Mancava poco al
crepuscolo.
Il sole stava
per essere inghiottito dalla grande distesa di mare e il cielo
all’orizzonte si tingeva dei colori del fuoco.
Mentre
indossavo il mio mantello, compagno di tante avventure e altrettante
sventure, un’aspra consapevolezza mi pizzicava sotto la pelle.
L’avevo
uccisa.
Nonostante
lei, mi avesse fatto recapitare la lettera con
l’agghiacciante dichiarazione del suo suicidio, non
riuscì a scampare alla mia ira.
Era scappata
in capo al mondo Joceline, ma alla fine aveva commesso il passo falso e
questa volta non avrei perso l’occasione per fargliela
pagare. Il mio odio e la mia collera non erano svanite, neppure a
distanza di tutti quegli anni; erano sempre lì, annidate al
centro del mio stomaco che non aspettava altro che liberarsene.
Una volta, era
una vita normale la mia: un lavoro rispettabile, la passione per
l’illusionismo, la magia e molti, tanti amici.
Quando conobbi
Joceline me ne innamorai subito, l’accolsi in casa mia, le
dedicai i miei giorni e le mie attenzioni, ma prima di ogni altra cosa
le vietai di entrare in quella stanza.
In quella
stanza solo io avevo accesso. Nemmeno alla luce del sole era concesso
entrare. Nessuno poteva sfiorare la superficie di quei libri magici
né sfogliarli. Solo io, il possessore, avevo il diritto.
La stanza non
aveva finestre, spiragli o botole e la chiave dell’unica
porta esistente per accedervi la tenevo ben nascosta. Proprio
così… poiché nessuno può
avere la benché minima idea di quanto crudeli e perfidi
possano essere i libri. T’incantano con il loro potere, ti
affascinano con le loro storie e possono fare molto di più.
Joceline
doveva avermi spiato una delle tante notti nella quale riponevo la
chiave sotto una tavola sconnessa di un vecchio baule e appena avuta
l’occasione, si era presa la briga di violare quella stanza
per me sacra. Ed ecco che tutto successe.
Quando tornai
per immergermi in una delle mie magiche letture, con mio orrore trovai
un libro che giaceva aperto sul pavimento.
Sapevo che non
poteva essere stata una mia dimenticanza ma nonostante ciò,
lo sperai con tutto me stesso. Mi chinai in ginocchio e ne lessi il
titolo: La Tempesta di William Shakespeare.
Deglutii con
l’amaro in bocca, conoscevo bene quel libro l’avevo
letto e riletto. Cercai di trovare una soluzione per scampare
al crudele destino che mi stava venendo incontro, ma il cervello non mi
aiutava a ragionare. La paura mi bloccava.
Mi resi conto
solo allora di quanto fossi stato sciocco e imprudente a lasciare la
chiave di quella stanza incustodita, seppur in casa mia. Un errore
imperdonabile che sarei riuscito a sanare solo compiendo il destino del
libro, sperando che il mio personaggio avesse quel privilegio e non
fosse un mostro destinato a soccombere o un insulso spirito senza
potere.
Mi strinsi la
testa fra le mani cadendo in ginocchio. La mia vita era distrutta ormai.
Non avevo la
minima idea di come sarebbero venuti a prendermi e l’attesa
era a dir poco angosciante.
Il tempo mi
era nemico ed era inutile fuggire, ma una cosa era certa…
Joceline avrebbe pagato con la vita quella sua avventata
curiosità.
La rabbia
montava veloce ed era ormai diventata accecante. Corsi lungo il
corridoio e poi giù per le scale per sorprenderla nel sonno
e soffocarla con un cuscino oppure tagliarle la gola. Doveva morire,
come probabilmente sarei morto io prigioniero di una dramma.
Senza
preoccuparmi di essere silenzioso, aprii la porta della camera da letto
e la trovai in piedi di fronte la finestra con la sua massa di capelli
ricci che le contornavano il volto angelico. Mi sorrise.
<<
Curiosi i tuoi libri, Hector>>, sussurrò.
<<
Mi hai rovinato la vita! >>, ringhiai.
Ormai al
limite della sopportazione non potei fare a meno di scagliarmi contro
di lei a mani nude, con ferocia inaudita, ma prima ancora che riuscissi
a sfiorarla il destino già segnato mi si avventò
contro…
Devo ammettere
che nella sfortuna fui immensamente fortunato.
In primo luogo
il libro La Tempesta, aveva cambiato ambientazione per cui invece che
su un’isola sperduta chissà dove, mi aveva
catapultato in un circo. E seconda cosa, molto più
importante ero entrato nei panni del protagonista: Prospero
l’Incantatore. Nonostante ciò non dovevo dare
nulla per scontato poiché i diversi cicli del libro potevano
ripetersi all’infinito. Se l’esito di una delle
tante sfide fosse stato diverso da com’era stato scritto, il
ciclo si ripeteva.
Da allora, per
calarmi meglio nel dramma e liberarmi il prima possibile dalla
maledizione, cancellai quasi totalmente il mio vero nome dalla mia
memoria.
Sebbene
però fossi intrappolato nel Circo dei Sogni, avevo ricercato
Joceline per mari e monti, inutilmente. Sembrava essere scomparsa nel
nulla, finché un giorno, quando meno me
l’aspettavo, si fece viva consegnandomi mia figlia come un
vero e proprio pacco postale.
Stupida donna
senza cervello.
La bambina si
chiamava Celia, un nome che tra l’altro non le donava
proprio… così anonimo e insignificante. Lei
doveva chiamarsi Miranda, come la vera figlia di Prospero
l’Incantatore.
Il sole
sparì del tutto lasciando il cielo vuoto e ramato, mentre la
gente scalpitava impaziente davanti all’entrata del circo.
L’ennesima sfida a colpi di magia e illusione stava per
compiersi.
Ricordai che
tramite una mia collaboratrice di nome Ariel avevo fatto recapitare a
Joceline la lettera maledetta.
Non ce
n’era bisogno e lo sapevo bene, Joceline lette le mie quattro
righe si sarebbe tolta la vita ugualmente, però non mi
soddisfava. No. Doveva morire per mano mia.
Credete forse
che sia una punizione ingiusta e troppo grave per colei che mi aveva
intrappolato in un libro, forse per l’eternità?
Quella sciocca
aveva riversato inconsapevolmente la maledizione persino sulla mia
bambina senza colpe.
E con la
piacevole certezza che Joceline avesse ricevuto finalmente la mia
punizione, guardai gli spettatori che cercavano di sbirciare oltre i
tendoni del circo, aspettando inconsciamente solo Miranda.
Mia figlia era
speciale.
Non aveva mai
letto un solo libro di magia e non conosceva le arti illusorie
però, la magia scorreva nelle sue vene e la utilizzava con
la sola forza del pensiero.
Era
strabiliante e potente e solo con il suo aiuto potevo sperare di
compiere il destino del libro dimostrandomi più forte e
completo dei miei nemici e sconfiggendo così la maledizione
della quale eravamo prigionieri.
Miranda, sono
nelle tue mani…
La lunga
serpentina di persone si agitava impaziente dietro le sbarre di ferro
che bloccava l’ingresso al circo. Li spiavo dal buio del
tendone, ripassando mentalmente tutti i passaggi che dovevo compiere
affinché la magia li coinvolgesse. Non potevo permettermi
nessun tipo di errore altrimenti gli spettatori avrebbero trovato un
tendone completamente vuoto, senza luci, senza giocolieri e senza
animali ammaestrati ed io avrei perso e il ciclo si sarebbe ripetuto.
Non appena
l’ultimo pezzettino di sole scomparve
all’orizzonte, l’insegna del circo apparve
scoppiettante in una nuvola di fumo grigio: Le Cirque des
Rêves.
Scostai appena
un lembo di tenda e con un soffio a pieni polmoni feci espandere
nell’aria l’odore gustoso dei popcorn e quello
coinvolgente di mele caramellate.
Grandi e
piccini si guardavano intorno cercando qualche macchia di colore in
mezzo a tutto quel bianco e nero, mentre percorrevano a grandi passi la
lingua di tappeto che li avrebbe portati direttamente
all’interno dell’illusione.
Man mano che
gli spettatori oltrepassavano la soglia del tendone, venivano avvolti
dal buio più totale, caldo e confortevole che gli sottraeva
la gravità.
Qualcuno
urlò, qualche altro richiamò il nome del proprio
bambino ma ben presto sotto l’effetto della mia magia, la
paura degli spettatori si sarebbe camuffata in forte trepidazione.
Dalla pochette
che tenevo legata intorno alla vita, estrassi una manciata di polvere
di stelle e la lanciai in aria lasciando che il buio pesto cominciasse
a diradarsi dando spazio a tante scintille che luccicavano e danzavano
intorno ai partecipanti.
Le tensioni
cominciarono a sciogliersi e i cuori a battere più
regolarmente. La paura era svanita in un battito di ali, quelle grandi
ali possedute da cavalli bianchi che si rincorrevano tra di loro,
saltando, nitrendo e creando delle figure ammalianti.
La criniera
bianca e folta dei cavalli si allungava e si avvolgeva fino a creare
un’enorme treccia resistente usata da un agile trapezista per
i suoi numeri pericolosi a trenta metri da terra.
Gli spettatori
erano immobili con il naso all’in su, tutti
all’interno del cerchio magico tracciato con il sangue raro
di un grifone, necessario per rafforzare la magia.
Il trapezista,
con un triplo salto mortale, si tuffò in un laghetto
d’oro dal quale qualche istante dopo, come un coniglio da un
cilindro, fuoriuscì un coloratissimo arcobaleno. Il mezzo
cerchio che si estendeva oltre il cielo fu invaso da saltellanti
acrobati che lo percorrevano eseguendo ruote e capriole.
La magia di
massa mi prosciugava tutte le energie, grondavo ormai di sudore e i
capelli mi si erano appiccicati al viso. Ma non avevo altra scelta:
dovevo resistere fino all’estremo delle mie forze, non potevo
mollare.
Io e mio padre
dovevamo fare in modo di liberarci da quella maledizione, smettendo
così di combattere giornalmente e architettare delle
strategie per poter sconfiggere a colpi di magia i nostri avversari non
molto leali, tra l’altro.
Sparsi ancora
una manciata di polvere di stelle che si depositò sul capo
di ogni spettatore. Lentamente concentrai la magia diminuendola sempre
di più fino a farla scomparire. Ogni singola persona si
accinse a lasciare il vuoto tendone in silenzio, troppo stanchi e
soggiogati per poter dire qualcosa.
Il mattino
dopo si sarebbero svegliati al caldo del loro letto con dei bellissimi
e reali ricordi della serata trascorsa al Circo dei Sogni. Si sarebbero
affacciati alle loro finestre andando alla ricerca dei tendoni bianchi
e neri che svettavano verso il cielo blu e si sarebbero accorti che
magicamente non c’erano più.
Il circo era
sparito con la stessa velocità con cui era apparso.
E mentre tutti
si chiedevano che fine avesse fatto, io insieme a mio padre Prospero
l’Incantatore, ci riposavamo in attesa di conoscere la
contromossa dei nostri avversari. Avremmo pregato affinché
non avessero trovato il modo di batterci, facendo in modo
così che il ciclo del libro si chiudesse permettendoci di
andare avanti. Mancava ancora tanto alla fine, ma non ci davamo per
vinti, prima o poi saremmo riusciti ad annullare quella maledizione e
dentro me sperai vivamente che ci riuscissimo prima che
l’anima ci scivolasse via dal corpo. Sì,
perché noi non eravamo immuni alla morte o allo scorrere del
tempo. Eravamo solo degli sfortunati prigionieri di un libro.
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