BLOODSTREAM
Così la figlia dello psichiatra si tagliava. Anche lui ci
aveva provato, svariate volte. Il
sangue non andava mai via. Non smetteva mai di scorrere, ma non riusciva
ugualmente a tirarne fuori lo schifo. Così rimaneva a guardare, impantanato nel
lercio pestilenziale del mondo, completamente illeso, senza riuscire a
consumarsi, a distruggersi. Sanguinava e basta.
Lui non conosceva la Morte, perciò non riusciva a capire
perché la gente avesse paura di essere ferita. Tate non si sentiva terrorizzato
da quella Guerra, l’aveva accolta col silenzio che ci si attende da un milite
obbediente, con tutta la severità e l’impegno di cui era capace. L’aveva
sostenuta finché aveva potuto, finché i limiti non si erano confusi insieme, in
un ammasso indistinto di fetore, caos, paura e se stesso. Lui non voleva essere
quello schifo, ma adesso ci stava affondando dentro; e solo il dolore attenuava
il suo smarrimento.
La figlia dello psichiatra si chiamava Violet e lui
avrebbe tanto voluto farsela. Perché era in quella merda quasi quanto lui, ma
non si lasciava sopprimere dalle voci. Aveva la pelle morbida per tutti gli
spiriti che l’accarezzavano senza che lei fuggisse via, troppo dentro per scappare,
troppo consapevole per illudersi che potesse esserci salvezza.
Lei conosceva il segreto per destreggiarsi nel fango. Lui
usava asce e proiettili per vincere qualcosa che non era in grado di vedere,
che era insieme se stesso e tutt’altra cosa rispetto a lui. Era sempre stato questo
il suo grande dramma, non capire dove iniziava l’orrore e dove finiva Tate.
Violet non era la salvezza, era solo qualcuno di smarrito
come lo era lui. Ma era più forte, e più abile; lui l’avrebbe protetta da ogni
cosa brutta, e lei sarebbe stata la sua scorza, e insieme sarebbero stati invincibili.
Gli unici a non soccombere, gli unici a non essere trafitti, perché i soli che
sapevano che se proprio non c’era altra scelta che affondare, allora bisognava
farlo con tutta la coscienza, con tutto l’abbandono e la dolcezza che quel
mondo poteva sopportare. Solo così sarebbero stati al sicuro, perché lei era
tutto questo, e l’avrebbe amato, l’avrebbe sorretto, e nella devastazione si
sarebbero salvati a vicenda, perché
l’unica salvezza era la resa.
Lui in quel mondo si perdeva. Violet era una fiaccola in
decadenza, era un’inondazione, una carestia e un terremoto; ed era più il
doloroso degli abbracci, il più tenero dei baci, ma soprattutto, al di sopra di
ogni cosa, Violet era sua.
Violet era sua quando era l’unica che lo guardava; quando
non aveva timore di niente, quando si tagliava e lui leccava via quel sangue
perché non voleva graffi su quella pelle, né sofferenza dentro quegli occhi che
lo spezzavano. Era sua quando resisteva. Era sua quando si arrendeva, perché
non c’era salvezza, non c’era perdono. Però ci sarebbe stato Tate. Al di là delle
urla, dei cadaveri, della fame, dell’amore, ci sarebbe sempre stato Tate; e
forse allora avrebbe smesso di sanguinare.
***
NdA
Di solito non scrivo flashfic, e di solito non scrivo
nulla su fandom che non conosco a fondo, specie se si tratta di una serie TV
che seguo da tre giorni appena. Per questo mi è venuto difficile scrivere di
American Horror Story, ma soprattutto scrivere di Tate. Solo che come tutti mi
sono talmente innamorata di questo personaggio che cercare di mettere su
qualcosa su di lui è stata una tentazione troppo forte, e alla fine ho ceduto.
Quello che è venuto fuori è questa flashfic un po’ troppo poco “concreta”, lo
ammetto, ma considerato chi è il protagonista direi che è una cosa sulla quale
si può sorvolare, no?
Non è molto, ma è il meglio che sono riuscita a fare, e mi
andava di provarci.