L'Assunzione di Rio
Siccome voglio fare una tesina su H.P. Lovecraft, ho deciso di provare
ad immedesimarmi nel personaggio e così è nato questo
racconto.
Secondo gli accurati calcoli dei geologi, la favela di
Rio de Janeiro è salita in altezza di 13 metri, durante l'ultimo
ventennio.
Questa variazione, inspiegabile per gli studiosi, viene
interpretata variamente dalle diverse fasce degli abitanti.
Alcuni
uomini ingenui, credono che pian piano quei caseggiati sordidi si
eleveranno fino al Paradiso Terrestre, dove tutti i peccati commessi
dall'umanità verranno mondati.
Altri, dalla mente più
scientifica, lo attribuiscono allo spostamento di una zolla
continentale sotto il Brasile.
Questa interpretazione spiegherebbe
anche gli imprevedibili terremoti che si sono scatenati negli ultimi
anni, sempre più frequenti.
Altre ipotesi, frutto della
superstizione e della follia, fioriscono ogni settimana, per poi
appassire già in quella successiva.
Padre Carlos, missionario
cattolico a Rio già da alcuni lustri, ha un'idea più
macabra e poco realistica, considerando l'istruzione che gli è
stata impartita.
La favela riceve un afflusso costante di miserabili,
in cerca di chissà quale vita migliore, che alla fine trovavano
solo nuova povertà e disperazione.
La crescita demografica
è tenuta a bada da un semplice elemento, che risolve sempre ogni
problema: la morte.
Omicidi e suicidi, spesso di intere famiglie, sono
all'ordine del giorno, spesso compiuti con la massima crudeltà
immaginabile.
Dunque, col passare del tempo, gli strati di ossa
spezzate e cadaveri sfigurati si sono accumulati nel terreno,
aumentandone il dislivello.
Poco più in alto rispetto a queste
spoglie mortali, il suolo viene calpestato dai piedi dei viventi, la
cui omertà copre il marciume che popola la favela.
La missione
interiore cui si è votato padre Carlos, è di arrestarne
l'empia ascesa di morte.
Introdotto fin da piccolo ad ogni tipo di
scienza, si appassionò soprattutto agli studi filosofici,
antropologici
e geologici.
Il loro rapporto con la cultura umana divenne l'oggetto
principale della curiosità dell'adolescente che, figlio di un
ricco intellettuale, ebbe il sostegno economico e morale del padre.
Terminata l'università, decise di andare a vivere a stretto
contatto con alcune etnie che lo avevano sempre affascinato.
Dopo
qualche mese trascorso tra i saggi tibetani, che sognavano una
città con scale dorate e colonne corinzie ma i cui ricordi
risultavano appannati nella veglia, si cimentò nella vana
ricerca degli ineffabili beduini del Gobi.
Questi individui schivi, si
nascondono nelle tempeste di sabbia e viaggiano avvolti da un copricapo
di seta ocra.
Quando transitano per i villaggi aridi, se vengono
trattati con gentilezza, mormorano una benedizione, una dolce nenia,
che dona per molti mesi prosperità agli abitanti. Nessuno sa
invece che tono abbiano le loro maledizioni, poichè quei
villaggi miserevoli vengono spazzati via da forti venti e scompaiono
dalle mappe, dimenticati da tutti.
Solo i miraggi ingannatori abitano
quelle rovine sabbiose e si divertono nel dare false speranze a chi si
è perso nel rovente deserto.
Le loro gole ormai riarse dalla
sete non possono nemmeno urlare contro il fato beffardo.
Carlos
decise allora si viaggiare assieme agli zingari slavi e
partecipò ai loro rituali segreti.
Danze sfrenate al chiaro di
luna, tamburelli percossi con ritmo delirante e cori di voci profonde o
squillanti avevano allietato a lungo le nottate del futuro padre
missionario.
Sospettava però che lo avessero tenuto all'oscuro
della vera natura del loro culto.
Infatti, verso le due di notte,
l'anziano del gruppo preparava una bevanda densa e calda, dagli
ingredienti sconosciuti solo a lui, che tutti bevevano a turno.
Quando
ne traeva un sorso, anche se scarso, sprofondava sempre in un profondo
sonno incantato, dal quale si svegliava agitato al sorgere del Sole,
senza ricordare nulla degli incubi fatti.
Aveva accantonato tuttavia i
suoi sospetti, poichè non era ne' il primo ne' l'ultimo a bere
il liquido sacro e dunque non potevano averlo alterato in nessun modo,
dato che solo lui, tra tutti, subiva questo effetto particolare.
Alla
fine, accettò la spiegazione dell'anziano: non era ancora pronto
ad affrontare il viaggio con loro.
In ogni caso, deluso dei risvolti
delle sue esperienze, trovò conforto in un sentimento cresciuto
in lui durante quegli anni.
La vocazione giunse inaspettata ma il padre
ne fu contentissimo: un ecclesiastico avrebbe aumentato il prestigio
della famiglia ed il figlio secondogenito, suo prediletto, avrebbe
ereditato il denaro che tanto desiderava.
Carlos, divenuto quindi padre
missionario, decise di recarsi alla favela di Rio de Janeiro nel suo
primo incarico, incuriosito dalla morfologia del luogo, che aveva
studiato a lungo negli anni dell'università.
Affascianto dal
"melting pot" di culture che popolavano la zona, decise di stabilirvisi
permanentemente.
Tra le celebrazioni religiose e le opere umanitarie, padre Carlos si dedica all'analisi delle etnie che incontra ogni giorno
lungo le strade sporche e maleodoranti. Nonostante il suo zelo, non
riesce a catalogare con precisione il caleidoscopio di
dialetti, tradizioni e carnagioni presenti nella favela.
Le
credenze popolari si fondono con le religioni dando vita ad eresie e
blasfemità, che proliferano nell'ignoranza generale.
I terremoti
imprevedibili lo turbano un po', troppo spesso coincidono con feste
pagane di divinità ormai dimenticate e la sua immaginazione
compie voli pindarici, prima che la ragione la fermi.
A volte
nota, gettati a terra negli angoli ombrosi, idoli adorati dalle
tribù sciamaniste dell'oriente o con le fattezze del dio-scimmia
africano.
Nello sciamare frenetico dei vari popoli, dediti alle loro
attività, prevalentemente illegali, il missionario scorge degli
individui strani.
La vista di essi lo disturba profondamente; ostentano
tranquillità e freddezza in quella discarica umana.
Non è
ancora riuscito a carpire la provenienza di quell'etnia, il bizzarro
miscuglio di tratti somatici lo disorienta e le sue ricerche si
rivelano sempre infruttuose.
Questi uomini misteriosi sono soliti
riunirsi in capannelli negli angoli delle vie e bisbigliano tra loro
con fare complice.
Inizialmente era presente solo un numero esiguo di
essi, col tempo però il loro numero è cresciuto a ritmo
serrato.
Gli animali randagi avevano un'istintiva paura nei loro
confronti ed in breve tempo scomparirono dalle strade, per qualche
causa ignota.
Tutti sospettarono che le sparizioni fossero direttamente
opera degli stranieri, o comunque della paura che essi incutevano negli
animali, ma nessuno indagò oltre. D'altronde, molti erano stati
vittime degli assalti dei randagi e gli sbranamenti feroci non erano
spettacoli molto gradevoli per la gente.
Padre Carlos, per amor della
scienza, decide di trasferirsi nella zone limitrofa a quella abitata
dall'etnia sconosciuta, perseverando nelle sue ricerche.
Se la favela
rappresentava lo zero nella scala del degrado della vita umana, il
distretto degli stranieri sicuramente assumeva un valore negativo.
Le
abitazioni consistono in amalgami di fango e materiali di scarto
provenienti dalla vicina baraccopoli.
Legname roso dai tarli, plastica
annerita, metallo arrugginito portatore di tetano e calcinacci di
pietrisco sono i materiali edili più diffusi tra i miseri
abitanti.
Spesso, come artigli protesi, spuntano dalle pareti insidiose
schegge di vetro, pronte a graffiare i passanti distratti.
Il pavimento
dei tuguri fatiscenti è un semplice strato di terra che, nelle
giornate piovose, si trasforma in melma fetida.
Quando i temporali infuriano con violenza, miasmi
pestilenziali si alzano dalla baraccopoli, a testimoniare le
immondità che il terreno conserva nelle sue viscere. Nonostante
queste malsane condizioni di vita, gli abitanti trascorrono lì
gran parte del loro tempo, quando non oziano agli angoli delle strade,
riuniti nei loschi capannelli.
L'alloggio di padre Carlos, con suo
grande sollievo, possiede un livello di abitabilità decente,
considerando la vicinanza a quella zona terribile.
Passa la prima
giornata ad osservare gli oscuri traffici svolti dagli appartenenti
all'etnia ancora sconosciuta.
Non registra niente che sia più sospetto
del solito, almeno fino a mezzanotte circa.
A quell'ora, infatti, un
corteo di furgoni costosi si fa largo tra le vie dissestate ed entra
nella zona malfamata, scomparendo alla vista dopo una svolta in salita.
Dalla sua postazione alla finestra, il
missionario non può scoprire la destinazione delle
autovetture e decide che non vale la pena di seguirle.
Non accade altro
che sia degno di nota per un'altra mezz'oretta; padre Carlos dunque
decide di riposarsi.
L'indomani lo aspetta la sua routine di visite
ai vari asili, per offrire il suo aiuto caritatevole.
Verso le quattro
di mattina, quando il Sole ancora non è riuscito a vincere la
sua timidezza ed a sorgere dietro alle distanti colline di Rio, il
missionario viene destato da un cupo lamento.
Infilandosi un vestito a
caso tra i capi sparsi per la stanza, esce di corsa, pronto a prestare
eventualmente soccorso al malcapitato.
In strada, la voce risuona
più intensa.
L'uomo ne individua la provenienza.
Segue la
traccia sonora, guidato da un primitivo istinto, senza sapere la sua
destinazione, le tenebre della notte lambiscono ancora le strade buie.
Intanto la voce si era trasformata in un coro, una litania di lamenti
rochi.
Echi di flauti emergono sulle note di un "De Profundis",
sovrastando ogni altro rumore.
Infine, Padre Carlos giunge davanti ad
un'edificio che svetta sulle costruzioni cadenti della baraccopoli.
E'
una vetusta chiesa diroccata, le guglie spezzate tentano invano di
emergere nell'eterea luce lunare.
Gargoyle siedono corrucciati lungo i
cornicioni, molte di queste figure maligne sono privi di alcune parti
del corpo, presumibilmente a causa del deterioramento subìto nel
tempo.
Quelle creature deformi e gobbe, instillano un ribrezzo
viscerale nel religioso.
Le gobbe rattrappite formano ombre
inquietanti, le fauci fameliche scolpite nella nera pietra sembrano
sgolarsi in bestemmie ed empietà.
Attorno alla chiesa, si
estende una grande moltitudine di lapidi e qualche antica cripta
avvolta nell'edera selvatica.
Padre Carlos si domanda quale anima possa
trovare il conforto eterno in un luogo dalle forme così
spettrali e rincagnite.
Un canto vibrante di versi gutturali, composto
apparentemente da voci maschili, pervade la notte, i flauti lasciano il
posto a dei violini.
La musica che ne deriva, tuttavia, è una
detestabile e chiassosa cacofonia.
Quella melodia distorta,
accompagnata ora da un altro coro di strida acute, probabilmente
femminili, sconvolge l'animo del missionario.
Lo strazio cessa quando
le vibrazioni passano dall'aria alla terra; un terremoto scuote Rio de
Janeiro per alcuni minuti interminabili, poi il silenzio e
l'immobilità avvolgono nuovamente la città.
Ancora
tremante per le intense emozioni appena sperimentate, padre Carlos
torna alla dimora, seguendo il vago istinto che lo ha condotto durante
tutta la vicenda. Poche ore più tardi, l'uomo visita gli asili e
le famiglie bisognose della favela, che ormai lo conoscono bene, e
scopre che alcuni bambini sono scomparsi.
I rapimenti a Rio non sono
fatti inusuali, non a caso la gente ha imparato a trattenere le lacrime
ed a tirare avanti, qualsiasi tragedia le accadesse.
Stavolta
però, un anziano ha notato un furgone che partiva in fretta e
furia dal luogo nel quale, poco dopo, era stata registrata la
scomparsa di un bambino di 6 anni.
Si trattava del piccolo Juan, che
lui considerava come un fratello minore.
Il missionario si ricorda bene
dell'espressione sempre gioiosa che assumeva il bimbo nel vederlo e
delle parole che Juan gli aveva sussurato in gran segreto: "Da grande
voglio essere buono ed aiutare le persone proprio come fai te".
Ora non
ci sarebbe stato più nessun futuro per il piccoletto.
Padre
Carlos decide che quella notte sarebbe entrato nella chiesa diroccata
ed avrebbe scoperto i turpi rituali che avvenivano al suo interno.
Terrorizzato dal suo stesso proposito, trascorre il pomeriggio a
pregare e benedice il suo grazioso crocifisso di legno, che prontamente
appende al collo con un semplice spago.
Gli era stato donato da uno
zingaro tempo addietro per ringraziarlo della gentilezza con cui lo
aveva trattato.
A dire il vero, padre Carlos non è molto
convinto che l'oggetto sia un crocifisso, dato che un asse della croce
è storto e la figura di Cristo non ha una forma molto definita,
anzi sembra una specie di umanoide.
In ogni caso, ormai ci è
affezionato e la tiene come un importante portafortuna.
Solo ora si
rende conto dell'inquietudine che gli trasmette quella vecchia
reliquia, specialmente quando è immersa nella luce crepuscolare
che pervade le vie della favela quando è sera.
Scrolla le spalle
con finta indifferenza, è soltanto un po' di suggestione,
scaturita dalle emozioni della giornata.
La benedizione di Dio, che ha
appena impartito al proto-crocifisso, lo avrebbe sicuramente protetto,
dunque le sue paure svaniscono in fretta.
Mentre porta a termine i
preparativi, nota una certa trepidazione dilagare tra gli abitanti
della favela.
Gli stranieri misteriosi, seminascosti in angoli bui,
sussurrano nelle orecchie dei passanti, i quali ricambiano in genere
con due strane reazioni: o spalancano gli occhi spauriti, scappando in
fretta, oppure si uniscono agli individui dell'etnia sconosciuta,
seguendoli nella baraccopoli, il loro oscuro regno.
Giunta la notte,
quasi nessuno è rimasto in strada: non c'è traccia
nemmeno dei soliti barboni e dei mendicanti che popolano le vie terrose
tra un tugurio e l'altro. Preoccupato da questi presagi, presta
attenzione al cielo stellato per leggervi il futuro, solo Algol, la
stella-demonio, brilla rossastra ed infausta.
Gli altri astri, sebbene
più luminosi, sembrano essere stati oscuratida qualcosa di
titanico e più antico del mondo stesso.
Cercando di frenare la
sua fervida immaginazione, padre Carlos si dirige verso la chiesa
diroccata.
Nascosto nella fenditura di una fredda cripta, avvolta da un
muschio viscido e giallastro, può osservare ogni movimento che
avviene attorno al grottesco edificio. Secondo alcune informazioni,
ricavate durante quello stesso pomeriggio, il missionario ha scoperto
una parte della storia della chiesa sconsacrata costruita in mezzo alla
baraccopoli. Infatti, dopo nemmeno un paio di anni di attività
religiosa, il vescovo della zona aveva dichiarato blasfemi i riti che
vi si svolgevano ed aveva dichiarato maledetto quel luogo, proibendo
ogni futura celebrazione.
Il parroco della chiesa era conosciuto dalla
comunità della favela come un uomo mite e sapiente, nessuno
sapeva come fosse giunto a presidiare rituali con sacrifici animali.
Questa, infatti, fu l'accusa per la quale venne arso vivo
successivamente.
Durante la sua, ormai palese, follia, si limitò
a sghignazzare istericamente per ore, anche mentre veniva condotto
verso la propria morte.
Le ultime parole del parroco, prima che le
fiamme purificatrici lo lambissero per intero, vennero disperse nel
fumo e nel vento.
Forse solo gli spettatori più vicini al
dannato riuscirono ad udirle.
Da quel giorno infatti, deperirono
orribilmente, sia nel corpo che nello spirito; la settimana seguente
scomparvero tutti.
Poco tempo dopo, il terreno polveroso, situato sotto
il piccolo arco in pietra che rappresentava l'ingresso alla
favela, conobbe
le orme dei primi stranieri misteriosi. Quella testimonianza di
un'arte antica, perduta ormai da secoli, è oggetto di studi da
parte di molti archeologi.
La pietra dell'arco, infatti, è ricca
di incisioni che presentano delle affinità con rune e geroglifi,
fatto assolutamente inspiegabile.
Secondo la credenza popolare, la
chiesa sconsacrata nasconde ancora ciò che ha fatto impazzire il
povero parroco: il demoniaco Necronomicon.
L'esistenza dell'infernale
grimorio, i cui incantesimi avrebbero permesso di penetrare dimensioni
estranee alla conoscenza umana, è sempre stata reputata da padre
Carlos come una pura leggenda.
Un movimento nell'ombra lo riporta alla
realtà; un corteo sterminato sta marciando verso la chiesa.
Cinque figure incappucciate e molto più alte del normale guidano
il gregge di persone.
Dopo un lasso di tempo smisurato, o almeno
così sembra al missionario sgomento, il corteo scompare,
inghiottito dalle tenebre che si estendono oltre l'uscio del luogo
maledetto.
L'empio rituale sta per cominciare: un brivido di
trepidazione scuote il corpo dell'uomo, ancora rannicchiato nel suo
nascondiglio.
Padre Carlos fa per alzarsi e seguire le tracce della
folla, tuttavia si blocca a metà, in preda al panico: un canto
si è appena alzato nella gelida aria notturna.
Contro ogni
senso logico, le voci giungono non solo dalla chiesa, ma anche dal
cielo.
Algol, la stella-demonio, non splende più solitaria nella
volta celeste, ma ha una gemella non troppo distante, che brilla della
stessa luce sanguigna.
L'intensità dei due astri cresce in pochi
secondi, così sfavillante da sovrastare il chiarore lunare ed
accecare l'uomo, ancora impietrito.
Quando riapre gli occhi, scopre che
il paesaggio attorno a lui è mutato.
Gruppi di varie etnie
diverse compaiono su panorami che non posso coesistere in nessun luogo
terreno.
Eschimesi, nomadi, monaci eremiti, indigeni e perfino gli
zingari che un tempo aveva frequentato: tutti tendono le mani al cielo
e salmodiano canti demoniaci in lingue schioccanti e volgari.
Alcuni
individui dei vari gruppi, presumibilmente i leader delle sette
religiose, spiccano sulla folla, mostrando parvenze goffe ed ingobbite,
quasi scimmiesche.
Padre Carlos si chiede quali deformità essi
nascondano sotto le tuniche chiazzate di ciò che sembra sangue.
Oltre a questo guazzabuglio di località, il religioso vede anche
l'intera Terra in ogni suo spazio ed in ogni suo tempo, sia esso
passato, presente o futuro.
Chissà quali primevi organi
sensoriali sono stati risvegliati dal suo passaggio in quella che
ritiene una diversa dimensione, dato che in quella umana nulla di
questo può essere spiegato.
La scoperta di alcuni abomini che si
celano da ere sotto la superficie terrestre, ed abitano da sempre i
pianeti della Via Lattea, fa tremare di terrore il povero missionario.
Ombre minacciose popolano ora i suoi ricordi, esseri maligni che non
poteva percepire fino a pochi minuti prima.
Foschie opalescenti
avevano ghignato, confondendosi con le ombre degli oggetti, già
durante la sua infanzia, deridendolo per il destino che lo aspettava
nel futuro. Quante volte quei mostri gli hanno accarezzato la gola con
dolce bramosia e sussurrato empietà e turpi consigli nel
sonno.
Ogni ricordo felice diventa un ritratto funesto di demoni che
gli suggono la vita, logorandolo in ogni istante e facendolo
invecchiare con struggente lentezza.
Mentre l'orrore di tali
rivelazioni gli lacera l'anima, nel cielo si apre un colossale
maelstrom oscuro.
L'uomo cerca di focalizzare la visuale sulla chiesa
sconsacrata, che si erge tuttora davanti a lui.
Nebbie scarlatte
scivolano ai confini della volta celeste, contornando l'immenso vortice
infernale.
Strida, lamenti e bestemmie sgorgano da quella dimensione
ulteriore; gli adepti delle varie sette demoniache esultano con feroce
fervore per il successo del rituale proibito.
Esultanza che muta in
cieco terrore quando vedono ciò che esce dal maelstrom
apocalittico.
I gargoyle deformi prendono vita ed iniziano a
strepitare, dando luogo a folli danze funebri.
Il crocifisso che il
missionario porta al collo si spezza in due; quando tocca il terreno,
prende a contorcersi spasmodicamente, come un bacherozzo menomato.
Nulla però, può superare in orrore l'incubo
sacrilego, che è emerso dal buco nel cielo.
Un volto
informe, nel quale luccicano come occhi le Algol gemelle, si protende
titanico verso i suoi fedeli tremanti.
Un'escrescenza glabra, con una
vaga somiglianza ad un'arto, dalla quale si estendono protuberanze ed
appendici difficilmente classificabili come dita, si protende
inesorabile verso la folla, tradita dalla sua stessa divinità.
Bolle verdastre scoppiano sulla pelle del titano, fiumi di sangue
scorrono dalle piaghe infette non ancora in fase di
decomposizione.
La sola visione di quell'essere immondo provoca panico
e pazzia negli atterriti presenti; alcuni tentano fughe scomposte prima
di essere afferrati e trascinati nel nero abisso infernale.
Padre
Carlos, mentre viene ghermito ed avvicinato verso la figura ributtante
dell'immondo essere, prega per una morte rapida.
Schiocchi e mugolii di
piacere, emessi dalle proboscidi, dai becchi e dalle fauci spalancate
sul volto della divinità, accompagnano la lugubre fine del
misero missionario.
La leggenda dell'Assunzione al Paradiso, tanto famosa
tra gli abitanti di Rio de Janeiro, si era dunque avverata.
Terminato il suo pasto, Azathoth, il dio idiota e cieco che gorgoglia
blasfemità al centro dell'Universo, si siede nuovamente sul suo trono di teschi e morte.
Attende pazientemente altri milioni di
anni, in attesa del prossimo raccolto.
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