Lo scriverei su un foglio bianco…
Prologo
Sei anni.Lontani i ricordi della fanciullezza, così quelli
d’un passato che ormai pareva chiuso definitivamente.Riposto in uno scrigno,
sigillato da una chiave dalle intarsiature di bronzo,il suo
passato.All’apparenza un vecchio libro impolverato, dentro al quale un’arcana
forza giaceva in quel lontano periodo.
Chiuso un capitolo.Aperta una nuova porta, la maturità. Ben
pochi i problemi procurava la ricerca delle carte di Clow, a suo dire, in
confronto a quel che i diciotto anni portano con loro.Problemi, ansie, paure
eppure anche amore, quello vero…
Lo spento verdognolo delle iridi striate d’un pallido ambra,
specchiavano il riflesso sulle finestre ad ogiva della nuova stanza che, dai
vivi rosa aveva ormai lasciato spazio ai timidi bianchi e violetti.Quasi vitrei
i giovani occhi contornati dalle brune ciglia che, solo di tanto in tanto
spezzavano il contatto visivo tra il buio e i vetri.
Fuori, nascosto dietro le tende candide, l’autunno mostrava
le sue sfumature più accese, a caducità delle foglie non s’arrestava un attimo,
coprendo poco a poco i giardini che in luglio erano coperti ancora di
ginestre.Il paglierino e il nocciola predominavano il paesaggio, fungendo da
cupo e allo stesso tempo piacevole sipario alle giornate plumbee del cielo.
Tra le dita affusolate e la bocca, una matita, rivoltata più
e più volte sopra quel foglio bianco.Lo sguardo ancora assente spaziava vago
dall’acero poco visibile dal giardino, al letto di foglie scure sul terreno.
Un rumore, somigliante al sonaglio d’una slitta, poco a poco
irruppe nel silenzio della stanza, fermandosi improvviso poco distante dalla
postazione della ragazza.
“Sakura” solo questo mormorarono in lieve timbro le labbra
di quello che all’apparenza era un semplice peluche dal color zafferano.Mosse
leggermente le bianche ali dietro la minuta schiena, giusto per darsi la spinta
necessaria a planare sopra la scrivania poco distante, al cospetto dell’amica.
I pensieri della ragazza furono scossi improvvisamente, come ridestata da un
profondo torpore. Sbattè di poco le palpebre per focalizzare l’immagine di
Cerebus dinanzi a se, ponendo entrambe le braccia in avanti per darsi una lieve
spinta indietro a distaccare la seggiola dallo scrittoio. “Kero-chan…” stormì
in tutta risposta lei, confusa.
Il piccolo peluche inarcò un sopracciglio, piegando la testa
su un lato “E’ da un po’ di tempo a questa parte che sei sempre assorta…non
ascolti mai quello che dico” la riproverò quasi paterno.Sakura, dal canto suo
si limitò ad increspare un sottile sorriso mesto, non era da lei, in effetti,
quel tipo di comportamento.Era sempre stata solare e accesa, aveva sempre
cercato in ogni circostanza, anche la più disperata di mantenere quel suo
singolare ottimismo.
Nemmeno la presenza del suo migliore amico piumato, pareva
riempire le sue giornate vuote.Quel peso che stringeva nel petto, quel
consistente labirinto di rovi che le attanagliava il petto ogni volta che
rimandava i suoi pensieri al passato, pareva non volerla abbandonare. Tentava
di concentrarsi nello studio, di distrarsi con le amiche.Tomoyo stessa non
riusciva a risvegliarle il gioviale sorriso che aveva abbandonato ormai da
troppo tempo sotto quella maschera serena e talvolta inquieta.Troppe volte
aveva tentato di farlo riaffiorare ma, ogni volta appariva ben diverso da
quello della sua giovinezza, era un sorriso malinconico, di tanto in tanto
inespressivo, mai felice. Da anni portava quella maschera di falsa allegria
dipinta sul volto che si contraeva solamente in una smorfia fittizia.
Solo lei sapeva il perché di quell’improvvisa oscurità
piombatale nell’animo.Nascondeva gelosamente, nel profondo del suo cuore il
vero motivo delle sue insicurezze, delle sue lacrime, delle sue tristezze.
La porta della stanza bussò nuovamente, stavolta non entrò
nessuno. Solo una calda voce maschile, contemporaneamente docile nel tono
attraversò quella che da giorni pareva essere la prigione di Sakura.
“Tesoro, ti ho portato qualcosa da mangiare” bisbigliò il
padre, dall’altra parte del legno. “Posso entrare?” chiese gentilmente
attendendo una risposta della figlia. Sapeva bene che, l’adolescenza di Sakura
era un momento particolarmente delicato e difficile, da una parte, per la
mancanza della madre a cui una figlia solitamente s’appoggia nei momenti
critici, dall’altra per una perdita atrettanto importante.
La ragazza mosse la gamba fuori dal tavolo, solamente per
spostare il busto in direzione della porta ed assentire con un flebile “Si” il
permesso d’entrata al padre.
L’uomo, ormai non più molto giovane, entrò lentamente.Dopo
tutti quegli anni, aveva sempre mantenuto quel fascino che lo aveva sempre
contraddistinto sin dalla fanciullezza di Sakura, solo una scia d’argento tra i
capelli, mostrava la sua età effettiva.
Si avvicinò alla figlia, era sempre stato comprensivo verso
di lei, estraniandosi volontariamente dai fatti privati d’ella, eppure, il suo
sguardo mostrava ogni volta, nascosto dalle bronzee sopracciglia, una nota di
preoccupazione e tristezza per Sakura.Poggiò il vassoio contentente onigiri e
tè che piacevano così tanto alla ‘sua bambina’, avvicinandosi di qualche passo.
Non proferì nulla, poggiò solamente, in modo delicato, la
mano sul bruno capo della ragazza, carezzandone i capelli sino a sotto la
spalla, in tutta la loro lunghezza.
La osservò per qualche istante, mentre lei osservava il
vassoio ed atteggiava un simil sorriso.Pochi, lievi raggi d’un pallido sole
autunnale filtravano dalle imposte dela finestra, irrompendo tra le nuvole
smargiassi, posandosi sul volto di lei, ovale, grazioso.
Esaminò i cambiamenti del tempo sul viso della figlia,
com’era cresciuta. Da tempo non si soffermava nel guardarla.Gli occhi, s’erano
assottigliati, da grandi quali erano ora assumevano un’espressione più dolce e
matura, attraversati sempre da quel profondo verde muschiato che la rendeva
tale e quale alla madre in certi versi.Il viso sottile, di porcellana, s’era
allungato leggermente, facendosi di donna, d’una bellezza pulita e
incontaminata.
Però qualcosa stonava nel bel viso, quell’espressione
malinconica e infelice, assorta. Per un’istante l’uomo si rabbuìo, quanto
avrebbe dato per rivedere nel volto della sua Sakura quel raggio di sole che la
distingueva dagli altri.
Distaccò la mano dalla sua posizione, allontanandosi in un
accorato sorriso.Non parlò, scomparve solamente dietro la porta.Ogni parola
sarebbe stata vana, ogni discorso.
L’unico, che riusciva a ridestarle, di tanto in tanto il
‘buon umore’ era Touya, il fratello maggiore.I momenti in cui Sakura tornava
felice erano pochi, però, perché il fratello ora viveva in America, ove si era
trasferito per concludere i suoi studi. Ritornava solamente in occasione di
feste o ricorrenze importanti, ora, la famiglia di Sakura erano il padre e il
piccolo Kero-chan. La lontananza del fratello era un’ulteriore affanno al suo
cuore.
Spostò lo sguardo nel punto in cui suo padre era sparito,
era così vuota quella casa senza Touya.Così com’era vuota la sua vita senza…
Scosse la testa.Vagheggiando con lo sguardo nella stanza, le
pareti ritinteggiati di pallidi toni erano in completo stono con il suo umore,
al muro, poco più a destra era appesa la sua nuova divisa scolastica, quella si
che raffrontava perfettamente quel periodo.Una colorazione, secondo lei, troppo
tetra.D’un opaco vermiglio, spezzato dalle bordature nere sulle maniche e il
colletto che si concludeva con un fiocco sciolto, dello stesso colore. Tutto,
dal tempo alla sua casa pareva in raffronto con il suo umore.
Prese tra le mani un onigiri, addentandolo con indifferenza.
Cerebus, incrociò le braccia al petto. Era così preoccupato per Sakura, da
dimenticarsi addirittura del manicaretto sul tavolo. “Sakura, non posso vederti
in questo stato, ora vieni con me” proferì deciso, afferrandole d’istinto un
lembo della maglietta tra i denti, per sospingerla fuori.
“Kero-chan, lasciami, non ho voglia di uscire” sibilò lei
indietreggiando senza problemi alla provocazione del guardiano.
Inutile. Ormai il testardo peluche era intenzionato nelle
sue azioni e lei sapeva bene che non avrebbe mollato sino ad un suo assenso.
“…” scosse la testa, corrugando le labbra in un riso
mesto.Arresasi, si lasciò trasportare sino al piano inferiore dall’amico.
“Aspetta, prendo la giacca” formulò l’ex Card Captor
muovendosi a togliere dall’appendi panni la giacca scamosciata.
Cerebus accennò un lieve sorriso, finalmente aveva dato
buoni segni di ripresa dal suo stato di apatia perenne.Suo padre, era già
uscito.La casa era silenziosa e vuota.
Sakura aprì appena la porta, quando un lieve filo di vento,
come una carezza, si posò gentile sul crine bruno, provocandole un formicolìo
freddo lungo la schiena.Richiuse la porta dietro di sé, facendo accomodare
‘Kero-chan’ dentro la borsetta larga che aveva con sé, in modo che il piccolo
pupazzo potesse sporgere il musetto da questa di poco.
Strinse le falde della giacca sotto il mento, stringendosi
leggermente nelle spalle.Percorse il vialetto che dava sulla strada principale,
transitando abulica lungo il pergolato.
La strada bianca, attraversata dai lati dalle file di alberi
scuri si stirava lunga sino al parco.Le iridi correvano malinconiche lungo il
sentiero, pareva che ad ogni passo, un’illusivo ricordo si formasse quasi vivo
dinanzi agli occhi.
Eccolo, il posto dove Yukito aspettava ogni mattina lei e il
fratello per andare a scuola, la sua immagine pareva ancora viva tra le brune
foglie che disegnavano circoli immaginari sull’asfalto.
Le corse affannate lungo il selciato con le amiche, le
risate, tutto pareva estremamente vivido.
Cerebus, sbirciò la ragazza dall’interno della sua
postazione, forse aveva sbagliato.Il suo sguardo si oscurò, era davvero
possibile che la sua piccola Sakura non potesse ritrovare in alcun modo la sua
spensierata felicità? Vivere come una normale adolescente? Che il suo passato,
il suo esser stata Card Captor avesse traviato davvero in modo così profondo il
suo presente?
Il passo di Sakura si fermò d’impatto, distraendo il peluche
dai suoi perché. Si volse leggermente in direzione del parco, quello, era il
posto che più le ricordava la sua fanciullezza.
Inclinò la testa di lato, leggermente.Poco lontano, lo
scricchiolìo d’un altalena creava sinistri suoni metallici, il vento, faceva da
unico sfondo a quell’acquerello di caldi colori.
S’addentrò nel parco, a passo leggero.Soffermandosi a pochi
passi dall’altalena.Incrociò le braccia al petto, fissando l’oggetto, gli occhi
si facevano lucidi, eppure, non una singola lacrima riusciva a frangere quella
maschera di indifferenza che s’era creata col tempo.
Sedette composta sul gioco, dondolandosi apatica avanti e
indietro.Kero-chan, uscì dalla sua postazione, notando il posto essere deserto.
“Sakura, non puoi farti del male da sola…perché non chiami
Tomoyo” proferì tentando di incidere allegria nel tono.
Lei rispose con un cenno di diniego “Non voglio disturbarla,
non ora.E’ impegnata, sai bene che l’istituto d’arte che frequenta la tiene
impegnata” esordì con una nota di malinconia.
Kero-chan incarcò un sopracciglio avvicinandosi al volto
della ragazza “Lo capisco ma, non vedi come sei ridotta?”.
Sakura si fermò improvvisamente.Era stanca di essere
compatita, stanca d’esser trattata come una stupida.
“Non ho bisogno di nessuno ora, e poi, sto benissimo”
assentì inviperita.Il volto s’abbassò leggermente, nascondendo un’espressione
afflitta sotto la cascata di capelli bruni che le ricadeva dinanzi al volto
indomita.
“Kero-chan, sto bene, credimi” insistette flebilmente. Il
piccolo peluche, s’avvicinò a lei carezzandole con la piccola mano la guancia
destra. “Va bene” esordì soltanto.Non voleva crearle ulteriore disagio, sapeva
bene quanto Sakura soffrisse, e seppur fossero passati anni, non era riuscita a
riempire il vuoto che le procurava la mancanza di quella persona.
“Torniamo a casa” la ragazza si alzò, procedendo nuovamente
in direzione opposta a quella del parco. Lungo il vialetto, soffermò un paio di
volte lo sguardo lontano, verso ovest, persa tra le colline e le montagne
lontane.
Quando lo sguardò tornò a posarsi sul vialetto, in
lontananza, una figura familiare comparve quasi improvvisamente dinanzi a casa
sua.
Le iridi s’allargarono immediate per lo stupore, si bloccò
d’impatto sullo stradello. Quell’immagine non era un’illusione, era Yukito
quello che in lontananza muoveva le braccia quasi convulsamente verso di lei.
Un groppo alla gola le impedì di gridare il nome dell’amico.Da quanto tempo non
rivedeva quei piacevoli lineamenti delicati ma nello stesso tempo
maschili. Un misto di felicità e
malinconia si precipitò irrompente al petto, quasi con forza e improvviso
istinto si mossero le gambe a correre velocemente per avvicinarsi alla
postazione del ragazzo dai capelli d’argento.
“Yuki-kun” proferì solamente, mentre il nodo alla gola si
faceva sempre più stretto.
Persino Cerebus fu sorpreso a quell’inaspettata visita.
Yukito rimase per qualche istante immobile, per poi
dirigersi verso la ragazza in lenti passi.Il so sguardo era quello d’un tempo,
dolce e riflessivo. Quasi con tenerezza fraterna, giunto di fronte a lei, si
sospinse in un lieve ma affettuoso abbraccio nel quale la strinse infondendole
tutto il calore possibile.
“Sakura, mi sei mancata così tanto” proferì docile.Lei non
rispose, poggiando solamente il capo sul petto del vecchio amico.Pensare, che,
un tempo un gesto simile l’avrebbe mandata in visibilio, tanto era l’amore che
credeva di provare per lui.Già, amore, quanto tempo era passato dall’ultima
volta che aveva provato un sentimento simile che, forse, inconsciamente ancora
provava per qualcuno, ma quel qualcuno, purtroppo non era al suo fianco.
Yukito si distaccò dall’abbraccio “Sono venuto a darti una
buona notizia Sakura” il suo sorriso, non era cambiato dall’ultima volta, anche
se non era passato molto tempo dall’ultima volta che si erano rivisti, a lei
pareva un’ eternità.
Rimase leggermente sorpresa dalla veemenza con cui l’amico
aveva riferito il messaggio d’una ‘buona notizia’.Chissà quale notizia poteva
essere così buona da smuovere Yukito dall’estremità sud del giappone per
tornare a Tokyo con quella fretta.
Sakura e Cerebus inclinarono di poco il capo all’unisono in
direzione di Yukito, seppur Sakura non mostrasse più interesse a quel che
l’amico doveva dirle di quel che la sua presenza provocava in lei in quel
momento, piccola, una fiammella di gioia le stava scaldando, anche se di poco,
il petto.
Quasi svanì, però, quando Yukito comunicò la ‘bella’
notizia, irrigidendola completamente nella sua postazione.
“Ho ricevuto una telefonata da parte di tuo fratello, sai,
tornerà tra poco in Giappone e mi ha detto di avere una sorpresa per te” la
notizia, poteva apparire buona, all’impatto, avrebbe dovuto essere al settimo
cielo.Eppure, una strana sensazione l’aveva attraversata da capo a piedi in
quel preciso istante in cui il termine ‘sorpresa’ aveva sfiorato le labbra
dell’amico.
Abbozzò una sottospecie di sorriso, fingendosi elettrizzata.
Quando Yukito se ne fu andato, avvertendola che avrebbe
passato le ultime settimane nella vecchia casa di Tokyo, approfittando della
permanenza per visitare la famiglia, le iridi si posarono su Cerebus.Il piccolo
peluche la guardò di sbiego, senza intuire in effettiva il perchè della sua
apprensione demarcata.
Solo un pensiero le attraversò la mente, senza alcun motivo,
aveva già sentito quella stessa frase, quella medesima sensazione.Una parola,
un volto, un nome soltanto…
…Shaoran…