il giardino di Eden
bene, bene, bene... cosa posso dirvi?
questa storia è stata buttata giù un paio di settimane
fa, forse tre, io ne sono molto orgogliosa, ma ero un po' titubante sul
pubblicarla...
alla fine ha vinto la curiosità di sapere se sono pazza io, oppure è davvero qualcosa di ben fatto...
spero, che chiunque legga sia abbastanza intelligente da capire che è un raccontino senza pretese.
vi chiedo, per favore, di prendere la cosa da un punto di vista
letterario... Milton era un fervente religioso ed ha scritto 'Il
Paradiso Perduto'... mi sarà perdonata la mia personale visione
della caccianta dal paradiso, no?
non mi resta che augurarvi buona lettura!
ah, il titolo non è un errore... leggendo capirete!
IL GIARDINO DI EDEN
Dio lo aveva creato con la luce di una stella. Lucifero, nato dalla luce.
Gli aveva dato
un’essenza predominante maschile, un’intelligenza ed una
saggezza pari alle proprie. Gli aveva dato conoscenza e consapevolezza;
gli aveva insegnato la logica, la necessità e la bellezza
intrinseca di regole ed ordine. Lo aveva reso di bell’aspetto
perché fosse d’esempio: erano la luce divina e la
virtù a donargli la bellezza.
Forse il problema di Lucifero era proprio questo: la perfezione.
«Credete che tutti gli angeli siano uguali?»
«È
una domanda inconsueta.» una pausa. «No, ognuno diverso.
È giusto che siate individuali: la differenza genera
sapienza.»
Lucifero era
d’accordo e soddisfatto tornò a guardare i cerchi angelici
che contemplavano il Signore. Lui era il solo ammesso liberamente al
suo cospetto, anche se, ovviamente, tutti sentivano Dio vicino a loro.
Il suo sguardo si spostò verso il giardino dove Eden passava
quasi tutto il suo tempo.
«Qualcosa ti turba?»
Era vero che Dio
era fatto di amore e l’amore, per sua natura, ha bisogno di
donarsi. Per questo continuava a dare la vita a creature su cui
riversarsi, e creature ancora, amate da lui e dalle sue stesse
creature. Una lunga catena di dare e ricevere.
Sorrise e scosse
la testa. «No, mio Signore. Temevo di essere in errore, ma le
vostre parole hanno dissipato i miei dubbi.»
Perché per lui, gli angeli non erano tutti uguali.
Eden era seduta al sole
sull’erba fresca, il viso sollevato nell’osservare il
lavoro frenetico di alcuni insetti che costruivano un nido. Era stata
creata insieme al giardino per proteggerlo e curarlo finché non
sarebbero arrivati loro ad abitarlo. Ne controllava l’equilibrio, guidata dalla luce divina.
«Impollinano molte piante e producono una sostanza
commestibile dolcissima.» lo informò, abituata alle sue
visite.
Lucifero le si
avvicinò senza staccare gli occhi dal suo viso. Era bella, ma
non come tutti gli altri angeli, molto di più. I suoi occhi
erano più grandi e più azzurri, il suo incarnato
più liscio, le sue guancie più rosa, le sue labbra
più morbide, i suoi capelli castani ed ondulati più
lucidi, i suoi denti più bianchi. E lui sentiva che sarebbe
potuta essere ancora più bella di così.
Le si sedette accanto senza sfiorarla, forse soltanto le loro ali si toccavano appena.
«L’hai assaggiata?»
Lei sorrise ed
appoggiò il viso sulle ginocchia piegate, dolce come tutti gli
angeli ed allo stesso tempo come nessuno. «No.» ammise
semplicemente, poi tornò a guardare gli animaletti gialli e
neri. Non prima, comunque, che Lucifero leggesse nei suoi occhi
qualcosa che somigliava vagamente al desiderio, per il quale
probabilmente avrebbe pregato e si sarebbe scusata appena lui
l’avrebbe lasciata sola. «Non è per me, è per
loro.»
«Allora, come fai a sapere che è buona?»
«Me lo ha detto Lui.»
Sospirò
frustrato. Come tutto quello che sapevano. Lucifero sentì forte
il desiderio di assaggiare quella sostanza, di farla assaggiare ad
Eden. E di assaggiare Eden stessa.
Le si
avvicinò, le loro vesti si toccavano, ma lei non si
scostò. Rimase pacata, tranquilla, immersa nella contemplazione
dell’opera di Dio.
«E se non ti piacesse?»
Eden lo
guardò e qualcosa gli suggerì che erano troppo vicini,
qualcosa che quasi lo spinse ad allontanare il viso dal suo. Ma erano
tutte le regole che gli erano state insegnate, non era lui, così
decise di ignorarle.
«Lucifero, non è possibile che non ami qualcosa creata da Lui.»
Si agitò
inquieto. «Ami tutto. Tutte le creature, tutti gli
angeli…» per un attimo la voce gli vacillò sulla
parola ‘angeli’. «in egual misura?» le chiese.
Per alcuni secondi Eden rimase in silenzio, poi annuì lentamente.
E lui sentì che non gli bastava, così se ne andò a pregare.
«Il tuo tormento fa soffrire
la tua anima, Lucifero.» si strinse di più le ginocchia al
petto, gli occhi nascosti dai riccioli biondi, non del tutto sicuro che
sentire Dio vicino fosse un sollievo. «Anche Eden mi ha
manifestato la sua inquietudine per te. Ha pregato molto per la tua
serenità.»
Se la
immaginò in ginocchio, il capo chino a chiedere
l’intervento di Dio per la sua serenità. «La
amo.» disse solo, pensando che niente avrebbe dovuto poterlo
rendere più felice di lei in comunione con Lui, ma non era
così.
«E come può questo renderti tanto triste?»
Si leccò
le labbra incerto sulla risposta da dare. «Perché lei ama
me come ama tutti, mentre io amo lei più di tutti.»
Silenzio, un
silenzio denso della sua colpa. «C’è tanto amore nel
tuo cuore, dividilo equamente tra tutti i tuoi fratelli.»
«Ma se siamo tutti diversi forse non lo meritiamo tutti allo stesso modo.»
«Un simile
pensiero nella tua mente mi offende profondamente. Siete tutti diversi,
ma questo non significa che ci sia uno più meritevole di un
altro. Non c’è uno di voi migliore di un altro.»
Lucifero
sollevò il viso, cercando un confronto che non riuscì a
trovare. «Voi stesso mi avete reso più perfetto degli
altri.»
«Superbia, Lucifero?»
Rimase interdetto per un secondo. «No… io…»
«Prega, chiedi perdono per un simile peccato.»
Lucifero
sospirò, ma obbedì: si inginocchiò, congiunse le
mani e chiuse gli occhi aprendo il cuore al Signore. Nel suo cuore
c’era Dio ed il sorriso bellissimo di Eden.
Venne perdonato.
«Dovresti essere grato per la vista che ti ho dato, perché
ti permette di godere di qualcosa di tanto bello e puro.»
Eden sorrise nel vederlo, mentre un
animale le si attorcigliava alla caviglia nuda, lasciata scoperta dalla
veste appena sollevata. Lei lo sciolse delicatamente con due mani. Era
una creatura particolare, lunga circa un metro, sprovvista di zampe o
di qualsiasi altro arto, la sua pelle era squamata e viscida; aveva
l’aria sinistra, ma Lucifero sapeva che era completamente
innocua, come tutti gli altri esseri del giardino.
«Cos’è?» chiese, sedendosi sul tronco
sdraiato al quale lei era appoggiata con la schiena.
«Un nuovo abitante.»
Allungò
una mano per toccarne il corpo viscido, scoprendo che, in
realtà, non lo era affatto, era soltanto incredibilmente liscio.
Mentre la mano di Eden, che sfiorò per sbaglio, era morbida e
tiepida. La tolse.
«A volte vorrei dar loro dei nomi.» confessò, lasciandolo andare.
«Ma?» le chiese con gli occhi fissi
sull’animale, che sinuosamente si allontanava da loro strisciando.
«Mi è interdetto…» come troppe cose. «dovranno farlo loro.»
«Come lo chiameresti?»
Eden si voltò per guardarlo. «Non credo di aver capito.»
«Dillo a me.» la fissò.
Per alcuni
secondi il suo viso rimase impassibile a specchiarsi nei suoi occhi,
poi le sue labbra si schiusero in un’espressione di stupore.
«Tu vuoi che abbia un segreto con Lui?» domandò
accalorata, aggrappandosi con fervore alla sua gamba.
Lucifero
guardò la sua mano e pensò che non l’aveva mai
toccato prima, posò le propria sopra la sua, quasi del tutto
certo di dover chiedere perdono anche per quello in futuro. In quel
momento, comunque, ringraziò il Signore di avergli dato le mani
per poterla toccare. «Lui sa tutto. Non glielo terrai nascosto.
Lo dirai solo a me ed io non lo dirò a nessun altro. Quando loro gli daranno un altro nome ce ne dimenticheremo.» che male poteva esserci?
Eden
continuò a fissarlo incerta, incapace di essere diffidente di un
altro angelo, creatura bellissima creata da Dio, poi i suoi occhi si
illuminarono di felicità e le sue labbra si piegarono nello
stesso sorriso che Lucifero portava nel cuore. «Lo
chiamerei… ‘Serpente’.»
«Serpente.» ripeté lui. «Mi sembra adatto.»
Lei rise, niente
a che vedere con i sorrise timidi di compiacenza, una risata vera, una
risata che la rendeva stupenda. «Ora prova tu!»
esclamò, stringendo la presa sulla sua gamba. «Come lo
chiameresti… ehm… me!»
Lucifero sbatté le palpebre un paio di volte sorpreso. «Te? Ma hai già un nome.»
«Se così non fosse?» insistette.
Appoggiò
i gomiti alle ginocchia, sostenendosi il viso con le mani e prese a
studiarla assottigliando lo sguardo. Il suo volto era appena sotto
quello di lui e di nuovo le regole tentarono di imporgli una distanza
più adeguata, mentre il resto lo avrebbe spinto ad avvicinarsi
ancora. Se avesse potuto darle un nome, l’avrebbe chiamata
‘Mia’, oppure… «Lilith.» mormorò
con voce bassa. «Ti chiamerei Lilith.»
Eden sorrise.
«Mi piace.» e lui fu sicuro che non avesse mai sorriso ad
un altro angelo a quel modo.
«L’hai spinta a peccare!» tuonò la sua voce severa ed implacabile.
«No.» negò con impeto. «Non avrei mai potuto.»
Una sferzata di vento gli ferì la guancia. «Non mentire.» intimò.
«Non lo sto facendo.» ribadì, tenendosi una mano sul viso. «Non…»
«Ha
disobbedito per colpa tua…» Lucifero sentì il cuore
chiudersi in una morsa di dolore a quelle parole. «ed è
stata punita per colpa tua.»
Impallidì. «Punita.» mormorò senza
fiato, cadendo in ginocchio per paura di qualsiasi dolore avesse potuto
raggiungerla.
«È stata cacciata dal giardino. Ora al suo posto c’è Uriel.»
Eden che amava
il Paradiso Terrestre, che si sorprendeva ad ogni nuova specie, pianta
o animale che fosse. Eden cacciata dal suo giardino. Solo per un nome.
«Vi prego, non fatelo. Lei è buona e pura ed era
così felice nel curare la vostra opera.»
«È già stato fatto.»
«Perdonatela.» continuò e la voce gli si ruppe
in un singhiozzo. «L’ho io spinta a peccare, sono parole
vostre, punite me.» supplicò in lacrime.
Silenzio.
«Lo sto facendo.» suonò alle sue orecchie come una
condanna di morte. «Prega, Lucifero, hai molto per cui chiedere
perdono.»
Ma quella volta
lui non si inginocchiò, non congiunse le mani, non chiuse gli
occhi, non aprì il suo cuore.
Si alzò in piedi e si asciugò il viso andandosene.
«Dove vai?» si sentì chiedere, mentre si allontanava a testa alta.
«Dall’unica con cui devo scusarmi.»
Abituato com’era a vederla
sempre circondata dal giardino, trovarla in uno dei cerchi angelici,
dove si era recata a pregare, gliela fece apparire stranamente immersa
nel nulla.
Aveva il viso bagnato di lacrime e l’espressione addolorata, ma i suoi occhi brillavano.
«Non avrei mai voluto che accadesse questo.» sussurrò.
«Lo so.» rispose, ma senza risentimento nella sua voce delicata.
Lucifero avrebbe
voluto fare qualsiasi cosa per farla sentire meglio, avrebbe voluto
regalarle mille giardini, senza dubitare che ne fosse degna.
«Non avrei
mai voluto nuocerti in alcun modo, non son degno nemmeno di chiederti
perdono.» disse ad occhi chiusi, scuotendo la testa.
Eden gli si
avvicinò, posando una mano sulla stessa guancia, che poco prima
era stata ferita, con dolcezza. Aprì gli occhi, trovandosi nei
suoi. «Non sarebbe giusto incolpare te.»
«Ma io ti ho spinta a…»
Lo interruppe
più con il suo sorriso che con le dita posate sulle proprie
labbra. Una regola gli ricordò l’inadeguatezza di un tale
contatto, il proprio io stracciò quella regola. «Sono
stata io a farlo.»
«Sono stato io a convincerti a…» tentò di ribattere contro le sue dita.
Lei scosse la
testa, le onde castane si infransero sulle sue guance rosa. «Sono
stata io a confessarti che lo volevo. Volevo essere convinta.»
Lucifero
baciò le sue dita, poi scostò la sua mano dalla bocca al
collo: il Paradiso era racchiuso in una carezza. Una carezza contro le
regole. La fissò. «Non meriti questa punizione.»
«Ho disobbedito alla regola.»
«Una regola inutile.»
«Ma pur
sempre una regola.» Lucifero non rispose, ma non riuscì
nemmeno a celare il disappunto nel suo sguardo. Eden sollevò
l’altra mano, passandogliela tra i capelli biondi.
«C’è così tanto tormento sul tuo bel
viso.» constatò dispiaciuta.
«Sono confuso.»
«Perché non provi a pregare? Lui potrebbe chiarire ogni
tua incertezza.» gli consigliò con gentilezza.
Lo sguardo di
lui si indurì. «Ho provato, non riesco. Lui non ammette
dubbi, né incertezze, né confronti. Mentre io avrei
così tanto da chiedergli.»
«Qual è la domanda che ti preme di più?»
«Perché darmi gli occhi per apprezzare la sua creatura
più bella ed una regola per impedirmi di toccarla.» disse
fissandola. L’unica risposta che riusciva a darsi era: non
c’è alcun perché.
«Magari,
per non farti commettere l’errore di credere una sua creatura
migliore di un’altra.»
Sospirò senza smettere di guardarla. «Che farai ora?»
Eden distolse lo
sguardo dal suo congiungendo le mani in grembo. «Pregherò,
mi pentirò dei miei peccati nella speranza di venir perdonata un
giorno.» si allontanò di appena un passo da Lucifero.
«Pregherò anche per te, perché questa tua
lontananza dal Signore porti ad un ricongiungimento ancora più
forte di prima.»
«Davvero,
ai tuoi occhi, tutto è bello allo stesso modo?» non
poté trattenersi dal chiederle di nuovo.
Lei si
voltò appena lanciandogli un’occhiata, poi scosse la testa
castana. «No.» ma sorrise con una punta di divertimento di
troppo. «Intendo chiedere perdono anche per questo peccato.»
Lucifero rise e non si vergognò affatto nel bearsi del suo peccato.
«Non preghi da molto tempo.»
«Non trovo conforto nelle preghiere.»
Sorvegliato, seguito e spiato sempre. In ogni luogo, in ogni istante da millenni per millenni.
«Forse non lo fai abbastanza.»
«Forse non è pregando che troverò le mie risposte.»
C’era un
mondo lontano. Un mondo dove Dio non posava mai il suo sguardo. Arido,
vuoto. Non c’era niente. Non c’era nessuno. Lucifero
iniziò ad andare lì a pensare, lontano da chi non voleva
essere osservato.
Uriel gli si parò davanti,
mentre varcava i cancelli del giardino, serio e severo come tutti gli
angeli con una missione importante.
«Dove vai?» gli chiese.
Lucifero lo guardò sorpreso e curioso. «Nel giardino.» rispose semplicemente.
«Perché?» domandò ancora.
Perse ogni
traccia di curiosità ed il suo sguardo si incupì, come
quello di nessun angelo era mai stato. «Perché posso. Non
c’è niente che me lo impedisce.»
«Ho l’ordine di controllare chi e entra e chi esce.»
Lui era
più forte di ogni arcangelo, anche di Uriel, se si fosse
arrivati ad uno scontro avrebbe vinto senza difficoltà. Ma gli
angeli non si scontravano e Lucifero era anche più intelligente.
«Hai l’ordine di non farmi entrare?» gli
domandò, incrociando le braccia beffardo.
L’arcangelo rimase così sorpreso dal suo tono
inconsueto, così poco adatto all’umiltà
caritatevole di una creatura di Dio, da sussultare e perdere le parole
per un secondo. «No, la restrizione è solo per Eden.»
«Quindi
non c'è motivo perché tu mi impedisca di entrare.»
commentò. «E poi…» aggiunse, avvicinandosi
lentamente. «Se mi fosse vietato non disubbidirei, non
credi?»
Eden guardò i fiori che Lucifero aveva colto dal giardino per lei ad occhi sgranati.
«Puoi
prenderli.» la invitò, allungandole di più il
braccio con cui li stava porgendo, incerto. Non era sicuro che li
avrebbe apprezzati, ma sperava, ad ogni modo, che riconoscesse il suo
tentativo di rallegrarla, seppur sotto spoglie inadeguate, forse.
«Sono per te.»
Ne prese i gambi
con mani tremanti, senza staccare, però, gli occhi da lui. Nel
suo sguardo c’era un misto di gioia, stupore, gratitudine che la
obbligava ad avere il sorriso più meraviglioso che fosse mai
stato visto.
«Tu non puoi andare.» spiegò. «Loro però possono giungere fin qui.»
«Non so cosa dire.» ammise con voce fievole.
«Qualsiasi cosa pensi.»
«Non credo di meritare tanto.»
Rimase in
silenzio per alcuni secondi guardandola tuffare il viso tra i petali
per assaporarne il profumo. «Io credo che meriti molto di
più.»
Sollevò il volto.
«Cosa pensi?»
«Riesco a pensare solo cose sbagliate.» rispose dopo un po’ con un sorriso.
Lucifero le si
avvicinò, la sua mano scivolò nella propria con
naturalezza. «Per Lui?»
Annuì.
«Per te?»
Scosse la testa.
Avrebbe voluto
chiederle tutto, ma non le chiese niente per paura di spingerla a
peccare ancora, anche se non riusciva ad immaginare niente di sbagliato
in qualsiasi cosa avesse potuto pensare. Perché dare la
facoltà di pensare se poi solo certi pensieri erano ammessi?
Scosse ancora la
testa come rispondendo alla propria mente. «Ma è
così contraddittorio. Tu sei bellissimo e sei una sua creatura,
amarti non può essere sbagliato, come non può esserlo
amare i fiori, o gli animali, o ogni altro angelo. Amare te, infondo,
è amare Lui per mezzo tuo.» sospirò affranta.
«Forse non ti amo nel modo giusto, non so.»
Lucifero le
posò le mani sulle spalle, inquieto. «Come può
esserci un modo sbagliato ed un modo giusto di amare? Siamo tutti
diversi, è stato Lui a dirmelo, è giusto che amiamo tutti
in modo diverso.» erano occhi negli occhi. «Dio ci ha dato
mani e labbra ed occhi, perché non amarci con ognuno di
essi?»
Eden sorrise. «Perché è contro le regole.» rispose con semplicità.
E mai come in quel momento Lucifero si sentì stretto, racchiuso in quelle regole.
Questa volta non era un colloquio
privato, non era più ammesso al suo cospetto. Era tra tutti gli
altri angeli obbedienti, dispiaciuti, speranzosi che la punizione del
Signore e la sua eterna misericordia nel perdono, potessero riportarlo
sulla retta via. Dio non aveva mai negato la sua comprensione nel
pentimento.
Il problema era
che Lucifero non era pentito e che Eden era dispiaciuta sì, ma
senza obbedienza, senza speranza nella sua prostrazione. Non sapeva se
pregasse ancora per la sua anima, non sapeva se sperasse nel loro
ricongiungimento, ma aveva uno dei fiori che lui le aveva regalato tra
i capelli e non c’era traccia di vergogna nel suo sguardo.
«Hai rubato i fiori del giardino.»
Osservò
la schiera di angeli che lo circondava e non trovò un motivo
valido nemmeno per negare: aveva raccolto dei fiori per confortare
Eden, meritava tanto disappunto?
«Ti ho dato le mani per fare del bene.»
«Mi avete
dato le mani per congiungerle e pregarvi.» precisò.
«Per toccare solo quello che Voi volete che tocchi.»
«Non erano per te, non eri in diritto di coglierli.»
Soltanto un
mazzo di fiori. «Ricresceranno, la vita riparerà quello
che io ho rotto. Non ho nuociuto a nessuno, anzi, ho confortato una
sorella.»
Eden
chinò il viso e rise alla parola ‘sorella’, rise
come un angelo probabilmente non avrebbe dovuto ridere. Maliziosa,
divertita, provocante.
«Guarda,
cosa ha fatto il tuo conforto!» tuonò la sua voce
imperiosa. «Guarda, cosa è diventata!»
Lucifero se la
trovò davanti, obbligato a guardarla, forzato a cercare qualcosa
di brutto in una creatura tanto bella.
«Il mio
angelo più bello e puro, macchiato. Spinto a peccare,
risucchiato nelle tue trame indecenti, complice della tua
disobbedienza.»
Soltanto per una parola.
«Non
c’è indecenza nei miei fini, solo il desiderio di
sostenerla nella sua caduta immeritata. Siete stato Voi ad
insegnarmelo.»
«Non
mentire. Ho visto la tua anima.» Lucifero si sentiva scomodamente
nudo, la sua anima sarebbe dovuta essere sua e basta, come i suoi
pensieri, i suoi desideri. «Non era desiderio di sostenerla,
era…»
«Amore.» suggerì senza vacillare, sapeva cosa
c’era nella propria anima. Niente di cui vergognarsi.
«Un amore sbagliato, lussurioso e perverso. Un amore non accettato dalla mie regole.»
Guardò
ancora Eden, cercando il suo consiglio, lei sorrise e fece appena un
cenno d’assenso. «Le vostre regole sono ingiuste.»
scandì lentamente, chiunque avrebbe dovuto sentire, chiunque
avrebbe dovuto sapere che l’obbedienza non poteva essere
l’unica scelta.
Per la schiera
di angeli si allargò un brusio, sulle labbra di alcuni
somigliava ad un sacrilegio, per altri era il dolore di vedere un
fratello tanto perso. Negli occhi di quelli che non parlavano, Lucifero
riconosceva il dubbio non più celato.
«Osi mettere in dubbio il mio giudizio?»
«Voi mettete in dubbio me.»
«Osi credere di essere al mio stesso livello?»
«Siete stato Voi ad ammettere la mia perfezione a riflesso della vostra.»
«Superbia, Lucifero?»
Questa volta non
avrebbe balbettato. «Mi avete dato il vostro intelletto, la
vostra conoscenza e saggezza, soltanto la mia forza è minore
alla vostra.»
«Ti ho dato anche delle virtù. Ti ho dato anche umiltà ed obbedienza.»
«Mi avete
creato libero.» ribatté a voce alta, ogni parola che
pronunciava bruciava una delle regole collezionate.
«Perché farlo se mi volevate schiavo?» ogni parola
che pronunciava lo rendeva un po’ più libero.
«Nella tua
voce non c’è che arroganza, come puoi non vergognarti nel
parlare quando dovresti soltanto supplicare e pentirti.»
«Leggete forse pentimento nella mia anima?» domandò in tono di sfida.
«Hai
approfittato della mia pazienza e della mia misericordia per
l’ultima volta…» annunciò minaccioso, prima
di rivolgersi agli altri angeli. «e voi che condividete le sue
idee inaccettabili, condividerete anche la sua
punizione.»
Eden gli si
avvicinò in fretta stringendo la sua mano tra le proprie, lui la
guardò, poi si sporse baciandole la fronte, niente a trattenerlo
ancora. «Le tue preghiere non sono servite a molto.» la
prese in giro, non era del tutto scontento di andarsene, ma lasciare
lei era orribile.
«Sei stato
con me nella mia caduta.» gli ricordò decisa. «Io
sarò con te nella tua.» disse baciandogli le labbra.
Lui rispose al
suo bacio, poi guardò in faccia Dio come nessuno si era mai
permesso, come se fosse un suo pari. «Non ho finito.»
promise.
Lucifero scivolò di nascosto nel giardino che era stato di Eden. Loro erano arrivati dopo secoli, millenni di attesa e quello era il momento giusto per ricordare la sua ultima promessa a Dio.
Passò
sotto le gambe di Uriel sotto forma di serpente e l’arcangelo non
si prese nemmeno la briga di chiedersi perché un serpente fosse
uscito dal giardino per andarsene per il Paradiso strisciando, il
Signore avrebbe dovuto mettere una guardia più sveglia.
Si
arrampicò sull’albero delle mele, l’albero della
conoscenza che Dio, dopo il suo scherzetto, non si era più
consentito di regalare a buon mercato: tutti gli angeli, tutte le
creature sono perfettamente e onestamente obbedienti, senza sapienza,
senza la consapevolezza di poter scegliere.
Eva stava
raccogliendo la stessa sostanza che secoli prima Eden aveva guardato
con desiderio, quando la sua mano si avvicinò al ramo lui fece
saettare fuori la lingua sfiorandola.
La donna
sussultò di sorpresa e spavento, forse il primo spavento della
storia dell’uomo, ma poi si riscosse avendo sperimentato la
sicurezza di quel posto: nessun animale poteva nuocerle.
Lucifero riprese
le sue vere sembianze, stiracchiandosi in equilibrio sul ramo,
bellissimo come Adamo non sarebbe mai potuto essere. «Ciao,
Eva.» la salutò sorridendo ed allungando un braccio per
afferrare una mela. Avrebbe distrutto il Paradiso Terrestre con
soltanto una mela, non era da tutti.
«Sei un angelo.» constatò lei più tranquilla.
«Già.» si rigirò pigro ed agile come un
gatto, sostenendosi il viso con un gomito. «Che ne pensi di
queste mele?» le domandò sorridendo tra sé.
«Non so.» rispose lei umile. «Non si possono mangiare.»
Lui saltò
giù dall’albero e si appoggiò con la schiena al
tronco. «Mi sembra strano.» commentò fingendosi
stupito e mordendone una. «Sono buone e Lui vi ama. Non vi
negherebbe qualcosa di buono, non credi?» pensò che fosse
davvero troppo semplice.
Eva si
leccò le labbra. «È l’albero della
conoscenza, non ci è permesso mangiarne.»
Quando
allungò il braccio verso di lei, il pomo era di nuovo integro e
lucido. «Te ne offro una io.»
«Ma…»
«Sono un
angelo, non lo farei se fosse proibito.» la rassicurò, con
un dolce inchino, poi la guardò cospiratorio. «Magari
è un piano di Dio, per mettere alla prova la vostra sicurezza
nel suo amore.» Eva fece un passo verso di lui. «Chi ti ama
non ti negherebbe la conoscenza.» ma ancora non demordeva.
«Guardati intorno, se fosse pericoloso qualcuno ti starebbe
avvertendo. Un angelo ti metterebbe in guardia.»
«Sei il primo angelo che vedo.»
Lucifero si
inchinò ancora. «Quale onore.» le si avvicinò
piano, girandole intorno, osservò la sua pelle reagire
istintivamente, più veloce della sua mente, la vide rabbrividire
sotto il suo sguardo. Il primo probabilmente a farla sentire come era,
nuda. Si fermò dietro di lei ed allungò un braccio
circondandola, in modo che la mela fosse davanti al suo grembo.
Eva la prese in mano e Lucifero non ebbe bisogno di vedere per sapere che l’avrebbe mangiata.
«Come si chiamava quell’animale?» gli domandò prima che se ne andasse.
«Serpente.» rise Lucifero.
Eden lo aspettava fuori, bella come era sempre stata.
Non appena fu
fuori si buttò sulle sue labbra con la disperazione della
lontananza di mille anni, quando in realtà erano passate poche
ore. «Ho una cosa per te.» le sussurrò
all’orecchio porgendole un cartoccio di foglie che aveva rubato
ad Eva.
«Cos’è?» le chiese.
«Ti ricordi quella sostanza degli insetti gialli e neri che ci ha portato alla perdizione?»
Eden gli
lanciò un’occhiata. «Credevo che il fatto che tu non
mi guardassi con occhi caritatevoli ci avesse portato alla
perdizione.» rifletté.
«Anche, però c’era anche la superbia e così via…»
Lei rise lanciandogli un’occhiata divertita. «Si, mi ricordo.»
«Te ne ho portato un assaggio.»
Eden intinse il dito nel cartoccio e lo succhiò.
«Buona?» le domandò osservandola.
Lei guardò il giardino, turbata, poi annuì.
Le
accarezzò il viso sospirando. «Ehi…»
mormorò afferrandola per i fianchi ed avvicinandola a sé.
«non essere nostalgica, non potrà tenere qui le sue
creature disobbedienti. Le bandirà costringendole a stare da
noi, sarà costretto a volgere lo sguardo sulla nostra terra
arida e donarle un riflesso della creazione.»
«Non sarà mai così bello.» commentò lei.
Le prese il viso tra le mani, costringendola a guardarlo. «Ripensamenti?»
Eden sorrise e
scosse la testa, fissandolo negli occhi. «Meglio regnare
all’Inferno che servire in Paradiso.»
mi pare evidente che non è fedele alle fonti... ammetto di non averle nemmeno consultate tutte...
spero comunque che vi sia piaciuto!
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