L'epifania di Ginevra
Non è che avesse smesso d'amarlo -
c'erano gli anni, i desideri, i sogni e un regno costruito insieme -,
no,
né era il tipo di donna che concede troppo alla vanità, la regina .
Era qualcosa di più insidioso,
e di più vero, forse.
L'aveva sentito una sera d'autunno,
poco prima dell'ora del sonno,
un'Epifania
che aveva avuto la voce di cavalieri ubriachi
– ben poco cortesi così gonfi di vino e di millanterie -.
Alla cena, con i calici levati e già vuoti,
brindando,
“Alla moglie d'Artù”, avevano urlato ridendo.
Come intontita, li osservava.
E nella stanza, poi, mentre le ancelle le pettinavano i capelli lunghissimi e biondi -
il crine d'una regina -
e mentre allo specchio contemplava il proprio volto e le distese dei giorni,
aveva sentito il cuore schiantarsi in petto,
e un nodo alla gola da non poter respirare.
Così, quando Galaot l'accompagnò da lei, lasciò che entrasse,
e intrecciò le labbra alle sue,
e seppe che la storia l'avrebbe chiamata per nome.
Tornò a respirare,
Ginevra.
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