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Spazio autrice
Questa storia era partita unicamente come
consegna per la scuola ma poi, dietro consiglio della mia migliore amica che la
reputa bellissima (tanto ma tanto di parte direi io xD)
ho acconsentito a postarla su efp.
Prima di lasciarvi alla storia vorrei dividere i
meriti con una mia grandissima amica per la creazione di questo mito. È la
rivisitazione del mito di Narciso e la sua ideazione ci è
costata ben un pomeriggio di chiacchiere su ciò che sarebbe potuto accadere. Io
ho solo scritto ciò che le nostre menti hanno
partorito XD
Da un lato non è né
sconvolgente né nulla rispetto alla storia “vera” o per meglio dire alla
versione più conosciuta del mito ma dall’altro vi sono non poche differenze.
Spero vi piaccia!! Buona
lettura!!;)
Ps: non mi aspetto molto però
se vi fermate a leggere fatemi sapere che ne pensate
anche se non vi piace!!!
Narciso e la
vendetta della dea
Narciso,
figlio della ninfa Liriope e del violento fiume Cefiso, era un ragazzo che da poco aveva superato la
pubertà con tutti i cambiamenti che essa comporta. A causa della sua
straordinaria bellezza aveva assunto tratti presuntuosi e arroganti. Molti
erano i fanciulli e molte le fanciulle che pendevano
dalle sue labbra rosee e ammiravano il suo viso fresco e pallido, contornato da
morbidi boccoli castani. Ma spessolui rifiutava l’amore dei giovani
speranzosi, spezzando loro il cuore. Tante volte i suoi
profondi occhi azzurri li avevano guardati con disprezzo, rinnegando ogni amore
diverso da quello per il proprio corpo, così bello e perfetto.
Nemesi, dea
della vendetta, si addentrò nel bosco quando vide da lontano il giovane,
intento a scoccare un freccia. La dea rimase
affascinata dal quel fanciullo e lo fissò a lungo
mentrequello si piegava sulle ginocchia
e fissava concentrato un cinghiale distratto da un paio di funghi. Quando la
freccia partì, da quanto era rapido il tiro, uccise l’animale prima che questo
si fosse accorto del pericolo che incombeva.
La dea se ne
innamorò all’istante e, incapace di ricordare qualcuno di aspetto più bello del
giovane sconosciuto,gli
dichiarò il suo amore. Narciso fu sconvolto da quella notizia e reagì
violentemente, scansando la dea con un gesto improvviso ed esclamando indignato
-io, figlio di Liriope e Cefiso,
non potrei mai amare altra bellezza se non la mia! Va via!-
Nemesi
rimase allibita dall’atteggiamento presuntuoso del giovane, e in fondo ciò
l’aveva parecchio ferita. L’orgoglio della dea non le avrebbe mai permesso di
piangere, mai nella sua vita un uomo era arrivato tanto vicino a farle versare
lacrime e ciò la rese furiosa. Andò via, bramando
vendetta.
Narciso non
aveva riconosciuto lo sguardo di una dea sotto quelle sembianze umane e non
aveva idee della punizione che lo aspettava a causa della sua enorme superbia.
La
dea, arsa dalla sete di vendetta, lo guardò da lontano e sperò con tutta se
stessa di riuscire a trovare un metodo per farlo soffrire di un amore non
ricambiato. Pensò a fargli vivere uno struggente amore per se stesso però
abbandonò l’idea convinta ci fosse tanto vicino da non notare la differenza.
Poi l’idea perfetta le balenò in mente, e subito, con un sorriso subdolo
stampato sul suo viso mutò malvagiamente il proprio
aspetto: le seducenti forme di donna sparirono e il suo corpo si trasformò in
quello mingherlino di Ermes, il messaggero degli dei, e i suoi capelli scuri e
seducenti divennero d’oro fuso corti fino alle spalle e gli occhi, colmi d’odio
diventarono verdi come due smeraldi e dolci come lo zucchero filato. Ridacchiò
soddisfatta dopo la vista dei sandali alati del dio e anche quel sorriso, che
celava una malvagità repressa, pareva delicato e innocente come quelli che
illuminavano spesso il viso del giovane dio.
Si
avvicinò al ragazzo con passo lento e lo guardò sorridendo, e quello attratto
dalla purezza di quello sguardo si vergognò dell’attrazione che provava.
Narciso per la prima volta si rese conto di quant’era appagante sentire una
sensazione di piacere alla vista di un corpo diverso dal suo.
Vedeva
quelle labbra sottili desiderandole e sentiva già di amare quel sorriso sincero.
Era
questo il vero potere di Nemesi, la vendicatrice.: lei riusciva ad indurre chiunque all’inganno; riusciva a sedurre e a
distruggere, ad essere sincera e ad illudere, ad amare e ad odiare.
Adesso,
nel corpo di un altro godeva segretamente di quell’effetto pianificato
provocato al cuore del giovane cacciatore. E Narciso le venne vicino e si inginocchio al suo cospetto, rapito dalla visione dei
suoi occhi, racchiuso da uno sguardo che vedeva alle due sponde smeraldi e
zaffiri.
-con
gli occhi pieni di meraviglia ammetto di amare il tuo sguardo, con il cuore in
mano per la prima volta parlo a qualcuno, e lo offro a te il mio cuore, lo
offro per curarlo in eterno, per tenerlo stretto tra le tue mani-
E
la dea rideva dietro ad un’espressione serena, e urlava nella sua testa
festeggiando il piacere della vittoria. Aveva vinto, Narciso era finito nella
sua rete e adesso non sarebbe più sfuggito dalla sua presa fatale.
-e
il tuo sguardo io catturo con i miei occhi ma non lo
trovo sincero, è soltanto uno dei molti capricci di un bambino troppo
cresciuto- mormorò lei con una voce non sua, dicendo però parole che con quella
sarebbero suonate velenose e violente, ma adesso suonavano severe e decise e
colpirono il cuore di Narciso come quelle di nessun altro avevano mai fatto.
Era
strano per lui sentirsi rifiutato da una persona che lo aveva affascinato
tanto, provava un tremendo senso di vuoto e rimase per un po’ inginocchiato poi
si rialzò in piedi e pianse, parlando tra le lacrime -non lasciarmi, non
andare!-
Ma la dea aveva già spiccato il volo verso l’Olimpo
con i suoi sandali alati e lo salutava con una mano e un sorriso fittizio
sparendo velocemente dalla sua vista.
Quello
pianse e si disperò urlando al vento, e passarono i giorni e la sua tristezza
sconfinata per la tremenda delusione era troppa, il
peso che lo perseguitava troppo ingombrante quando decise di compiere un gesto
estremo.
Con
gli occhi lucidi si diresse al monte Pernaso,
strascicando i piedi e a capo chino. Una volta giunto in cima, dopo numerose
fatiche guardò giù. Una distanza sconfinata lo separava dal lungo e tortuoso
fiume Cefiso, il padre.
Il
suo cuore esplodeva di tristezza. Guardò in alto il sole splendente e il cielo
limpido e si chiese se tutto ciò gli sarebbe mancato, si chiese inoltre se morire sarebbe stato doloroso.
-la morte è facile, con un unico salto Ade puoi avere
la mia anima, ma con immenso dolore e un vuoto incolmabile continuerei a vivere
per anni e anni, crogiolarmi nel dispiacere della delusione, struggendomi nel
dolore del mio amore in fumo. Ma così… così vedrò il
mio amato Ermes per un ultima volta, così il suo viso
potrà accompagnarmi fino alla fine, così la mia sete della sua vista sarà
saziata e la mia anima vivrà in pace-
Narciso
chiuse gli occhi e si abbandonò tra le braccia del
fiume che, dopo pochi secondi di caduta libera, lo rinchiusero con delicatezza.
Narciso
vide l’amato scendere verso di lui con aria triste mentre l’anima abbandonava
il corpo, trascinato dalla corrente. Non si pentiva di averlo fatto perché ora
che, durante un tragitto silenzioso e angoscioso con cui si dirigeva alla sua
condanna, capiva cos’era l’amore.
E
lì sulla sponda del fiume Cefiso, che si trascinava
tristemente, scosso dalla morte del giovane figlio, nacque uno splendido fiore,
dallo stelo del color dell’erba e luminosi petali d’oro che si affacciava sullo
specchio d’acqua piangendo la morte del ragazzo.
E
una goccia di rugiada, fresca e cristallina, scivolò dai petali infrangendosi
sull’acqua, proprio nel punto in cui Narciso si era tolto la vita.