altro, almeno per il momento.
Fissò il
portone
d’ingresso del tribunale per diversi minuti, sperando di
poter
vedere il fantasma di Marlene, evocato in precedenza
dall’incantesimo, uscire insieme alla folla per lasciare
definitivamente il mondo terreno. Si crogiolò
nell’idea
che si sarebbe fermata per rivolgergli un saluto, per fare
ciò
che non aveva fatto quella sera e concedergli così una sorta
di
assoluzione dalle sue colpe. Perché Gideon sapeva di essere
colpevole: per averla indotta a tradire suo marito, per averla
allontanata dalla sua famiglia, per averla spinta verso la morte senza
essere riuscito a fermarla in tempo.
L’immagine
di lei che gli
si avvicinava per sfiorargli la guancia con un’ultima carezza
si
costruì così vividamente nella sua fantasia che,
per
qualche secondo, fu tentato di giurare che fosse successo davvero.
“Dai,
andiamo via di
qui,” gli disse a un certo punto Fabian, risvegliandolo da
quella
specie di sogno ad occhi aperti. Dopo qualche attimo di incerta
esitazione, Gideon si voltò e lo seguì.
*fine*
Nota conclusiva: se siete riusciti ad
arrivare fino in fondo non ho molto altro da aggiungere, se non una
piccola
spiegazione sul finale: non me la sentivo di dare un senso di
positività a questa storia. Volevo che esprimesse pura
disperazione, nel senso letterale di mancanza di speranza: la morte non
dà la possibilità a Marlene di tornare indietro,
né a Gideon di sistemare le cose. È definitiva,
brutale,
e per questo la loro storia finisce qui. Il fatto che magari resti un
certo senso di incompletezza è voluto, vorrei che
all’ultima riga chi legge si chiedesse “ma davvero
è
finita così?” e poi, riflettendoci, pensasse
“sì, in effetti è più
realistico”.
Perché nella maggior parte dei casi non
c’è una
seconda possibilità per sistemare le cose, e soprattutto
dalla
morte non si torna indietro, nemmeno per i maghi. Mi rendo conto che
sia un finale “da tagliarsi le vene”, ma era
così
che volevo che fosse.
Fine delle
noiosissime e
lunghissime spiegazioni XD se per caso aveste trovato questa storia
piacevole e voleste farmelo sapere, ovviamente ne sarò lieta.
Alla prossima!
S.
Edit (22/12/11): sono giunti i risultati del "Phoenix Order Contest", a cui la storia si è classificata prima con mio sommo stupore. Aggiungo qui il bellissimo giudizio ricevuto. Grammatica e sintassi: 9/10
Stile e Lessico: 10/10
Originalità: 10/10
Caratterizzazione del personaggio: 15/15
Uso dell’incantesimo: 5/5
Gradimento Personale: 10/10
Per un totale di: 59/60
L’unica minuscola pecca in tutto il tuo scritto è stata la grammatica. Anzi, a dire il vero, l’unico errore di grammatica è stato un verbo sbagliato, mentre per il resto gli errori sono di punteggiatura. Ogni tanto, infatti, alla fine di un dialogo hai messo la virgola e non il punto, anche se il dialogo era finito e prima di alcune “e” hai posizionato una virgola che non andava. So che sono piccolezze, ma avendole trovate più di una volta nel testo ho voluto segnalarle. Credimi…mi dispiace davvero, ma ho ritenuto giusto farlo dato che ho segnato questi errori anche ad altri.
Credo che sullo stile non ci sia proprio nulla da dire. È bellissimo leggere un testo scritto così! Il lessico è accurato, dettagliato, preciso; le frasi sono ben costruite, non troppo lunghe, ma nemmeno troppo brevi; la storia si legge in modo fluido e scorrevole. Ti invidio moltissimo per questa tua caratteristica: è uno stile davvero da 10!!
L’idea del processo, l’intera storia costruita così bene e in modo così coerente è qualcosa di assolutamente unico. Le cose da dire sarebbero altre mille, ma aggiungo solo che la scelta del titolo è il fiore all’occhiello. Dice tutto. Anche se non ho mai visto il film di cui parli, l’ho trovato azzeccatissimo. Ultimissima cosa: l’invenzione del nome della pozione, o del gruppo amato da Marlene e Gideon (le scope volanti) sono piccoli accorgimenti che rendono la storia ancora più originale e unica.
Ho cercato su internet qualche informazione sui fratelli Prewett e Marlene, qualcosa di diverso dalle idee che avevo io di loro. Ma non c’è praticamente niente.
Parto col dire che io avevo sempre immaginato come coppia Marlene/Sirius, anche se, come hai detto giustamente tu, poco probabilmente avevano uno stretto rapporto.
Quindi ho accettato questa Marlene/Gideon per ciò che era e l’ho letta senza neanche pensare a Sirius. Però, alla fine, i due personaggi mi sono sembrati simili nel carattere, non perché io sia fissata (ripeto non pensavo neanche a Sirius), ma perché entrambi sono un po’ arroganti, sfrontati, cascamorti…si forse sono solo queste le loro analogie, però volevo chiederti: per caso ti sei leggermente ispirata a Sirius, mentre scrivevi di Gideon?
Bene, dopo questa enorme digressione, torno alla caratterizzazione: non si sa praticamente nulla di Gideon…tu hai creato un personaggio praticamente da zero e mi hai molto stupito. È perfettamente credibile e reale. Forse, essendo il fratello di Molly, me lo sarei aspettato un po’ più … scanzonato. Però lo hai reso…unico. Il fatto che al contempo sia attento a Marlene, la ritiene la sua donna ideale, e la tratti, però, anche in modo superficiale (non cerca di sapere di più su di lui), lo rendono , ai miei occhi, davvero speciale e umano. Potrei stare qui ore, ma è meglio che tagli: sei riuscita a creare un personaggio che da un lato mi attira e dall’altro mi respinge…o meglio sono io che in qualche modo lo respingo…non è il mio “personaggio ideale”, è menefreghista, a volte troppo superficiale…ma è umano. È davvero…lui(anche se non abbiamo neanche una minima descrizione di Gideon)!
L’incantesimo in sé è piuttosto particolare, ma nonostante questo quasi si perde tra la moltitudine di avvenimenti e la carica di emozioni che traspaiono- quasi urlano- da questa storia. Eppure colpisce. La tensione legata al processo, al momento decisivo di esso, viene squarciato da quelle poche parole: “Prior Incantatio”. E mentre vengono descritti i componenti della famiglia che escono dalla bacchetta, riappaiono nella mente le immagini descritte poche prima da Dawlish… io ho provato solo un’immensa tristezza. Sono persone spezzate. Nel corpo e nello spirito. Ci si aspetta un’ultima parola, un ultimo sguardo, ma non c’è nulla. Si sente solo l’orrore e la disperazione, riempiono quel vuoto e ti lasciano distrutto. Forse ho un po’ divagato, ma ho trovato giusto cercare di descrivere l’effetto di quell’incantesimo che si è riversato anche su di me!
Sono senza parole. Non ho mai trovato una storia che mi colpisse così tanto. In ogni senso: i temi che hai trattato, non proprio leggeri; il tuo stile, così dettagliato e chiaro; il lessico preciso e appropriato, la tua precisione cronologica, lo spessore dei personaggi descritti…insomma tutto. Mi hai lasciato senza fiato. Io generalmente non apprezzo storie troppo crude, ma questa non era solo questo… era così piena. So che è davvero una cosa banale continuare a dire:” mi hai stupito”, ma non riesco a dire nient’altro. Il mio cervello è completamente resettato. Ti ammiro davvero molto per questa storia. È fuori da tutti gli schemi, è completa, è davvero qualcosa che colpisce.
Grazie di cuore per aver partecipato. Se non l’avessi fatto mi sarei persa questa storia.
Cavolo…mi viene quasi da piangere…devo riprendermi!
Complimenti, complimenti, complimenti!
Edit
13/01/12: arrivati anche i giudizi del contest "Scegli una coppia e
vinci un pacchetto!" di Chu, al quale la storia si è
classificata prima, vincendo anche il premio speciale "miglior utilizzo
del dialogo". Sono emozionatissima, per questo credo che mi
limiterò a tacere e a lasciare spazio al giudizio XD
Proprietà
linguistica e Stile: 9,5/10
Innanzitutto ti
faccio i complimenti: in un testo così lungo ho trovato ben
pochi errori e questo vuol dire che ne hai avuta moltissima cura.
Purtroppo, però, alcuni errorini ci sono e dunque te la
faccio subito notare:
•
il primo: si augurò di non sognare nulla che possa
risvegliare il suo senso di colpa dove al posto di
“possa” (riferito al presente) ci va
“potesse” (passato). Fai un errore simile qualche
pagina più avanti: si era sentito improvvisamente come se
avesse la coda di paglia dove sarebbe più corretto scrivere
come se avesse avuto la coda di paglia.
•
Non esagerare, sono un prefetto dove “Prefetto” va
scritto in maiuscolo.
•
Un utilizzo scorretto di aggettivi e avverbi temporali: la battaglia
della scorsa notte, Si rese conto che forse poco fa andrebbero bene in
un testo scritto al presente, ma il tuo è scritto al passato
remoto e questo implica che “la scorsa notte”
diventi “la notte prima” e il “poco
fa” diventi “poco prima”, proprio
perché le formule da te scelte indicano una vicinanza
temporale più immediata con il tempo del racconto.
•
Ho notato un vizio un po’ fastidioso, ovvero
l’utilizzo della virgola subito dopo espressioni come
“tuttavia”, “ad ogni modo”,
“eppure” ed altre congiunzioni e avverbi simili. Di
per sé non sarebbe una scelta sbagliata, ma nel tuo testo ho
trovato questa costruzione appena dopo un punto, o un punto e virgola,
o in generale dopo una pausa molto lunga. Un esempio: quella smistata a
Grifondoro ai tempi di Hogwarts non era stata certo lei.
Perciò, non rientrava nei suoi obblighi morali. La virgola
subito dopo il “perciò” rappresenta una
pausa che rallenta la lettura; ma abbiamo già avuto una
pausa – anche piuttosto consistente – appena prima
di quel “perciò”. In definitiva la
presenza di quella virgola rallenta eccessivamente la lettura, mettendo
in evidenza più l’avverbio/congiunzione che la
frase che segue. All’inizio, in effetti, non ci avevo nemmeno
badato, ma a lungo andare la lettura si fa un po’ zoppicante
ed è un vero peccato.
A parte queste
piccole sottigliezze, la lettura di questa storia è stata
molto fluida, nonostante la lunghezza; ho apprezzato molto le tue
scelte lessicali, molto semplici, sì, ma mai banali, che
danno vita ad uno stile estremamente gradevole e personale. Complimenti!
Caratterizzazione
dei personaggi: 10/10
Partiamo dal
presupposto che praticamente stiamo parlando di personaggi originali,
eppure, la difficoltà nella caratterizzazione non cessa
d’esistere: il rischio è sempre quello di cadere
in personaggi piatti o che sono repliche e riproposizioni di altri
personaggi.
Va bene, dopo tutta
la pappardella iniziale, rilassati e torna a respirare: non
è questo il caso. I personaggi sono tridimensionali,
vibranti di vita propria, con caratteri e imperfezioni che li rendono
pienamente umani.
Partiamo con il
dire quanto abbia amato e odiato Marlene: una donna decisa, poco
propensa alle smancerie, eppure una mamma perfetta, dolce, premurosa e
protettiva (già solo il fatto che sia restia a dire i loro
nomi a Gideon, mi dà l’idea di una donna che vuole
proteggere quel bozzolo di tenerezza che si crea solo con i suoi
figli); eppure l’ho odiata, alcune volte, per il costante
trattar male Gideon.
Penso che dal suo
punto di vista la loro sia davvero l’incarnazione di una
relazione solo sessuale: cede a lui solo quando sono al letto, ma
nemmeno, gli tiene sempre testa.
E poi
c’è Gideon, il perfetto marpione, dalle conquiste
facili e che pure, per una serie di situazioni e anche
un’evidente attrazione nei confronti di Marlene, si trova
sempre a fronteggiare una donna diversa dalle altre. Ma più
di questo, ciò che mi ha colpito di Gideon è la
rabbia che ha per tutta la durata del processo: la rabbia per la sua
impotenza, per non poter bisbigliare i suoi insulti a Fabian, per
tutto. Mi è piaciuto il suo modo scanzonato di fare, invece,
nei ricordi: quasi ad ogni incontro con questo personaggio non ho
potuto fare a meno di sorridere per i suoi modi di fare. Gli scambi di
battute fra lui e Marlene davano sempre vita a dei battibecchi molto
vivaci, o a scambi di frecciatine più o meno divertenti a
seconda della situazione. I tentativi costanti di Gideon di
sdrammatizzare mi hanno sempre colpita moltissimo.
In più,
voglio aggiungere due parole sui personaggi di contorno: in primis,
Fabian, nel suo sembrare distante e soprattutto nel suo essere
estremamente giudicante nei confronti del fratello, e poi i due
Mangiamorte, due personalità così diverse e
così verosimili all’interno di una storia del
genere.
Molto ben riusciti,
complimenti.
Inserimento
dei prompt: 9,8/10
Non male
l’inserimento della stringa di dialogo nella storia; di primo
acchito sembrerebbe che la sua presenza si limiti a quello scambio di
battute sul campo da Quidditch, ma devo dire che invece quello scambio
fa un po’ da sottofondo a tutte le interazione fra Gideon e
Marlene, lui che continua a trovarla interessante, una sorpresa
continua e lei che continua invece a trovarlo sciocco e presuntuoso.
Gli unici momenti in cui la presenza del prompt di fa meno forte sono
le parti relative al processo: un po’ inevitabile,
probabilmente, ma è giusto per cercare il pelo
nell’uovo ;)
Originalità:
10/10
Pienamente
originale. Non penso esistano altre storie che affrontano allo stesso
modo una relazione extraconiugale, senza sentimentalismi e patetismi,
ma con un grado di verosimiglianza molto alto. In più ci
sono da aggiungere la presenza di un processo molto ben gestito da
parte tua, e la spiegazione della morte dei McKinnon, così
approfondita e chiara. Un altro punteggio pieno!
Trama
e svolgimento: 10/10
Ottimi entrambi: la
trama di per sé non è eccessivamente complessa,
ma è sicuramente piena di eventi. Talmente piena che sarebbe
stato facile cadere nella confusione; di nuovo, non è
successo, perché sei riuscita a tenere benissimo la trama, a
condurla in maniera intellegibile e a modo suo lineare: le parti
riguardanti il processo si intersecano alla perfezione con le parti
riguardanti i ricordi, flashback continui che ci aiutano ad entrare
meglio nella trama, nella psicologia dei personaggi,
nell’atmosfera di determinate situazioni.
Gradimento
personale: 4,9/5
Wow. È
tutto quello che avrei da dire, perché la tua storia mi ha
tenuta incollata allo schermo nonostante la lunghezza; ma mi rendo
conto che non posso permettermi una cosa del genere in quanto giudice e
dunque…
La cosa che
più mi ha colpito e che mi ha dato qualche momento di
“confusione” la prima volta che l’ho
letta è il modo in cui gli eventi sembrano trattati con una
certa freddezza, con una specie di distacco emotivo; inizialmente ho
trovato questa scelta piuttosto strana, anche un po’
destabilizzante e in minima parte mi sembrava che svalutasse la storia.
Poi ci ho pensato ed in effetti devo dire che, nonostante la sensazione
di distacco emotivo persista, essa è perfettamente in linea
con l’idea di un processo: un processo giudiziario non
è fatto di emozioni, ma di fatti trattati con
logicità e dunque una sorta di freddezza. Persiste in me la
sensazione di qualcosa di destabilizzante (ed ecco il perché
dello 0,1 in meno ;P), ma è perfetto per la storia che hai
deciso di raccontare, dunque, ben venga!
Poi ci sono i
personaggi: vivi, tridimensionali, imperfetti, costantemente in lotta
con sé stessi e con quello che provano. È una
storia d’amore, ma i protagonisti sono i primi a negarlo e io
lettrice mi trovo d’accordo con loro: è una storia
d’amore inconsueta, dove forse i protagonisti sono troppo
testardi per ammettere quel che provano. O meglio: i personaggi non
hanno quasi tempo di capirlo, perché la storia finisce
prematuramente con la morte di Marlene.
Sei riuscita a
gestire la situazione perfettamente, senza mai annoiarmi nemmeno per un
momento, perché ero curiosa di andare avanti, curiosa di
sapere come sarebbe finita.
Complimenti, sul
serio.
Totale:
54,2/55
|