Note della traduttrice: questa ff è tradotta da lithtys col
permesso dell'autrice.
MORE THAN ICE CREAM
by Alicia Blade
PARTE TERZA
Sbattei le palpebre. "Che cosa voglio essere?".
Annuì, ma non aprì gli occhi. "Fino a che punto andiamo. Che...che cosa
siamo? Che cosa vuoi...?", la sua voce si inaridì e credetti di vedere il
principio di una lacrima all'angolo degli occhi, ma erano chiusi così saldamente
che non avrebbe potuto scappare.
La guardai con aria sciocca, elaborando le sue parole. Dopo quello che mi
aveva detto? La verità? Che cosa volevo essere? Che cosa volevo che NOI fossimo?
Potevo pensare ad un migliaio di risposte a quella domanda: amanti, anime
gemelle, ragazzo e ragazza, marito e moglie, insieme per sempre? Ma pensai alla
conversazione nel parco, a tutto ciò che mi aveva detto e sapevo che non potevo
dire nessuna di questa cose. Ovviamente era preoccupata che dopo avermi rivelato
la sua anima apertamente come aveva fatto, l'avrei respinta. Ora vorrei tornare
indietro alle prese in giro, ad essere nemici.
Mi chinai in avanti, osando allungare la mano e toccarle l'avambraccio.
Rabbrividì.
"Mi piacerebbe che fossimo amici", dissi incerto, sapendo che era
parzialmente vero. Nonostante non fosse abbastanza, non sarebbe mai stato
abbastanza, era l'unica cosa che potessi dire vicina a raccontarle tutto, tutti
i miei sentimenti più profondi.
Aprì lentamente gli occhi, ed alcune lacrime luccicanti scesero sulle sue
guance. Strinsi i denti per trattenermi dall'asciugargliele. Infine, dopo avermi
fissato silenziosamente ed averne versate altre intatte, abbassò lo sguardo e le
asciugò con la manica. "Capisco", soffocò un singhiozzo. "Gr...grazie per avermi
detto la verità".
La guarda di sottecchi. Avevo supposto di sentire come minimo una sorta di
gioia o felicità dopo la mia mezza-confessione, ma non c'era stato nulla di
simile. Anzi, sembrava più avere il cuore infranto.
Cuore infranto.
Boccheggiai, la verità mi colpì e sapevo che cosa l'aveva resa così triste.
L'unica cosa che poteva averla resa così triste.
"Usagi-chan", sussurrai, afferrandole le dita. "Mi dispiace. Non lo
sapevo".
"Naturalmente non lo sapevi. Ma ora lo sai", sussurrò.
"E'un completo idiota. Non ti merita", dissi con vigore, guardandola in
viso.
"Oh, non dire quello di...", si fermò, la faccia rossa dal pianto, e mi
guardò di nuovo. "Chi?".
"Il ragazzo...credo che tu gli abbia dato la lettera, no?".
Sbattè le palpebre e lentamente annuì, l'espressione divenne dubbiosa e
sospettosa.
"Beh, se ti ha rifiutata, è un completo idiota. Non ha idea di quello che si
perde".
"Stai...scherzando?", chiese con la voce tremante.
Era il mio turno di essere confuso. "Naturalmente no. Intendo, i complimenti
da parte mia sono una rarità, e mi spiace anche per questo. Ma dico davvero,
Usagi-chan. Sei una ragazza straordinaria. E se non riesce a vederlo.
Allora...".
"Aspetta!", disse, chinandosi improvvisamente sul tavolo, con gli occhi
piantati nei miei. "Fermati", si risentì ed analizzò la mia faccia mentre la
fissavo a mia volta. Tutti i segni del pianto se n'erano andati, a parte gli
occhi rossi e gonfi. "Dici davvero? Non sai...non sai della lettera?".
Boccheggiai. "Solo quello che mi hai detto".
Tirò un incerto sospiro e lentamente si risedette contro la panca. "Oh",
disse tranquillamente, con gli occhi che guardavano il soffitto. Potevo quasi
sentire gli ingranaggi girare nella sua mente, prima che improvvisamente
diventasse di nuovo completamente pallida. "Um, um...è stato un piacere vederti,
Mamoru-san. Um...devo andare!". Saltando giù dallo sgabello, corse verso la
porta. La seguii con lo sguardo, vedendo i suoi fiumi di capelli biondi volare
dietro di lei mentre spariva giù per la strada. Tirando un sospiro, scossi la
testa confuso. Quella ragazza mi stava facendo diventare pazzo, in più di un
modo.
...
Un ora dopo, uscivo dall'ascensore sul pianerottolo del mio appartamento.
Avevo aspettato che lei tornasse per quasi quarantacinque minuti, sperando che
venisse indietro a spiegarmi...beh, tutto. Non potevo evitare di sentire che
c'era qualcosa di molto importante che mi stavo lasciando sfuggire.
Ma mentre attraversavo il corridoio, cercando nella tasca le chiavi, una
piccola, bella ragazza svoltò l'angolo a tutta velocità e mi sbatté contro
emettendo un forte strillo. Sbigottito, sollevai le braccia per stabilizzarla
prima che potesse cadere.
Il suo respiro era stanco, ma mentre alzava lo sguardo su di me, si trasformò
in un forte affanno. Gli occhi le si spalancarono ed il volto, rosso per lo
sforzo, impallidì notevolmente.
"Beh, questa è una novità", sogghignai, non avendo la forza di lasciarla
andare anche se sapevo che era l'unica cosa giusta da fare.
Non ebbi comunque scelta poiché si tirò improvvisamente indietro e premette
la schiena contro il muro come un animale preso in trappola od un criminale
sotto i riflettori. "Che cosa ci fai qui?", boccheggiò.
"Vivo qui", dissi, indicando verso l'appartamento in fondo al corridoio dal
quale era appena arrivata.
Arrossì, perdendo un po' della sua espressione sgomentata. "Lo so ",
sussurrò. "Solo che pensavo che tu ancora...fossi...um...devo andare". In un
battito di ciglia, si stava precipitando via, ma in mezzo battito di ciglia,
stavo allungando la mano e afferrandola per la vita.
"Aspetta", dissi, disprezzando l'idea che lei se andasse via in questo modo
due volte in un giorno. Non quando avevo così tante domande. Non quando avevo
così tanti sentimenti. Mentre si girava a guardarmi, i suoi occhi sbirciarono
timidamente all'insù attraverso le scure ciglia. Sentii le mie mani tremare
volendo prenderle il viso e premere le mie labbra sulle sue. Pensai a lei col
cuore infranto e mi chiesi se potevo guarirla. Ci avrei provato con piacere.
Avrei fatto di tutto.
Ritrassi il braccio.
"Usagi-chan, non vuoi restare?", le chiesi nervosamente. "Devi essere venuta
qui per vedermi, vero?".
Abbassò lo sguardo, non dicendo nulla.
"Deve esserci una ragione per la quale sei qui. Perché non entri? Ho del
gelato".
Le sue labbra si piegarono all'insù e lentamente sollevò gli occhi verso di
me. Sembrava ancora timida ed anche un po'spaventata, ma anche un po'felice.
"Io...veramente...". Guardò indietro verso l'ascensore, mordicchiandosi
debolmente le labbra, poi verso il mio appartamento. Infine raccolse le forze
per qualche sorta di impatto ed esalò un grosso respiro. "Okay".
Sogghignai. "Da questa parte", volevo prenderle la mano, ma non potevo. Mi
seguì ad un passo di distanza, strascicando i piedi. Mi voltai e la vidi fissare
la mia porta con occhi spalancati. Con esitazione, le misi una mano sulla
spalla.
"Stai bene? Ti sei comportata in modo così strano oggi".
Increspò le labbra, guardando ancora verso la mia porta ed annuì. Dopo,
sollevando i suoi occhi su di me, dichiarò. "Sei stato così gentile con me".
Sbattei le palpebre, volendo sempre di più prenderla fra le braccia. Stava
diventando quasi impossibile resistere, specialmente quando i suoi occhi mi
stavano guardando con così tanta...che cos'era quella? Premura? Adorazione? Non
osavo sperare.
...
"Beh, intendo ciò che ho detto. Se ti va di essere amici...", smisi di
parlare mentre il suo volto si abbassava per guardare al pavimento.
Raggiunto il mio appartamento, infilai la chiave, sentii il familiare scatto,
e lasciai che la porta si spalancasse. La prima cosa che vidi nel mio pulito e
lindo appartamento fu qualcosa fuori posto. Sbattei le palpebre e mi chinai per
prendere una busta di carta Manila. "Che cos'è?", meditai fra me e me. Girandomi
verso Usagi, sorrisi nel vederla stare immobile nel corridoio, giocherellando
nervosamente con le dita. "Puoi entrare. Siediti. Mettiti a tuo agio".
Fece un profondo respiro, i suoi occhi incollati alla busta, prima di entrare
nel mio soggiorno. Mi ricordava un prigioniero che andava all'esecuzione. Chiusi
silenziosamente la porta e ritornai a fissare curiosamente la lettera.
In grandi, gonfie lettere, c'era il mio nome "Chiba Mamoru", scribacchiato su
un lato. Nient'altro. Scuotendo le spalle, mi diressi verso la cucina. "Va bene
al cioccolato?", le chiesi, posando la lettera sul bancone.
"Aspetta...non...non hai intenzione di aprirla?", chiese tremando.
Mi voltai e vidi uno sguardo ferito e guardando di nuovo la lettera,
realizzai improvvisamente perché la scrittura mi sembrava così familiare. "
Usagi-chan, questa è...da parte tua? E' questo il motivo per cui sei venuta
qui?".
Trasalì e abbassò lo sguardo al pavimento. " Pensavo di avertela data due
giorni fa, ma sono andata in un appartamento al piano sbagliato. Pensavo mi
stessi evitando per questo". Si fermò, forzando una piccola risata. "Non so se i
tuoi vicini l'hanno aperta, ma sicuramente sembravano contenti quando sono
tornata a riprenderla".
Lentamente allungai la mano verso la busta, sentendola come un peso nelle mie
mani, e lessi nuovamente il nome. Non c'era alcun modo che questa potesse essere
ciò che speravo fosse. Semplicemente non c'era...
"Perché non ti siedi?", le chiesi gentilmente, schiarendomi la gola. Guardò
il mio sofà e si diresse cautamente lì. Pensavo che sarebbe svenire, tremava
così tanto, ma lo raggiunse e si sedette, le gambe unite e la schiena dritta
come un asse.
"Mi piace il tuo appartamento".
Sorrisi, andando a sedermi al tavolo da caffè di fronte a lei."Grazie. Puoi
tornare ogni volta che vuoi".
"Vedremo", sussurrò, guardando mentre le mie tremanti mani strappavano la
busta.
Misi una mano dentro e tirai fuori un quaderno a spirale color porpora. Il
mio cuore iniziò a battere selvaggiamente. Tutto il mio corpo tremava mentre
riconoscevo il quaderno al quale era stata così attaccata.
Combattei per respirare, guardando in su verso la trepidante ragazza. Stava
fissandosi il grembo, cercando disperatamente di non avere contatto visivo.
"Usagi-chan, questo...questo è...".
Increspò le labbra e si sforzò di annuire.
"Per me?", deglutii. Non si mosse.
Con dita tremanti, lo aprii lentamente.
"Oh, per favore", gemette improvvisamente, sbattendo le mani sulla pagina.
"Per favore, per favore, non leggerla di fronte a me!", la guardai vedendo che
stava piangendo di nuovo, la faccia infuocata. "Per favore, Mamoru-san...".
"Okay", sussurrai, e lentamente chiusi il diario, non avendo letto neanche
una parola. "Okay, non lo farò". Misi il quaderno sul tavolo e stesi le braccia
per prenderle le mani. La mia voce tentennava mentre le accarezzavo i palmi
delle mani con i pollici. "Non la leggerò di fronte a te. Ma...ma Usagi-chan, mi
diresti...mi diresti che cosa dice?", non feci alcuno sforzo per nascondere il
tono supplichevole della mia voce, volendo così fortemente credere, sperare,
sapere...
Stette zitta per un lungo momento, mentre le accarezzavo le mani, le lacrime
che lasciavano minuscole linee umide sgorgando dai suoi meravigliosi occhi.
Infine, mordicchiandosi il labbro, guardò in su verso di me e fece un profondo,
tremolante respiro.
"Bene. Dice", sussurrò, dopo si fermò per schiarirsi la gola e ricominciò
nuovamente con un po'più di convinzione. "Dice...dice che sei l'uomo più
splendido al mondo". I suoi occhi ardevano nei miei, pieni di lacrime, onestà,
verità, e , Dio, poteva essere? "E che so che penserai che è una stupida cotta,
ma...ma sono pazzamente innamorata di te. Lo sono sempre stata. E lo sarò
sempre". Scoppiò in singhiozzi, tirando via le mani per coprirsi il volto.
Da parte mia, potevo solo fissarla, cercando disperatamente di contenere
l'impatto, il significato delle sue parole. Cercando disperatamente di ricordare
il discorso che avevo provato così tante volte nelle mie fantasie. Cercando
disperatamente di non svegliarmi da questo sogno.
Con cautela, allontanai gentilmente le mani dal suo volto. Me lo lasciò
fare.
"Non piangere", sussurrai, sentendo l'inadeguatezza delle mie parole non
appena le ebbi pronunciate, ma le ripetei ancora due volte, asciugandole le
lacrime con dita tremanti. Avevo così paura di farle del male, ero così
spaventato dall'idea che potesse sparire ad ogni tocco. "Usagi-chan", mormorai
lentamente, inginocchiandomi davanti a lei. "Non so...non so cosa dire",
gemetti, sperando disperatamente di riuscire a spiegarle come mi sentivo, ma mi
sfuggivano le parole.
Scosse la testa. "Non dire nulla", disse, distogliendo lo sguardo. "Lo so
già. Amici, giusto?", singhiozzò e potevo vederla cercare disperatamente di
ricacciare indietro le lacrime.
"No, non è così", dissi con forza, prendendole il viso fra le mani,
forzandola a guardare in basso verso di me. L'euforia improvvisamente esplose in
me e sorrisi guardando la sua faccia così incredibilmente bella. "E'solo
che...Usako...non ci sono parole abbastanza forti per dirti quello che
vorrei".
Chinandomi in avanti, premetti le mie labbra sulle sue, gentilmente quanto
riuscivo vista la passione che mi inondava. Ansimò, il corpo che diventava
rigido, ma le sue labbra erano calde e morbide mentre cercavo di dirle
attraverso i baci quello che non riuscivo a comunicarle con le parole.
Le mie dita si allacciarono nei fili dei suoi capelli, i miei pollici che
massaggiavano la pelle perfetta delle sue tempie e delle sue orecchie. Era così
tanto più morbida di quanto avessi mai potuto immaginare.
La sentii piangere silenziosamente, quasi inudibile, e la tensione la
abbandonò improvvisamente. Mi tirai indietro, stando abbastanza vicino da
sentire il suo respiro mentre teneramente facevo scorrere le dita sul suo collo
e sulle sue braccia, lasciandole con esitazione sulla sua vita. Le mie labbra
tremavano per il desiderio e la soddisfazione. Anche le sue.
Appoggiandomi indietro, guardai in su verso di lei, mentre spalancava gli
occhi. Brillavano ancora di lacrime non versate mentre mi fissava, la bocca
aperta per la sorpresa. Fu il miglior momento di silenzio che ebbi mai
provato.
Si leccò le labbra, trattenendo il fiato, guardandomi con dubbio ed
incredulità. "Non capisco", sussurrò infine, ed il mio sciocco sogghigno
tornò.
"Usako", dissi, la voce poco più alta di un sussurro. "Quello che sto
cercando di dirti è che...sei la ragazza più splendida al mondo. E so che
penserai che è una stupida cotta, ma...ma sono pazzamente innamorato di te. Lo
sono sempre stato. E lo sarò sempre".
Iniziò a tremare, alcune lacrime che cadevano nonostante avessi allungato una
mano per asciugarle. Si appoggiò nella mia mano. "Davvero?", chiese
innocentemente.
"Davvero".
"Oh, Mamo-chan", squittì, gettandosi fra le mie braccia e piangendo sulla mia
maglietta. Non persi tempo e la strinsi a me, memorizzando ogni sensazione, ogni
centimetro della sua schiena, ogni profumo dei suoi capelli e della sua pelle,
ogni suono che usciva dalle sue perfette, amabili e stupende labbra.
"Usako", sussurrai contro i suoi capelli quando il suo triste pianto venne
meno. "Stavo diventando matto pensando che fossi innamorata di
qualcun'altro".
Ridacchiò. "Stavo diventando matta pensando che l'avessi letta e mi stessi
evitando".
Baciandola sulla testa le chiesi. "Posso leggerla ora? Per davvero?".
Ridacchiò e acconsentì.
Strisciai verso il sofà e la portai con me, non sopportando di starle lontano
più di qualche centimetro. Mi seguì volentieri, portando i piedi sul cuscino e
si accoccolò contro il mio fianco mentre prendevo il quaderno. Mentre saltellavo
fra le pagine, notai che quasi ogni riga era stata cancellata, scribacchiata e
ricancellata tantissime volte, in modo che ora risultava illeggibile. Risi, e mi
guardò, con gli occhi scintillanti.
"Volevo davvero che fosse perfetta", disse, arrossendo. Qui e là potevo a
malapena capire qualche parola.
"Occhi meravigliosi...energico, ma...quello che intendo...quando ti vedo
sorridere...per sempre...".
"Mi sarebbe piaciuto che la avessi lasciata stare", dissi, baciandole la
fronte. "Mi sarebbe piaciuto leggerla".
Sogghignò, "Te ne scriverò un'altra. Questa volta non tralascerò nulla.
E'stato così facile, davvero. Una volta che ho iniziato, è uscito tutto.
Ma...non sapevo che cosa avresti pensato, così l'ho cancellata". Batté le
ciglia. "Ne scriverò un'altra per te.. Ma...c'è qualcosa...in fondo".
Andai alla fine, all'ultima pagina, e non potei evitare di ridere davanti
alla lettera d'amore. La mia lettera d'amore. Diceva:
Caro Mamoru-san,
sei l'uomo più splendido al mondo. E so che penserai che è una stupida cotta,
ma...ma sono pazzamente innamorata di te. Lo sono sempre stata. E lo sarò
sempre.
Per sempre tua,
Usagi
"Te l'ho detto che avevo scritto quello", sussurrò. Sollevai il suo viso
verso il mio.
"Grazie", mormorai.
Mi sorrise radiosamente, facendo battere pazzamente il mio cuore. Dopo, con
un po'di preavviso, mi avvolse le braccia attorno al collo e mi baciò. Mi
sciolsi istantaneamente nel suo tocco, tenendola stretta a me, ricambiando il
bacio con tutto l'amore e la passione e la verità che avevo tenuta nascosta da
quando l'avevo incontrata. Era quasi come un nuovo primo bacio - questa volta,
era lei a baciarmi. Mi stava dicendo, senza parole, che questo era tutto vero e
favoloso e sarebbe stato così anche domani.
Quando si ritrasse e posò la testa sulla mia spalla, mi sentii come se mi
fosse caduto il Paradiso addosso. Sapevo che se ogni persona avesse potuto
sentire questo tipo di felicità, tutti i problemi del mondo si sarebbero
risolti. Sapevo che non l'avrei mai, mai lasciata andare.
"Ti amo, Mamo-chan".
"Ti amo anch'io, Usako", baciando i suoi soffici capelli, feci scorrere una
mano sulla sua schiena, carezzandola gentilmente. "E credo di dovere al mio
amore un po'di gelato".
"Mmmm...no grazie".
La guardai confuso. "Che cosa?".
Ridacchiando, si ranicchiò ancora di più fra me ed il sofà. "Per prendere il
gelato, devi alzarti. E...questo è meglio. Stiamo così per sempre".
Sospirai felice. Se fosse rimasto qualche dubbio, svanì a quelle parole.
Mi amava più del gelato, e conoscendola, l'amore non poteva essere più forte
di così.
FINE
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Note di lithtys: eccomi giunta all'ultima parte di questa storia. Spero
vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuta a me! Mi scuso se la traduzione non è
proprio pefetta, ma ho fatto del mio meglio ^___^'
Ringrazio Mykaila, miki90, sailormoon81,
Strega_Mogana, Shura23 e Cassandra14.
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