La verità, guardala
con i miei occhi
Se chiudo gli
occhi, riesco ancora a sentirlo.
Quel pianto che strazia il cuore.
Né Alice né
Break dissero nulla, a quelle parole: entrambi erano coscienti del fatto che Oz
avesse ragione, ma era il modo di approcciarsi a questa consapevolezza, la
differenza fra i due.
Alice aveva abbassato lo sguardo, quasi temesse un po’ l’idea che Jack Bezarius
apparisse di fronte a loro. Sia perché non aveva ancora detto ad Oz di avere incontrato
e parlato con lo spirito di suo fratello, né aveva accennato al senso di
familiarità che in quell’occasione aveva provato – senza saperselo spiegare –
nei confronti di Jack. Sia perché quella stessa sensazione la preoccupava,
quasi la metteva in guardia.
Break, invece, aveva assottigliato il proprio di sguardo, quasi cercasse di
vedere con l’unico occhio che glielo consentiva qualcosa che doveva essere in
avvicinamento. Anche se, contrariamente a quanto si aspettasse, non sembrava
esserci nessuno oltre Jack Bezarius.
Sembrava un pochino più giovane dell’ultimo periodo passato al letto, osservò
Oz. I tratti del viso non erano infantili, e l’altezza era già quella che il
più giovane ricordava, ma Jack sembrava ancora conservare un po’ di quella
spensieratezza che – Oz lo aveva visto, ormai – lo aveva caratterizzato
soprattutto ai tempi della scuola.
Per un attimo fu tentato di provare a chiamarlo, nel dubbio che potesse
sentirlo come in quel sogno che aveva visto; ma non lo fece, quando lo vide
voltarsi indietro con un ampio sorriso, pronunciando un: «Dai Glen, forza!»
esortando l’amico che poco dopo sbucò fuori dagli stessi alberi dai quali era
apparso Jack.
Oz rimase fermo esattamente dov’era, mentre Break sgranava appena gli occhi:
certamente non si era aspettato anche Baskerville, lì.
Alice pareva quella più spaesata, e Oz minimizzò la cosa con la spiegazione più
semplice, ossia che la ragazza non avesse presente di chi si trattasse.
Glen nel frattempo aveva raggiunto Jack che, entusiasta come un bambino il
giorno di Natale, camminava all’indietro mantenendo lo sguardo sull’altro quasi
ad assicurarsi che lo seguisse senza perdersi.
Oz mosse qualche passo verso di lui prima ancora di rendersene conto, e Break
lo fermò afferrandolo senza troppi complimenti per un polso. Il giovane si
voltò in sua direzione, confuso, ma il docente aveva le labbra incurvate in un
sorrisetto sgradevole: non c’era allegria né il suo solito divertimento.
Sembrava invece più che intenzionato a non immischiarsi più di quanto già non
fosse con la sua sola presenza.
«Dobbiamo…» iniziò Oz, interrotto quasi subito da
lui.
«No, signor Bezarius, tu potresti seguirlo. Io di certo non lo
farò e, per quanto io finga di dimenticarlo più spesso possibile, voi siete
sotto la mia responsabilità… ogni tanto.» aggiunse
quasi ripensandoci: «Ed io non ho intenzione di correre dietro a te, che corri
dietro qualcosa che ha l’aspetto di
due defunti. No, decisamente preferisco la merenda che mi attende nel mio
alloggio.» concluse, facendo per guidarlo dalla parte opposta.
Tuttavia aveva fatto un grosso errore di valutazione: credere che Alice Lewis
avesse un minimo di buon senso in più rispetto ad Oz. Invece la castana, quasi
ipnotizzata, si era mossa verso i due che continuavano a camminare verso una
meta per lei ignota.
Break fece schioccare le labbra, seccato, l’espressione decisamente lontana dal
suo standard di ‘sogghigno mentre ti sfotto e tu non lo sai’.
«E io che pensavo che il suo istinto animale funzionasse.» commentò in maniera
piuttosto acida, abbandonando l’idea di poter evitare di immischiarsi e
iniziando a seguirla, lasciando il polso del biondo che a quel punto fu libero
di andargli dietro.
Non dovettero camminare molto e fu presto chiaro che non ci fosse bisogno di
preoccuparsi di non farsi scoprire: Oz capì che quel Jack e quel Glen erano
ricordi, e in quanto tali non avevano la minima percezione di loro tre che non
appartenevano a quel luogo e quel tempo.
Jack e Glen avevano voltato a sinistra – effettivamente Break aveva ragione,
quello non era affatto il giardino di Latowidge: il verde si faceva troppo
folto in certi punti, per essere lo spazio aperto di una scuola – e loro li
imitarono.
Quello che gli si parò davanti, li sorprese. Visto il posto che sembrava
abbastanza incolto, non si erano aspettati di trovarvi una costruzione ad un
certo punto. Sembrava poco utilizzata, anche se ancora in buone condizioni. La
parte esterna soprattutto aveva l’aria un po’ abbandonata, con edera che si
arrampicava sul mattonato; oltre quello, però, le tende – tirate – che si
notavano anche dall’esterno non sembravano particolarmente polverose, segno che
qualcuno doveva passarvi di tanto in tanto.
Per un attimo Oz pensò alla possibilità che si trattasse di una specie di
rifugio o punto in cui riposarsi in quello spazio verde che ora non sapeva
nemmeno se fosse un giardino di una qualche tenuta o chissà cos’altro. Non
diede voce alle sue congetture, perché in quel momento Jack stava dicendo
qualcosa e temeva di non riuscire a sentirla.
«Glen, che posto è?» domandò incuriosito voltandosi verso l’amico che, con
espressione non particolarmente presa dalla cosa, scosse leggermente la testa:
«Non ne ho idea. Non mi spingo in questa parte della tenuta, solitamente.»
replicò pacato, lasciando intendere che si trattasse comunque della proprietà
dei Baskerville.
Oz vide suo fratello assumere un’aria pensierosa: «Uhm…»
mugugnò, voltandosi quindi verso il piccolo edificio e facendo la cosa più
stupida, inutile e degna di lui. Un tentativo di arrampicarsi il tanto che
bastava ad affacciarsi dalla finestra più bassa.
«…Jack, cosa stai facendo?» sentì chiedere a Glen,
come se fosse ormai rassegnato all’idea che l’amico facesse cose assurde per
natura. Il biondo si voltò, l’espressione divertita e le labbra incurvate in un
sorrisetto furbo: «Come che faccio? Indago! Non sei curioso, Glen, di vedere
cosa c’è dentro?» lo incalzò come se fosse impensabile, per lui, non esserne un
minimo interessati.
«Non particolarmente, a dire il vero.» commentò Glen, ma Oz notò che anche lui
si era lasciato sfuggire un sorriso impercettibile. Si vedeva che, più che
l’idea di un posto misterioso, a divertirlo fosse il modo di fare dell’altro
che lasciava libero di agire come preferiva, quasi curioso di vedere come
sarebbe andata a finire.
Jack si limitò a portare lo sguardo verso il moro, in un’ostentata
rassegnazione, decidendo di proseguire con la sua scalata improvvisata; dal
punto in cui si trovavano lui, Break ed Alice, Oz vedeva senza difficoltà ogni
passo di suo fratello… compreso il piede che,
scivolando, minacciò ad un certo punto di farlo cadere a terra. Notò anche che
Glen, per riflesso, aveva allungato una mano e mosso un piede in avanti,
spostamento appena accennato e bloccato quasi subito quando aveva notato Jack
afferrarsi saldamente ad una sporgenza del muro. In quel momento Oz si era
chiesto, tornando con la mente tra le pagine del diario, se nel periodo di quel
ricordo che stavano involontariamente spiando Jack si fosse già reso conto dei
sentimenti per Glen. Al tempo stesso, cercava di capire se il moro ne fosse
davvero all’oscuro, o se avesse lasciato credere a Jack di non essersene
accorto per proteggere il legame che già avevano.
Ma Glen, lì tanto quanto come spirito, risultava per Oz insondabile.
«Jack, dovresti decisamente scendere, prima di rischiare il collo.» sentì il
moro riprenderlo, con le labbra incurvate nello stesso sorriso impercettibile e
divertito – che sperò vivamente non dipendesse dall’eventualità che suo
fratello si spezzasse il suddetto osso del collo.
Il biondo si stava appunto pericolosamente voltando, quando un’altra voce li
raggiunse: «C-Chi c’è?» pronunciò, attutita da qualcosa che si rivelò essere il
vetro della piccola finestra che Jack stava cercando di raggiungere, e che era
oramai a poco meno di un metro da lui. Aveva ancora le tende tirate e sembrava
chiusa esattamente come prima; ma, ad un’occhiata più attenta, si rivelò essere
solo socchiusa, con uno spiraglio di tenda aperto, in cui – con molta
attenzione e un po’ di fortuna – si potevano distinguere una piccola porzione
di viso e un occhio curioso e indagatore.
Probabilmente, nonostante la convinzione con la quale aveva iniziato ad
arrampicarsi, nemmeno Jack aveva davvero creduto che ci fosse qualcuno, fino a
quel momento; forse si era aspettato che ci fosse qualcosa, quello sì, ma non una
persona.
Colto alla sprovvista, aveva iniziato a pronunciare qualcosa che Oz non riuscì
a decifrare e che fu brutalmente interrotto da uno scivolone che fece finire
Jack a contatto – un contatto molto intimo – con l’erba. Glen si era irrigidito
per un istante, salvo tranquillizzarsi quando l’amico, con espressione buffa e
dolorante insieme, aveva preso a massaggiarsi la parte lesa con qualche
infantile lamento.
Oz, istintivamente avvicinatosi, fu certo di cogliere uno sbuffo divertito
provenire dall’erede dei Baskerville. Sbuffo che, a giudicare dalle sue parole,
doveva aver notato anche Jack: «Glen, non ridere alle mie spalle!» lo
rimproverò offeso, forse in procinto di aggiungere altro ma fermato nuovamente
dalla voce che lo aveva distratto pochi attimi prima.
«Chi c’è laggiù? S-Si è fatto male?» chiese, il tono un po’ più alto perché
venisse udito anche da fuori; sembrava che pronunciare quelle poche parole
fosse costato, al padrone di quella voce, un immenso slancio di coraggio.
Jack, che stava palesemente cercando di capire qualcosa di più sul proprietario
di quella voce, parve coglierne innanzitutto la sfumatura preoccupata; per
questo, forse, rise: per sciogliere una tensione non sua, esattamente come –
così sospettava Oz – doveva aver dissolto quell’aura di inavvicinabilità che, a
detta di Break, aveva sempre circondato Glen Baskerville anche ai tempi della
scuola.
Funzionò. Le tende vennero scostate, rivelando un volto minuto ed
un’espressione spaesata, oltre a quella che senza alcun dubbio era una Alice
bambina.
Oz assunse un’aria sorpresa, ma mai quanto Alice che sembrava bloccata lì di
fianco a lui. L’unico che non sembrava particolarmente toccato dalla scena era
Break che, però, parve capire che qualcosa non andava dalla smorfia formatasi
sul viso della studentessa. Tuttavia, quando tornò con lo sguardo sulla Alice
più giovane, tutto sembrò più sfocato: «O la vecchiaia avanza inesorabile»
osservò con ironia «o qualcosa decisamente non va.» concluse con eloquenza.
Oz poté capire perfettamente lo smarrimento dal momento che lo aveva provato
lui stesso, e supponeva che si trattasse di qualcosa a cui sarebbe stato
difficile abituarsi anche per uno come lui.
«Il ricordo sta cambiando, forse.» provò a spiegare, almeno in base alla sua
esperienza, nemmeno così ampia poi. Break lo guardò, un sopracciglio alzato e
l’aria decisamente perplessa: «Sai, signor Bezarius, non credo di voler
veramente sapere perché ne sembri tanto certo e, soprattutto, perché lo dici
come se fosse una cosa assolutamente normale.» sottolineò. Oz capiva di non
poter dare più di tanto torto a quanto detto dall’uomo, perciò si limitò ad una
leggera scrollata di spalle, tornando con l’attenzione sulla ragazza al suo
fianco quando la sentì tirargli la manica.
«Alice…?» la chiamò, una sfumatura preoccupata nel
tono. Sperò di sbagliare, ma gli sembrava che fosse impallidita; ne comprese il
motivo solo quando lei, senza spostare lo sguardo dal punto in cui era stato
Jack fino ad un attimo prima, disse: «Io non ricordo di aver mai conosciuto Jack…»
Fu palese a quel punto il perché di tanto stupore e, sebbene nessuno dei due lo
disse ad alta voce, Oz e Break dovevano aver fatto la stessa considerazione:
era strano che Alice non lo ricordasse, perché quella che avevano visto – la
Alice di quel ricordo – non era così
piccola al punto da dimenticare di aver conosciuto qualcuno. Poi, come una
dimenticanza che torna prepotentemente a farsi spazio nella testa, Oz si rese
conto che Alice – proprio come Gilbert – non aveva memoria del suo passato, o
di parte di esso.
E forse tutto quello stupore si doveva anche al fatto che Oz le avesse parlato
di Jack, una presenza così importante per lui e quasi “fittizia” per lei, che
improvvisamente scopriva quanto preziosa fosse stata in realtà. Il biondo, con
gentilezza, le prese la mano per tranquillizzarla: non era sola, lì.
«Complimenti, signor Bezarius» lo distrasse la voce del docente «a quanto
sembra, la tua teoria era corretta.» osservò. Oz spostò immediatamente lo sguardo
là dove poco prima suo fratello e Glen si trovavano: come aveva immaginato, il
ricordo di prima aveva iniziato a sbiadire per far posto ad un altro. Senza che
se ne accorgessero, erano ora in una stanza: il mobilio non era, almeno a prima
vista, particolarmente antico; la polvere tipica dei luoghi poco utilizzati,
però, gli dava un’aria consunta.
C’era l’essenziale per un piccolo salotto e uno studio messi insieme nella
stessa stanza per mancanza di spazio: un piccolo tavolo, un divanetto, una
libreria modesta ad occupare parte della parete. Due sole finestre avrebbero
dovuto illuminare il posto, ma entrambe avevano le tende tirate e le uniche
fonti di luce erano dunque artificiali; dal punto in cui si trovavano, Oz
vedeva delle scale che collegavano senza dubbio ad un piano inferiore.
«Alice!» sentì chiamare, riconoscendo senza difficoltà la voce di Jack mentre
sentiva la Alice di cui ancora teneva la mano sussultare di fianco a lui;
l’attimo dopo suo fratello appariva proprio dalle scale, ed Oz quasi si era
aspettato di veder comparire subito dietro di lui Glen. Motivo per cui fu
invece così stupito di notare – mentre la Alice del ricordo oltrepassava Break
e abbracciava di slancio il maggiore dei Bezarius – un titubante Gilbert a cui
non dava più di tredici anni, e un altrettanto incerto Vincent, imbronciato.
«Cielo» sentì sbuffare sonoramente Break «cosa faceva tuo fratello, il
badante?» osservò sarcastico, sarcasmo che Oz finse di non cogliere, mantenendo
l’attenzione sulla scena.
La Alice che aveva abbracciato Jack si era nascosta in parte dietro di lui che,
ridacchiando divertito, fece cenno a Gilbert e Vincent di avvicinarsi di più;
mentre Oz li guardava fare come detto dal maggiore, notò Vincent che teneva un
lembo della manica di Gilbert e si perse per qualche istante a pensare quanto
diverso gli sembrasse quel bambino rispetto al ragazzo conosciuto lì a scuola.
Se proprio avesse dovuto cercare un punto in comune, una qualche somiglianza,
Oz avrebbe potuto evidenziare solo il fatto che Vincent sembrasse
particolarmente legato al fratello maggiore già in tenera età – e che già da
allora sembrasse un tipo da contatto fisico, fosse stato anche il semplice
attaccarsi alla manica dell’altro, appunto.
Forse vederlo così titubante portò la Alice del ricordo a credere che dei due
il più affine a lei, quello a cui avvicinarsi per primo, fosse Vincent. Fece un
passo avanti, il tanto che bastò a far sì che non fosse più nascosta dietro
Jack; guardava Vincent, appunto, che era ancora sulla difensiva. Gilbert sembrava
stesse valutando pro e contro, per il momento, senza avanzare né
indietreggiare.
Oz ebbe una strana sensazione nell’osservarlo: ricordava un Gilbert timido, che
si spaventava facilmente ed era spesso in soggezione anche con i coetanei.
Quello che ora osservava, invece, era più che altro guardingo; non sembrava
spaventato. Sembrava che stesse solo decidendo se fidarsi o meno di quella
bambina sconosciuta. Non sarebbe stato tanto strano, se quell’incertezza fosse
stata mista al timore di un estraneo qualsiasi che in passato Oz aveva sempre
intravisto negli occhi dell’amico.
Ma ora c’era solo la sfumatura di cautela di chi analizza una possibile
minaccia; e quello, no, non era da Gilbert.
Che l’averlo conosciuto privo della memoria avesse fatto sì che il Gil amico
che aveva conosciuto fosse stato così… intimamente
diverso dal “vero” Gilbert?
Si voltò verso Alice, quella al suo fianco di cui teneva ancora la mano,
cercando di capire dalla sua espressione se quel ricordo fosse qualcosa di
nuovo come lo era Jack o meno. Mentre cercava di capirlo, gli balenò in mente
una domanda così ovvia che si chiese perché non ci avesse pensato prima, o
perché non l’avesse già posta ai diretti interessati: Alice e Gilbert avevano
entrambi perso la memoria, entrambi da bambini a quanto sembrava.
Era possibile che l’avessero persa contemporaneamente? Se si conoscevano, in
quanto cugini, magari era successo… in un incidente
comune?
«Abbiamo un problema, suppongo.» l’affermazione di Break lo distrasse dalle
proprie ipotesi, portandolo a spostare lo sguardo su di lui, l’aria confusa.
Con la coda dell’occhio il docente lo notò e, abbozzando un sorrisetto
enigmatico, accennò con il capo al punto in cui Oz aveva lasciato i
protagonisti di quel ricordo che stavano osservando.
La scena stava cambiando di nuovo, sì, ma in maniera differente: non sembrava,
come era stato le altre volte, uno scenario osservato attraverso un vetro
bagnato, reso sfocato ma riconoscibile mentre lentamente svaniva. Pareva ora un
vetro che veniva frantumato in mille pezzi, distorcendo l’immagine che si era
osservata fino a quel momento.
Per un attimo, Oz non seppe come reagire: era un caso, o qualcosa di cui
preoccuparsi?
Era normale, o si trattava di un’anomalia?
Capiva, per la prima volta chiaramente, che quel fenomeno era qualcosa di cui stupirsi; non importava quanta capacità di
adattamento Oz possedesse o avesse sviluppato negli anni, da qualunque parte si
affrontasse la questione, non era normale
assistere a dei ricordi come ad uno spettacolo teatrale, né mai lo sarebbe
diventato.
«Suggerimenti, signor Bezarius?» lo incalzò Break, una mano posata sulla spalla
del biondo e una su quella di Alice, tirandoli istintivamente indietro.
Oz alternò nuovamente lo sguardo fra lui e la scena ormai deformata e indistinguibile:
«…Non lo so.» dovette ammettere infine «Non mi è mai
capitato.»
Come se quell’ammissione fosse stata il compromesso necessario per farli
tornare al luogo a cui appartenevano, il ricordo sparì completamente. Non fu
come Oz ricordava, come svegliarsi da un sogno.
Fu brutale, come se lo stessero spezzando. Un dolore che non riusciva a capire
dove si concentrasse o meno, come se fosse forte in egual misura in tutto il
corpo.
Ebbe la sensazione, ad un certo punto, di aver persino gridato.
Aprì gli
occhi quasi di scatto, riprendendo fiato come se fosse rimasto immerso
sott’acqua fino a svuotare completamente d’aria i polmoni, ora avidi di
ossigeno. La prima cosa che vide fu il volto di Aedan.
L’espressione atona che il moro aveva di solito cambiava solo per una sfumatura
leggera ma percettibile di urgenza, quasi l’altro avesse avuto fretta di
vederlo svegliarsi.
Oz si alzò a sedere, scombussolato: «Alice e…» iniziò, interrotto quasi subito
dallo stesso Aedan, che indicò la sinistra del biondo. Voltandosi vide che la
ragazza e il docente erano lì: lei sembrava ancora scossa, mentre lui era preso
da qualcosa. Seguendo la direzione del suo sguardo, individuò Sirjan: era in
piedi, dando loro le spalle. All’erta, attento ad ogni minimo movimento.
Quando ne individuò il motivo, Oz sussultò e capì il perché di tanta attenzione
da parte del capo dormitorio, oltre che l’interesse di Xerxes e la confusione
di Alice; di fronte a Sirjan, in ginocchio e apparentemente scossa dai
singhiozzi, c’era un’altra Alice. Non era, però, quella bambina del ricordo da
cui erano usciti bruscamente. Era una Alice identica a quella reale, quella che
Oz conosceva.
Solo gli abiti erano diversi, simili a quelli che – così immaginò il biondo –
Alice avrebbe potuto indossare a casa, o comunque lontana da Latowidge e
dall’obbligo della divisa.
Oz cercò lo sguardo di Sirjan, sperando in una spiegazione, ma l’altro
continuava ad osservare la ragazza a terra; non potendo fare altro, anche il
più giovane spostò l’attenzione su di lei, china su qualcosa che non riusciva a
vedere.
«Muoviti meno possibile.» lo raggiunse la voce di Aedan in un sussurro vicino:
«Per tirarvi fuori abbiamo dovuto distruggere il campanello di Cheshire. Lui
sembra sparito, ma è apparsa lei all’improvviso e ha fatto questo caos.» spiegò
e solo allora Oz si rese conto dello stato in cui versava il corridoio. Sul
pavimento c’erano vetri praticamente ovunque: alzando un poco lo sguardo, capì
che provenivano dalle finestre. La maggior parte di esse erano infatti
completamente distrutte.
Una sfilza di domande gli affollarono la mente in un istante: come aveva fatto
una ragazza ora in lacrime a fare quel disastro? Chi era? Perché proprio il
campanello di Cheshire, e perché questi era sparito anziché infuriarsi, specie
considerando l’indole abbastanza aggressiva che aveva dimostrato di avere?
Perché, supponendo che i vetri nel frantumarsi avessero fatto un chiasso più
che udibile, nessuno a parte loro era nel corridoio?
Non sapeva a cosa dare la priorità, e si chiedeva anche se Aedan avrebbe
risposto o rimandato come altre volte aveva fatto. Decise di provare
ugualmente.
«Aedan» lo chiamò in un soffio «cosa è successo esattamente?» decise di fare
una domanda che potesse includere la maggior parte di quelle a cui non sapeva
dare un ordine preciso; il moro, che osservava la schiena di Sirjan, non
sembrava particolarmente intenzionato a rispondere. Oz si stava già arrendendo
all’idea, quando inaspettatamente l’altro parlò: «Eravate bloccati in una
specie di ricordo, vero?» chiese a sua volta, sbirciando Oz con la coda
dell’occhio.
Il biondo annuì piano, in attesa: «Sirjan non mi ha spiegato bene, ma era
qualcosa racchiuso nel campanello di Cheshire. Per tirarvi fuori abbiamo dovuto
romperlo. Voi vi siete svegliati, e lui è scomparso.» spiegò, con quel modo di
parlare tipico di lui, frasi brevi e lo stretto indispensabile.
Oz stava per domandare chi fosse quella ragazza, ma notò un movimento al
proprio fianco; voltandosi in quella direzione notò che Alice si era alzata,
avvicinandosi di qualche passo. Sirjan, nel vederla al proprio fianco le mise
una mano sulla spalla, fermandola con decisione.
«Non è il caso.» la redarguì, criptico. Lei, quasi si fosse accorta solo in
quel momento della presenza del maggiore, lo fissò quasi sfidandolo a fermarla
davvero. Senza cambiare espressione, Oz giurò che l’altro avesse rafforzato
ancora di più la presa.
«Sei stato tu, vero?» li colse di sorpresa la voce della ragazza che ancora si
trovava inginocchiata in mezzo al corridoio, incurante dei frammenti di vetro
su cui poggiava. Solo quando si tirò su, Oz notò che fra le mani reggeva il
campanello di Cheshire, attraversato da una crepa ben visibile, come fosse
stato proprio rotto manualmente a metà. Lei guardava Sirjan, e piangeva.
«Sono stato io.» replicò lui quasi placidamente, cosa che sembrò scatenare il
sentimento opposto nella ragazza; l’espressione fu deformata dalla rabbia, ma
non solo. Sembrava triste, ferita, come se Sirjan avesse appena ucciso
qualcuno.
«Cheshire era… l’unico, l’unico amico di Alice!»
esclamò, riferendosi a se stessa con lo stesso nome della castana trattenuta
dal capo dormitorio. Oz, che iniziava veramente a non capirci più nulla, guardò
prima l’una e poi l’altra. Alice Lewis sembrava aver rinunciato a capire di chi
si trattasse, lasciandosi in balia della confusione più totale.
«Cheshire non ha rispettato il patto, e non era la prima volta.» parlò Sirjan
cautamente, severo come se stesse rimproverando uno dei tanti studenti colto in
flagrante per il corridoio oltre il coprifuoco: «Abbiamo un patto di non
aggressione, e in più di un’occasione lo avevo pregato di rimanere al suo
posto. Già molto tempo fa avrei dovuto aggredirlo, ma in nome dell’accordo che
c’è fra la scuola e voi, ho chiuso un occhio. Ho fatto un errore.» continuò, e per
un attimo ad Oz ricordò il Sirjan visto le prime volte. Freddo, implacabile,
poco disposto a perdonare. Specialmente gli spiriti come Cheshire.
«Cheshire era buono!» esclamò, insistente, la Alice in ginocchio.
Oz non lo vedeva in viso, da dove si trovava, ma fu certo che l’espressione del
più grande dovesse essere mutata radicalmente. Le parole che pronunciò glielo
confermarono.
«Cheshire ha aggredito un docente, causandogli una ferita profonda.» tuonò. Non
stava gridando nel vero senso della parola, ma il tono con cui le si stava
rivolgendo avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene a chiunque, con un effetto
maggiore che se avesse urlato: «In quell’occasione fu scusato perché entrambi
erano nel torto e il docente in questione si era spinto troppo in là nei vostri
affari. Il signor Bezarius, poi, è stato ripetutamente aggredito, anche senza
che avesse fatto alcun torto a voi. I patti erano altri, sono sempre stati
altri dalla fondazione perciò dimmi, quanto ancora dovrò fingere di non vedere
quanto poco vi interessa rispettarli? Non ho intenzione di aspettare che
nuociate ancora a qualcuno in maniera irreversibile.» concluse, senza muoversi
di un passo nonostante ad un certo punto – Oz suppose fosse causato dalla Alice
a terra che non sembrava affatto gradire quel discorso – qualche altro
frammento di vetro si fosse staccato dalle finestre, frantumandosi
ulteriormente contro il pavimento.
«Tuttavia» riprese Sirjan «non considero te colpevole di quanto fatto da lui
fino ad oggi. Sei libera di andare, e farò tornare gli studenti in quest’area
senza coinvolgere nessun altro.» aggiunse.
Oz normalmente si sarebbe preso la briga di chiedere ad Aedan cosa intendesse
Sirjan e come avesse fatto sì che gli studenti non si spostassero in quel
corridoio; ebbe però la sensazione che non fosse il momento adatto, e che non
avrebbe comunque ottenuto risposta.
«Cheshire non ha fatto nulla di male!» sentì insistere la Alice a terra e,
proprio in quel momento, la vide portare la propria attenzione proprio sulla
Alice a pochi passi da lui; la mano che non teneva il campanello ormai rotto,
indicava proprio in direzione della ragazza così uguale a lei: «È colpa sua!»
prese a gridare «Se tu non fossi andata via e non ci avessi lasciati soli… è stata colpa tua, tutta colpa tua! Cheshire è
rimasto con me perché tu ci hai abbandonati!» continuò, furiosa, mentre i
singhiozzi che di tanto in tanto le sfuggivano rendevano la scena a metà fra il
surreale e il pietoso.
Quella ragazza, quella Alice, sembrava tanto fragile quanto inavvicinabile.
Nonostante Oz avesse l’istinto di avvicinarla e cercare di calmarla, qualcosa
nel profondo gli diceva che sarebbe stato non solo inutile, ma anche pericoloso
a suo modo: una sensazione simile a quella provata con Glen, ma al contempo
diversa; in cosa differissero, non avrebbe saputo spiegarlo a parole.
«Lewis?» sentì pronunciare, riconoscendo la voce di Xerxes Break – era
indubbiamente lui, il docente al quale Sirjan si era riferito poco prima.
Girandosi in loro direzione, notò entrambi. Alice sembrava terrorizzata, in
quel momento, e Oz si sentì stranamente inquieto: forse perché non aveva mai
visto la castana davvero spaventata
da qualcosa, forse perché poco più in là c’era quella che sembrava un’altra
Alice in lacrime, ma la cosa lo preoccupò.
Vide il docente scuoterla leggermente con una delicatezza che, a dirla tutta,
non gli avrebbe mai attribuito senza averla davanti ai propri occhi.
Alice non lo considerava quasi, l’attenzione totalmente sull’altra ragazza, le
labbra appena socchiuse quasi stesse cercando di articolare qualcosa senza però
riuscirci, come bloccata.
«Perché mi hai lasciata da sola con le cose dolorose?! Perché sei scappata
via?! È tutta colpa tua! Ti odio, ti odio, ti odio!» prese a strillare l’altra,
e prima ancora che potesse rendersene conto, un vetro – come si fosse alzato da
terra Oz non lo sapeva ed era abbastanza sicuro di non voler indagare in quel
momento – passandogli vicino al viso così velocemente da non essere
praticamente visto, gli procurò un taglio superficiale ma fastidioso. Si portò
per istinto una mano al viso, sfiorandolo.
Quasi il taglio fosse stato netto e profondo, Aedan sembrò allarmarsi e lo
spintonò portandosi davanti a lui; Sirjan, allo stesso modo, si voltò verso di
loro con una certa urgenza sia nello sguardo che nella voce: «Portali via,
Aedan!» ordinò senza preoccuparsi di sembrare o meno sgarbato.
Oz, dopo una veloce occhiata alla ragazza davanti al capo dormitorio e ad
Alice, fece per ribattere. Sirjan non gliene diede il tempo e, quasi stesse
rispondendo ad un muto e perentorio ordine letto nello sguardo del più grande,
Aedan si alzò in piedi tirando su il biondo quasi di peso.
«Ma…!» tentò di opporsi, cogliendo però con la coda
dell’occhio che Break stava tirando indietro anche Alice per portarla via o
almeno più lontano possibile: «Quella è pericolosa.» disse solo Aedan,
probabilmente convinto che bastasse come spiegazione.
Prima che voltassero l’angolo, Oz vide soltanto due cose: la maggior parte dei
vetri a terra galleggiavano sinistramente in aria quasi pronti, come pugnali, a
colpire e Sirjan nel mezzo quasi si fosse volutamente posizionato nell’occhio
del ciclone.
Aedan li
aveva guidati lungo il corridoio in cui avevano svoltato lasciandosi il capo
dormitorio alle spalle, e in silenzio li aveva condotti fino alla stanza in cui
Oz era già stato una volta insieme a Sirjan e Alyster mesi prima e che gli era
parso una sorta di ufficio dei due. Non aveva mai indagato allora, né ne aveva
avuto motivo poi, su cosa ci facessero e se effettivamente non ci fossero
niente più che gli archivi studenteschi.
Una volta nella stanza, con il fiato corto visto che li aveva costretti ad un
passo piuttosto sostenuto, tutti e quattro avevano taciuto finché il respiro
non si era regolarizzato; Break aveva fatto sedere un’Alice fin troppo docile
perché la cosa non fosse da imputare allo stato di confusione mentale in cui
certamente versava. Aedan era rimasto fra la porta e la scrivania cui – se non
ricordava male – era solito sedere Sirjan; Oz era in piedi, invece, a ridosso
della poltroncina su cui avevano fatto sedere Alice.
Nel silenzio della stanza, appariva ancora più ovvio l’innaturale quiete che
aleggiava per i corridoi. Per la seconda volta Oz si era chiesto come fosse
possibile che il chiasso che anche solo i vetri avrebbero dovuto provocare
risultasse inudibile: non solo non erano così distanti da poter giustificare la
cosa, ma non era nemmeno plausibile già da prima che il frantumarsi delle
finestre fosse passato inosservato a tutta
la scuola.
«Aedan» aveva richiamato l’attenzione del moro: «Sirjan cosa sta facendo ora,
lì?» aveva domandato senza mezzi termini. Non voleva scuse, in quel momento,
perché iniziava a diventare impossibile anche solo provare a giustificare in maniera normale quel che succedeva a
Latowidge: «Ormai siamo di mezzo alla questione, qualunque essa sia. E a meno
che Sirjan non sia immune al vetro, cosa di cui dubito, o lo hai lasciato lì da
solo perché sei pazzo, o perché sai che starà bene.» aveva osservato,
guardandolo in maniera eloquente.
Aedan non aveva detto nulla, né mutato espressione sul momento; tuttavia, ad un
certo punto Oz era certo di aver visto un’accigliarsi leggero, quello che
avrebbe definito “preoccupazione”. Si era chiesto più volte se Aedan lavorasse
soltanto per Sirjan o se ne fosse amico e, quindi, si preoccupasse per lui.
Quella, finalmente, sembrava essere la risposta.
«Io non ho il permesso di parlarne.» aveva detto infine, abbassando leggermente
la testa. Oz avrebbe voluto provare a spronarlo un poco di più, certo che – dal
momento che considerava Aedan tutto fuorché stupido – avrebbe capito che in
quella situazione fosse più sensato rinunciare ad un segreto, piuttosto che
rischiare che qualcuno si facesse male sul serio. Prima che potesse dire
qualcosa però, la voce di Alice aveva risuonato per la stanza, una nota di
isterismo dato sicuramente dal susseguirsi di troppi eventi che dovevano averla
scossa; era forte, certo, ma nessuno sarebbe rimasto impassibile scoprendo
parte di un passato che non ricordava e sentendosi poi accusare da qualcuno con
il proprio stesso aspetto.
«Non me ne frega nulla, se non puoi parlarne! Quella…
quella ragazza!» aveva detto senza sapere nemmeno lei come chiamarla «Mi
incolpa di cose di cui non sono a conoscenza e non so nemmeno chi sia! Perché
ha la mia stessa faccia?! Perché mi accusa? Cosa vuole da me?! Smettetela di
nascondermelo, se tu e quello lì ne sapete qualcosa dovete dirmelo e basta!»
era esplosa, facendo ad Oz una gran tenerezza.
Alice, che sembrava sopportare bene qualsiasi cosa rimanendo sempre se stessa –
Echo che sembrava tenerla sotto controllo, Vincent che non le piaceva, tornare
a casa che era per lei insopportabile – aveva raggiunto la soglia di qualcosa
che non poteva tenere sotto controllo. Era spaventata, ed era comprensibile, e
in quel momento Oz non aveva saputo cosa fare per farle capire che pian piano
avrebbero districato tutto e ne sarebbero venuti a capo.
Che non necessariamente era qualcosa di pericoloso – lo pensava, probabilmente
sbagliando e troppo influenzato dall’idea di dover considerare pericolose tutte
quelle manifestazioni sovrannaturali, e dal dovervi includere anche suo
fratello.
«Allora» lo aveva incalzato Alice, liberandosi della mano di Break che, forse
solidale ad Aedan, cercava di trattenerla o almeno di calmarla: «vuoi dirmelo o
no?!» esclamò.
Oz era certo di non aver mai visto Aedan abbassare lo sguardo ma, in quel
momento, il moro lo fece: un solo istante, qualcosa di impercettibile, una
frazione di secondo in cui gli occhi avevano cercato quasi spasmodicamente la
porta.
«Non posso parlarne.» aveva ripetuto.
«Tu sei…!» aveva iniziato Alice ma, inaspettatamente,
Aedan aveva portato lo sguardo nuovamente su di lei, duro stavolta: «Proprio
come tu non tradiresti mai la fiducia di una persona vicina per me, io per te
non tradirò la fiducia di Sirjan. È tutto quello che ho da dirti, Lewis.» aveva
pronunciato senza lasciare possibilità di replica. Per la prima volta dopo
l’episodio avvenuto alla morte di Alyster, Oz lo vedeva prendere posizione.
Ad interromperli era stata la porta che si apriva lasciando entrare Sirjan, che
se l’era richiusa immediatamente alle spalle: non sembrava ferito, nonostante
avesse la stoffa della divisa tagliata sul braccio sinistro. A giudicare però
dal fatto che Aedan non cercò nulla per medicarlo, Oz dedusse che si fosse
tagliato solo il tessuto e non la pelle sotto di esso fortunatamente.
Intuendo che ci fosse una discussione in corso, Sirjan si era messo di mezzo.
Capito il problema, con un sospiro si era arreso a cercare un compromesso:
aveva spiegato loro che quella questione era qualcosa che la sua famiglia era
incaricata di tenere segreta per conto di terzi.
«Pertanto» aveva detto «dovrete darmi il tempo di richiedere il permesso al
capofamiglia.» aveva concluso, aggiungendo però il consiglio di pensare
attentamente all’eventualità di chiedere e di conoscere la verità.
«Ve lo consiglio non come appartenente ai Kolstoj.» era stata la precisazione:
«Lo dico come persona. La verità che cercate non riguarda solamente voi o le persone
che avete visto a causa dei ricordi conservati da Cheshire. Perciò credo che
dovreste pensarci bene, prima di decidere.» aveva detto prima di congedarli.
Aedan era chiaramente rimasto con Sirjan, mentre Break si era preso l’incarico
di scortare Alice al proprio dormitorio. Oz ne era rimasto un po’ sorpreso,
perché Xerxes Break non si era mai dimostrato esattamente il tipo di docente
coscienzioso verso i suoi studenti. Evidentemente, però, di fronte ad una cosa
così grande persino lui si ritrovava ad avere un atteggiamento più serio. Anche
se, e di questo Oz era sicuro, la prima cosa che avrebbe fatto dopo essersi
assicurato che Alice fosse al sicuro nel dormitorio sarebbe stata andare a
riferire il tutto a Rufus, confrontandosi con lui sull’accaduto.
Considerando che anche Glen Baskerville sembrava legato alla cosa, di certo i
due non ne sarebbero rimasti fuori.
Oz si era diretto al dormitorio maschile. Tuttavia, anziché andare nella
propria stanza, cambiò direzione ad un corridoio. Sapeva dove andare e sapeva
che non poteva rimandare, non ora, specialmente se Sirjan fosse tornato con il
permesso per raccontare loro tutta la verità. Capì che non poteva lasciare
Gilbert fuori dalla questione, e probabilmente nemmeno suo fratello Vincent;
ma, mentre nel caso del biondo sarebbe stato di certo più saggio lasciare che
fosse Gilbert stesso a parlargliene se l’avesse ritenuto necessario, nel caso
dell’amico – amico? Non era quello il momento di puntualizzare –
era giusto che fosse lui a spiegargli quanto accaduto.
Voltò un altro angolo, immettendosi nel corridoio che ospitava la stanza dei
due Nightray.
Come stiamo, oggi? Va un po’ meglio?
Si voltò, cercando alle proprie spalle due compagni che potessero essersi
scambiati quelle parole. Quasi dovesse ormai aspettarselo ogni volta, non vide
nessuno.
Inspirò, tornando a percorrere il corridoio nella direzione che stava seguendo.
Ha riposato tutta la mattina, credo che
oggi si senta più in forze rispetto al solito.
Si impose di non voltarsi, si disse che non c’erano voci, non c’era nulla
di strano. Soprattutto, non c’era nessuno alle sue spalle.
Credo che gli piacerebbe vederti. Non
vuoi entrare, Gilbert?
«Oz?» sussultò sentendosi posare una mano sulla spalla; si voltò di scatto,
ritrovandosi davanti proprio Gilbert. Sospirò piano, cercando di togliersi
dalla mente quella voce, mentre contro la sua volontà si sforzava
istintivamente di ricordare a chi appartenesse. Gli sembrava familiare, ma non
riusciva a fare mente locale. Supponeva che venisse da un ricordo, da qualcosa
successa in passato e che gli era tornata in mente ma non riusciva ad
inquadrarla nel proprio passato.
Quando era stato male? Aveva avuto la febbre da bambino e Gilbert era andato a
trovarlo?
Allora la voce doveva essere di Ada, visto che era femminile.
«Va tutto bene? Sei pallido.» sentì dire al moro, le dita che gli sfiorarono la
guancia con il dorso, l’espressione apprensiva. Incurvò le labbra in un sorriso
leggero, annuendo: «Mi hai solo sorpreso. Stavo venendo nella tua stanza.»
replicò.
«Come mai? È successo qualcosa?» domandò il moro, facendosi attento.
Normalmente Oz avrebbe sminuito con un “no, è tutto a posto”, ma non era quello
il caso. Annuì di nuovo, impercettibilmente: «C’è una cosa di cui vorrei
parlarti. Riguarda… il periodo precedente alla tua
amnesia, credo.»
Gilbert
si sentiva estremamente confuso.
Oz gli aveva pazientemente spiegato tutto l’accaduto, compreso il contenuto di
ciò che con Alice e Break aveva osservato, non sorprendendosi del fatto che il
moro non sembrasse ricordare quel primo incontro con la cugina; o meglio,
sosteneva che quello che lui ricordava fosse in circostanze e luoghi diversi.
Soprattutto, gli aveva detto, non era presente Jack quella volta.
L’unica soluzione che gli era venuta in mente, era cercare di confrontare i
propri ricordi con Vincent, l’unico altro presente in quell’occasione che
potesse smentire o avvalorare quanto visto da Oz: «Lo cercherò e chiederò a
lui. Ne riparliamo a cena, va bene?» si era quindi congedato dal biondo.
Vincent non era in stanza, e per quello Gilbert aveva preso a dirigersi verso
la biblioteca una volta abbandonato l’edificio del dormitorio, sperando che suo
fratello per una volta che gli serviva mantenesse il suo hobby di andare a
leggere le cose più disparate – letture che probabilmente faceva solo lui in
tutta Latowidge, e sulle quali Gilbert non aveva mai voluto indagare davvero –
in modo da essere facilmente rintracciabile.
Voltò un angolo, e diede una spallata a qualcuno che non inquadrò del tutto dal
momento che se lo era ritrovato davanti all’improvviso. Fece per scusarsi,
notando che si trattava di Elliot e che sembrava venire proprio dalla
biblioteca: «Elliot, giusto te.» lo incalzò, mentre il minore lo fissava tra
l’imprecazione mentale di chi viene urtato e vorrebbe mangiarti vivo e lo
scombussolato dallo scontro inaspettato.
«Vieni dalla biblioteca? Hai visto se c’è Vincent?» domandò senza perdere
troppo tempo, visto che nessuno dei due si era certo fatto male.
«No, stavo venendo a cercarti.» ammise, recuperando un libro che gli era caduto
di mano. Gilbert se ne stupì inevitabilmente: era ben raro che Elliot lo
cercasse o avesse un bisogno impellente di parlargli o chiedergli qualcosa. Lo
cercava di persona solo se avvertiva la necessità imminente di urlargli contro
per qualche motivo spesso discutibile; in tutti gli altri casi, mandava Reo a
fare da tramite.
Lo vide guardarsi intorno con circospezione, notando qualche studente che
andava o veniva dalla biblioteca passargli accanto: «Vorrei evitare di
parlartene qui. È abbastanza urgente, però. Possiamo spostarci?» lo incalzò con
una certa impazienza, osservandolo.
Proprio perché era raro uno scambio simile tra di loro, Gilbert annuì; alla fin
fine Vincent era sempre nei soliti posti quando non era in stanza, perciò non
sarebbe stato difficile trovarlo in un secondo momento.
Annuì, quindi: «Spostiamoci.» si disse d’accordo, vedendo Elliot passargli
accanto e voltandosi per seguirlo.
Si disse
che avrebbe dovuto iniziare ad avere qualche dubbio quando anziché spostarsi –
cosa assai più logica – nei dormitori o in una delle loro stanze, Elliot lo
aveva guidato per i corridoi fino ad un’ala dell’edificio principale
praticamente dimenticata anche da chi conosceva la scuola come le sue tasche.
Era, notò Gilbert in un secondo momento, nella zona che fin dal primo anno
avevano vietato espressamente, sottolineando che lo stesso regolamento interno
dell’Istituto sconsigliava l’accesso. In un secondo momento – intorno al suo
secondo anno, se Gilbert non ricordava male – addirittura si era cominciato a
punire chi non rispettava quella regola.
Ne conseguiva quindi che quell’ala dell’edificio fosse non solo isolata, ma
avesse anche l’aria più abbandonata e consunta del resto della scuola.
Gli sarebbero dovuti sorgere dei dubbi nel momento in cui Elliot, ligio al
dovere e osservante delle regole, aveva voltato l’ennesimo angolo immettendosi
in quell’area. Invece, spazientito dall’allontanarsi così tanto – cosa a suo
avviso inutile – e in ansia per quel qualcosa di urgente di cui Elliot sembrava
aver bisogno di parlare, non aveva detto nulla limitandosi a seguirlo.
Ora, soli in quel corridoio dove nessuno sarebbe arrivato, si malediva
mentalmente.
Ora, mentre Elliot con sguardo vuoto come se nemmeno lo vedesse davvero lo
inchiodava al muro, si dava dello stupido.
Non voleva reagire picchiando suo fratello minore, che in quel momento nemmeno
sembrava lui; capiva però che, se avesse continuato a stringere così tanto o
avesse fatto movimenti strani, sarebbe stato inevitabile.
«Elliot, lasciami.» intimò per l’ennesima volta, la voce appena spezzata.
«Non essere sciocco.» lo apostrofò l’altro. Fu l’espressione a tradirlo, a far
capire a Gilbert che nonostante lo sembrasse quello non era e non poteva essere
Elliot; gli occhi azzurri, che erano quasi sempre arrabbiati o seccati nel
posarsi su di lui, lo stavano guardando con altezzosità e disprezzo. E, seppure
Elliot avesse sempre cercato di far sembrare tale l’arrabbiatura – spesso anche
ingiustificata – verso di lui, Gilbert dopo anni sapeva anche senza guardarlo
che suo fratello minore non guardava con disgusto le persone, salvo che
avessero fatto qualcosa di veramente grave.
Poteva essere arrabbiato per il suo carattere tranquillo, l’indole remissiva,
il fatto che fosse stato un servitore dei Bezarius prima di essere adottato, ma
in quel modo non lo avrebbe guardato mai.
«Confido» lo sentì riprendere: «che tu abbia ben compreso che non sono il tuo
sciocco e influenzabile fratello minore.» pronunciò. L’espressione di Gilbert
mutò: irritato e forte dell’istinto di protezione che nei confronti dei suoi
fratelli – Elliot compreso – aveva sempre avuto, lo fissò di rimando senza
paura.
Non importava che la posizione al momento volgesse a suo favore, e che Gilbert
fosse con le spalle al muro, quasi completamente impossibilitato nei movimenti.
«Chi sei? Cosa vuoi da mio fratello?» pronunciò, il tono risoluto.
Vide le labbra di Elliot incurvarsi in un sorriso di scherno estraneo al volto
del minore, mai visto negli anni in cui era cresciuto con lui.
«Rispondi alla mia domanda, piuttosto.» lo ignorò totalmente: «Se gli eredi
dell’uomo di cui desideri vendicarti fossero davanti ai tuoi occhi, giovane
Nightray, cosa faresti?»
Gilbert boccheggiò per un attimo, senza sapere bene cosa dire. Si impose di
calmarsi.
Doveva ragionare, doveva capire con chi stesse parlando; poi, solo poi, avrebbe potuto preoccuparsi di come
e perché quella persona – quella presenza
– ce l’avesse con il suo padre adottivo.
«Chi sei?» chiese nuovamente, testardo.
Il viso di Elliot si fece più vicino, fino a deviare lateralmente per poter
parlare a voce bassa ed essere comunque udibile grazie alla scarsa distanza:
«Glen Baskerville.» pronunciò piano, il tono quasi sadicamente divertito.
«E la risposta esatta era: li ucciderei.»
Un parto. Uno stramaledetto parto ;_;! *si prostra*
Credo che persino per chi è abituato ai miei aggiornamenti lentissimi stavolta
sia passato davvero troppo tempo. Sono… 5 mesi? *non ci vuole pensare*
Ad ogni modo, a questo punto siamo a -3 (o -2 + 1, considerando l’epilogo XD)!
Inizia a vedersi la fine, non ci credo nemmeno io ;_;” Confidate che, anche se
con aggiornamenti lentissimi, questa storia vedrà la dicitura “the end” (è già
riassunta, per questo lo posso giurare XD).
Per questo capitolo risponderò ancora in queste note finali, ma dalle prossime
eventuali recensioni risponderò tramite il sistema di EFP – sempre se mi
ricordo 8D *rincoglionita*
Sì, odiatemi pure per la fine del capitolo 3
La frase in apertura è di Kuroshitsuji I.
Vi auguro delle buone feste <3
Fiamma
Drakon: ti ringrazio come
sempre per i complimenti e sì, voi che siete sopravvissuti 19 capitoli senza
capirci un accidente state per essere – finalmente – ricompensati XD
Abbiamo ormai raggiunto il climax, da parte di questo capitolo e negli ultimi
due tutti i nodi verranno al pettine, per la vostra gioia!
Sono contenta che Break risulti IC (su questo capito ho qualche leggera
perplessità, ma attendo il giudizio di chi legge eventualmente XD); spero che
anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento (e non troppo confusionario)!
Nuit: non devi
affatto scusarti del tuo ritardo, la recensione non è un obbligo ma un piacere
(per chi la lascia e per chi la legge), non c’è una scadenza. Io piuttosto, con
il ritardo che ho con i capitoli immagino abbiate l’istinto di lapidarmi, tipo
8D
Elliot e la sua uscita per la presenza di Gilbert sono uno dei punti da
“retroscena” di una povera autrice e dei suoi schemini
dei capitoli, che narrerò in separata sede alla conclusione di questa fanfic XD Cheshire e Break nel mio immaginario si odiano e
basta, proprio come cane e gatto – paragone infelice visto che il gatto c’è
davvero, ma passatemi il termine LOL
Spero che quanto accaduto nei ricordi di Jack abbia incontrato le aspettative!
^^