Title: Fate
Author: **Ardespuffy**
Written: primavera/estate 2006
Disclaimer: tutto appartiene a me, a Joss Whedon, alla
Mutant Enemy & co. Non a scopo di lucro.
Feedback: sempre graditissimo ^_^ a
ericadia@alice.it oppure ardespuffy@hotmail.it
Pairing: Spuffy 4ever!
Time: per BtVS, un anno e mezzo dopo
“Chosen”. Per Ats, 6 mesi dopo
“Not fade away”.
Spoiler: grossi spoiler sulla 5^ serie
di Ats.
Rating: N.C. -17 in alcune parti
Subject: è passato ormai molto tempo
dagli eventi che hanno portato alla distruzione di Sunnyhell. I suoi vecchi
abitanti si sono rifatti una vita – una vita “normale”?? Ma se il Fato ci mette
lo zampino… una scoperta può stravolgerti la vita.
NOTA: Alcuni elementi potranno
risultare poco credibili, ma… siate clementi, è la mia prima FF! JJJ
Cleveland – Com’eravamo
h 11:15 P.M
L’aria calda
e secca, opprimente, le toglieva il fiato. Non un alito di vento scuoteva
l’immobile notte estiva. Il silenzio, poi, l’assordava. Possibile che la quiete
avesse il rumore della tempesta?
L’unico
suono che riempiva l’aria era quello ben noto dei suoi passi, quel calpestio
d’erba che sapeva di antico. Di tempi e luoghi lontani, di ricordi sopiti, ma
mai del tutto cancellati. Ricordi di un’altra vita.
La sua
figura snella si aggirava leggiadra tra le lapidi scure. Certe cose, pensava,
stringendo più forte il paletto nella mano destra, non sarebbero mai cambiate.
Altre, invece, erano mutate per sempre: irrimediabilmente, dolorosamente
trasformate.
Sunnydale.
Un nome dal sapore infernale. Quanta rabbia, gioia, paura e dolore erano legati
a quella maledetta città! Quante volte aveva sognato di fuggire. Di scappare da
quella vita troppo dura da vivere, da quella realtà così difficile da credere,
eppure tragicamente vera. Aveva desiderato così ardentemente di non appartenere
a quel luogo… e poi…era finita. Lo scenario di tutta una vita, ad un tratto, era
crollato. Niente più ronda, né armi, né apocalissi, né demoni, mostri o
vampiri…niente più Cacciatrice. Già, adesso non era più l’unica. La Prescelta
non c’era più: era stata rimpiazzata da un vero esercito di efficienti, quanto
inesperte, ammazza-vampiri alle prime armi. Piene di forza e di entusiasmo, ma
ancora del tutto impreparate a ciò che le attendeva. Come Madison.
Quando il
signor Giles le aveva telefonato, chiedendo il suo aiuto per una cosa, a detta
sua, importantissima, Buffy aveva esitato a lungo prima di accettare. Lei,
allenare una Cacciatrice? Proprio lei che, in passato, si era ribellata con
tutta l’anima alle imposizioni del Consiglio, ora si trovava a lavorare per
loro! Paradossale. Ma il signor Giles aveva bisogno di lei… e poi, la sua vita a
Roma non aveva più molto da offrirle. Così, aveva deciso di riprendere i panni
della guerriera notturna. Bentornata alla Bocca dell’Inferno, Cacciatrice! Ci
sei mancata.
Cleveland,
dove si era trasferita per allenare Madison, era molto diversa da Sunnydale. Pur
essendo situata su un’altra Bocca dell’Inferno, era infinitamente più tranquilla
della sua vecchia città. Tanto per cominciare, in quella zona c’era (ovviamente)
un’impressionante concentrazione di giovani Cacciatrici, che ogni notte uscivano
per la ronda; c’era quasi da provar compassione per i demoni e i vampiri locali…
non avevano “vita” facile!
Spesso,
Buffy si era chiesta se ci fosse veramente bisogno di lei. Una volta aveva
trovato il coraggio di chiederlo al signor Giles, e lui le aveva risposto che
forse non era più necessaria come Cacciatrice, ma sicuramente nessuno, meglio di
lei, poteva insegnare qualcosa a quelle giovani ed inesperte guerriere.
Infatti il
Consiglio aveva ritenuto impossibile attivare un osservatore per ogni singola
Cacciatrice; così, era stata chiesta la collaborazione di alcune “vecchie
glorie” di Sunnydale e dintorni. Anche Faith si era lasciata incastrare: era
tornata a Boston, la sua città, dove ora allenava una quindicenne volubile e
iperattiva. Robin Wood, che contro ogni possibile previsione era diventato il
suo attuale ragazzo, viveva con lei.
Dopo aver
affrontato l’ultima Apocalisse insieme, infatti, l’intero gruppetto si era
smembrato. Giles era tornato in Inghilterra, dove attualmente addestrava ben 3
adolescenti contemporaneamente: nelle numerose telefonate che intercorrevano tra
loro, l’osservatore si era spesso lamentato della sua situazione con Buffy.
“Quelle ragazzine mi faranno diventare matto!” ripeteva in continuazione, con
quel suo tono sempre impeccabilmente inglese.
Willow si
era concessa un lungo viaggio “low coast” in compagnia di Kennedy, dal Brasile a
Vancouver. Era stata una vacanza meravigliosa, ma…dopo mesi di idillio, qualcosa
si era spezzato fra le due. Così Kennedy si era trasferita a Washington, e
Willow a San Francisco, dove si era appena laureata in Scienze delle
comunicazioni.
Andrew aveva
scelto di vivere con Buffy e Dawn, a Roma. Ma, quando le due sorelle erano
tornate in America, si erano separati. Il ragazzo aveva preferito restare in
Italia.
Xander…
Pensare a lui, inevitabilmente, le faceva riaffiorare alla mente ricordi intrisi
di dolore. Tutti avevano pagato un prezzo. Sette anni di lotta contro il male
avevano lasciato indelebili cicatrici sulla pelle di ognuno. Ma Xander, il suo
migliore amico, quello che si era sempre fatto in quattro per lei… lui, più di
tutti gli altri, n’era uscito sconfitto. Sopravvivere non poteva bastare. Aveva
perso un occhio, certo, ma quello era stato il male minore. Il suo cuore era
morto sotto le macerie, insieme a lei.
Anya. La
donna che gli aveva insegnato ad amare, e che lui aveva impunemente ferito. Si
erano fatti del male a vicenda, in un’infinita altalena di ripicche e vendette…
e proprio quando cominciavano a pensare di avere ancora un futuro, lei se n’era
andata. Era impossibile dimenticare il suo sguardo mentre, parlando con Andrew,
lentamente capiva. Mentre l’atroce consapevolezza di averla persa per sempre si
faceva strada in lui. Tuttavia, aveva cercato di reagire. Di ignorare
quell’opprimente sensazione alla bocca dello stomaco che, giorno dopo giorno,
ogni volta che la cercava con lo sguardo senza trovarla, si impossessava della
sua anima. Ma non era servito. Non l’avrebbe mai dimenticata. E, in fondo, non
voleva. Il suo ricordo, per quanto doloroso che fosse, era una nota di dolcezza
nella sua vita, ormai così vuota. Lo aiutava ad andare avanti.
Di colpo,
qualcosa la distolse dai suoi pensieri, riportandola improvvisamente alla
realtà. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Buffy si guardò intorno,
ferma, concentrata, gli occhi verdi scrutavano attenti, soffermandosi su ogni
piccolo particolare.
E fu allora
che la vide.
Un’ immagine
così dolorosamente familiare.
Dannati
ricordi.
Ormai stava
tremando. Gli occhi spalancati fissavano, come ipnotizzati, un piccolo edificio
di pietra grigia, con delle strane incisioni - probabilmente in latino - sullo stipite della porta.
Una
cripta.
Possibile
che non l’avesse mai notata prima?
Non che ci
fosse qualcosa di strano… insomma, era normalissimo trovare una cripta in un
cimitero, ma…
Avanzò
lentamente, con passi insicuri, come spinta da una forza invisibile. Prima
ancora di rendersene conto, fu davanti la massiccia porta di pietra.
Ricordi.
Dagli occhi
verdi, luminosi come stelle, scivolarono piccole gocce di luce. Le labbra
assaporarono quel salato dolore, quelle lacrime cariche di rimorsi, rimpianti,
solitudine, nostalgia.
Così piene
di lui.
La mano si
sollevò contro la sua volontà, posandosi delicatamente sulla fredda porta che le
stava di fronte. Una fuggevole carezza destinata a qualcuno che non poteva più
riceverne.
Dio, quanto
mi manchi.
Per un
attimo ebbe l’impulso di spingere quella porta ed entrare. Ma si fermò.
“Puoi
sederti, se vuoi. Sono i tuoi mobili. Anche di sotto adesso è molto
chic…”
Non avrebbe
resistito.
Dannati
ricordi.
Di colpo, un
fruscio alle sue spalle. Stavolta sapeva di non essersi sbagliata.
Buffy si
allontanò di scatto da quel maledetto blocco di pietra, che aveva saputo
risvegliare in lei tante antiche emozioni, e si voltò.
Non vide
nessuno, ma lei sapeva.
Qualcuno la
stava spiando.
Los Angeles – Una scoperta
h 2:50 P.M
Il telefono
squillava senza che nessuno si preoccupasse di rispondere.
Bè, forse
non proprio nessuno.
“Angel!
Dannazione…”. Spike irruppe furioso nell’ufficio in cui si trovava quel dannato
apparecchio, trovandolo vuoto. In quel momento il telefono smise di suonare.
“Alison!
Dove diavolo è Angel?” abbaiò Spike uscendo in corridoio.
Una ragazza
alta e slanciata, dai lunghi capelli neri e ammalianti occhi scuri, vestita di
un costoso quanto succinto tailleur blu cobalto, sopraggiunse senza apparente
fretta in cima alle scale, trovandosi faccia a faccia con Spike.
“Il capo non
c’è. Non è venuto in ufficio.” rispose pacatamente la brunetta.
Spike
dovette fare un enorme sforzo per restare calmo: “Si, Alison, questo lo vedo.
Quello che mi piacerebbe sapere, è dove
si trovi esattamente e, se non ti dispiace, anche perché non è venuto al lavoro.” disse,
scandendo lentamente le parole, come se parlasse ad una bambina.
“Non lo so dov’è, Spike. Perché non
provi a cercartelo da solo, una volta tanto? Io ho altro da fare” fu la pronta
replica della ragazza.
Per Spike,
assumere Alison Summers come nuova segretaria era stato un grandissimo errore.
L’aveva odiata sin dal primo giorno che aveva messo piede in ufficio. Tanto per
cominciare, era una ragazzina (probabilmente era da poco diventata maggiorenne),
anche se faceva di tutto per apparire più adulta e sofisticata. Come tale, era
una vera incompetente, ed era anche di un’insopportabile boria. In più, il modo
in cui continuava a fare gli occhi dolci ad Angel, lusingandolo chiamandolo
“capo”, era a dir poco rivoltante. E la cosa peggiore era l’atteggiamento di
Angel, che la trattava con immotivata indulgenza, senza preoccuparsi della
superficialità con cui svolgeva il suo lavoro.
Ma il vero,
inconfessabile motivo che l’aveva portato a detestare quella ragazza sin
dall’inizio, senza averla mai neanche incontrata…era il suo cognome.
Summers.
Quanto
poteva essere crudele il destino?
Nessuno
aveva il diritto di portare quel nome, nessuno…
Tranne
lei.
Dio, quanto
fa male.
“Di grazia,
perché cerchi il capo?” la voce insistente della segretaria lo riscosse.
“Avevo
bisogno di un file… un nuovo cliente” tagliò corto Spike “Speravo che me lo
desse Angel, così avrei evitato di mettere piede in quella specie di
ripostiglio… Ma non importa. Lo troverò da solo.”
L’ufficio
del “capo” era il più grande (naturalmente) e il più disordinato. Non si
trattava solo di qualche fascicolo fuori posto, tutt’altro: il caos che regnava
nella stanza era tale da spaventare. Si diceva che, in quell’ufficio, fosse
possibile trovare qualunque cosa.
“Allora,
buona fortuna!” concluse Alison, sarcastica, voltandogli le spalle per andare
nel suo ufficio.
“Alison!”
Spike sorrise, dentro di sé. Non poteva rinunciare al piacere di avere sempre
l’ultima parola. “Se squilla il telefono, è compito della segretaria
rispondere!” aggiunse, in tono eloquente.
Alison gli
lanciò un’occhiata carica di astio, e non si prese nemmeno il disturbo di
rispondergli. Si voltò di nuovo e scomparve oltre una porta di legno. Spike
sorrise, beffardo, mordendosi le labbra.
Certe cose
non sarebbero mai cambiate.
Entrato
nell’ufficio di Angel, si chiuse la porta alle spalle e, guardando sconsolato
l’enorme pila di fogli accumulati sulla scrivania di mogano, sospirò.
“Cominciamo!” si disse, avvicinandosi rassegnato.
Iniziò a
sfogliare fascicoli su fascicoli, in quella che sembrava una ricerca disperata.
Stava quasi per perdere la speranza, quando qualcosa attirò la sua attenzione,
distogliendolo dalla sua attività.
Tra le
pagine di una vecchia rivista d’arredamento, c’era…un foglietto.
O quasi.
Aggrottando
le sopracciglia, perplesso, Spike prese il rettangolo di carta azzurrognolo e se
lo portò al viso.
Era un
biglietto aereo.
Un biglietto
aereo andata e ritorno, intestato a… Liam Harrison. Il nome che c’era sui
documenti falsi di Angel.
Spike
corrugò la fronte, confuso. “Che diavolo…?” pensò. La sua attenzione corse alla
data della partenza. Ciò che vide lo lasciò interdetto.
Angel
sarebbe partito il giorno dopo.
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