Nothing
feels as real as
you do
If
the world should turn its back,
you know that I’m still here
Fino a poco prima, il calore della leggera brezza estiva e delle
dita di Aigis tra i suoi capelli lo aveva cullato, insieme al vociare
sempre più vicino dei suoi amici, sprofondandolo a poco a
poco nel
sonno.
Adesso, al contrario, aveva freddo e non udiva altro che il
più
profondo silenzio.
Morire è così?, si
domandò istintivamente. Sapeva di non
appartenere più al mondo dei vivi – aveva perso
quel diritto nel
momento in cui aveva avuto l’ardire di spostarsi nella
dimensione
della Morte nel tentativo di sconfiggerla – ma non avrebbe
mai
immaginato la morte come quello stato di oscurità e
silenzio, nel
quale riusciva ancora a percepire i propri pensieri, a concepire se
stesso come qualcosa di reale e tangibile.
Scoprì di potersi muovere, di possedere ancora un corpo e di
provare la sensazione familiare di trovarsi seduto su una poltrona di
velluto; allora aprì gli occhi e riconobbe la sala nella
torre
dell’orologio in cui soleva incontrare Igor.
«Finalmente ti sei svegliato, Minato-san».
Dietro la scrivania, sulla sedia che era appartenuta al vecchio
custode della Sala di Velluto, era accomodato Ryouji. Non aveva
più
l’aspetto di Nyx, i capelli ricadevano scompigliati sulla sua
fronte pallida, i suoi occhi azzurri lo scrutavano, a metà
tra il
serio e il divertito, e un leggero sorriso era dipinto sulle sue
labbra sottili. Somigliava così tanto a Pharos; Minato
provò una
fitta di malinconia nel ricordare il ragazzino che era cresciuto
dentro di lui a sua insaputa – avrebbe dovuto considerarlo un
parassita e odiarlo, ma non ne era capace.
Forse avrebbe dovuto odiare anche Ryouji, perché non
sembrava
affatto pentito di averlo ucciso, eppure non riusciva a fare neppure
quello.
«Come mai siamo qui?» chiese. La sua voce
suonò strana, diversa
da com’era abituato a udirla, ma allo stesso tempo familiare.
In
realtà tutto di sé gli sembrava uguale e
differente insieme, così
come Ryouji.
Lo conosceva bene, conosceva ogni singolo dettaglio del suo
aspetto, tuttavia aveva l’impressione di vederlo adesso per
la
prima volta.
Ryouji accavallò le gambe, abbracciò la sala con
un’occhiata e
infine spostò nuovamente la propria attenzione su di lui,
con calma,
senza mai smettere quel suo sorriso caratteristico. «Sono
venuto ad
accompagnarti nell’aldilà. Hai dimenticato chi
sono?»
Minato non disse nulla. Era chiaro, era stato uno sciocco a non
capirlo. Ryouji era il messaggero della Morte, sebbene lui avesse
sigillato Nyx il suo compito non era cambiato. «Allora adesso
andiamo via?»
Ryouji si limitò ad assentire, un gesto a suo modo
definitivo.
«C’è solo un’ultima domanda
che devo farti».
Minato lo osservò, curioso. «Quale?»
«Hai un ultimo desiderio?»
Un ultimo desiderio? Rivedere i suoi amici. Aigis, Junpei, Yukari
e gli altri, che senza dubbio stavano piangendo la sua fine.
Chissà
se avevano recuperato i ricordi, gli sarebbe piaciuto saperlo. Quello
era ciò che avrebbe dovuto volere, eppure non riusciva a
pensare di
accontentarsene. C’era dell’altro, qualcosa che
fino ad allora
aveva nascosto anche a se stesso. O meglio, non nascosto:
semplicemente, erano accadute troppe cose e non aveva trovato il
tempo di soffermarvisi.
«Voglio perdonarti».
Era chiaro che Ryouji non si aspettasse un’affermazione del
genere. Sgranò gli occhi azzurri e socchiuse la bocca,
sorpreso,
prima d’essere capace di riacquistare il proprio contegno.
Una nota
di tristezza e commozione gli incrinò la voce. «Lo
faresti
davvero?»
Minato si alzò dalla sua sedia, ma una strana sensazione lo
immobilizzò per un lungo istante. Non si era mai mosso nella
Sala di
Velluto, si era sempre limitato a parlare con Igor o Elizabeth.
Camminare su quel pavimento che esisteva soltanto nella sua testa gli
dava l’impressione di essere un’entità
incorporea, poiché non
riusciva a percepire la durezza del marmo sotto i piedi.
Sarebbe stato in grado di toccare Ryouji, oppure anche lui gli
sarebbe parso un’illusione?
Il messaggero non si mosse dal suo posto dietro la scrivania, che
Minato aggirò fino a trovarsi a una manciata di centimetri
da lui.
Si chinò e i loro occhi s’incatenarono in un gioco
di sguardi così
intenso che, al contrario di quella stanza, sembrava palpabile,
paradossalmente.
«“Perdonare” non è la parola
giusta» replicò, pensoso. «La
verità è che io non ti ho mai biasimato. Nessuno
di noi l’ha
fatto, credo. Non è stata colpa tua, Ryouji-kun».
Senza dargli il tempo di dire alcunché, premette le labbra
sulle
sue. Contrariamente a quanto aveva temuto, Ryouji era reale,
più
reale di tutto il resto. Ciò avrebbe dovuto spaventarlo,
perché
significava che la Morte era davvero sopraggiunta per lui, eppure in
quel momento non riusciva a colmarsi d’altro che dei ricordi
del
tempo trascorso insieme al ragazzo.
Ryouji che si iscriveva alla Gekkoukan, Ryouji che attirava
l’attenzione di qualsiasi ragazza con il proprio
bell’aspetto e i
modi affabili, Ryouji che veniva in gita con loro e lo baciava per la
prima volta, di nascosto dagli altri.
Quando poi il ragazzo aveva rivelato d’essere il messaggero
dell’Apocalisse e che erano destinati a morire, Minato non
aveva
potuto credere che quello che era successo tra loro fosse stato
soltanto una menzogna, un modo per passare il tempo in attesa
dell’arrivo di Nyx e per prendersi gioco di lui, che
l’aveva
lasciato crescere dentro di sé sotto forma di Pharos.
Le sue carezze non erano mai state false, i suoi baci non avevano
mai avuto il sapore di una bugia, i gemiti e i sospiri non erano mai
stati esalati con l’intento d’ingannarlo.
«Questo mi rende straordinariamente felice,
Minato-san». Ryouji
sorrise, sincero, e gli strinse le mani nelle proprie quando Minato
si ritrasse e interruppe il bacio. «Non puoi neppure
immaginare
quanto. Temevo che non avresti mai nemmeno considerato la
possibilità
di perdonarmi… Tu sei stato davvero importante per me. Il
primo
essere umano davvero importante. E anche il primo a non odiarmi,
pare».
La sua voce giungeva ovattata alle orecchie del ragazzo, le sue
dita intrecciate con le proprie avevano assunto una consistenza
diversa, meno tangibile, e le pareti della Sala di Velluto si stavano
lentamente cancellando.
«Non ti rivedrò mai più,
vero?»
Minato non aveva paura di morire o di quello che avrebbe trovato
al di là del cancello che nessun mortale poteva varcare, se
non alla
fine del proprio cammino. Se si fosse trovato a dover compiere
nuovamente quella scelta, l’avrebbe fatto. Tutti muoiono,
prima o
dopo, e lui aveva avuto la fortuna di non avere rimpianti.
Se fosse morto con la consapevolezza di non aver avuto il coraggio
di proteggere il mondo dal disastro che lui stesso, anche se a
propria insaputa, aveva causato, non si sarebbe mai perdonato.
«No, mai più».
Il sorriso di Ryouji era tinto di malinconia.
Minato si sottrasse al tocco di una delle sue mani per appoggiare
il palmo laddove avrebbe dovuto trovarsi il suo cuore. Si sorprese
nello scoprire che, dopotutto, c’era un battito, dietro i
vestiti e
oltre la pelle.
«Rimarrò qui» promise.
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