2. Il Viaggio
Shona,
venticinque anni compiuti da poco, si scosse sulla
sedia tormentata dalla visione che le si era presentata allo schermo. I
lunghi capelli di un biondo scuro tirati indietro e
legati in una coda molto alta si accostavano perfettamente agli occhi
verdi,
così luminosi che sembravano scolpiti nella giada. Il corpo
magro ma slanciato che testimoniava lunghi periodi di allenamento, era
coperto da un
abbigliamento
semplice costituito da un paio di jeans e un maglione nero in fibra
sintetica.
A differenza di tutti i suoi colleghi, lei non indossava mai il camice
perché
lo considerava una costrizione imposta dall’eccesso delle
regole.
«Chi
ha avuto la brillante idea di strutturare i fotogrammi
in questo modo?!» Proruppe con tono alterato, senza
rivolgersi a nessuno in
particolare.
«Quelli
della Men
of Action1,
credo.»
Shona
si girò di scatto verso l’uomo che aveva parlato e
lo
fulminò con lo sguardo. Lasciando cadere quella discussione
si rivolse
direttamente al suo fidato collaboratore; un ragazzone enorme sui
trent’anni,
capelli folti e ricci, un paio di occhiali che lo facevano sembrare un
secchione di prima categoria. Era soprannominato da tutti "il
gigante buono".
«Rog,
mi serve il tuo aiuto. Sai cosa fare in questi casi.
Protocollo Tre.»
Il
ragazzo si alzò dalla postazione su cui era chinato e si
girò verso Shona sgranando gli occhi.
Rog
era uno dei migliori tecnici del laboratorio. Conosceva
a memoria più di una trentina di coordinate photospaziali2
e
sapeva il rischio
che si correva attuando il Protocollo Tre.
«Quel
protocollo non è mai stato utilizzato fin’ora, non
credi sia…»
«L’occasione
giusta per iniziare? Sì, lo penso anch'io!» Disse
Shona
avvicinandosi sorridente. Poi lo afferrò per la manica
bianca del camice e lo
condusse verso il laboratorio dov’era custodita la
strumentazione per i viaggi. Lui si lasciò trascinare: non
poteva fare altro, il capo era lei.
La
stanza era accessibile solo a Shona. Lei era la sola
che potesse aprire la porta che conduceva verso quello che era il
nucleo
segreto dell’organizzazione; il computer posto
all’entrata rilevò le sue
impronte digitali, confermò il timbro della voce e
scansionò la sua retina. Rog inserì il codice
d'approvazione in suo possesso, così la
porta automatica
si sbloccò e schiudendosi lasciò intravedere al
suo interno
un mucchio di
cianfrusaglie impolverate.
«Più
ordinata della mia camera. Adoro questa stanza!»
Scherzò Shona con un lieve sorriso sulle labbra. Rog era
dietro di lei con
espressione accigliata. «Spero tu sappia quello che
fai.» Disse.
«Non
ti preoccupare. Vai nella sala controlli, accendi le
apparecchiature e tieniti pronto al mio segnale.»
Poi si ricordò di un'altra cosa e tornò a
rivolgersi a Rog che era rimasto lì immobile. «Ah,
voglio un vestito verde per questa missione. Ci vuole equilibrio e
armonia. Lascio decidere a te il modello e il
design.»
Il
ragazzone avvolto nel suo camice esitò qualche istante,
poi annuì e sparì dentro una porta a qualche
metro dalla stanza per i
viaggi. Shona varcò
il portone blindato appena aperto; le luci automatiche si accesero con
un lieve
ronzio mostrando il grosso blocco di ferraglia posto al centro della
stanza. Un
mucchio di cavi scendevano dall’alto e andavano a immettersi
in appositi adattatori
elettrici sulla sommità del marchingegno. Sulle pareti vi
erano scatoloni
sigillati e armadi di legno traboccanti di roba strana. Shona usava
quel posto
come cassaforte personale, era stata proprio lei a riempire gli armadi
e a
depositare quegli scatoloni dal contenuto top secret sul pavimento
grigio e impolverato.
La
ragazza aprì il portellone ermetico del macchinario
facendo pressione su di una placca invisibile. I vecchi cardini
arrugginiti
cigolarono nel silenzio surreale di quelle quattro mura. Shona
guardò verso la
parete est dove Rog doveva essere appostato oltre il vetro oscurato
della sala
controlli. Alzò un braccio e fece segno con la mano di
attivare il congegno
entrò un minuto, poi entrò e si chiuse la porta
alle spalle escludendo la luce
dei neon che poco prima filtrava opaca all’interno del
congegno.
Il
tempo sembrava passare a rallentatore. Shona attendeva che
succedesse qualcosa. Era la prima volta che provava quella macchina e
al suo
interno non c’era niente che potesse indicare con certezza se
lo spostamento
photodimensionale fosse effettivamente già avvenuto o no.
Era
possibile che Rog
nella sala controlli stesse esitando ad attivare il meccanismo.
«Diavolo,
Rog! Dopo facciamo i conti se non ti sbrigh!»
Sussurrò Shona mentre si passava la manica della maglia
sulla fronte un po' sudata per la tensione.
Improvvisamente
fu invasa da una stranissima sensazione di
smarrimento. Cercò le pareti con le mani, ma non le
trovò più. Non sentiva più
nemmeno il pavimento sotto ai piedi. L’atmosfera era buia e
impregnata dal
classico odore tipico degli ambienti rimasti chiusi per troppo tempo.
Ogni
volta che inspirava, quello schifoso gusto d’aria malsana
sembrava arrivargli
fino al cervello.
Dopo
i primi attimi la sensazione cambiò: ora a Shona
sembrava di essere in un ascensore che scendeva a tutta
velocità verso terra. Era un po’ come buttarsi da
un aereo in piena
notte, una notte
senza luna, senza stelle e senza vento.
Finalmente
l’odore dell’atmosfera stantia sparì. Il
nero si
fece meno denso e comparvero delle graziose sfumature blu e azzurre.
Gli occhi
iniziarono a bruciarle come se fosse entrato del
sapone. Provò
a muoversi, ma aveva le braccia e le gambe intorpidite. Quando
cercò di trarre
un altro respiro per poco non soffocò, perché
l’acqua gli entrò nel naso e
nella bocca. Una marea di bollicine d’ossigeno
l’avvolsero offuscando tutto per
qualche lunghissimo secondo. D'istinto cercò di nuotare
verso la superficie
che sembrava lontanissima, ma i movimenti risultarono un goffo
divincolarsi
privo di direzione. Nella confusione e nella foga andò a
scontrarsi contro
qualcosa. Con la vista intorpidita riuscì a distinguere solo
un vago colore rosso,
quello che bastò per farle capire di cosa si trattava, o
meglio di chi. Fu
lui, Rex, a darle la forza necessaria: lo
afferrò e si lasciò spingere in superficie dalla
pressione
dell’acqua.
La
dottoressa Holiday controllava
meticolosamente gli ultimi dati rilevati
dall’apparecchiatura di bordo. Non lo avrebbe mai ammesso
apertamente, ma si
sentiva terribilmente in colpa per aver mandato Rex contro un
così grande
pericolo. Si portò le due mani sulla testa e chiuse gli
occhi cercando di
calmarsi e ragionare con lucidità. Quando sul monitor del
computer comparve la
faccia del Capitan Calan, Holiday tornò improvvisamente
ricomposta, appoggiò le
mani sul tavolo e trasse un profondo respiro.
«Abbiamo qualche
novità dalle squadre subacquee?» Chiese diretta
verso lo schermo.
La
risposta di Calan non fu per niente tranquillizzate. «Non lo
abbiamo ancora trovato, sembra
quasi che si sia volatilizzato.»
Lo
sguardo Holiday lasciò trasparire un misto di rammarico
e speranza.
«Manda
sotto altre due squadre di uomini e avverti la terza
di stare pronta. Io stessa mi unirò a loro.»
Holiday chiuse così la
comunicazione e si lasciò scivolare sullo schienale della
poltroncina. Non
c’era modo di scendere a terra con i mezzi perché
la zona era ancora presidiata
da centinaia di insetti mangia-ferro. Era necessario tenersi a distanza
di sicurezza e paracadutarsi con indosso la muta e le
bombole direttamente sopra al bacino lacustre, sganciare poi
l'imbragatura del paracadute e immergersi
velocemente nell'acqua. L’impresa era parecchio rischiosa, ma
non poteva abbandonare Rex, in qualunque stato esso si trovasse. In
fondo era stata tutta colpa sua.
A
qualche metro dalla sponda opposta del lago, nascosta
dalla vegetazione, Shona giaceva immobile sul terreno polveroso. Il
viso
rivolto verso il cielo dove iniziavano di già a comparire le
prime pallidissime
stelle in un cielo ancora troppo chiaro.
Era
scossa dai brividi, i capelli fradici
appiccicati al viso, gli abiti anch’essi inzuppati
lasciavano
penetrare la brezza serale fino alle ossa. Appoggiò la testa
di lato sul
terreno polveroso: Rex giaceva prono in parte a lei con la faccia
sporca di terra,
i capelli neri che gocciolavano. Vedendolo per la prima volta, il volto
di lei
s’illuminò e non riuscì a trattenere un
sorriso d'ammirazione. La missione
era stata un successo.
«Rex!
Rex Salazar svegliati, sto parlando a te!»
Shona
si sollevò da terra con i gomiti e scosse il ragazzo
afferrandolo per la giacca rossa. Rex non dava segni di vita.
Tentò per qualche
minuto di rianimarlo ma fu tutto inutile; il sorriso le si spense
lentamente e
profondò nello
sconforto. Non poteva finire così. Doveva attuare la seconda
parte del piano.
Mini-glossario:
1-
Men of Action
è lo studio di produzione del cartone animato di Generator
Rex.
2- Le coordinate
photospaziali fanno parte della tecnologia
photodimensionale, una particolare tecnologia fantascientifica
inventata da me che permette alle persone reali di entrare nei pixel
dei cartoni animati e interagire con i personaggi dell'animazione.
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