41 - Extra nr. 2
*parte il gingle dei Blues Brothers*
Voglio ringraziare tutti coloro che mi sono stati accanto, che mi hanno supportato e sopportato in questi lunghi mesi in cui Verità Nascosta è venuta a galla.
*il gingle continua a girare*
Sapere di essere riuscita a
trasmettervi le mie emozioni è stato qualcosa di altrettanto
emozionante perché ho imparato che le parole in certi casi,
sì, possono fare male ma che in altri sanno dare un vero e
proprio scossone all’anima delle persone.
*il gingle continua a girare*
Ho apprezzato tutti i vostri
commenti e anche quelli delle persone che si limitavano a seguirmi
nell’ombra e che alla fine mi hanno fatto l’immensa
cortesia di farmi sapere ciò che ne pensavano dell’intera
storia.
*il gingle continua a girare*
Il primo capitolo ha raggiunto la
quota di circa novemila visite, ebbene, mi piace pensare di aver
ricevuto novemila commenti per quel primo capitolo.
Grazie, grazie davvero!
*fine del gingle*
Bene, constatato che il mio
livello di sanità mentale non è ancora tornato negli
standard – i psicofarmaci che sto prendendo non mi aiutano, anche
se stenderebbero un cavallo – smetto di dire ca22ate.
Eccoci all’ultimo capitolo
di Verità Nascoste in cui si saprà cos’è
successo a Harry e Ron. Forse vi avrò rovinato la sorpresa, ma
non m’interessa. ù.ù
Questo capitolo, però, contiene un cliché.
In molte mi hanno fatto i
complimenti perché se questa storia è piaciuta
così tanto, è dovuto al fatto che c’erano tanti
colpi di scena, che il mondo che ho creato era reale e non solo fatto
di “nuvolette rosa e zucchero filato” e che gli spoiler che
lasciavo non erano propriamente così scontati.
Non erano dei cliché, appunto.
Qui, però, ne ho voluto
mettere uno, quello che a mio avviso farà sognare e palpitare i
vostri cuoricini. Poiché non ne ho mai messo uno durante il
corso della storia, ho voluto metterlo qui. Chiedo scusa fin da ora se
qualcuno potrebbe pensare che ho rovinato la storia con il più
classico degli stereotipi, ma davvero: non l’ho fatto apposta.
Non è vero: l’ho fatto apposta, eccome! ù_ù
La scena di questo cliché
è ispirata a una puntata – di cui non ricordo né
titolo, né stagione, né numero di puntata – di Sex
and The City. Spero che le fanatiche di questo telefilm sappiano a cosa
mi riferisco.
Detto ciò, vi lascio alla lettura.
Ci vediamo in fondo per l’ultima volta.
Sigh sob…
VERITA’ NASCOSTE
MI APRO ALLA CHIUSURA
Il cimitero di Godric’s Hollow era silenzioso.
L’ultima volta che
c’era stato, Hermione era lì con lui, vicino a lui.
Sorrise mestamente nel pensare che per lui l’amica ci fosse
sempre stata e lui invece, alla prima occasione di dimostrare quanto
tenesse a lei, le aveva voltato le spalle.
Dalla fotografia, Lily Evans e
James Potter guardavano i passanti sorridendo, benché non li
vedessero veramente. L’immagine era sempre la stessa: Lily si
voltava verso l’obiettivo e sorrideva con il cuore, e James le
correva dietro per abbracciarla e arrivare in tempo per essere
immortalato con lei nella foto.
Spesso Harry si perdeva a
immaginare i possibili retroscena di quella fotografia, a inventare
mille scenari per giustificare la fretta di suo padre nel raggiungere
sua madre.
Non aveva ricordi mnemonici del
suo unico anno di vita con i suoi genitori, ma ne aveva tanti a livello
emozionale. Si chiedeva spesso perché sorridesse di fronte a una
tazza di tea nero, o perché preferisse fare i compiti sul tavolo
della cucina di Grimmauld Place piuttosto che nel silenzio della sua
stanza o ancora perché s’imbambolasse a fissare il cielo
quando prometteva di nevicare.
Sirius aveva dato una risposta a questi quesiti.
“… beh, il tea nero lo beveva sempre tuo padre dopo che…”
“Dopo che?”
Sirius si grattò la testa, imbarazzato.
“Beh, sai… le api… il polline… il miele…”
Harry piegò di lato la testa, confuso.
“Sesso Harry! Sirius sta parlando del sesso!” – intervenne Fred, passato in quel momento.
Harry arrossì e Sirius rise nervosamente per quella cruda spiegazione.
“Oh!” – fu l’unica esclamazione di Harry.
“Ehm…
già…” – disse Sirius, lieto comunque che
qualcun altro avesse fornito spiegazioni al suo figliastro. –
“Tua madre invece preferiva fare i compiti sul tavolo,
perché la sua scrivania non bastava per contenere tutti i libri,
anche quelli che non c’entravano niente con ciò che stava
facendo e sempre tua madre riusciva a stare delle giornate intere a
fissare il cielo bianco.”
La parte inconscia di lui aveva
registrato i movimenti dei suoi genitori e li aveva incisi nella sua
parte più profonda, come una canzone registrata su un nastro.
Intristendosi un po’, gli
occhi di Harry si posarono solo sul padre. Aveva ancora ben chiaro in
mente quell’unico ricordo che era riuscito a estorcere a Piton
durante le loro lezioni di Occlumanzia: suo padre che se la prendeva
con l’insegnante perché era un debole.
Esattamente con lui stesso.
Socchiuse gli occhi e
sospirò. Inspirò l’aria fredda che gli punse i
polmoni e riaprì gli occhi. Erano ancora orgogliosi di lui, i
suoi genitori? Se un giorno si sarebbe trovato al loro cospetto, come
l’avrebbero guardato?
Come l’avrebbero giudicato?
“Sciocchi sentimentalismi…”
Una voce strascicata lo raggiunse
e ruppe quel momento di intimità che Harry aveva creato. Non si
girò neanche per vedere chi era l’intruso che si era
permesso di interferire, poiché l’aveva già
riconosciuto.
La veste luna e nera di Severus
Piton entrò nel suo campo visivo. L’uomo indossava solo
quella tunica: nessuna sciarpa, guanti, berretto o mantello per
ripararsi dal freddo come invece Harry stava facendo.
Sembrava che Severus Piton fosse il freddo.
Harry continuò a fissare la tomba dei suoi genitori.
“Grazie professore.”
– disse Harry, girandosi e andandosene, lasciando lì
quell’uomo a contemplare la foto dell’unica donna amata.
Severus non rispose, sembrava
quasi non l’avesse nemmeno sentito. Eppure, nel silenzio ovattato
dalla neve di quel cimitero, il docente di Pozioni aveva percepito quel
sussurro come un’esplosione. I suoi occhi rimasero fissi
unicamente sulla foto di Lily – Evans, mai Potter, per lui
– che sorrideva all’obiettivo e nel profondo del suo cuore
– perché anche lui ne possedeva uno – si beò
dell’illusione che sorridesse solo per lui.
La mano si mosse
impercettibilmente verso la fotografia, forse per accarezzarla, forse
per nascondere l’entrata di Potter nell’obiettivo…
ma poi la lasciò ricadere lungo il fianco.
Si girò e se ne andò.
Sulla tomba, due gigli bianchi.
Harry era uscito dal cimitero e si era diretto verso casa, a Grimmauld Place nr. 12.
Da qualche mese a quella parte,
c’era un problema che richiedeva la sua attenzione. Un problema
che aveva due gambe chilometriche e un sorriso che ultimamente –
fin troppo ultimamente – gli faceva visita a qualsiasi ora del
giorno.
E della notte.
Il problema era che non ci
riusciva: aveva sconfitto il più grande mago oscuro di tutti i
tempi, ma non riusciva ancora a rimpiazzare Ginny.
Il ricordo gli fece rallentare il
passo fino a fermarsi sotto un palo della luce. Si guardò
intorno per un attimo e non vide nessuno per strada. C’era solo
lui.
Si sentì… solo.
Ginny.
Se ripensava a come l’aveva
trattata, sentiva come una trappola per topi chiudersi
all’improvviso sul suo cuore, tranciandolo a metà.
Fin da quando Silente gli aveva
detto la prima volta di Tom Riddle, quel lontano giorno del suo primo
anno a Hogwarts, Harry sapeva di non essere un bambino come gli altri e
non solo per la leggenda alla quale il suo nome era legato.
Si era impegnato – certo,
non nello studio – per cercare di sedare quella parte di
sé, quella che se anche era presente in ogni essere vivente, in
lui era forse più accentuata, con buoni risultati.
E poi era esplosa.
Aveva dato sfogo ai suoi
più vili e meri istinti, aveva lasciato da sola un’amica
nel suo momento di maggior fragilità emotiva, aveva trattato
Ginny come un oggetto sessuale e quel che era peggio, si era sentito
orgoglioso mentre faceva tutto questo.
Ogni volta che ci pensava, si
chiudeva in camera sua – quella che era appartenuta a Sirius
– e piangeva come un bambino per delle ore finché,
sfinito, si addormentava.
Poi la giornata riprendeva a scorrere normalmente fino al successivo momento di crisi.
Non ne aveva mai fatto parola con
nessuno, specialmente con Hermione. L’amica aveva passato fin
troppe disgrazie e aggiungersi alla lista, dopo che aveva fatto i salti
mortali per tornare nella sua cerchia di amicizie, era un opzione
decisamente inconcepibile.
Si teneva tutto dentro, pur
conscio che un tale atteggiamento avrebbe portato solo alla sua
disfatta, a un lento, ma inesorabile logorio interno.
Con Ginny era tornato a parlare tranquillamente.
Il che lo giudicò come un miracolo.
Aveva faticato tantissimo e
tantissimo aveva sofferto quando le aveva dichiarato il suo amore. Al
ricordo, si toccò la mascella.
“Posso… potrei parlarti? In privato.” – disse Harry, palesemente a disagio.
Ginny lo
guardò incuriosita, ma non preoccupata. Era il compleanno di
Hermione e la ragazza aveva dato una festa a Malfoy Manor – su
ordine tassativo di Lucius – per quelle poche centinaia di invitati che i padroni di casa, la festeggiata e gli amici della festeggiata, avevano invitato.
Ginny
seguì Harry in giardino, in un posto non troppo isolato.
C’era un leggero venticello dal profumo primaverile
nell’aria e Harry sperò, come diceva il detto, che la
Primavera fosse davvero la stagione degli amori.
Ma per la precisione, sperò che quella fosse la stagione del ritorno dell’amore.
Il suo.
“Dimmi.”
“Io…”
– sapeva che stava sbagliando a dirglielo, che non doveva, non
dopo quello che le aveva fatto, ma aveva bisogno di essere amato e
sapeva che solo Ginny era in grado di assolvere a quel compito. –
“… Ginny io ti amo.”
La ragazza lo aveva guardato palesemente sbigottita. Aveva aperto la bocca per rispondere, ma Harry proseguì.
“So che
ti ho trattata malissimo e…” – sbuffò
perché le parole non esprimevano a sufficienza il dolore che
sentiva dentro ogni volta che ripensava a come l’aveva trattata.
– “… mi dispiace! Davvero! Io… io ti
amo!”
L’attimo
successivo, Harry si ritrovò scaraventato a terra a causa di un
potente gancio destro che Blaise Zabini aveva fatto accidentalmente
combaciare con la sua guancia.
“BLAISE, NO!” – urlò Ginny, abbassandogli le braccia, anche se troppo tardi.
Ma Blaise non
la stava a sentire. Provava una rabbia troppo cieca e sorda per poter
ascoltare la sua fidanzata. Come osava Potter tornare alla carica?
Come?!?!
“Hai firmato la tua condanna a morte, Potter!” – sibilò Blaise, trattenuto a stento dalla sua ragazza.
Harry si
rialzò, barcollando. Dentro nessuno si era accorto di nulla con
sollievo di Ginny. Non voleva dare spettacolo come l’ultima volta.
“Blaise, calmati…”
“Che cazzo vuoi ancora da lei, Potter?” – era arrabbiato.
E terrorizzato.
Non voleva
dare a Harry nemmeno un centimetro di spazio per potersi muovere
letteralmente e metaforicamente intorno alla sua Ginny. Pur sapendo che
era stato sotto un potente incantesimo di Magia Oscura, Blaise aveva
paura che Ginny lo mettesse di nuovo da parte per stare con lui.
Harry non
rispose. Sapeva di aver fatto una cazzata a dirle quelle cose e sapeva
di essersi meritato quel pugno perché, onestamente, se fosse
stato al posto di Blaise Zabini si sarebbe comportato nello stesso modo.
Sorrise
amaramente nel vedere quanto Serpeverde e Grifondoro fossero, in fin
dei conti, più simili di quanto potessero immaginare.
“Io…”
Blaise era sul punto di rifargli i connotati. Aveva pure il coraggio di rispondere?
“Scusa. Scusate. Fa come se non ti avessi detto niente. Mi scusi tu con Hermione?” – disse, meccanicamente.
“Harry aspetta!” – lo fermò Ginny.
Il ragazzo rimase sempre con lo sguardo fisso a terra.
“Tu ora torni dentro.” – disse al suo ragazzo che la guardò con gli occhi a palla.
“Ginny, non…”
“Non ti fidi?” – lo pungolò lui.
Blaise sbuffò. Ogni volta riusciva a incastrarlo con quella storia della fiducia!
“Io… sì che mi fido, ma…”
“E allora?”
“E’
in lui che ho poca fiducia.” – disse, incurante che Harry
potesse sentirlo e indicandolo con un cenno del capo.
“Dai, rientra. Devo parlare con Harry.”
Palesemente contrariato, Blaise rientrò.
Rimasero solo Ginny e Harry.
“Harry… io non ti amo.”
Il ragazzo serrò gli occhi. A Voldemort sarebbe bastato quello per ucciderlo.
“Sì,
lo so, ma speravo… non so neanche io cosa speravo, a dir la
verità.” – disse, con un sorrisetto tirato.
“Troverai quella giusta.”
“Che non sei tu.” – disse Harry, chiedendole quell’ultima conferma, a riprova del suo autolesionismo.
“Che non sono io.” – confermò Ginny.
Le dispiaceva
ferire Harry in quel modo, ma lei era felice. Blaise la rendeva felice
e non vi avrebbe mai rinunciato. Lo vide sorridere amaramente e il suo
spirito di Grifondoro le suggerì di andare da lui, abbracciarlo
e consolarlo, dirgli che sarebbe stata per lui ciò che avrebbe
desiderato, ma lei stessa prese lo spirito di Grifondoro e lo
mandò a farsi un giro a quel paese.
“Tu sai
che non ero in me quando ti dicevo quelle cose.” – si
sentiva estremamente patetico a giocare quella carta, ma era come se
volesse avere conferme su ogni fronte che Ginny non fosse più
innamorata di lui.
“Io
invece ero in me quando ti ho detto che non ti amo.” – le
disse, per nulla arrabbiata per aver riesumato quel ricordo.
“Avrei potuto renderti felice.”
Si sentiva patetico.
“Io sono felice.”
“Amarti come meriti.”
E ipocrita.
“Blaise lo sta facendo molto bene.”
“Consolarti quando stai male.”
“Con Blaise sto solo che bene.”
“Aiutarti quando cadi…”
“Blaise non lascia mai la mia mano.”
E capì.
Capì che per lui non c’era più posto nel cuore di Ginevra, se non come un caro amico.
E le sorrise.
Di cuore, anche se Ginny riuscì a leggere una nota di rassegnazione in quel sorriso. Gli sorrise a sua volta.
“Se ti fa del male, gli spacco la faccia.” – disse, cercando di buttarla sul ridere.
“A giudicare dalla tua mascella, sei solo tu che rischi.”
Harry rise, annuendo. Smise subito perché il pugno di Blaise era stato veramente forte.
“Male?” – chiese Ginny, con una faccia contrita.
“No, tranquilla. Beh, io vado. Lo dici tu a Hermione?”
“Vai tranquillo.”
“Ci si vede in giro, eh?”
“Contaci.”
Poi, si smaterializzò.
Un fiocco di neve si posò sul suo naso, risvegliandolo dai ricordi.
Iniziò a rabbrividire e si strinse maggiormente nel piumino. Si avviò celermente verso casa.
Erano passati sei lunghi anni da
quel giorno, eppure non riusciva a guardare avanti. Ginny aveva smesso
da tempo di essere il suo amore, ma allo stesso tempo non voleva
dimenticarla, come se il continuare a ricordare ciò che avrebbe potuto essere e avere con lei, fosse la giusta punizione da scontare per rimediare al male che le aveva fatto.
Si era convinto di non meritare la
felicità, non dopo la pietosa scena di quella volta a Malfoy
Manor, che Malfoy, al suo confronto, era da considerarsi un santo.
A sua insaputa, però,
c’era qualcun altro che soffriva per quell’atteggiamento,
qualcuno che lo stava aspettando a Grimmauld Place…
Era stanco, Harry. Stanco di quella non-vita.
Avrebbe voluto incontrare una
bella ragazza, innamorarsi e mettere al mondo un’intera squadra
di Quidditch, invecchiare con lei e contare insieme le rughe che
testimoniavano una vita insieme.
Di nuovo, quel
sorriso gli apparve davanti agli occhi. Sbuffò, perché
non capiva come aveva fatto quella persona a insinuarsi nei suoi
pensieri, a manipolarli a suo piacimento per fargli visita quando meno
se lo aspettava.
E ogni volta che quel sorriso
faceva capolino nella sua mente, inspiegabilmente si ritrovava ad
arrossire e a sentire il suo cuore iniziare a battere più
velocemente.
Si diceva sempre che non ne era
innamorato, che al limite massimo poteva provare per lei un forte
sentimento di affetto e gratitudine, poiché l’aveva
aiutato in tutti i modi in cui una persona può essere aiutata, e
soprattutto, perché era impossibile che una come lei potesse provare qualcosa di diverso dal comune affetto per un come lui.
O meglio, per lui.
Lui che si era comportato peggio di Voldemort.
Scosse il capo, per non pensarci,
altrimenti rischiava veramente di commettere delle pazzie – come
se non ne avesse fatte a sufficienza – e arrivò a casa.
Infilò la chiave nella toppa e capì che qualcosa non andava.
C’era qualcuno in casa e
questo qualcuno non faceva nemmeno nulla per mascherare la propria
presenza. Sfoderò la bacchetta e si avvicinò lentamente e
in silenzio.
“… senti un po’, …”
“Kreacher!” – esclamò l’elfo, indignato.
“Senti un po’,
Krackers, ti ho chiesto di portarmi un bicchiere d’acqua.
È forse chiedere troppo?”
Riconobbe quella voce
all’istante. Si affrettò per raggiungere la cucina dove
una furente Daphne Greengrass stava cercando di ottenere da quel
maledetto elfo – e per fortuna che era sempre lieto di servire i
nobili purosangue! – un maledetto bicchiere d’acqua.
“Io mi chiamo…”
“Kreacher!” –
esclamò Harry. – “Che sta succedendo?” –
chiese il moro, levandosi il giubbotto.
L’elfo si chinò, di malavoglia, ai piedi di Harry.
“Kreacher…” – disse, sottolineando la pronuncia esatta del suo nome. – “… non sa chi sia questa donna. Kreacher non fa entrare estranei nella casa della nobile e…”
“… e antichissima
casata dei Black. Sì, sì ok.” – fece Harry,
alzando gli occhi al cielo, stufo di sentire quella tiritera. –
“Vai pure, qui ci penso io.”
L’elfo si smaterializzò, sollevato.
“Ciao…” – salutò Daphne. – “… la porta era aperta e…”
“Non preoccuparti. Posso fare qualcosa per te?” – chiese, andando ad appendere la giacca.
Daphne lo studiò per un attimo.
“Sono in missione segreta.” – disse Daphne, con un sorriso.
Con quel sorriso.
Harry si girò lentamente, perplesso e si ritrovò ad arrossire nel vedere i suoi occhi lucidi per il divertimento.
“Cosa?” – chiese.
“Sono in missione.” – disse, fingendo il saluto militare.
“E la missione consisterebbe in cosa, Auror Greengrass?” – chiese, reggendole il gioco.
“Hermione mi ha chiesto di uscire con te.”
Harry sbarrò gli occhi e si sentì… infastidito.
“Beh, dì a Hermione che non ho bisogno della carità.” – disse, allontanandosi.
Ecco che stava per fare una
pazzia. Fin troppo ultimamente immaginava lui e Daphne in atteggiamenti
non proprio casti e due giovani, in una casa desolatamente vuota, erano
l’equivalente di un fiammifero vicino alla benzina.
Era meglio tenerli separati.
E poi ultimamente Hermione stava
interferendo troppo con la sua vita privata e la cosa lo irritava a
morte. Ma forse, ciò che più lo irritava, era sapere che
Daphne era lì con lui non per propria volontà…
“Cosa… ehi aspetta!” – urlò Daphne, seguendolo.
“Lascia stare, Daphne!”
“Ma… ti vuoi fermare un attimo? Non è come pensi tu!”
“Ah no? E come la penso?” – si era fermato di botto e Daphne gli era finita letteralmente in braccio.
Si staccò alla velocità della luce.
“Scusa…”
– disse, imbarazzata. – “Nel senso che Hermione vuole
che tu esca, che ti distragga dai tuoi… pensieri.” – disse, trovando all’ultimo momento la parola che l’aveva salvata dal pronunciare il nome di Ginny.
“Beh, dì a Hermione che i miei pensieri sono miei. Miei soltanto!”
“E’ preoccupata…” – disse lei, ferita da quell’atteggiamento.
“E di cosa? Adesso lei ha la sua vita felice e…”
“Sì, ma a che
prezzo?” – chiese Daphne, contrariata da
quell’uscita. – “Cos’ha dovuto passare per
ottenere ciò che ha adesso?”
Harry chinò il capo, infastidito da se stesso per quella pietosa uscita.
“Hermione ha combattuto con le unghie e con i denti per la sua felicità. Tu invece hai smesso!”
Harry girò il capo da una parte per non leggere negli occhi di Daphne l’amara verità.
“Tu… tu… potresti avere chi vuoi! Dovresti solo aprire gli occhi!” – poi si girò e scappò via da quella casa.
Harry la guardò scappare
via da lui. Era diviso a metà: da una parte voleva correre in
camera e piangere dall’altra chiamare Hermione e dirle di non
spedirle più Daphne come un pacco postale.
Scelse la seconda.
Andò al camino, gettò un po’ di polvere e il suo volto fece capolino a Malfoy Manor.
“Harry! Ciao!”
“Senti un po’ tu… ma chi ti da il diritto di metterti in mezzo alla mia vita, si può sapere?”
Hermione era rimasta di sasso. Draco, poco distante dalla sua donna, si era alzato con la bacchetta in mano.
“Potter, modera il linguaggio in casa nostra!”
“Fottiti!” – urlò, in direzione del biondo.
“Ma Harry… di cosa stai parlando?”
“Di Daphne! Di te che ti
metti in mezzo alla mia vita! Sto bene così Hermione, ok? Non ho
bisogno della badante!”
“Daphne? Che c’entra lei?” – chiese la riccia, guardando Draco.
“Oddai! Non fare la finta tonta!”
“Potter ti avviso! Stai per diventare un vermicolo! Anche se poco ti ci vuole.” – disse Draco, sibilando.
“Davvero… non capisco…”
“Smettila di mandarmi Daphne a casa per combinarmi un appuntamento!”
Hermione e Draco si guardarono perplessi.
“Ma ti pare possibile?” – chiese Hermione a Draco, ignorando Harry.
“Parliamo di Potter, amore mio. Di Potteridiota, per essere più precisi.”
Hermione non se la prese. Harry
non seppe dire se era più arrabbiato per il fatto di essere
ignorato in quel modo o se arrabbiarsi con l’amica perché
non lo difendeva dalle frecciatine di Malfoy.
“Ma no dai… Harry non può non…”
“Ehi, io sono ancora qui, eh? No, giusto per ricordarvelo…” – frecciò sarcastico.
“Harry… saranno tre
giorni che non vedo Daphne.” – spiegò Hermione,
mentre la faccia di Harry assumeva i tratti di un Confundus. – “E non l’ho mai mandata a casa tua.”
Harry sbarrò gli occhi.
“Ma… ha detto che tu l’avevi…”
“Potter, ti consiglio di
cambiare gli occhiali e dato che ci sei farti dare una revisionata al
cervello.” – fu il brillante commento di Draco che, capito
ciò che era successo, aveva rinfoderato la bacchetta.
Dalle fiamme, la faccia di Harry scattava prima sull’amica e poi su… su coso.
“Perché?” – vide Hermione sospirare.
“Harry, mi spiace dirtelo, ma Draco ha ragione.”
Harry vide Draco gongolare. Si appuntò mentalmente di mandarlo a quel paese una volta risolto quel mistero.
“Mi volete spiegare?”
“Parla con Daphne.” – disse Draco che spense la comunicazione.
Harry tornò nella cucina di Grimmauld Place, sempre più confuso.
Daphne?
Che c’entrava lei?
Beh, l’unico modo per
scoprirlo era parlare con lei. Reindossò il piumino e
uscì per andare in cerca di lei. Aveva imparato a conoscerla a
sufficienza per sapere che quando era triste o arrabbiata, si rifugiava
sempre al parco giochi vicino al cimitero di Godric’s Hollow.
Mentre affrettava il passo –
ritrovandosi a correre – ripensava a Daphne e ai suoi
atteggiamenti. Negli ultimi mesi era stata sempre presente in casa sua,
l’aveva aiutato a superare la faccenda di Ginny e una volta
l’aveva addirittura visto piangere.
Non l’aveva deriso o
umiliato perché secondo una legge non ben stabilita un uomo non
dovrebbe mai piangere, ma aveva raccolto le sue lacrime e aveva
ascoltato i suoi silenzi.
Neanche un innamorato avrebbe mai…
Fermò la sua corsa
nell’esatto momento in cui aveva iniziato quel pensiero,
rischiando di cadere a terra. Quasi le gambe gli cedettero sotto la
forza di quella comprensione.
Daphne… Daphne era…
Se qualcuno lo avesse visto in
quello stato, avrebbe giurato che a Harry fosse morto un caro amico. La
sua faccia era talmente sconvolta dal lume della consapevolezza che
stentava a credere possibile una simile evenienza.
Riprese la sua ricerca con le ali
ai piedi. Stavolta non poteva non dare ragione a Malfoy!: doveva
davvero farsi dare una revisionata al cervello o magari cambiarlo con
uno nuovo, perché quello attuale stava facendo troppe volte
cilecca.
Quando la vide, la trovò
sull’altalena che si dondolava appena. Sentì qualcosa di
molto vicino all’inorgoglimento personale nell’essere
riuscito a trovarla, nell’aver saputo fin da subito qual era il
suo posto preferito in quei casi. In quel frangente a Harry vennero in
mente un sacco di dettagli ai quali non aveva mai prestato la giusta
attenzione.
Daphne che entrava in casa sua,
Daphne che gli tirava su il morale, Daphne che rispettava i suoi
silenzi, Daphne che si prendeva una scarica di parole solo per
frustrazione, Daphne che gli faceva trovare pronto il suo tea nero,
Daphne che seduta sul divano gli leggeva le fiabe di Beda il Bardo,
Daphne che si accertava che la coperta lo tenesse sufficientemente al
caldo, Daphne che…
Tu… tu… potresti avere chi vuoi! Dovresti solo aprire gli occhi!”
Questo gli aveva detto poco prima.
Avere chi voleva. Si riferiva…a lei?
E lui, così stupido e cieco
e sordo ai segnali che gli stava lanciando la ragazza, l’aveva
usata come antistress, le aveva raccontato di come fosse ancora legato
a Ginny, di quando, certe volte, pensava di essere ancora innamorato di
lei, di quando a scuola erano un quartetto inseparabile.
Mio Dio!… come aveva potuto essere così freddo e insensibile?
“Daphne?” – la chiamò lui.
La ragazza non rispose e Harry pensò che non l’avesse sentito.
“Daphne?” – riprovò, avvicinandosi.
Niente. Forse non voleva
sentirlo. Si avvicinò lentamente, la neve attutiva il rumore dei
suoi passi fino a che s’inginocchiò davanti a lei.
Aveva lo sguardo perso nel vuoto,
mentre alcune lacrime continuavano a bagnarle le guance. Si
sentì un verme nel sapere di essere la causa di quel suo stato
d’animo.
Era già la seconda volta
che gli capitava: le persone si facevano in quattro per aiutarlo e lui
non riusciva mai a ricambiare. No, quella cosa andava cambiata una
volta per tutte!
Avvicinò la mano al suo
volto per accarezzarlo, ma lei con un gesto secco allontanò la
mano a occhi chiusi. Indietreggiò di un passo e si alzò
dall’altalena.
Poi se ne andò.
“Daphne aspetta!”
“Cosa?” – urlò lei esasperata.
“Daphne io… scusa… non avevo capito niente.” – ammise Harry, contrito.
“Capito… cosa?” – chiese perplessa.
“Che tu… sei innamorata di me.” – disse Harry.
Sorrise dentro di sé
perché se si fosse trovato in quella situazione solo un paio di
anni addietro, si sarebbe messo a balbettare, facendo la figura
dell’idiota.
E, come direbbe Malfoy… non che ci volesse poi molto…
Daphne era sbiancaca al pari della neve. Poi, sorprendendo, scoppiò a ridere.
“Oh… ma no!”
– disse tra una risata e l’altra. – “Non sono
innamorata di te, Harry!”
Harry pensò che una delle
qualità di un Serpeverde fosse quella di saper mentire e negare
l’evidenza fino quasi a rasentare il ridicolo. Infatti, le risate
di Daphne erano molto diverse da quelle che si facevano a Grimmauld
Place.
Erano finte.
“Daphne, ti prego. Smettila.”
La ragazza smise di ridere.
“Ma no… davvero…” – disse guardandosi i piedi.
All’improvviso, nel suo
campo visivo, comparvero anche i piedi di Harry. Alzò di scatto
lo sguardo e seppe da sola di essere arrossita come un’idiota.
Harry la sovrastava di una decina
di centimetri. Il suo ruolo di Auror gli aveva temprato il fisico e del
ragazzo mingherlino di scuola non era rimasto niente. Al suo posto
c’era un uomo, con due spalle che avrebbero saputo sorreggere il
peso del mondo e uno sguardo duro e dolce allo stesso tempo.
“Allora dimmelo guardandomi negli occhi.”
Per come l’aveva conosciuta,
Harry era in grado di poter affermare che Daphne era incapace di
mentire, non quando si trattava di lui.
“Io non…”
– era partita con la foga di chi stava per negare tutto quanto,
ma le parole le morirono in gola quando incrociò gli occhi verdi
di Harry. – “Io non…” – il respiro si
fece pesante e gli occhi si inumidirono di nuove lacrime. –
“I-io n-non…” – e la voce prese a tremarle.
Finché non scoppiò a piangere.
Dentro lui, si spanse un forte
senso di protezione verso quella ragazza che si aggrappava a lui e che
piangeva disperata per aver ammesso una debolezza che, in tempi di
scuola, le sarebbe valsa la bollatura di traditrice del suo sangue.
Ma quei tempi erano finiti. Era
finito il tempo della scuola, dei primi amori, delle cotte
adolescenziali e dei ricordi. La vita era una e andava vissuta fino in
fondo. Forse era un pensiero egoistico quello di Harry, ma sperò
che Daphne potesse aiutarlo a guarire dalla sua malattia per Ginny.
Avrebbe imparato ad amarla – anche se da gran pirla qual era non
si era accorto che già lo stava facendo… – e a
darle quel sostegno per per mesi lei aveva dato a lui.
“Va tutto bene…” – sussurrò lui, avvolgendola nel suo abbraccio.
“No-n v-va ben-bene
nie-nte!…” – singhiozzò lei, conscia che mai
sarebbe stata corrisposta. Harry era troppo legato ancora a Ginny per
poterla cancellare così, con un colpo di spugna.
Anche se sarebbe stato bello se una cosa simile potesse verificarsi…
Daphne si staccò da lui e tenne lo sguardo basso. Era troppo imbarazzata.
“Daphne…”
“Per favore, no.”
– disse, con voce ferma. – “E’… è
già abbastanza umiliante così.”
Le mani di Harry scesero lungo i
fianchi della ragazza, che chiuse gli occhi, immaginando quelle mani e
i suoi fianchi – nudi – in un altro contesto, e
intrecciò le sue dita con quelle di lei. Daphne fece per
staccarsi, ma la presa di Harry era salda, ma non dolorosa.
“Io non sono innamorato di Ginny.” – esordì Harry, lasciandola basita.
“Cosa?…”
“Quello che provo per lei
è difficile anche per me da spiegare, però… so che
non la amo. Non come Draco ama Hermione, almeno.”
Daphne sbatté le ciglia, confusa. E tutti quei mesi a parlare di lei? A decantarne le doti?
“No, tu la ami…”
“No.”
“Sì, invece.” – s’impuntò lei.
“Ti ho detto di no.” – disse Harry, perplesso che insistesse su quel punto.
Daphne si zittì. Questa poi…
“Io… forse avevo solo bisogno di esorcizzare la sua presenza.”
“Non allontani qualcuno continuando a parlare di lei.” – obiettò Daphne, stranita.
“Per me è stato
così. Più parlavo di lei e più lentamente il suo
ricordo iniziava a sbiadire. Dopotutto, è stato il mio primo
vero amore, questa cosa non la posso cancellare dalla sera alla
mattina.”
“Ma io ero lì con te,
Harry!” – fece Daphne, impuntandosi come una bambina
piccola che voleva assolutamente avere ragione. – “Sentivo
come parlavi di lei!”
“Appunto.”
Daphne si sentiva disorientata da tutti quei cambi di idee.
“Harry… sei un casino con le gambe!” – ammise, sconsolata.
“Appunto… nel senso che c’eri tu con
me. E mentre il ricordo di Ginny si allontanava, qualcun altro prendeva
il suo posto…” – disse, arricciandosi tra le dita
una ciocca di capelli di Daphne, che arrossì indecentemente.
Studiava il suo volto come si poteva fare con un’opera
d’arte che piace a pelle. – “… c’eri tu che mi ascoltavi, tu che mi calmavi, tu che mi dicevi di prendermi il tempo necessario, tu che mi dicevi che sarebbe andato tutto bene. Tu…”
“No!” – esclamò lei, spaventata. Mise subito una distanza di sicurezza tra lei e Harry.
“Daphne…”
“No!” – disse
lei, sbattendo il piede a terra e creando un solco nella neve. –
“Tu… tu non ne hai il diritto!” –
ricominciò a piangere. – “Non… non puoi dirmi
che all’improvviso non sei più innamorata di Ginny e che
lo sei di me! Non me lo merito!”
“Io non ho detto “all’improvviso” e tanto meno che sono innamorato di te.”
Daphne si sentì presa in giro nel peggior modo possibile.
“Va all’inferno, Potter!” – berciò Daphne e allontanandosi si gran carriera.
Harry la bloccò per un polso prima che potesse muovere un secondo passo.
“Ci sono già stato.” – le rispose, tranquillamente.
Daphne serrò gli occhi.
Sì, per cercare di stargli vicino, senza palesare i suoi
sentimenti, c’era stata anche lei.
“Tu però mi sei
entrata dentro, lentamente. Ti sei fatta spazio senza sgomitare, senza
pretendere nulla in cambio e ti sei fermata qui…” –
fin troppo lentamente, aveva chiuso una mano sul suo seno sinistro, in
prossimità del cuore, percependo nitidamente il suo sussulto.
– “… ma ero troppo cieco e troppo convinto che il
mio destino fosse di continuare a tormentarmi nel ricordo di Ginny per
scontare il mio errore.”
Daphne capì subito a che errore stesse facendo riferimento.
“Intendi comportarti come Draco? Intendi mollare tutto senza combattere?” – gli chiese, sempre di spalle.
Il suo cuore aveva preso a battere
troppo forte ed era da stupidi sperare che Harry – che la sua
mano sul suo seno – non se ne accorgesse. Quelle parole…
quelle parole avevano troppo il sentore di una possibilità tra
loro due e non voleva cadere nell’illusione di essa, per poi
risvegliarsi bruscamente e scoprire che era stato solo un sogno.
“Io sono meno complessato di
Malfoy.” – disse Harry, buttandola leggermente sul ridere.
– “E decisamente più egoista.”
Daphne spalancò gli occhi.
Le palpebre dei suoi occhi verdi come la speranza – come gli
occhi di Harry – fremettero. Il calore di quella mano in quel
punto stava facendo il suo dovere. Daphne stava avvampando. Si
distrasse per via di un fiocco di neve caduto sulla sua mano che al
contatto si sciolse.
Forse era stata un’illusione
ottica, ma a Daphne sembrò che quel fiocco si fosse sciolto
ancora prima che toccasse la sua mano.
“Cosa… cosa vuoi dire?” – si diede mille volte della stupida per aver palesato la sua curiosità.
Il suo desiderio di sapere.
Il suo desiderio di sapere se aveva travisato o meno le parole di Harry.
“Che perdere l’unica persona che sa farmi dimenticare Ginny sarebbe proprio da idioti.”
Un dubbio si insinuò nella
sua mente. Era forse… l’aveva forse scambiata per un
anti-stress? Cosa significava che lei gli faceva dimenticare Ginny?
Come doveva interpretarlo? Era un complimento o solo un’azione
egoista da parte di Harry per liberarsi della presenza di Ginny?
E allora Daphne capì.
Capì che non le importava
niente se era solo un rimpiazzo, capì che per lei Harry era
più importante di se stessa e capì solo in quel momento
il detto “l’amore rende ciechi”.
Capì che le stava bene così.
Si girò nel suo abbraccio e lo baciò.
Sentì Harry ricambiare il
bacio con troppa foga per essere uno che aveva appena detto di non
essere innamorato di lei. Non era innamorato? Il suo corpo –
specialmente la sua lingua e la passione che ci stava mettendo –
dicevano esattamente il contrario.
Era riuscita a conquistarlo,
seppure in un modo molto particolare. Aveva detto che era entrata
dentro di lui lentamente e mentre baciava Harry, si ricordò di
una cosa che le aveva detto sua sorella Astoria prima che la guerra le
dividesse.
“Andrew
è un tipo tosto.” – le disse Astoria, usando un
linguaggio non proprio adatto a una del suo ceto sociale.
Infatti Daphne la guardò perplessa.
“Tosto in che senso?”
“Mi sono innamorata di lui!”
“Ma se
fino a qualche giorno fa non lo potevi neanche vedere!” –
esclamò la sorella, tornando a rimettersi lo smalto sulle unghie.
“Questo perché mi sono accorta solo adesso di quello che ha fatto per me.”
“E
cos’ha fatto per te?” – chiese Daphne, che stava
soffiando sulle unghie per far asciugare la pellicola colorata.
“Mi è entrato dentro lentamente.”
Daphne guardò la sorella, in modo spaventosamente eloquente.
“Non in quel senso, sciocca!” – esclamò la ragazza, arrossendo.
Daphne sospirò di sollievo.
“E in che senso, scusa?” – chiese Daphne, incuriosita.
“Nel
senso che non ha fatto gesti eclatanti, mi ha conquistata con le
piccole cose. Gli sono caduta ai piedi come una pera cotta.”
– ammise sconsolata la piccola delle Greengrass.
Daphne rise.
“Quando
qualcuno si fa spazio nel tuo cuore in questo modo, è più
difficile sradicarlo, perché è troppo presente,
troppo… dentro di te.”
Ok, forse Harry non era innamorato
di lei, forse per lui, lei era un rimpiazzo, ma se sua sorella Astoria
aveva ragione, si sarebbe impegnata con tutta se stessa affinché
Harry vedesse in lei Daphne e non la sostituta di Ginny.
Quando si staccò con quella nuova missione in mente, gli accarezzò una guancia.
“Fa l’amore con me, Daphne.”
E mentre si smaterializzava a
Grimmauld Place, nella sua camera, quella in cui lei aveva raccolto i
suoi innumerevoli sfoghi, Daphne pensò che sarebbe stato
più facile del previsto…
Harry le confessò di amarla in un freddo pomeriggio di Novembre.
Si stavano frequentando da
perfetti fidanzatini: Harry era un perfetto gentiluomo, le portava
sempre un fiore diverso ogni volta, scegliendolo accuratamente
attraverso il suo significato. Daphne, invece, si prendeva cura di lui,
ance solo sorridendogli.
Quel pomeriggio, Harry avrebbe
portato Daphne tra i babbani, in un cinema. La ragazza non ne era stata
molto entusiasta, ma vedere Harry tutto elettrizzato mentre parlava di
una stanza buia con uno schermo gigante, non se l’era sentita di
fare la capricciosa e aveva accettato di buon grado l’uscita.
Peccato che le fosse salito un febbrone da cavallo.
Era entrato a casa sua, un
appartamento dalle modeste dimensioni, ma che a Daphne andava
più che bene e si accorse subito che qualcosa non andava. Di
solito c’era sempre della musica che girava o meglio, Daphne che
girava in mutande perché era in ritardo come al solito.
Quel giorno, la casa sembrava disabitata.
La cercò ovunque finché non la trovò imbacuccata sotto le coperte, con addosso perfino il piumino.
“Ehi… che succede?”
“Nie-niente…” – e tossì.
“Daphne… ma tu scotti!” – si sorprese Harry.
“Non è… niente…” – e tossì ancora.
“Dai, sta qui che adesso ti
preparo qualcosa.” – si tolse il giaccone e lo
adagiò sulla sedia, andò in cucina e le preparò
qualcosa di caldo e cercò in bagno l’armadietto dei
medicinali.
L’aiutò a mangiare,
le rimboccò le coperte e la guardò dormire. Ma nonostante
tutte quelle coperte, Daphne ancora tremava. Così si
spogliò e si accomodò accanto a lei, facendo aderire la
sua schiena al suo torace. La sentì rilassare i muscoli, segno
che il suo calore corporeo l’aveva aiutata.
“Non sarei una buona compagnia Harry…” – scherzò Daphne.
“Lo sei sempre.” – sussurrò Harry.
Daphne si accoccolò più vicina a lui per cercare di avere maggior calore.
“Sei bellissima.”
“Oh, ti prego… sono orrenda…” – sussurrò la bionda.
Non si era mai ammalata, mai un
raffreddore, mai una febbre. I suoi compagni di stanza a scuola erano
sempre ammalati e ogni volta vertevano in condizioni pietose. Per
questo motivo assumeva regolarmente le vitamine e si proteggeva dal
freddo con indumenti caldi. Davvero non riusciva a spiegarsi da dove
quella maledetta febbre fosse spuntata fuori!
E sapere che Harry la stava
vedendo nel suo momento peggiore, le fece temere quasi che il ragazzo
potesse accorgersi che non era perfetta come gli aveva sempre dato a
vedere, che doversi prendere cura di lei fosse un peso e per questo, da
lasciare.
“Daphne?” – disse lui, ignorando il suo commento.
“Cosa?” – chiese, sorpresa da quel tono di voce.
“Ti amo.”
Non seppe dire se erano passati
secondi o anni da quell’ammissione, seppe solo che si era girata
nel suo abbraccio e l’aveva guardato negli occhi.
“Se è una presa in giro, Potter, sappi che ho energie sufficienti per prendere la bacchetta!”
Daphne si chiese perché
dovesse rovinare proprio quel momento. Non era sempre stato il suo
obiettivo quello di riuscire a farsi dire quelle due paroline da Harry?
E allora perché non riusciva a crederci? Perché ora che
il suo sogno era diventato realtà non riusciva a crederci?
Harry si sporse su di lei e la baciò. Niente di plateale, solo un bacio a stampo.
“Ti amo.” – ripeté.
“Sei… sei serio?” – pigolò lei, pronta al pianto.
“Mai stato più serio in vita mia.” – le confermò.
Daphne gli scoppiò a piangere tra le braccia.
Ora, poteva anche finire il mondo, che lei era felice.
Sei anni dopo la laurea di Hermione, Blaise e Ginny si erano sposati.
La rossa aveva trovato un impiego
presso il San Mungo nel reparto di Ginecologia, mentre Blaise era
diventato un rispettabile uomo d’affari. La ragazza aveva avuto
la sua indipendenza, come da progetti, e si era sentita pronta per
diventare dipendente a tempo indeterminato di Blaise.
Lo amava e quindi perché aspettare?
Il suo sogno di vestire un abito
firmato Myra Preston divenne realtà. Suo padre aveva fatto un
salto di qualità al lavoro, anche grazie a suo marito. A Blaise
seccava parecchio che Arthur percepisse uno stipendio da miseria quando
aveva capacità che andavano ben oltre quell’impiego
relativo ai manufatti babbani, così aveva mandato un paio di
gufi e Arthur Weasley era passato dalla “Manutenzione dei
Manufatti Babbani” alla “Cooperazione tra i vari Ministeri
della Magia” che popolavano il mondo.
Draco e Hermione furono i
testimoni degli sposi. Nonostante potesse vantare una certa sicurezza
economica, Ginny non dimenticò mai le sue origini e
preferì una cerimonia semplice e raccolta, presenziata solo
dall’ufficiante e dagli amici veri.
Dopo aver offerto un rinfresco,
gli sposini erano partiti alla volta dell’Europa, in quel viaggio
che Blaise aveva voluto fare una volta finita la scuola, ma che aveva
preferito posticipare affinché andasse assieme a lui la sua
dolce metà.
Che conobbe finalmente Miguel Dominguez.
Draco e Hermione, invece, presero
casa nel mondo magico subito dopo la fine degli studi della ragazza,
con sommo sollievo di Draco. Avrebbe spalato cacca di Troll in eterno
piuttosto che stare un giorno di più tra i babbani.
Ma per loro c’era una novità. Dopo nove mesi da quell’acquisto, arrivò una sorpresina azzurra.
Lo chiamarono Elthanin, come la stella della costellazione del Dragone.
Hermione invece non lo sopportava,
anzi. Si poteva dire che lo odiava, ma non disse mai niente a Draco. Lo
avrebbe ferito profondamente.
“Elthanin, andiamo!”
Elthanin arrivò tutto felice, Hermione invece avrebbe preferito morire piuttosto che uscire con loro due.
“La mamma non sembra felice, vero Elthanin?”
Il piccolo lo guardò, con i
suoi occhioni languidi. Ma come poteva la sua mamma non volergli bene?
Aveva forse fatto qualcosa che non doveva?
“Guarda che ti ho sentito,
sai?” – fece Hermione, arrivata in quel momento. Quando
vide Elthanin non poté impedirsi di sbuffare. – “Mi
spieghi perché dobbiamo accompagnarlo? È grande
abbastanza!”
Draco la guardò sgomento.
“Madre degenere!” – sentenziò lui.
Hermione alzò gli occhi al cielo.
“Non sono sua madre, uffa!”
“E quando ne verrà un altro che farai?”
Hermione per poco non collassò a terra.
“Non ci provare, eh? Non provarci nemmeno a portare qui un altro cane! Ti uccido!”
Stavano passeggiando per il giardino della loro casa, una cosetta stile Malfoy Manor.
Non che Hermione odiasse i cani,
ma da piccola una di quelle bestiacce l’aveva aggredita,
fortunatamente senza morderla, ma la paura le era ovviamente rimasta. E
anche se il piccolo labrador che Draco aveva portato a casa era buono
come un pezzo di pane e nutella, non poteva impedirsi di chiedersi cosa
sarebbe successo una volta che quel cucciolotto avesse raggiunto le
dimensioni di un San Bernardo.
Passeggiavano mano nella mano,
scambiandosi di tanto in tanto qualche bacio. In quei momenti, Hermione
riusciva a dimenticare di avere una palla di pelo che girava a pochi
metri da lei.
Elthanin si allontano e si accucciò, sistemandosi per evacuare.
Hermione fece una faccia schifata.
Ma guarda te se doveva assistere ai bisogni di un cane… quando
Elthanin finì, Draco imprecò.
“Cosa c’è adesso?” – chiese Hermione, sfinita.
“Ho dimenticato i sacchetti per Elthy.”
“E falla evanescere, no?”
“Ho lasciato la bacchetta in casa.” – disse, con aria infelice.
Hermione alzò gli occhi al cielo.
“Oh, Merlino benedetto… ma non può farla sul water come tutti gli esseri umani?”
Draco rise e si chinò per fare le feste al suo cucciolotto.
“Ma è un cane! Non
pretendere i miracoli, adesso. Non ti preoccupare, Elthanin… la
mamma non dice sul serio.” – disse, rassicurando il cane.
Hermione si girò
dall’altro lato per cercare di non palesare troppo la sua stizza
nel vedere il SUO ragazzo fare le feste a qualcuno che non fosse lei.
“Scusa, mi tieni questo un attimo?” – le chiese Draco.
Sempre girata dall’altra
parte, Hermione gli porse la mano aperta. Quando sentì qualcosa
di piccolo nel palmo, smise di agitarsi per il nervoso e si girò.
Credette di avere le traveggole.
Si mosse incuriosita sul posto e quando vide Draco in quella
posizione, il cuore iniziò a fare la maratona. Perfino Elthanin
sembrava aver capito l’importanza del momento e si era messo
seduto sulle zampe posteriori e se ne stava buono e zitto.
“Dai, aprilo.” – fece Draco.
Le mani le sudavano e tremavano.
Reggendolo quasi a voler frantumare la scatoletta per paura che le
cadesse dalle mani, Hermione alzò il coperchio.
E arrossì.
“O-ddio…” – scandì lei, rossa più dei capelli di Ginny.
Draco non si era mai mosso dalla sua posizione.
“Ti piace?”
“E’… è bellissimo…”
“Hermione…”
La ragazza lo guardò.
Glielo avrebbe chiesto direttamente, senza giri di parole, o le avrebbe
fatto tutta una premessa – lasciandola morire nel frattempo in
una lenta agonia – e solo dopo glielo avrebbe chiesto?
“Sì?”
“Vuoi sposarmi?”
Il fiato le si smorzò in gola, ma riuscì a dirgli…
“SI!”
Gli volò letteralmente tra
le braccia, baciandolo con tutto il trasporto possibile. Era
emozionata. Avrebbe passato il resto della sua vita con l’uomo
che amava e…
“Oh, accidenti! Vieni anche tu, palla di pelo!” – esclamò Hermione, facendo ridere Draco.
Elthanin si fiondò tra i due, pretendendo coccole su coccole.
La storia si conclude qui, anche
se forse molti di voi avranno delle domande che non hanno trovato
risposta. Ho deciso di aprire questa parentesi un’ultima volta.
Poi, non ne vorrò più sapere.
Ho perdonato Harry.
Completamente.
Il giorno stesso G.U.F.O. in modo definitivo.
Appena usciti, io e i miei amici
ci siamo diretti in giardino, già occupato dagli altri studenti
che correvano liberi e felici per la fine della scuola. Draco era stato
trattenuto dalla McGranitt, perché voleva parlargli del suo
futuro e aveva chiesto a me di andare a godermi la mia più che
meritata libertà.
Ciò, fu quanto accadde mentre io ero in giardino…
“… potresti proporti come Pozionista del Ministero, Draco.” – aveva suggerito Minerva.
Draco la guardò perplesso. Proprio lei gli dava suggerimenti sul suo futuro?
“Io… non ci ho mai pensato, a dire la verità.”
“Non
ha importanza.” – fece la McGranitt con un gesto annoiato
della mano. – “Per quanto il professor Piton abbia
dimostrato per te un’immediata simpatia…”
Draco arrossì leggermente.
“…
hai dimostrato durante l’esame di essere meritevole di tutte le E
che ti sono state assegnate in quella materia.”
Come ogni buon
studente che si rispetti, Draco aveva iniziato a prendere un po’
più in simpatia quella vecchia megera.
Solo perché sapeva che non l’avrebbe più rivista…
Ma non
poté impedirsi di provare della sana gratitudine verso i suoi
confronti, perché anche se era stata una donna severa,
l’insegnante era sempre stata una persona imparziale.
E, lo ammise solo a se stesso, gli sarebbe davvero mancata.
“Per questo motivo ho provveduto a spedire una lettera di raccomandazione al Primo Ministro.”
Draco spalancò gli occhi.
“Lei cosa…?”
Minerva sollevò un sopracciglio.
“Lo trovi tanto strano, signor Malfoy?”
“Sì, cioè no!… cioè… credevo che sarebbe stato un compito del professor Piton.”
“Vero, ma ho voluto farlo personalmente e Severus non ha sollevato obiezioni.”
“Io…
non so che dire, davvero…” – disse Draco, sgomento
di fronte alla solerzia della donna nel pensare al suo futuro.
E lui che aveva sempre pensato a come farla fuori…
“Un semplice grazie andrà più che bene.”
Draco scosse la testa.
“Certo sì, scusi… grazie. Davvero.”
“Prego. E, signor Malfoy?”
“Mi dica.”
“Buona fortuna.” – disse la McGranitt, facendogli l’occhiolino.
Draco le sorrise. Di cuore.
E mentre Draco si avviava per
andare a parlare con gli altri professori, Harry incontrò
Silente per il corridoio. Onestamente, non so dire cosa mi abbia fatto
alzare nel bel mezzo di una divertente conversazione con i miei amici
per andare alla ricerca di Harry. Sapevo che era già uscito
dall’aula e gli avevo chiesto, prima che entrasse a sostenere la
sua prova, se gli andava di raggiungermi. Era implicito che mi avrebbe
trovata tra i Serpeverde.
Mi sono scusata con gli altri e andai verso l’aula di Incantesimi dove, in teoria, avrebbe dovuto esserci stato Harry.
Peccato che lo trovai in mezzo al
corridoio che discuteva con Silente. Non volevo origliare, ma giuro su
Merlino che non ho mai sentito il mio amico trattare in maniera
così irrispettosa il nostro preside, tanto che sulle prime fui
tentata di palesare la mia presenza e riprendere Harry per le sue
parole.
Fu un bene che non l’abbia fatto.
Perché ho potuto scoprire la verità.
“Harry…”
Harry si bloccò in mezzo al corridoio e tornò indietro senza ripensamenti.
“Harry, aspetta!”
“Mi stia lontano.”
“Harry, ti prego…”
Harry si girò e non credette mai possibile che un giorno sarebbe arrivato ad odiare Silente.
“Cosa?
Lei… tu hai rovinato la mia vita!” – berciò
il ragazzo. – “Mi sono sempre fidato di te! Ho sempre avuto
fiducia nelle tue scelte e nelle tue decisioni! Perché stavolta
doveva essere diverso? Perché farmi comportare come il peggiore
degli assassini? Ho rischiato di perdere Hermione per colpa tua!”
Le sue parole mi lasciarono
ovviamente sorpresa. Perché doveva essere colpa di Silente se
Harry si era comportato male con me?
“So che mi odi, ma volevo solo che…”
“Che
cosa? CHE COSA?” – urlò Harry. –
“Tu… non te ne è mai fregato niente di me! Tutte
quelle belle parole che mi dicesti il primo anno!, quando ho dovuto
fare i conti con Voldemort la prima volta! Tutte balle! Tutte
stronzate! Il tuo amore, quello che tu professi, non esiste!”
Sentii un macigno scivolarmi sul
cuore. Come poteva Harry dire una cosa del genere? Perché tanto
odio per Silente? Continuai ad ascoltare, pregando che nessuno li
interrompesse, perché mi stavo incuriosendo ogni secondo di
più.
“Per te
esiste solo l’amore per te stesso! Gli altri non saranno mai
degni di te, Albus! Saremo sempre pedine sacrificabili nelle tue mani!
Perché non hai avuto fiducia in me?”
“Perché
la signorina Granger era l’unica con le qualità necessarie
per migliorare la situazione tra Grifondoro e Serpeverde.”
Sgranai gli occhi e un impietoso velo di confusione mi annebbiò il cervello.
Che c’entravo io?
Mi raddrizzai con la schiena,
pronta per farmi notare e chiedere le dovute spiegazioni ma Harry mi
precedette, svelandomi inconsciamente ciò che volevo sapere.
“E l’Anima Revelat Carmine
era l’unico modo? Per Dio!, ma non ti rendi conto di quanto
ipocrita tu sia? Sapevo benissimo di avere un lato oscuro!, forse
più marcato degli altri fin dal mio primo anno di vita! Ma ho
sempre cercato di tenerlo a bada! Ho sempre cercato di fare la cosa
giusta! Quale assurda convinzione ti ha fatto credere che non avrei
potuto accettare di vedere Hermione legata ai Serpeverde?”
Trovai l’incantesimo
nominato da Harry nella sezione “Magia Oscura” di casa.
Durante una delle mie tante incursioni in biblioteca mi sono ritrovata
e per caso ho afferrato quel libretto. Quando lessi l’incantesimo
e cosa implicava, non ho assolutamente collegato che Harry potesse
esserne stato vittima.
Ora, tante cose mi sono più chiare.
E non riuscii a credere che Silente…
“Ogni
casa qui dentro è accecata dai pregiudizi, Harry.” –
disse Silente in un tono calmo, quasi non fosse pentito di ciò
che aveva fatto. – “Dovevo fare in modo che venissero
banditi per sempre!”
Lo vidi scuotere il capo, deluso.
“Potevi
trovare una scusa e ordinare a Hermione di trasferirsi a Serpeverde!
Oppure potevi semplicemente chiederglielo! Sai benissimo che lei ti
adora e avrebbe fatto qualsiasi cosa per te! Invece no!, hai voluto
mettere su tutto questo casino, trasformarmi nel lupo cattivo,
scaricando su di me la responsabilità di vedere Hermione
cambiare casa per un tuo capriccio!”
“Definisci la cooperazione tra le case un mio capriccio, Harry? Chi è l’ipocrita, ora?”
“Sempre
tu, Albus.” – rispose Harry, senza esitazione alcuna.
– “Tu sei ipocrita ed egoista! E stronzo! Perché
quando sono riuscito a staccarmi dal tuo incantesimo, quando ho capito
cos’avevo fatto, detto e che razza di animale sono stato, il mio
primo pensiero è stato quello di buttarmi dalla Torre di
Astronomia!”
“Mi dispiace Harry, ma…”
“No…”
– continuò il moro con tono arrendevole, quasi avesse
capito che discutere con Silente sarebbe stata solo una perdita di
tempo. – “… non ti dispiace, perché se
dovessimo tornare indietro, tu rifaresti tutto esattamente daccapo.
Sono una testa dura, lo so.” – ammise Harry. –
“Quello che volevo dalla vita era solo un po’ di
stabilità e tranquillità e avrei lottato con le unghie e
con i denti per far sì che ciò accadesse, ma non sono mai
stato egoista, Albus. Ho sempre cercato di tenere i miei amici fuori
dalle mie disgrazie, perché loro facevano parte della mia
“stabilità”. Avrei accettato che Hermione si
ritrovasse a fare i conti con i Serpeverde, anche se molto
probabilmente non mi sarebbe andata giù. Tu però non mi
hai ritenuto degno di questo compito. Di mandarmi nel mondo, a giocare
a risolvere quelle merde dei tuoi indovinelli sì, a rischiare il
collo mio, di Hermione e Ron, sì, di fronteggiare Voldemort da
solo sì, di rischiare di morire per te, assolutamente
sì!, ma di accettare una cosa come questa no, vero? Tu sei magia oscura,
Albus Silente.” – disse Harry, comprendendo di aver toccato
un tasto dolente quando vide Silente sgranare gli occhi e perdere
quella sicurezza che lo aveva contraddistinto fino a quel momento.
– “Ed è per questo che non dirò nulla a
Hermione.”
Ricordo che volli saltar fuori e
urlare tutto il mio odio, il mio disprezzo verso una persona che avevo
ritenuto infallibile, perfetta.
Ma Harry mi gelò con quelle sue parole.
Poi compresi il perché.
“Saperti
un vigliacco manipolatore farebbe crollare l’ultima certezza che
le è rimasta da quando si è scoperta la verità su
di lei: tu. L’hai usata
come cavia per far andare d’accordo le nostre due case e hai
tirato fuori un lato di me che avevo cercato con forza di tenere a
bada. Hermione è una persona meravigliosa e se oggi è
quello che è, è anche grazie ai tuoi insegnamenti
sull’amore e io non voglio che diventi vuota, non voglio che si
renda conto che la vita è solo governata dall’egoismo e
dal motto “ognuno pensi per sè”.”
“Grazie Harry…”
“Non
ringraziarmi, non lo faccio per te. Lo faccio solo per Hermione. Lei ha
saputo aiutare Serpeverde ad integrarsi finalmente con tutta Hogwarts.
Non butterò nel cesso il suo lavoro solo per vendetta. Mi basta
solo sapere che ti porterai questa cosa fino alla fine dei tuoi giorni.
Spero davvero di non rivederti più, rovina-vite.”
Harry era rimasto in piedi a
fissare Silente, quando ad un tratto il vecchio preside chinò lo
sguardo e tornò da dov’era arrivato. Onestamente
Silente… non so che fine abbia fatto.
Ero stata solo una pedina…
Harry si è comportato così perché Silente lo aveva
incantato. Sapevo del lato oscuro di Harry e dei suoi innumerevoli
tentativi di tenerlo a bada. Da quando Voldemort aveva fatto di lui il
suo ultimo Horcrux, la malvagità di quell’essere era stata
trasferita dentro di lui e Harry ha fatto di tutto per controllarsi. E
ora capisco perché insisteva per tenere me e Ron fuori dalla sua
portata, benché gli costasse tanto.
Non posso credere che Silente abbia fatto questo.
Quando Harry si girò, molto
probabilmente per raggiungermi, mi vide e sgranò gli occhi
quando, oltre le mie spalle, vide qualcos’altro. Mi girai,
riluttante nel lasciare lo sguardo del mio amico, come se distogliere
lo sguardo da lui avesse potuto bloccare Harry dal darmi qualsiasi
spiegazione.
E quando mi girai, vidi Ginny, Blaise e Draco.
E tutti e tre con una faccia di cui non riuscivo a leggere le emozioni.
Mi girai continuamente verso Harry e gli altri tre, non sapendo cosa dire.
Fu Harry, il coraggioso Harry, a parlare.
“Hai… hai sentito?”
Credo avesse pregato tutti gli dei
esistiti ed esistenti, purché la mia risposta fosse negativa. Ma
io, sconvolta come mai lo ero stata in vita mia, ebbi solo la forza di
annuire.
Harry serrò gli occhi,
imprecando contro tutta quella situazione. Lentamente, Ginny, Blaise e
Draco si avviarono verso Harry, che li guardava decisamente costernato.
Si fermarono a qualche metro da lui.
Fu Ginny che, inaspettatamente, andò da Harry e lo abbracciò.
“Ragazzi… Silente…”
Tentai di dire, ma in realtà, nemmeno io sapevo cosa dire in una situazione del genere.
Non ero mai stata portata per
Divinazione. Non l’avevo abbandonata perché la Cooman non
mi elogiava come gli altri professori, ma perché la ritenevo una
materia inutile e sapere che perfino Calì e Lavanda, assidue
sostenitrici della materia e della professoressa, non facevano altro
che inventare ciò che vedevano nella sfera di cristallo o nei
fondi di caffè, mi aveva spronata ad abbandonare quel corso.
Inutile, tra l’altro, per la preparazione degli esami finali.
Eppure, mai come in quel momento,
riuscii a leggere le loro emozioni e per un fugace istante fui tentata
di sorridere perché per la prima volta, quattro persone
assolutamente diverse tra di loro – soprattutto per la casa di
appartenenza – avevano in faccia la medesima espressione.
Lo sapevano.
Loro quattro sapevano la
verità. Supposi che Harry lo avesse saputo già da prima,
perché altrimenti non mi sarei mai spiegata lo sfogo avuto con
Silente, come se fossero mesi che non aspettava altro.
Ma Ginny e Blaise? Come lo sapevano loro?
E il mio Draco?
“Prima
che tu possa iniziare a insultarci…” – iniziò
Blaise. – “… permettimi di dirti una cosa.”
Lo lasciai parlare, con le gambe che minacciavano di abbandonarmi.
“Credo di essere stato il primo a sapere dell’incantesimo che Silente aveva applicato su Harry e Weasley.”
Harry si girò di scatto verso il moro, incredulo. Blaise, però, non abbandonò mai il mio sguardo.
“Ero
molto tentato di non dire niente a nessuno, soprattutto a lei.”
– disse Blaise, prendendo la mano di Ginny. –
“Perché sapevo, o meglio… avevo paura che potesse
tornare da Harry e io… era da due anni che non aspettavo altro
che un’occasione per farmi conoscere da lei.”
Varie emozioni
passarono sul volto di Harry, mai stato così annichilito da una
rivelazione di quella portata come in quel momento.
“Poi
però… non lo so…” – rise amaramente
mentre si guardava intorno. – “… devo essere un
Serpeverde con manie di autolesionismo, perché le dissi tutto. E
mi ha perdonato.”
Fu il turno di Ginny che, da come parlò, sembrava voler continuare il discorso del fidanzato.
“Quando
lo scoprii, volevo lasciarlo perché mi aveva privata della
possibilità di scegliere da sola ma lui…” –
lo guardò per un attimo con uno sguardo carico d’amore a
cui non avevo mai prestato la debita attenzione. –
“… lui era esattamente come me quando aspettavo che Harry
si accorgesse della mia esistenza. Mi ha amata in segreto, mi ha
osservata e mi ha studiata. Io ho fatto lo stesso con Harry, lo sai:
l’ho amato in segreto, l’ho osservato e l’ho
studiato, ma sono arrivata ad un certo punto in cui ho capito di averlo
idealizzato troppo. E dopo che ho scoperto la verità su di lui e
mio fratello, dopo che Blaise mi aveva spiegato perché non me lo
avesse detto subito, io… ho scelto lui. Alla fine, sceglievo
sempre lui.”
Aspettai che parlasse anche Draco. Sembrava che quei tre avessero fatto le prove.
“Per lo stesso motivo di Ginevra…”
Mi sorpresi nel sentirlo pronunciare il nome della mia amica con tanta naturalezza.
“…
io non ti dissi nulla al riguardo, quando lei me lo aveva confessato il
giorno stesso in cui abbracciasti Harry in giardino. Erano quattro mesi
che eri tornata da scuola, non ci parlavamo più e temevo che non
mi avresti creduto. L’avevi appena ritrovato ed eri tutta presa
da lui che…”
“Non odiarli, Hermione.” – s’intromise Harry.
Ricordo che rimasi sconvolta da quella sua richiesta, così come gli altri tre.
“Volevamo
proteggerti. Avresti tutto il diritto di odiarci, ma ti
prego…” – mi supplicò con le mani giunte e
gli occhi chiusi. – “… volevamo fare a te quello che
tu per anni hai fatto con me e Ron. So che te l’ho già
chiesto, ma ti prego, ti prego!… dacci un’ultima
possibilità!”
In quel momento avrei voluto fare tante cose.
Avrei voluto urlare, piangere,
andarmene, correre da Silente e sentire dalla sua voce se quello che
aveva fatto era la pura verità, smaterializzarmi a casa e non
uscire mai più, obliviarmi la mente.
Eppure, per la prima volta, volli pensare solo a me stessa.
Quest’ultimo anno è
stato sconvolgente, sotto ogni punto di vista. La mia vita, i miei
amici, Draco… ognuna di queste persone mi ha dato qualcosa, ha
lasciato dentro di me un segno e più cerco di scovare qualcosa
di negativo nelle loro azioni, meno ci riesco. Riesco solo a vedere la
bellezza dei loro gesti, a capire che pur di non permettermi di non
credere più nell’amore, si sarebbero portati nella tomba
il segreto di Silente, permettendo a quest’ultimo di continuare a
regnare su Hogwarts e rischiando che potesse fare la stessa cosa anche
con altri studenti.
Volevano proteggermi.
Sono la prima a credere ancora che
Corvonero, Grifondoro, Serpeverde e Tassorosso possano coesistere
civilmente tra loro, perché io ne sono la prova vivente.
E voglio che così continui ad essere.
Non mi è possibile,
però, fermare le lacrime che sento scendermi fino a morire sulle
labbra. Mi sentii abbracciare da Draco, non rendendomi nemmeno conto
che si era avvicinato fino a tal punto.
“Mi dispiace…” – disse.
Ricordo che mi strinse fino quasi
a soffocarmi quando sentì che ricambiavo il suo abbraccio.
Però una cosa la dovevo sapere. Mi staccai da lui e guardai
Harry, che mi sorrise amaro.
“E Ron?”
Harry annuì, avendo su di sé soprattutto l’attenzione di Ginny.
“Ron si è perso Hermione.”
Dovetti
aggrapparmi a Draco per non cadere, così come vidi Ginny avere
un quasi mancamento. E vedere Blaise, un Serpeverde, sostenere una
Grifondoro non fece che consolidare ancora di più la mia scelta.
“Ho
provato a parlargli, a farlo ragionare. Gli ho messo sotto il naso
perfino il dettaglio dell’incantesimo.” –
guardò Ginny e le sorrise dispiaciuto. – “Ha detto
che sta bene così.”
“Quando…”
– iniziò Ginny. – “… quando hai capito
che eri sotto incantesimo?”
Harry le sorrise tristemente, come se Ginny avesse dovuto già saperlo.
“Il giorno in cui Malfoy è venuto alla Tana per darci notizie di Hermione.”
Ginny tornò con la memoria a quel giorno e riuscì finalmente a darsi una spiegazione del comportamento di Harry.
Quando Harry parlò, tutti lo guardarono come se gli fossero spuntate tre teste.
“Avete cercato negli ospedali?”
“No.” – disse Draco.
Harry alzò gli occhi. Sembrava invecchiato di vent’anni in un sol colpo.
Ecco cos’era quello sguardo, pensò Ginny.
“Tu… l’avevi scoperto?” – alitò la rossa, sgomenta.
Io ovviamente non ci capii niente.
Ero nella Londra babbana e non seppi neppure di che stavano parlando,
per non parlare del fatto che Draco si era recato alla Tana –
posto che non aveva mai fatto mistero di odiare – per dare loro
mie notizie.
“Per
caso, o forse no.” – disse Harry, enigmatico. –
“Piton aveva dormito lì da voi per un paio di notti e
aveva portato con sé le sue solite letture. Quando se ne
è andato, tua madre mi ha chiesto se potevo andare nella sua
camera per darle una sistemata veloce, così obbedii. Rifeci il
letto e aprii la finestra e prima di uscire, un libro catturò la
mia attenzione. Sporgeva da sotto il letto.”
“Severus
che si dimentica un libro?” – chiese Draco, dando la
definitiva prova che tra lui e il professore esisteva un legame ben
più profondo del rapporto docente-alunno.
“Infatti ho detto che l’ho scoperto per caso, o forse no.” – precisò Harry. – “Lo aprii e trovai un segnalibro alla pagina dell’Anima Revelat Carmine. Quando
l’ho letto, quando ho letto che le conseguenze di
quell’incantesimo erano le stesse che stavo accusando io,
ho… davvero voluto morire.” – ammise Harry, con un
sorriso triste.
“Severus lo sapeva…” – disse Draco, sconvolto.
“Immagino
di sì.” – fece Harry, come se la cosa non lo
toccasse. – “Sappiamo tutti quanto Piton tenga ai suoi
libri più che alle persone. Immagino l’abbia lasciato
lì per farmelo trovare e permettermi di staccarmi
dall’incantesimo.”
“E Ron?” – chiese Ginny.
“L’ho
chiamato in disparte per parlargli… mi ha detto che ora ha il
rispetto di tutti, che ora tutti lo conoscono come Ron Weasley e non
come l’amico di Harry Potter. Ho cercato di farlo ragionare, ma
non c’è stato niente da fare. Mi dispiace, Ginny.”
La mia amica aveva abbassato lo sguardo a terra. Aveva perso un fratello.
Li guardai uno per uno e loro
erano fermi lì, a guardarmi a loro volta, ad aspettare il mio
giudizio, la mia decisione. Draco, ancora abbracciato a me, tremava
impercettibilmente.
“I segreti sono finiti qui?”
“Sì.”
“Ce ne saranno altri in futuro?”
“No.”
“Usciamo da questo posto.”
Io e Draco, Blaise e Ginny, Harry
e Daphne mandammo i nostri figli a Hogwarts. Due anni più tardi,
venimmo a sapere che Silente si era ritirato, presentando di sua
spontanea volontà le dimissioni, in un luogo non ben precisato
della Francia.
Minerva prese il suo posto.
La cosa mi aveva enormemente
sollevato. Sapere che i miei figli avrebbero potuto essere oggetto di
un’altra bravata simile mi aveva preoccupata per tutta la
gravidanza e la loro crescita.
Qui si conclude la mia storia, ma
ne inizia un’altra in questo momento qui, a King’s Cross,
mentre osserviamo i nostri figli sbuffare alle nostre raccomandazioni,
in sincrono con lo sbuffo dell’Espresso. È il loro
momento, la loro vita e le loro storie.
E mentre li salutiamo con le mani prego che tutto vada bene.
“Andrà bene.” – mi rassicura mio marito.
“Sì. Andrà bene.”
Note di me:
Capitolo piuttosto lungo, mh? ^_^
Finale agrodolce, lo so.
Spero che ugualmente sia piaciuto.
Come avrete capito, io viaggio
sulla stessa linea degli happy-ending. Non contemplo un finale
drammatico, non è nella mia natura.
C’è tanto male nel
mondo, che almeno in questo sito, voglio avere l’illusione che il
“vissero per sempre felici e contenti” sia qualcosa a cui
si possa sempre aspirare.
Ho tenuto conto, comunque,
dell’aspetto acre della situazione. Draco ha chiesto a Hermione
di sposarlo e lei ha detto di sì – o meglio, IO ho fatto
in modo che lei dicesse di sì ù_ù – Harry si
è fidanzato con Daphne e Blaise e Ginny si sono sposati pure
loro.
Rimane però la botta di
Silente che per Hermione è stata una vera e propria badilata sui
denti. Far finire la storia con la ragazza che perdona il preside con
tanto di nuvolette rosa che le ronzano intorno sarebbe stato veramente
rovinare questo scritto.
Spero possiate capire la mia scelta.
Il titolo del capitolo: Mi apro alla chiusura.
Come voi ben saprete è il
messaggio che Silente ha lasciato impresso sul boccino che ha lasciato
nel testamento a Harry, quando lo aveva catturato alla sua prima
partita di Quidditch, con la bocca.
Quando Harry lo ha decifrato
– finalmente! – il messaggio era che doveva morire per
esorcizzare l’ultimo Horcrux (o comunque una parte di Voldemort)
presente dentro di sé, ergo, il titolo del capitolo si
può tradurre con “E’ finita”, ergo, la storia
E’ finita.
Me contorta, lo so. Spero
però che con tutti i mesi con cui avete avuto a che fare con me
e questa storia abbiate imparato a conoscermi e immaginare che avrei
dato l’ultimo tocco di pazzia all’ultimo capitolo della
storia.
L’inizio di questo secondo
extra, si svolge in un lasso temporale molto distante dalla fine di
Hogwarts. Harry è un adulto e si reca in visita alla tomba dei
suoi genitori. Onestamente non ricordo se sulla tomba ci fosse una foto
dei genitori del ragazzo e, se sì, in che posa li ritraesse, ma
mi sono presa una licenza poetica – patetica ù_ù
– come ho già fatto durante la storia.
“Sciocchi sentimentalismi.”
– è la frase che Piton dice a Harry quando lo raggiunge
sulla tomba. Gliela dice dopo aver letto la sua mente e aver scoperto
che Harry si poneva delle domande sui suoi genitori e se un giorno,
quando si sarebbero finalmente riuniti, sarebbero stati ancora fieri di
lui.
“Grazie professore.”
– invece, fa riferimento a tutto quello che Piton ha fatto per
Harry durante i suoi anni di scuola e, non meno importante, al fatto
che gli avesse fatto trovare appositamente il libro con
l’incantesimo usato da Silente, affinché Harry se ne
staccasse.
Nonostante Severus abbia spinto
Silente a usare quell’incantesimo per staccare Hermione dai due
lavativi – Ron e Harry – e dare finalmente fondo alle sue
competenze senza distrazioni, l’uomo si era sentito in colpa per
ciò che stava accadendo nella vita del ragazzo. E l’ha
aiutato.
Severus non tocca la foto
perché teme di sporcarla per via di tutto il sangue di cui le
sue mani sono lorde e perché sente di esserne immeritevole. Per
questo, lascia solo due gigli bianchi.
I gigli bianchi sono simbolo di
purezza. Nonostante Severus pensi che di puro in quella tomba ci sia
solo Lily, come dimostrazione del suo amore ne lascia due,
perché sente che Lily non sarebbe stata contenta se lo avesse
lasciato solo a lei e non anche al marito.
Di nuovo, me contorta. ù_ù
Daphne Greengrass.
La prima volta che ho letto di
Kreacher, onestamente, ho pensato che la Row avesse avuto
un’allucinazione da fame e che avesse afferrato un pacchetto di
comuni crackers per sfamarsi. Davvero: ho pronunciato il nome
dell’elfo come si pronuncia il nome del cracker. Da qui, il gioco
di parole visto che un po’ le parole si somigliano… solo
un po’, eh? ^_-
La ragazza è innamorata di
Harry. Un po’ di tranquillità a questo ragazzo ci vuole,
no?, e ho scelto per lui la bionda Greengrass. Anche Harry ne è
innamorato, per via di tutte quelle cose che ho scritto che Daphne fa
per cercare di farlo star meglio, per fargli dimenticare Ginny e,
sperare, di prenderne il posto. Quando ho detto che Daphne è in
missione per conto di Hermione è stata una finzione.
Mi spiego meglio: per non
ammettere che Daphne andava da Harry per prendersi cura di lui
perché aveva la scusa per vederlo, tirava di mezzo
l’amica, quasi a volersi proteggere. Poi Harry l’ha
scoperto e ha scoperto anche tutto il resto.
Spero che le vicende di Harry con Daphne vi siano piaciute.
Elthanin.
Peccato, devo essere onesta. Al
momento dovrò smettere i lavori per la rifinitura in oro
massiccio del mio terzo villone multipiano in Cost’Azzurra, visto
che la storia è finita qui e non ho più i vostri soldi
per pagare i muratori.
*me sconsolata ç_ç*
Elthanin è un cane, alla
faccia di chi aveva già visto Hermione dietro biberon e
pannolini. ^_^ Un cane che è stato partecipe di una proposta di
matrimonio.
Eccolo, il cliché di cui vi parlavo all’inizio.
Ultimo, ma non meno importante,
è l’idea che ho voluto dare di questa storia. Onestamente,
credo che la parola che userò sia sbagliata, ma quando penso a
ciò che devo dirvi, mi balza alla mente questa, così
l’ho scritta.
Se ho sbagliato, liberi di insultarmi e, magari, correggermi.
Questa è la storia della contrapposizione.
Per contrapposizione, intendo che questa storia è basata su un principio con il quale tutti noi abbiamo a che fare tutti i giorni.
Il fine giustifica i mezzi?
Ne sono vittima anch’io, non
credete. Sì, so che pensavate che io fossi perfetta e
indiscutibilmente… perfetta, ma mi spiace deludervi.
ù_ù
*fa shwisssss con i capelli*
È giusto raggiungere il proprio obiettivo usando anche mezzi illeciti?
Qualcuno potrebbe dire di no,
però se il mezzo con cui siamo arrivati al nostro obiettivo ha
portato più benefici che scompensi, cosa si deve fare? Ci si
può passare sopra?
Questa è una diatriba antica quanto l’eutanasia.
Vi lascio prendervi per i capelli per cercare di avere l’ultima parola.
*me maleficamente Stronza!*
Bene, che dire?
Scherzi a parte vi saluto qui.
È stato un onore scrivere
per voi e un onore essere state messe nei preferiti. Purtroppo niente
spoiler ma conto di tornare alla ribalta molto presto.
Oh, giusto per avvisarvi…
prossimamente posterò delle storielle, quelle che servono solo
per passare il tempo. Se volete passare e farvi quattro risate alla mia
demenzialità, passate pure e lasciate un segno tangibile del
vostro passaggio.
ù_ù
Detto questo, tanti bacioni, tanti abbracci e tantissimi grazie a tutti voi.
Serena.
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