Secondo capitolo: Omicidio in Ufficio
Mi alzai alle 8:00 e andai subito in ufficio ma, con mia grande sorpresa il
capo ci chiamò (ancora) nel suo ufficio: che cosa vorrà mai ancora quell’uomo
di mezza età?
Io e Fill andammo in ufficio ma, questa volta il capo non ha sgridato Fill,
anzi, ha dato una medaglia a me e a lui perché avevamo risolto il caso insieme
e non come tutte le altre volte che risolvevo solo io i casi! Per me
questa medaglia era la ventisettesima, per Fill, invece, la prima.
Fill saltava dalla gioia e andò nel suo ufficio e, ecco che vide un morto sopra
la sua sedia.
Non si mise ad urlare di paura, fece finta di niente e,
toccò l’arma del delitto. Così la polizia arrivò sulla scena del delitto e
videro Fill con in mano l’arma. Qualcuno aveva chiamato la polizia e non era
affatto lui.
Lo arrestarono, lui si spaventò a morte e, allora, si mise a
urlare: “Noooooooooo! Non sono stato io! Lasciatemi, mi stavo per sedere; mi
sono dimenticato di mettermi i guanti, volevo solo analizzare l’arma del
delitto!”
Io guardai subito Fill; lo guardai da lontano e lo salutai
lievemente con la mano sorridendo; lui ci rimase di sasso e non urlò più perché
pensava che io l’avrei salvato invece l’ho solo salutato.
Cominciai le indagini mezz’ora dopo; prima di tutto iniziai a guardare la scena
del crimine: l’ufficio dell’imputato.
All’inizio i poliziotti non mi fecero passare ma, quando
mostrai a loro il mio distintivo, si scusarono e mi lasciarono andare a
guardare i fatti. Analizzai prima di tutto l’arma del delitto: un pugnale, come
immaginavo aveva le impronti digitali di Fill; ma la guardai meglio e vidi del
sangue non sulla lama ma sul manico dell’arma. Io feci finta di niente e non
dissi nulla alla polizia perché, altrimenti, avrebbero continuato a fare foto
per mostrarla come prova e se la sarebbero presa tutta per sé, così possono
prendersi loro il merito di averla trovata come prova: questo mi da sui nervi
perché io l’ho trovata non loro.
Guardai in seguito vicino a dove era il cadavere e notai del sangue con una
forma “strana”: aveva due ovali, uno in orizzontale e l’altro in verticale
tutti e due attaccati.
Sulla scena del delitto per ora non trovai più nulla così andai al Centro di
Detenzione a trovare Fill.
Arrivai al posto e chiesi a un poliziotto se potevo parlare con il signor Fill
Jonson: un imputato non ancora colpevole; lui mi guardò e disse: “Oh, ma lei è
la signorina Sun! Mi scusi per non averla riconosciuta subito! A proposito io
mi chiamo Nigel Black, il poliziotto del Centro di Detenzione. Oh che scortese,
non potrei mai rivolgergli la parola senza il suo permesso! Il fatto è che
volevo chiederle: potrei chiederle un autografo?” Io annuì sorridendogli e gli
risposi: “Certamente, perché no? Lei è molto gentile signor Black! E, come fa a
conoscermi? Di solito nessuno mi riconosce dicono sempre “Ah, ma lei è
quell’attrice famosa?” e io ogni volta gli rispondo che sono un’investigatrice
non un’attrice.”
Lui si mi se a ridere: “Lei ha proprio il senso
dell’umorismo signorina Sun! A proposito, vuole bere questa tazza di the verde?
E’ molto buono e naturale!” Io gli risposi subito di sì e mi bevvi quella tazza
di the, dopo il signor Black mi mostrò la strada per andare da Fill e io mi
incamminai.
Arrivai da Fill e cominciai a parlargli: “Allora, in quale pasticcio ti sei
cacciato questa volta? Lo so già: hai visto un cadavere, non hai reagito e ti
sei messo a esaminare l’arma del delitto ma, ecco che arriva la polizia che tu
non hai neanche chiamato, poi tu mi hai visto e io ti ho salutato sorridendo.
Giusto? Adesso dimmi tutto quello che è successo che io non so” Fill mi guardò
con aria molto strana, poi cominciò a parlare: “Allora... hai mancato dei
piccoli particolari, l’arma del delitto, prima che io la prendessi in mano, era
a terra e solo il manico era sul sangue della vittima-”
Io lo interruppi
facendogli vedere la mano che significava “Stop” e pensai: “Ecco la
spiegazione della macchia di sangue con la forma “strana”!” poi gli feci cenno di continuare e lui
riprese a parlare: “Poi la presi in mano ma, proprio quando mi accorsi di non
avere i guanti, arrivò la polizia e mi prese vedendomi con il pugnale in mano.
Fine della storia.”
Chiesi subito a Fill se dopo che aveva preso in mano l’arma
del delitto l’avesse pulita, ma lui scosse la testa e affermò che la lama era
già pulita.
Io pensai, pensai e ripensai, e, alla fine esclamai: “Fill!
Ho capito chi è l’assassino ed è…” Stavo per dire il nome dell’assassino quando
cominciò a girarmi la testa: continuava a girarmi poi sentii Fill gridare, lo
vidi, poi cominciai a vedere la sua ombra, poi la forma e infine, svenni.
Mi svegliai in ospedale priva di sensi, vidi Fill accanto a
me che mi guardava negli occhi; non lo riconobbi. Poi mi cominciò a spiegare
tutto: chi ero, come si chiamava, il caso e tutte le altre cose.
Io capii subito di cosa stese parlando. Mi guardai un dito,
lo misi sulla fronte, lo pigiai ed esclamai: “Accidenti! Non mi ricordo il nome
dell’assassino! Devo subito capirlo!”
Andai vicino a un muro dell’ospedale e continuai a sbatterci
contro la testa (apposta) per cercare di ricordarmi le cose. Fill cercò di
fermarmi ma non ci fu verso. Dopo mezz’ora però smisi di farlo e diventai rossa
in faccia pensando: “Stupida, stupida, stupida sono maledettamente stupida! Chi
era?! Fino a 3 ore fa ricordavo tutto! Che scema! Ok, devo mantenere la calma;
prima di tutto devo pensare: chi mi ha fatto perdere i sensi? Devo pensarci in
fretta, perché da lui riuscirò a ricavare l’assassino. Mmh…”
Prima di tutto mi venne un’idea, un’idea stupida e iniziale,
quella di andarmene dall’ospedale per indagare; mentre pensavo notai che Fill
era scomparso: i poliziotti lo avranno riportato in carcere.
Per scoprire chi mi aveva fatto perdere i sensi era meglio
andare al centro di detenzione visto che è lì che sono svenuta; arrivata, capii
subito chi fosse stato: il signor Nigel Black, facendomi bere la tazza di the.
Ordinai subito alla polizia di arrestarlo ma, non lo
trovarono: era scappato. Allora diedi un altro ordine alla polizia, quello di
andare all’aeroporto di Londra, il più vicino.
Dopo due ore lo trovarono finalmente e lo sbatterono un
prigione; andai da Fill e lui mi ordinò: “Quello è l’assassino! Su sbrigati a
liberarmi!” Io gli feci notare il mio dito che si muoveva a destra, poi a
sinistra per cinque volte mentre finiva la frase ed esclamai: “Quello era solo
il complice, l’assassino sei tu ovviamente, non è vero…”
Andai vicino a lui e toccai la sua testa. Era morbida,
troppo morbida, sembrava una maschera, infatti lo era!
“…Jack Summer?”
Lui ci rimase di sasso mentre io, intanto, gli tolsi la
maschera sorridendo compiaciuta.