Piccola
premessa: E' una one shot abbastanza lunga, volevo
avvertirvi :)
* * *
P
I E C E S
I'm
here again
A thousand miles away
from you
A broken mess, just
scattered pieces of who I am
I tried so hard
Thought I could do this
on my own
I've lost so much along
the way
Cosa si può fare quando la realtà in cui si vive
non ci rispecchia? Si Sogna.
E quando i sogni non bastano? Quando ogni desiderio ha per oggetto la
stessa cosa – persona che si sa di non poter avere, mai più?
Ci si rifugia nei ricordi, quelli belli, così da vivere
nell’illusione tutto sia come una volta, quando si era felici.
I've come undone
But you make sense of
who I am
Like puzzle pieces in
your eye
Osservavo il piatto di riso lasciato a metà davanti a me,
non avevo più fame. Il mio stomaco era chiuso.
«Hallie, stai mangiando troppo poco ultimamente. Sicura sia
tutto a posto?»
La voce di mia madre giunse preoccupata alle mie orecchie, le sorrisi
rassicurante.
No, non stavo bene. Non era una novità, era da tanto che
stavo così;
ultimamente mi nutrivo di ricordi, mi rifugiavo nella mia testa troppo
spesso e tendevo a alienarmi dal mondo circostante.
Vivevo nella mia mente, una realtà parallela in cui tutto
andava bene, dove io ero felice e lui era con me.
«Sì, non ti preoccupare» a volte mentire
è l’unica soluzione.
«Oggi è il compleanno della sign..»
iniziò mia madre, guardando di sottecchi la mia reazione,
interruppi subito la frase. Sapevo come sarebbe terminata.
Lo sapevo benissimo.
«Non potrei dimenticarmene mai.» sospirai,
«Ora esco»
«Dove vai?» il suo tono era stupito, non uscivo
spesso. Anzi.
«Al parco.»
Presi la mia borsa e uscì frettolosamente di casa,
così da evitare un interrogatorio da parte sua.
Mi incamminai senza fretta verso la mia meta, non andavo lì
da tanto. Settecentocinquantasei giorni per l’esattezza,
più di due anni.
Non avevo più trovato il coraggio di entrarci senza lui al mio fianco,
mi piaceva vivere nei ricordi, non nel masochismo.
C’era un pezzo della mia vita là dentro, fra il
laghetto, la panchina e le altalene.
La mia infanzia e parte della mia adolescenza le avevo trascorse in
quel luogo immerso nel verde.
Respirai profondamente e oltrepassai il vecchio cancello di ferro, era
come immergersi dentro a dei ricordi che non volevo rivivere.
Non perché fossero brutti, il contrario.
Erano i più belli che avessi, però i
più dolorosi.
Non era molto affollato, il clima era freddo e gran parte delle persone
erano a lavoro o a scuola, io m’ero diplomata
quell’anno.
Adocchiai subito la mia panchina preferita, sorrisi.
Era una bella giornata,
stranamente la temperatura era un po’ più calda
del solito. Volevo uscire, giocare.
«Mamma,
andiamo al parco?» la guardai con gli occhi dolci, sapevo non
avrebbe resistito.
«Va bene
Hallie, però non ci restiamo tanto»
Sorrisi,a sette anni mi
bastava un’uscita al parchetto per essere felice.
Corsi verso la mia
panchina preferita, notando fosse già occupata.
«Questa
è la mia panchina!» brontolai guardando chi
m’aveva rubato il posto.
«Non mi sembra
di vedere il tuo nome scritto sopra» rispose deciso
l’abusivo.
«Perché
non vuoi vederlo!» non sapevo cosa ribattere, a sette anni
non ero esperta in retorica.
«Facciamo che,
da oggi, questa panchina è nostra?»
l’occupante mi sorrise e, di fronte a quella schiera di denti
bianchi e storti, non potei che annuire. Era bello.
«Va
bene» mi sedetti al suo fianco, guardandolo allegra.
«Io sono
Harry»
Era iniziato tutto grazie – o a causa? – a quella
panchina, a quell’età non potevo immaginare cosa
avrebbe comportato quell’incontro.
Non pensavo sarebbe diventato fondamentale nella mia vita.
Non potevo sapere..
«Mamma ha
litigato con papà oggi» sospirai, mentre Harry mi
ascoltava attento.
«Urlavano,
tanto. Non capisco, si vogliono bene. Io non urlo contro le persone a
cui voglio bene. Io non ti urlerei mai dietro, sai?»
«Neanche io
Hallie» mi sorrise, dandomi un pizzicotto.
«Ho chiesto
cosa stava succedendo, non mi hanno voluto rispondere perché
a dieci anni non potrei capire. Non credo, non sono piccola!»
sbuffai.
«Non lo so, si
sistemerà tutto, vedrai.»
Avevo pianto tanto,
quella volta, su quella panchina.
I miei genitori divorziarono quando avevo dodici anni, una
mattina scesi per andare a scuola e trovai le valigie di mio padre
ammucchiate davanti alla porta.
La sera, rientrata, non c’erano più. Anche lui non
c’era.
«E’ andato a vivere da un’altra
p..» si interruppe, «da un’altra
parte.» cercò di sorridere, senza successo.
«Tutto bene?» domandai ansiosa.
«Passerà.. passerà» si
passò una mano sul viso e tornò frettolosamente
in cucina.
Non sarebbe passata così in fretta, invece.
«Mi dispiace
non essere in classe con te» eravamo sulle altalene. Ci
eravamo dati appuntamento per raccontarci tutte le novità
del nuovo anno scolastico.
«Anche a me.
Perché non ti sei fatto bocciare? Così saresti
stato con me» suggerì ridacchiando.
«Se certo! Dai
fra un anno inizi il liceo anche tu» mi sorrise raggiante.
Era bello quando
sorrideva. Era bello, sempre. Mi incantavo sempre più spesso
di fronte ai suoi occhi cristallini.
«Piuttosto,
conosciuto qualcuno di interessante?»
«Sì!
Ci sono un sacco di belle ragazze» ghignò
malizioso, «e qualche ragazzo simpatico, sì. Poi
beh, si sa! Nessuno resiste al fascino del riccio» scosse la
testa facendo ondeggiare i suoi capelli. Scoppiai a ridere, era
così adorabile e buffo. Poi però il mio sorriso
si spense.
Harry era bello,
simpatico e carismatico; non aveva problemi a fare amicizia. Io ero
sempre l’amica d’infanzia goffa e.. superflua.
«Tutto bene
Hallie?» domandò accigliato notando il mio sorriso
mutarsi in una smorfia.
«Sì..»
non sapevo mentire, non risultavo convincente neanche alle mie orecchie.
«Sei la mia
migliore amica, capisco quando qualcosa non va»
Ero la sua migliore
amica.. io lo consideravo tale, lui non l’aveva mai detto.
Ora sì che
stavo bene.
Un colpo di vento mi fece riscuotere, cominciava a fare
freddo. Posai la borsa alla mia destra, intravedendo una scritta che mi
era familiare.
Mi abbassai per vederla meglio, accarezzai le parole incise malamente
da un taglierino. Mi si offuscarono gli occhi ripensando a quando era
stata fatta.
Uscì correndo
da scuola, stavo malissimo. Intravidi una testa riccia fra la massa di
studenti, saremmo dovuti tornare a casa assieme. Non mi fermai ad
aspettarlo, non volevo scoppiare a piangere davanti a tutta la gente.
Sarei stata patetica. Ero patetica, in effetti.
Scrissi velocemente un
messaggio a Harry e mi rifugiai al parco.
Non passarono neanche
dieci minuti e lo vidi entrare trafelato e raggiungermi con sguardo
ansioso.
Si mise al mio fianco,
circondandomi le spalle con un braccio e stringendomi a sé.
Perché mi
faceva questo?
Non poteva sentire come
era aumentato il battito del mio cuore a causa del contatto ravvicinato
con il suo corpo.
Cos’era
cambiato? Perché non riuscivo a vederlo solo come un amico?
Perché?
Rovinavo sempre tutto,
sempre.
«Che
è successo?» domandò schietto
togliendomi un ciuffo da davanti agli occhi.
«Sono un
disastro Harry, sono un disastro.» la mia voce era flebile e
tremante.
«Cosa cazzo
stai dicendo?» fine come al solito.
«La
verità.» risposi togliendomi le prime lacrime
dagli occhi.
«Spiegati!»
«Ho litigato
con Savannah.. pensavo fossimo amiche, a quanto pare mi sono sbagliata.
Non so neanche il motivo del litigio, a un certo punto si è
incazzata e ha cominciato ad insultarmi. Non capisco.. sono un
fallimento totale! Mi ha detto un sacco di cattiverie, e sai qual
è la cosa peggiore? Che tutti gli insulti beh, alla fine
sono fondati. Guardami, non ha torto! Sono.. brutta, lo so. Sentirselo
dire fa male! Ho già problemi di autostima di mio!
Cos’ho di sbagliato Harry? Mia madre quasi non mi parla,
papà mi ha abbandonato e si è rifatto
un’altra famiglia. Alla fine rimango sola! Sono una delusione
per gli altri e per me stessa! Talmente idiota che mi sono innamorata
del mio migliore amico!» conclusi senza fiato, mentre i
singhiozzi mi rendevano difficile respirare. « ..Oh
cazzo» mormorai poi, rendendomi conto dell’ultima
frase detta.
Non capivo come
m’era uscita, ero cotta di Harry da.. un bel po’,
eppure ero sicura sarei riuscita a controllare quel sentimento,
l’avrai anestetizzato fino a farlo scomparire.
Credevo fosse possibile,
illusa.
Mi irrigidì,
speravo il mio fiume di parole l’avesse stordito, magari non
aveva capito l’ultima frase.
Abbassai lo sguardo, non
volendo incrociare i suoi occhi. Le mie vecchie converse divennero
improvvisamente interessanti.
Ci fu un attimo di
silenzio, cercai di diventare un tutt’uno con il legno della
panchina. Stranamente, non ci riuscì.
Ero in apnea, pentita da
ciò che avevo involontariamente confessato. E se non avesse
voluto essere mio amico per questo? Stupida ero stata. Stupida, come
sempre.
Lui, però,
scoppiò a ridere.
Io stavo male, lui
rideva.
«Sono contenta
la situazione ti diverta, Styles» mormorai stancamente.
«Cazzo
sì!» continuava a ridere. Divertente, proprio.
Mi scostai da lui e mi
alzai lentamente. Cominciai a camminare verso l’uscita,
quando qualcosa, anzi qualcuno, mi bloccò per il polso
attirandomi a sé. Mi ritrovai addossata al riccio,
tremendamente vicina a lui. Cuore contro cuore. Battevano forti,
entrambi.
«Dove pensi di
andare, scusa?» puntò i suoi occhi contro i miei.
Brividi.
«Via»
sussurrai.
«Resta»
mollò il mio polso e mi cinse la schiena con le braccia.
Amavo i suoi abbracci.
Amavo lui.
Stetti ferma e in
silenzio, non sapevo come replicare.
«Intanto, tu
non sei un disastro. Sei.. la migliore amica che si possa avere, e se
Savannah non l’ha capito, cazzi suoi.»
parlò conciso, «secondo, io non ti
lascerò, capito?» Annuì, in
quel momento ero convinta sarebbe davvero stato così. «terzo: sei insicura
e non capisco il perché. Sei bella, non hai bisogno di
trucco o altro, essere come sei è abbastanza. Tutti vedono
che sei bella, tranne te» la sua voce era calda, il suo petto
vibrava contro il mio.
Ripensai alle parole che m’aveva detto Harry, ripensai al
colpo al cuore scoprendole in una canzone loro.
«Quarto e
ultimo, sai perché rido? Perché Dio, penso di
essere innamorato di te da quando ho dieci anni. Mi hai proprio
fottuto, ragazzina»
Mi baciò.
Mi sembrò di
volare.
Era come essere in
paradiso.
Presi il taglierino e
incisi una frase sul legno della panchina testimone del mio primo piano.
Harry la lesse e
scoppiò a ridere, prima di stringermi a sé.
“I’ve got Styles”
Quella dichiarazione era uno dei ricordi più
belli che avessi, uno dei momenti più belli della mia vita.
Avevo quindici anni, ero ancora una ragazzina ingenua, eppure conoscevo
il significato d’amore. Harry era amore. Amavo tutto di lui,
il suo sorriso, le fossette, le smorfie, gli occhi così
chiari, i riccioli ribelli, il fisico magro, le mani fredde, la sua
voce, il suo carattere. Tutto di lui era Amore.
Con lui ero felice, sempre. Non avrei potuto immaginare vita senza di
lui.
Eppure, presto avrei dovuto..
«Stai
tranquillo, sei bravo, sei bello, sei simpatico. Se non ti prenderanno
hanno qualche rotella fuori posto» sorrisi a Harry, io e la
madre c’eravamo messe d’accordo per iscriverlo a
“tradimento” a X-Factor. Gli piaceva cantare,
volevo realizzasse il suo sogno.
«Vai e spacca
i culi!» rise e mi baciò con trasporto, poi il
palco fu suo.
Brillò come
solo lui sapeva fare.
«Mi hanno
preso, mi hanno preso! Aah!» mi resi conto tardi di cosa
avrebbe significato.
Avrebbe spiccato il volo.
Mi piaceva guardare Harry cantare, il modo in cui
socchiudeva gli occhi all’inizio di una canzone, cercando di
prendere l’attacco giusto e il sorriso che nasceva dopo
esserci riusciti. Si muoveva con eleganza, la sua voce ancora immatura
ma comunque calda mi faceva rabbrividire.
Avevo capito subito avesse qualcosa di speciale, il suo posto non era
nella panetteria della madre, era fatto per il palcoscenico.
Non avrei pensato, però, che mi sarei ritrovata a stare
dietro le quinte, al buio.
Non era entrato come
solista, l’avevano unito a un gruppo di altri quattro
ragazzi. Non gli dispiaceva, anzi: era contento, avevano fatto amicizia
in fretta e si trovavano bene assieme. Aveva abbandonato casa sua per
andare a Londra e provare con la band.
Avevo paura, tanta.
Mi telefonava allegro,
mi parlava delle prove, sembrava un bambino nel paese dei balocchi.
Stava vivendo il suo
sogno, era felice. Mi sentivo egoista, eppure non riuscivo a non
sperare che tornasse da me. Lui però… lui era
allegro.
Capì che
qualcosa stava cambiando quando, poco dopo l’inizio della
trasmissione, mi invitò ad assistere alla diretta
così da presentarmi agli altri.
Andai a Londra da sola,
mia madre non volle accompagnarmi. Mi recai agli studi televisivi e un
bodyguard mi portò fino alla saletta comune, dove si
trovavano i One direction – il gruppo di Harry.
Aprì la porta
con il cuore in gola, non sapendo cosa aspettarmi.
Non si accorsero di me,
erano troppo impegnati a giocare un’appassionante partita di
calcetto.
«Ehm..»
mormorai a disagio, cercando di attirare l’attenzione del mio
ragazzo.
«Hallie!»
si staccò subito dal gioco e mi strinse in un abbraccio
soffocante.
«Mi sei
mancata tanto» sussurrò al mio orecchio senza
lasciarmi.
«Anche tu
Styles, davvero»
Lo guardai negli occhi e
il mio cuore perse un battito. Era sempre bello. Lo amavo. Mi mancava,
come l’aria. Vederlo era come uscire da uno stato
d’apnea durato troppo a lungo.
Sorrise prima di
tuffarsi sulle mie labbra e coinvolgendomi in un dolce bacio.
«Ti
amo» mormorai piano una volta riacquistato il controllo sul
mio cervello.
«Ti amo anche
io» mi accarezzò una guancia, per poi lasciarmi
andare.
Arrossì
notando tutti gli altri ragazzi fissarci con fare sornione. Imbarazzo!
«Uoo, vas
happening?» disse Zayn, facendo ridere tutti.
Tranne me, non capivo.
«E
così lei è la ragazza di cui ci hai tanto, ma
tanto, ma tanto parlato!» intervenne Liam, salutando con la
mano.
«Sì»
Harry si morse il labbro, imbarazzato.
«Styles
imbarazzato è qualcosa che non si vede mai! Piacere di
conoscerti, sono Niall» arricciai gli angoli della bocca
all’insù, ovviamente sapevo chi fosse ma apprezzai
la sua presentazione.
«Piacere mio,
Hallie»
«Dicci una
cosa, Hallie..» Louis si avvicinò con fare
circospetto, «ti piacciono le carote?» lo guardai
confusa, mentre i ragazzi scoppiarono in un attacco di
ilarità improvviso, tenendosi addirittura la pancia con le
mani.
Ridevano e io mi sentivo
esclusa. Estranea al’ambiente. Una bruttissima sensazione,
fece male.
La consapevolezza che
Harry si stesse allontanando da me, dal mio
‘mondo’, mi ferì.
«Ehm, noi
andiamo!» il riccio si ricompose e mi prese per la mano,
trascinandomi nel camerino affianco.
«Sono contento
tu sia venuta. Davvero» i suoi occhi mi fecero dimenticare
tutte le preoccupazioni per un attimo.
Sorrisi e
tornò a baciarmi.
Mi era mancato,
l’amore.
Andavano alla grande, i One Direction.
Puntata dopo puntata conquistavano ascolti e pubblico. Io facevo il
tifo da casa, spendendo intere ricariche per votarli. Assistevo agli
show da casa, ogni sera mi piazzavo davanti alla televisione armata di
cellulare e pacchetto di fazzoletti: era inevitabile, una sensazione
che non riuscivo a controllare: loro cantavano, io piangevano.
Harry mi sembrava così distante, racchiuso nello schermo del
televisore.
Guardarlo mi faceva stare male, perché cominciai a
domandarmi cosa ci facesse lui con me.
Vederlo su quel palco, con un sorriso che gli illuminava il
volto… era perfetto.
Io, invece?
«Siete stati
bravissimi ieri sera!» mi complimentai con il mio ragazzo.
Avrei voluto stringerlo,
baciarlo. Peccato fosse distante da me. Sempre di più..
«Grazie!
E’ tutto così bello! Vorrei potesse non finire
mai»
Mi sentì male
a quella rivelazione. Lo volevo con me, ero egoista? No, ero
innamorata.
«Diventerete
famosi» sorrisi, un sorriso amaro che non poteva tuttavia
percepire.
«Lo
spero!» ridacchiò, «Tu, piuttosto, che
fai?»
«Mangio
cioccolata» mormorai, affondando il cucchiaio nel vasetto di
nutella.
«Amo il
cioccolato!»
«E io amo te
Styles»
«..Anche
io» uno strano calore si irradiò dal cuore, non mi
sarei mai abituata a quelle parole, dette da lui.
«Cosa, ami te
o ami me?» lo presi in giro.
«Tutti e due,
veramente. Di più te, però»
In quel momento la
distanza, la televisione, il suo successo.. tutto mi sembrò
irrilevante.
Ci amavamo, bastava no?
Non vinsero X-Factor.
Nonostante i soldi che spesi per votarli, non vinsero.
Erano bravi, perché allora non arrivarono primi?
Alla fine il talento c’era, non sarebbe stata una sconfitta a
fermarli. Assolutamente no.
Non potevo crederci,
avevo appena spento la tv, innervosita.
Stavo male, per i
ragazzi. Se lo meritavano di vincere, davvero.
Suonò il
cellulare. Harry.
«Ehi!»
la sua voce era tremante.
«Styles, tutto
bene?» chiesi premurosa. Non potevo essere con lui. Non era
giusto.
Sentì un
singhiozzò dall’altra parte, stavo per piangere
anche io.
Silenzio.
«Tra pochi
giorni ci sarà un concerto qua, vorrei che venissi. Per me,
okay?»
«Ci
sarò»
«Meritavate di
vincere» sussurrai dolcemente.
«Non.. n-non
importa» stette un attimo zitto, «ci hanno offerto
un contratto discografico!» alzò il tono, allegro.
Avevo voglia di
piangere.
Dalla
felicità, dalla tristezza?
Entrambe.
Piansi. Tanto.
Non ero mai stata a un concerto, quello dei One Direction fu il primo.
E ultimo.
Era tutto così nuovo per me, il caos delle quinte e le urla
degli spalti. L’eccitazione dei ragazzi e l’ansia
del manager. Osservavo i cinque prepararsi per andare in scena,
cantavano canzoncine a caso, ridacchiando e improvvisando strani
balletti.
Erano buffi.
Io osservavo Harry, era così felice.
Non potevo che essere contenta per lui, anche se sentivo un peso
fastidioso all’altezza del cuore.
Presentimenti?
«Vai, fai
vedere quanto vali!» incitai il ricco, non che ne avesse
veramente bisogno. Il palco era il suo ambiente naturale.
«Lo
farò! A dopo, ti amo!» mi baciò e fece
la sua entrata.
Le urla aumentarono a
dismisura, i riflettori puntarono su di lui, illuminandolo.
Io rimasi nel mio angolo
buio del backstage.
Guardai l’orologio, ero lì da un’ora.
Non volevo credere di essere sola in quel parco.
Ci speravo, ancora.
Era il compleanno della madre di Harry.
Doveva tornare. Per lei, per
me.
Tic, tac.
Ogni secondo che passava faceva morire la speranza.
Tic, tac.
Il piccolo paese in cui
vivevo era in fibrillazione, Harold Edward Styles era appena tornato
dall’avventura di x-factor. Era una specie di eroe. Il mio,
eroe.
Era passato un mese dal
concerto.
Ora i One
Direction
avrebbero registrato un disco. E fatto un tour. Europeo.
Non ci eravamo
più visti, troppi impegni.
Voleva parlarmi,
m’aveva dato appuntamento al parco per quel pomeriggio.
Presentimenti.
Brutti presentimenti.
L’ultimo appuntamento che ebbi con Harry fu quello.
L’ultima volta in cui lo vidi dal “vivo”
risaliva a settecentocinquantasei giorni prima.
Stesso parco, stessa panchina.
«E
così.. andate in tour» parlai con voce calma,
stretta fra le sue braccia.
Eravamo fermi nella
stessa posizione da un’ora. Avevo bisogno di lui, ero andata
in astinenza.
«Già.
Girerò l’Europa..» sorrise, evitando di
guardarmi.
Fu così, portarono la musica in tanti paesi.
Fecero sognare tante fans.
Lo sapevo, chi li avrebbe fermati? Stavano conquistando tutti.
Mi piaceva passare il tempo su Twitter, seguendo i post dei ragazzi e
leggendo le menzioni delle ragazze verso di loro. Erano dolci. Il
gruppo amava le fan, le fan amavano il gruppo.
E io, chi amava me?
Solitudine.
M’aveva
intrappolata fra le sue braccia, come se temesse sarai scappata.
Non l’avrei
mai fatto, perché allontanarmi da colui che amavo,
più di tutto?
«Saremo noi
contro il mondo, sai che sarà impossibile vincere,
vero?»
«Non
è vero. Ti amo Hallie, è questo che conta,
no?»
Non riuscì a
rispondere, sembrava troppo un discorso d’addio. In quel
momento non ero in grado di parlare. Ero concentrata a guardare i suoi
occhi farsi pian piano più lucidi.
Cercavo di non piangere:
una volta iniziato, non avrei più smesso.
Affondai il viso sulla
sua spalla, cercando di calmarmi seguendo i battiti irregolari del suo
cuore e aspirando il suo profumo.
Harry sapeva di casa.
Lui, era la mia casa.
Il mio rifugio.
«Ssh, sono
qui» mi accarezzò la schiena.
«Per
ora»
«Voglio stare
al tuo fianco, Hallie.»
«Tu andrai a
conquistare il mondo, però. E io?»
Non arrivava. Perché, perché non arrivava?
«Te ne andrai.
Fa male Harry, fa male.»
Mi strinse forte a
sé, quasi cercasse di tenere insieme i pezzi di me che
andavano frantumandosi.
Crack, crack. Un
cuore distrutto. Il mio.
«Ci faremo
solo del male, a stare assieme. Lo sai no? Non possiamo»
pronunciai le parole con calma, ogni singola sillaba feriva come un
coltello appuntito. Masochismo.
«Ti
amo»
«Non basta
l’amore, a volte.»
«Perché?»
«La vita va
così.»
«Non voglio
dirti addio, piccola»
«Non devi.
Però… una relazione a distanza, nel nostro
contesto, capisci che.. non ce la possiamo fare. Ti amo, ma
è impossibile. Tu avrai i concerti con cui distrarti, le tue
fan.. io invece dovrò vivere con i ricordi, con i fantasmi
dei nostri momenti felici. Tutto mi ricorderà te, tutto!
Finiamola qui. Non passerò la vita ad aspettarti e tu non
dovrai sentirti soffocato da me.
Soffriremo
meno»
Credevo davvero a quello che gli avevo detto, pensavo avrei sofferto
meno.
Cazzate.
«Vieni con
me»
Sorrisi, me
l’aspettavo.
«Lo farei
subito, ma ho sedici anni. Devo diplomarmi, non voglio essere un peso
per te. Devo imparare a vivere»
Illusa.
Me ne accorsi dopo, non pensavo sarebbe stato così difficile.
La vita senza Harry era una vita vuota. Che senso aveva allora, viverla?
Il ragazzo mi
abbracciò con forza.
«Ti conosco da
quando ho sette anni, come faccio senza te?»
«Ce la
farai.»
«Sembra un
addio..» gli tremava il labbro.
«Non lo
è»
«Incontriamoci
qui, quando avrai il diploma e io capito com’è il
mondo là fuori. Due anni, il tempo di crescere. Al
compleanno di mia madre. Solita ora, alle tre. Stessa
panchina.»
«Te ne
ricorderai?»
«Sì»
«La vita
distrae, Harry. Avrai le tue distrazioni, ti dimenticherai..»
«Ti
amo»
Era la sua risposta a
tutto.
«Io ci
sarò. Tu?»
Mi accarezzò.
Non rispose.
«Ce la
possiamo fare»
«Ti
aspetterò, sarò qui fra due anni. Mi mancherai
ogni singolo giorno. Se non ti troverò…»
Non mi lasciò
concludere la frase, mi zittì con un bacio.
Non mi aveva lasciato finire la frase.
Il tempo passava, lui non c’era.
Mi raggomitolai su me stessa, stavolta non c’era Harry che mi
stringeva per non farmi rompere in mille pezzi.
Non c’era nessuno in quel parco, a parte il mio cuore
sanguinante, le mie lacrime e un ammasso di ricordi sconnessi e
dolorosi.
«Noi contro il mondo, giusto?»
Annuì.
«Arrivederci
Hallie»
La consapevolezza fece male.
Harry non sarebbe arrivato.
Non era un arrivederci, era un addio.
Crack, crack.
Una volta m’aveva sussurrato che il suo cuore mi apparteneva,
io avevo riso innamorata e avevo risposto dicendo d’essere
sua.
Ero una sedicenne allora, erano passati due anni.
Il tempio cambia i sentimenti, le persone dimenticano, la memoria si
affievolisce.
Io, però, sapevo non avrei mai smesso di amarlo o,
perlomeno, non avrei mai amato qualcuno tanto quanto amavo Harry.
Io ero sua. Mi completava, senza di lui ero difettosa.
Dovevo imparare a curarmi.
Dovevo accettarlo, non sarebbe tornato da me.
Le cicatrici di quell’amore così forte sarebbero
rimaste. Sempre.
Styles non mi apparteneva più. Apparteneva, alla musica, al
palcoscenico, alle migliaia di ragazze che li seguivano da anni.
Sentì freddo, dentro e fuori.
Sembrava che il vuoto mi stesse inghiottendo.
Eravamo noi contro il mondo e il mondo aveva vinto.
«Ti
amo»
«Non basta
l’amore, a volte.»
* * * *
* * * *
* * * *
NdA:
Allora, intanto grazie a chi è arrivato fino a qua e ha
letto tutto! Siete coraggiose LOL
Questa è la mia prima one shot sugli One Direction, ho
scritto sempre su un altro fandom, questa storia è un
esperimento :3
Ultimamente mi sento un po' depressa e quello che ho scritto rispecchia
il mio umore. E' stata la canzone 'Pieces' dei Red a 'ispirarmi',
è davvero bella! *-*
Ci ho messo un po' a trovare il coraggio per postarla D:
E l'ho fatto oggi perchè il compleanno di un Harry a
caso!
Non so che altro dire, spero vi sia piaciuta! Una recensione
è ben accetta, #yeahbuddy
Se volete aggiungermi a twitter sono costei
-> xunleashedliebe
Bacio
xxx
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