Patisserie française
fragolottina's time
c'entra qualcosa il fatto che poche sere fa ho guardato 'Ratatouille'? ovvimente si, ma vi prometto niente roditori.
dunque, non so che raccontarvi... mi piace pasticciare e nonostante il
fatto che mi sto laureando il lingue, non lo escluderei del tutto dal
mio futuro, potrei ancora farci o pensierino...
poi... ah, si! è la prima storia che ambiento in Italia, di
norma evito perchè... boh, non lo so... non abbiamo le
cheerleader, non abbiamo il football, non abbiamo le divise, i balli
scolastici, non abbiamo Harvard... tutte cose che poi in un modo o in
un altro nelle storie che scrivo servono... e poi sono cresciuta a
Buffy ed Una mamma per amica... mi viene spontaneo!
cmq, la città è inventata in ogni caso, la 'Pȃtisserie
(perchè quella a è così bruttina poveretta?)
Française' non esiste... se nel futuro la vedrete l'ho aperta io!
come sempre i personaggi me li invento... come sempre non esistono, ahimè, come sempre buona lettura!
PROLOGO
I pasticceri non sono necessariamente dolci
La stanza è piena di ragazze come me.
No,
probabilmente no, per tutto quel discorso che ogni persona nel mondo
è unica ed irripetibile e blablabla.
Ma in ogni
caso, ognuna di loro, come me, è qui dopo aver seguito un corso
di pasticceria più o meno accurato, aver fatto scarse esperienze
lavorative e, soprattutto, con la speranza di essere migliore delle
altre.
‘Pâtisserie française’ è famosa
per i suoi dolci, per il fatto che Paris Hilton compra qui la sua torta
di compleanno e per il suo pasticcere francese eccellente quanto
affascinante, si dice che sia anche velatamente arrogante, ma sono
sicura che siano solo chiacchiere. Non so perché associ il fare
dolci di mestiere ad una dolcezza interiore. Io non sono
particolarmente dolce e sono una pasticcera, ma forse è
perché io, in fondo, sono anche una biologa.
Perché
una biologa, laureata con cento e lode, dovrebbe cercare lavoro come
pasticcera? Semplice: perché il mondo, per quel che ne so, non
ha bisogno di biologi, almeno non l’Italia. Così dopo aver
sbattuto la testa a ventidue anni contro la dura realtà, ho
fatto delle ricerche scoprendo che in Italia mancavano mille e
trecento parrucchiere, mille estetiste, novecento fornai e pizzaioli,
ottocento sarte e cinquecento pasticcere. Da piccola, durante il
periodo di Carnevale, io e mia nonna facevamo insieme le frappe, quindi
ho fatto un corso di due anni di pasticceria.
Niente
illuminazioni, niente vocazioni, niente bisogno di espressione. Voglia
di indipendenza e bisogno di soldi per ottenerla.
Ad ogni modo,
una ragazza sta scappando via in lacrime e questa non è una
buona cosa, soprattutto perché io sono la prossima.
Una donna
poco più grande di me, deve essere circa sulla trentina,
consulta un foglio che immagino contenga la lista dei nostri nomi;
è carina anche se il tailleur che indossa ed i capelli raccolti
le danno un’aria un po’ rigida. A dirla tutta la
invecchiano anche un po’, non capisco perché alcune
ragazze sentano così tanto il bisogno di apparire più
adulte.
«Veronica Neri?» mi chiama.
Io mi alzo in piedi. «Sono io.»
Lei mi scruta con attenzione, poi sospira. «Te la senti?»
Sbatto le palpebre perplessa, non dovrei?
«Certo.» annuisco convinta.
«Pensi di riuscire a non piangere?» continua a domandare.
Faccio di nuovo di si con la testa timorosa.
«D’accordo.»
Si scosta dalla porta e mi fa cenno con la testa di entrare.
Quello che mi
si presenta davanti è un normalissimo ufficio, c’è
una scrivania con un pc portatile aperto e tre sedie. In un angolo una
pianta cerca di rendere più accogliente l’ambiente, ma non
può fare niente contro l’impressione di ‘stanza
colloqui messa su in tutta fretta’. Non è qualcosa in
particolare a trasmetterlo, è come se i muri fossero troppo
bianchi, troppo luminosi, tutto è troppo vuoto.
Il pasticcere è in piedi davanti ad una finestra con le mani intrecciate dietro la nuca.
«Veronica, lui è Pierre Mureau. Pierre, lei è Veronica Neri.»
Si gira
incrociando le braccia sul petto e studiandomi annoiato, mentre io mi
siedo. Ha i capelli biondi come il grano, divisi in fitti riccioli che
gli ricadono sul viso fin quasi a coprirgli gli occhi castani e grandi,
se li ravviva indietro con la mano. Non ha decisamente la tenuta da
pasticcere raffinato, indossa una camicia rossa a quadri scozzesi sopra
una maglietta ed un paio di jeans dall’aria consumata.
«Petite.» mormora. Ha le labbra lunghe e morbide, quasi femminili su un accenno di barba chiara.
«Io
sono Eleonora Bernardi, la proprietaria del locale.» mi porge
gentile la mano da seduta ed io la stringo. «Hai con te un
curriculum, vero?»
Frugo nella
mia borsa e ne estraggo uno, da quando sono attivamente impegnata nella
ricerca di un impiego stabile continuo a portarmene dietro una copia;
ho ottenuto un sacco di mini contratti mensili, grazie a
quest’accortezza, ma di certo stare due mesi in una gelateria ed
altri due in un bar non basta a raggiungere l’indipendenza
economica.
Lo porgo alla Bernardi, ma è la mano di Pierre ad intercettarlo.
Si siede sull’ultima sedia rimasta libera e lo studia strofinandosi il viso con una mano.
«Ventiquattro anni, sembri più giovane.»
commenta con un spiccato accento francese sull'italiano corretto.
«Grazie.» rispondo cercando di essere gentile.
«Non era un complimento.» ribatte secco senza guardarmi.
Iniziamo proprio bene.
La Bernardi accanto a lui si copre gli occhi con una
mano, ha l’aria sconfortata. «Sei laureata, mm…
pourquoi?»
«Volevo
studiare le scienze biologiche?» rispondo incerta, per quale
altro motivo dovrei essermi laureata?
Lui appoggia
con lentezza calcolata il mio curriculum sul tavolo e mi guarda.
«Vediamo se indovino…» inizia. «ti sei
laureata, hai visto che di biologi nel mondo ce n’erano anche
troppi, anche les plus brillantes di te ed hai ripiegato su un
lavoretto come la pasticceria in cerca di più de chance?»
«No?!» cosa c’è di male?
Lui scuote la testa. «Non… tu peux aller.»
«Davvero?» domando, non ho capito esattamente cosa sia successo, ma temo non sia andata bene.
«No.» mi risponde la donna, sbattendo il palmo aperto
sul mio curriculum, prima di recuperarlo e leggerlo con aria nervosa.
«Pierre, ne abbiamo viste, quante? Venticinque?»
«Trenta.» la corregge senza scomporsi, ignorando il suo fastidio.
«Appunto, forse dovresti rivedere i tuoi criteri di scelta.»
Lui brontola qualcosa senza guardarla dal suono vagamente polemico.
«Non fare il francese con me, sai parlare italiano alla perfezione.»
«Bien, che sai fare?» mi chiede con un sorriso ipocrita.
«Ho lavorato in una gelateria, mi occupavo delle torte gelato…»
«Ti serve una gelataia, Nora?» mi blocca senza il minimo rispetto.
«Ho un diploma di pasticcera, non sono una gelataia!» protesto guardandolo.
Lui sposta lo
sguardo su di me gelido. «Immagino, che tu faccia delle
crostatine fantastiche, ma qui siamo ad un livello un tantino
più alto dell’amatoriale.» mi deride come se fossi
una povera ragazzina scema.
Per un paio
di secondi rimango zitta e continuo a fissarlo, poi stizzita comincio a
rimestare nella borsa, sono sicura di avere con me il foglio di
giornale dove ho letto l’annuncio, perché avevo paura di
non riuscire a trovare il posto. Finalmente lo trovo e glielo piazzo
davanti al naso alzandomi in piedi. «’Cercasi apprendista
in possesso di diploma di formazione pasticcera. Disponibile per
eventuali corsi aggiuntivi. Full-time.’ Non c’è
scritto da nessuna parte che devo essere una professionista e
comunque…» mi sistemo meglio la borsa sulla spalla.
«le mie crostatine sono tutt’altro che amatoriali,
sbruffone.» concludo in bellezza, incrociando le braccia sul petto
e guardandolo dall’alto in basso. Ho dato dello sbruffone al
pasticcere di fiducia di Paris Hilton, ho appena buttato al vento la
possibilità di un ottimo lavoro e probabilmente
continuerò a fare tortine gelato per tutta la vita, ma al
diavolo! Se deve insultarmi se lo può tenere il lavoro e se ne
può tornare anche in Francia.
Eleonora
Bernardi si copre la bocca con una mano nascondendo una smorfia di
stupore e divertimento. «Ti ha dato dello sbruffone,
Pierre.»
Lui le lancia un’occhiataccia. «Oui, ho sentito.»
Faccio per
uscire a passo di carica, ma ci ripenso e mi blocco con una mano sul
pomello. «Non sei un genio, non sei più intelligente di
me, non sai fare calcoli matematici impossibili a mente, sai fare
torte! Con un po’ di esperienza in più diventerei brava
quanto te.» e poi tra l’altro. «Io sono
laureata!» esclamo come ricordarmelo all’improvviso.
«Io sono effettivamente più intelligente di te!»
Lui scoppia a
ridere, ma è un risata gelida, spietata che in ogni caso non
coinvolge gli occhi. «Non so proprio cosa farmene della tua
intelligenza, va via!»
Ho anche un altro colloquio da
fare. Certo, non è importante come la ‘Pâtisseries
Françaises’, ma almeno qui sembrano intenzionati a
rispettarmi.
È un
uomo a controllare il mio curriculum, è un fornaio che
però, oltre al pane, ha anche un bancone di dolci ed ha bisogno
di qualcuno che se ne occupi. Lo stipendio, per quanto io possa essere
ottimista, non sarà mai elevato quanto quello di un pasticceria
di lusso, è part-time, ma mi offrono un contratto di due anni.
Loro non fanno storie per la mia laurea, non si lamentano nel mio lavoro in gelateria, non…
Il mio
telefono squilla, lo recupero dalla mia borsa e controllo il display su
cui lampeggia un numero che non conosco. «Mi scusi.» dico
all’uomo che mi sta facendo il colloquio, alzandomi ed uscendo
dalla stanza per andare a rispondere fuori.
«Pronto?»
«Veronica Neri?» mi chiede una voce femminile.
«Si?» rispondo coprendomi l'altro
orecchio con la mano per attutire il frastuono delle macchine che
passano.
«Sono Eleonora Bernardi, vorrei venire da te a
fare merenda, sai per assaggiare qualcosa fatto da te.» spiega.
«Va bene, se vengo a casa tua alle cinque e mezza oggi
pomeriggio?»
Per un secondo rimango interdetta. «Ma mi ha cacciata.» protesto.
«Le ha
cacciate tutte, ma io qualcuno devo pur assumere.» si interrompe
per alcuni secondi. «E comunque, la proprietaria sono io non
lui.»
Dovrei dire
di no. Insomma, probabilmente non sono così brava da convincerla
con un tortino fatto su due piedi, ma anche se ci riuscissi, poi dovrei
lavorare con Mr. ‘Io sono più figo di te perché
parlo francese’ Mureau… anche se forse sarebbe più
appropriato dire Monsieur.
«Allora?»
«Alle cinque e mezza va bene.»
Ho mandato via i miei genitori
con una scusa, non mi piace avere intorno mia madre che sorveglia me e
la cucina, mentre sono ai fornelli; per lei sono ancora la bambina che
potrebbe scottarsi con una pentola bollente o con il forno. In
realtà mi capita molto più spesso di quanto dovrebbe e
questo giustifica la sua apprensione, ma, se devo fare un colloquio,
meglio non fare niente per insospettire la mia possibile datrice della
mia sbadataggine.
La Bernardi
è puntualissima, alle diciassette e trenta precise citofona nel
mio palazzo, alle diciassette e trentacinque è seduta su una
sedia della mia cucina e mi osserva armeggiare con farina, zucchero
eccetera.
Alle diciotto
e quindici il mio muffin alle gocce di cioccolata e glassato di rosa
è su un piattino davanti a lei. Lo solleva con due dita, lo
studia e lo morde, masticando con calma e riflettendo.
«Mi piace, anche se forse ci andava un altro po’ di zucchero.»
«Davvero?» domando mortificata.
Ma lei mi
sorride gentile. «Tranquilla, non è niente di
catastrofico.» prende un altro morso, mentre io le riempio una
tazza con il tè che avevo messo a preparare.
«Grazie.» dice bevendo.
«Di niente.»
«Dunque…» inizia posando quel che resta del
mio pasticcino – molto poco in realtà, buon segno –
sul piattino. «sei una buona candidata per quel posto, sei una
delle poche che non si è fatta mettere i piedi in testa da
Pierre, hai tutte le carte in regola ed i tuoi dolci sono
effettivamente buoni.»
«Lui non mi vuole.» le ricordo.
«Lui
vorrebbe un altro sé stesso e dio solo sa cosa non darei per
avercelo! Ma, ahimè, non esiste, dovrà
accontentarsi.» si stringe nelle spalle.
Io abbasso lo
sguardo mentre mi sfilo il grembiule dalla testa e lo appoggio sul
tavolo. «Non sono sicura di voler lavorare con lui e farmi
umiliare di continuo.»
Appoggia i
gomiti sul tavolo sostenendosi il viso con le mani. «Quando
l’ho assunto mio padre mi ha detto ‘L’unico modo per
andare d’accordo con quel ragazzo è essere il suo
capo’.» sorride. «Non ti invidio proprio. Ma tu vuoi
questo lavoro, perché non sei stupida e sai che tre mesi alla
‘Pâtisserie Française’ ti apriranno un sacco
di porte.»
«Mi offre un contratto di soli tre mesi?»
Lei scoppia a
ridere. «Io sono un’ottimista!» esclama. «Te ne
offro uno a tempo indeterminato, tre mesi è la media di tempo
che resistono gli aiuto pasticceri di Pierre.»
«Perché se ne vanno?» chiedo curiosa e
particolarmente interessata, il lavoro del fornaio non è come
questo ed è part-time, ma è un contratto di due anni.
La Bernardi sbatte le palpebre eloquente. «Secondo te?»
La fisso ancora per un paio di secondi, poi abbasso lo sguardo. «Oh…» commento soltanto.
«Vedi,
non devi prenderla sul personale, non è che tu gli sia meno
simpatica del resto del mondo…» cerca di spiegarmi con
l'espressione tipica di chi non sa quali parole usare per rendere
migliore una situazione, probabilmente perché non ce ne sono.
«è solo che lui ci odia tutti indifferentemente. È
troppo bravo e troppo consapevole di esserlo.»
«Davvero, è così bravo?»
Lei fa un
sorrisetto, poi si volta a frugare nella sua borsa estraendone una
busta di carta con il logo della sua pasticceria e sbircia
all’interno. «Avanti, assaggiane uno.» mi offre
facendomi l’occhiolino e porgendomi il sacchetto.
Incerta,
allungo la mano e ne estraggo un biscotto al burro. Semplicissimo,
pastafrolla e gocce di cioccolato in un stampino a forma di cuore, non
ci vuole assolutamente un corso di pasticceria per saperne fare. Lo
mordo e lo mastico una volta.
«Cazzo.» mi scappa mentre riprendo a masticare
studiando senza capire il frollino, ma che diavolo ci ha messo?
La Bernardi ridacchia. «Si, è davvero così bravo.»
È la
cosa più buona che io abbia mai assaggiato, ne avrò
mangiati di biscotti in vita mia? Ho assaggiato anche quelli del mio
insegnante al corso, ma questi sono esaltanti, sono fantastici.
«Che c’è dentro?» domando, perché devo
assolutamente avere la ricetta e provare a farne mille.
«Nessuno lo sa.» scrolla le spalle. «Ha un
quaderno dove riscrive tutte le ricette secondo una sua interpretazione
molto personale e molto giusta. E quel quaderno lo tiene probabilmente
in una cassetta di sicurezza.»
Il segreto di
Pierre Mureau è semplicemente in un quaderno di ricette? Se io
mettessi le mani su quel quaderno riuscirei ad essere brava come lui?
«Che io
sappia non l’ha mai visto nessuno, ma se vieni a lavorare da
me…» insinua. «potresti provare a conquistarti i
suoi favori e convincerlo a lasciarti dare una sbirciata.»
Questa si,
che è una bella tentazione. La guardo, poi guardo il biscotto
che mi ha offerto ed il mio muffin che non potrebbe mai tenere il
confronto.
«Qualcuno è mai riuscito a conquistare i suoi favori?» le domando.
«No, ma
magari tu farai la differenza.» si alza dalla sedia e si infila
di nuovo il cappotto, pronta per andarsene. «Pensaci, io ti
preparo il contratto, domani vieni in pasticceria e mi dai la tua
risposta, d’accordo?»
Annuisco e la
accompagno alla porta, consapevole che c’è soltanto una
risposta che io possa dare.
e qui finisce il prologo...
spero che abbiate trovato la mia idea abbastanza interessante da essere
arrivate fin qui e voler leggere anche un'altro capitolo...
non so proprio se ci sono altre storie così, se fosse mi scuso e mi rimetto ad un eventuale giudizio...
se vi va di farmi sapere che ve ne pare mi farete felice!
bacizuccherosi
ps: mi sto prodigando per aggioranre anche tutte le altre storie in corso... pian, pianino...
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