L'eleganza della sofferenza
Autore: Lindael sul forum, Sai Sama su EFP
Titolo: L’eleganza della sofferenza
Prompt: Guarda in basso, dove l’ombra s’addensa
Rating: Arangione (per via degli accenni allo stupro e all’incesto)
Avvertimenti: One-shot, Non per stomaci delicati
Genere : Drammatico, introspettivo, Angst
Introduzione/riassunto: La
storia di una bambina bianca come la neve, che, nella ricerca
dell’amore, finisce con il diventare una Regina Nera. Scoprite
l’eleganza della sofferenza.
N.d.A (facoltative): Questa
storia, benché l’abbia scritta in due ore è una
storia a cui tengo molto, e a cui sono molto vicina, probabilmente
perché è, in breve, la storia di un personaggio di un mio
gdr portato avanti con delle amiche su msn. Il titolo l’ho messo
all’inizio, come citazione, e nella storia ci sono accenni a
stupri e a incesti, ma molto molto lievi, niente che vada contro il
regolamento di efp. Spero ti piaccia^^
L’eleganza della sofferenza
Guarda in basso, dove l’ombra s’addensa – Italo Calvino
Bianca come la neve
C’era tanto, tanto tempo fa una bambina dalla pelle candida come la neve e dagli occhi e i capelli di tenebra.
La bambina era felice, aveva un fratellone splendente come il sole e una mamma e un papà che le volevano tanto bene.
Le sue risate risuonavano in tutto il castello mentre giocava a
rincorrersi con suo fratello Francois e il tempo trascorreva dolce e
leggero.
La bambina era una principessa di un regno prospero e pacifico, in cui
le tavole erano sempre piene e nessuno soffriva il freddo e la fame.
Giselle, così si chiamava la piccola principessa, era bella,
molto bella, e sin da quando era davvero piccola si poteva indovinare
la magnifica donna che sarebbe diventata un giorno.
Adorava sdraiarsi sull’erba, la piccola Giselle, e sognare il
giorno in cui avrebbe trovato qualcuno che l’avesse amata come il
papà amava la mamma.
Era innamorata dell’amore fin da allora, Giselle, e inseguiva le nuvole gridando il desiderio del suo cuore.
Ai suoi occhi il mondo era perfetto, tra un gioco e un balocco, tra un
letto caldo e un abbraccio affettuoso, mai avrebbe immaginato che ombre
si celassero dietro la luce dolce di una candela.
Non vedeva il trucco in eccesso che sua madre metteva sul volto per
nascondere le azioni di un uomo violento, né i lividi e le
bruciature sul corpo di suo fratello, o il luccichio malato negli occhi
di suo padre mentre la guardava senza essere visto.
Bianca come la neve era la sua anima, pura e leggera come una piuma,
pronta a volare come una rondine fino al sole e a ritornare.
Non si rendeva conto che altri assorbivano le ombre per lei, per farla restare felice.
La paura negli occhi altrui mentre guardavano suo padre non la
sfiorava, perché era troppo impegnata a scoprire il mondo, a
imparare cose nuove, ad assorbire tutto quello che poteva.
Durante le udienze sedeva dietro il trono del padre, con le ginocchia
strette al petto e un sorrisetto felice sul viso, convinta che nessuno
l’avrebbe mai scoperta mentre ascoltava le decisioni del Re.
Un giorno si sarebbe ritrovata di nuovo dietro quel trono e allora si
sarebbe chiesta come un uomo tanto giusto e onorevole con persone che
non contavano niente per lui potesse essere tanto crudele con le
persone che avrebbe dovuto amare di più.
Ma l’infanzia per lei fu bella e spensierata, un ricordo da
tenere dentro di se come un gioiello prezioso, che nessuno avrebbe mai
potuto sporcare, l’unica cosa che, oltre all’odio,
l’avrebbe mantenuta sana di mente negli anni a venire.
C’era un altro bambino nel castello, un bambino con cui le era
permesso giocare, Henry, il figlio del capitano delle guardie di suo
padre: occhi castani, pelle olivastra, un sorriso caldo e contagioso.
Quando Francois non poteva giocare con lei era da Henry che andava, lo
trovava sempre con una spada di legno in mano, impegnato in
chissà quali avventure fantastiche e allora lei faceva la parte
della principessa in pericolo e lui del valoroso cavaliere che la
salvava dal drago cattivo.
Nessuno dei due si accorgeva ancora degli sguardi timidi e pieni di
desiderio di un’altra bambina, una bambina invisibile,
perché figlia di una serva, che li spiava da dietro finestre
chiuse.
Non sapevano che anche lei avrebbe voluto giocare, né avrebbero
mai potuto immaginare che quella bella bambina avrebbe voluto fare la
parte del cavaliere e non quella della principessa.
Il fato gioca partite crudeli e aveva deciso un destino ancora
più crudele per quei tre bambini innocenti, un destino che
nessuno avrebbe mai voluto.
Rossa come il sangue
Il tempo passa, e la nostra principessa diventa finalmente una donna, una giovane ragazza piena di speranza e amore.
Ma non è solo in mezzo alle gambe che il sangue arriva.
Una notte senza luna il Re entra nella sua stanza e la tira giù
dal letto prendendola per i capelli, Giselle non capisce, è
confusa, non riesce ad aprire bocca, il pugno arriva prima che possa
fare qualsiasi cosa.
E poi, anche volendo, cosa avrebbe potuto fare?
Quello era il Re.
Dolore e sangue e paura, tutto questo mentre il suo delicato corpo assorbe la rabbia ubriaca di un uomo infelice e rabbioso.
Quando se ne va non riesce neanche ad alzarsi dal pavimento dove si
è accasciata, resta lì, tremante e incredula, gli occhi
sbarrati che non vedono niente, le labbra rotte e un occhio nero.
Resta lì fino alla mattina, senza muovere un muscolo, è
la sua cameriera personale a trovarla, grida, ma viene zittita dalla
sua vecchia balia, anziana saggia, ha già visto quei segni, sa
cosa fare.
Con delicatezza abbraccia il corpo delicato e infreddolito e convince
Giselle a rimettersi a letto, poi si sdraia accanto a lei, sempre
tenendola stretta, cantandole piano stupide nenie che si cantano ai
neonati, mentre lentamente la ragazza torna dall’incubo in cui
era caduta.
Passano giorni in cui non esce da quella camera, in cui mangia a stento
e non si muove neanche dal letto, giorni di aggrapparsi a vane speranze
e ricordi felici.
Ci sarà stato un motivo se ha fatto tutto quello, devo aver
fatto qualcosa, ci deve essere stato uno sbaglio, si ripeteva, in
silenzio, senza muovere le labbra.
Il papà mi vuole bene, non mi farebbe mai del male, per niente al mondo.
Quando i segni scompaiono dal volto di porcellana lui torna, di nuovo
di notte, di nuovo quando lei è vulnerabile, ma questa volta lei
è sveglia, sente la porta aprirsi e i passi pesanti nella
camera, questa volta chiude gli occhi e stringe i denti quando il
dolore arriva.
Guarda il sangue sul pavimento, nero per via della scarsa luce, ci
intinge la punta delle dita e se le porta al petto, poi si alza
lentamente, faticosamente e va a prendere un panno che intinge in un
catino pieno d’acqua.
La sua calma è innaturale mentre si lava le ferite, fissandosi nello specchio scuro.
Quando la mattina dopo la vecchia balia torna da lei, preoccupata e
triste, perché ha visto il Re ubriaco dirigersi nella stanza di
Giselle, la trova già in piedi e perfettamente truccata, solo un
rossetto troppo scuro e la cipria poco sfumata indicano cosa si
nasconde al di sotto.
Ora Giselle vede tutto, gli aloni scuri sul volto della madre, le
smorfie di dolore di Francois, la sua difficoltà nei movimenti.
Vede e comprende e si fa delle domande, domande che non trovano risposta.
Non gioca più Giselle, troppo preoccupata che si possa notare qualcosa.
Quando Henry la cerca lei è sempre occupata, lezioni, ricamo,
partite a carte con la madre, qualsiasi cosa pur di non farsi vedere da
lui.
Guardarsi allo specchio è una cosa che non può evitare ma
le dà il voltastomaco ogni volta, si sente sporca e sbagliata,
sa dentro di se che deve aver fatto qualcosa di male per meritare tutto
quello, quindi non vuole sporcare il suo caro amico.
Non vuole che lui veda quanto è sporca.
Sa che lui non può abbattere quel drago cattivo, sa che nessuno può farlo.
Ci sono balli e cene e sorrisi forzati, momenti interminabili in cui il
cuore le batte a mille per la paura e il sudore freddo rende scivolosi
gli stretti corpetti che indossa, tutti la guardano e non si rende
conto che è per via della sua bellezza, della sua grazia, pensa
sempre che vedano quello che tenta di nascondere.
Le percosse non smettono, a intervalli regolari il Re torna e la
picchia, lei sta in silenzio o al massimo si limita a gemiti strozzati,
ma una volta non riesce a trattenersi, urla, quando il padre colpisce
con violenza il suo ventre.
Francois sta rientrando nelle sue stanze quando sente l’urlo della sorella e corre nella camera.
Quando vede cosa sta succedendo si mette in mezzo, prende il Re per le
spalle e lo spinge lontano dalla sua piccola, adorata, sorellina.
Carica un pugno, un altro e un altro ancora, ma il Re è pur
sempre un soldato temprato da molte battaglie, furioso comincia a
pestarlo, senza fermarsi, senza mai fermarsi.
Giselle non riesce a fare niente, l’unica cosa che fa è
pensare che dovrà buttare quel tappeto, perché
sarà impossibile lavare via tutto quel sangue.
Il Re si ferma solo quando Francois non si muove più, neanche il
suo petto si alza e si abbassa, è fermo, orribilmente fermo.
Gattona verso di lui Giselle, mentre, finalmente, il Re realizza ciò che ha fatto.
Cerca di svegliarlo, lo chiama, lo accarezza, piange per lui, le ultime
lacrime che verserà nella sua vita, mentre stringe a se il corpo
ormai senza vita.
Non si è neanche accorta che il Re è fuggito, lasciandola sola con il cadavere di suo figlio.
Urla come mai ha fatto prima quando la staccano da lui, tira calci e graffia, cercando di tornare lì.
Poi ci sono solo gli occhi neri del padre, così simili ai suoi,
e la sua voce che gli dice che è colpa sua se Francoise è
morto, che lei è rossa del suo sangue, rossa COME il sangue.
Allora Giselle si acquieta, mentre un altro pezzo di lei si rompe con
un rumore secco, dentro di lei, e sono occhi vuoti quelli che
rispondono allo sguardo del Re, occhi ancora una volta ciechi.
Non partecipa ai funerali la principessa, troppo chiusa nel suo dolore
dicono, ma Henry la trova lo stesso, nel prato dove giocavano da
bambini, che fissa la fontana come se invece stesse guardando ben altro.
In quell’occasione e mai più Henry lascia da parte le
buone maniere e l’abbraccia forte, come facevano da piccoli, come
non era più da quando lei l’aveva allontanato.
Giselle ha la tentazione di dirgli tutto, dalle percosse alla morte di Francoise alla crudeltà del re.
Vorrebbe tanto farlo, vorrebbe essere abbracciata e consolata mentre
piange la morte di suo fratello ma, mentre lo guarda negli occhi e vede
quel tipo di innocenza che lei non avrà mai più, si rende
conto che non può farlo, non può sporcarlo.
Per la prima volta, allora, diventa la Regina Cattiva.
Sorride con scherno e lo riprende, lo rimette al suo posto, in
ginocchio davanti a lei e, ferendo se stessa, oltre che lui, recide
quel legame che ancora li univa, che faceva di loro degli amici.
Non può permettere che lui diventi un secondo Francoise, non
può, e allora deve ferirlo, distruggerlo, farsi odiare.
Le lacrime bruciano negli occhi, ma non escono, il dolore diventa sordo
mentre l’odio prende il comando insieme alla rabbia.
Se ne va la Regina Cattiva, lasciando il povero Henry in ginocchio lì per terra, davanti alla fontana.
Muore ad ogni passo, consapevole di aver distrutto una cosa bella e pura, di essersi attirata il suo odio.
Henry non capisce, davvero, ci prova ma non ci arriva, non potrebbe mai farlo.
È davanti a quella fontana che il destino li mette davanti ad un’altra svolta importante.
La bambina che un tempo li spiava dalle finestre chiuse si avvicina a
lui, anche se si taglia i capelli corti e veste da maschio un occhio
attento può facilmente riconoscere in lei una ragazza.
Appoggia una mano sulla testa di Henry in una carezza gentile,
raccogliendo le lacrime nascoste e consolandolo, quando lui la stringe
a se il loro destino è segnato.
Giselle non vede tutto questo, troppo impegnata a stare dietro ai suoi
nuovi doveri di erede al trono, non vede che l’amicizia che
è nata tra Henry e Claudine, questo è il nome della
giovane, come le stagioni che passano si trasforma pian piano in
qualcosa di diverso, in qualcosa che lei sognava fin da bambina.
Non può vedere, povera principessa, i suoi occhi vedono solo
ombre ora, seguono solo la figura del Re, la cercano sempre, per capire
dove sia, cosa stia facendo.
Eppure, nonostante tutte le sue attenzioni lui arriva sempre, e quando
la Regina muore in seguito a una brutta febbre non sono solo pugni e
schiaffi ciò che il Re le dà.
Il fato fa solo una piccola grazia alla principessa, lascia che si
ricopra di odio, che si rifugi lontano dalle mani affamate e brutali,
che frugano sotto la camicia di notte in cerca di qualcosa che lei non
dovrebbe mai dargli.
Dolce oblio della rabbia e della disperazione, che la protegge in un qualche modo sbagliato da quell’orrore.
L’ultimo pezzo di lei, quello più profondo, non si spezza,
si piega è vero, in modo irreversibile, ma non si rompe.
Violenza su violenza, ormai ci è abituata Giselle, non conosce
più il sapore sincero di una carezza, non conoscerà mai
la dolcezza di un bacio d’amore vero.
Tutto ciò che può fare è continuare a vivere,
Regina Cattiva ormai, anche se senza trono e con ancora un aguzzino a
torturarla, a istruirla ad un mondo di odio.
Fato, dolce fato, orribile fato, perché? Perché tanta sofferenza?
Gioco crudele il tuo.
Nera come l’odio
Un incidente di caccia, dicono, sia la causa della morte del grande Re,
Giselle sa che non è così, sa che è stata lei, di
notte come una ladra, coperta da un mantello nero come la sua anima, a
sgattaiolare nelle stalle e a tagliare con un coltello una delle
cinghie della sella del Re.
Tutti pensano che, coperta da un velo nero, in prima fila nella
cattedrale, stia cercando di soffocare disperati singhiozzi per la
morte di suo padre, ma sono risate quelle che le escono dalla gola,
risate di gioia e liberazione.
Din don, la strega è morta.
Si deve fare violenza per non mettersi a ballare lì, mentre il
vescovo ipocrita recita un monologo imparato a memoria, lui non sa,
nessuno sa, non dovranno mai sapere.
Il braccio a cui si appoggia per uscire dalla chiesa è quello di
Henry, ma è come se fosse quello di uno sconosciuto, sa che un
tempo teneva molto a lui, sa che erano amici, ma ora è diverso,
la sua mente gli impedisce di provare qualunque sentimento positivo.
La Regina Cattiva ora ha un trono.
Nessuno ha da lamentarsi della nuova regnante, giusta quanto il padre,
onesta e onorevole, compassionevole anche, senza la passione sfrenata
per la battaglia del vecchio sovrano, nessuno vede
l’oscurità nei suoi occhi.
Gli uomini che frequentano le sue camere sempre più spesso non
si azzardano a dire nulla, mentre lei cerca in qualsiasi modo di
riempire il vuoto che si è accorta di avere dentro.
Ma niente sembra soddisfarla, ogni cosa le viene a noia in brave tempo,
nessun cibo la invoglia, nessuna musica la fa danzare, nessun libro le
libera la mente, nessun uomo la soddisfa.
Vorrebbe urlare la Regina Cattiva, vorrebbe sfogare la sua rabbia, il
suo odio, ma non può e li reprime, li nasconde dietro maschere
bellissime ed eleganti, maschere che stregano chiunque.
Sa di dover essere un esempio, sa di essere migliore di suo padre, sa
di doverlo dimostrare, e allora ride e scherza, tratta tutti con
gentilezza, dal primo dei dignitari all’ultimo dei servi, tratta
bene anche Claudine, Claude per il mondo, senza sapere che lei ha
quello che lei desidera tanto.
Solo il suo specchio le mostra sempre chi è, le mostra la
bambina sanguinante che era, la bambina cattiva, che doveva cambiare,
la bambina che ha causato la morte di suo fratello maggiore, la bambina
che meritava una punizione.
Allora lei guarda quella bambina allo specchio e la punisce, rivive
ogni momento delle torture, rivive la morte di Francoise, dipinge le
labbra di rosso scuro e gli occhi di nero e fa entrare un altro uomo
nel suo letto, nella vana speranza che possa darle quello che cerca.
Niente amore per la Regina Cattiva, solo odio, solo disperazione, solo malvagità.
Una mattina Giselle si alza presto con in testa di andare a farsi una
cavalcata, da sola, senza allertare nessuno, si reca nelle stalle,
apprezzando il freddo pungente dei primi giorni d’inverno sulla
pelle e il dolce silenzio del mondo.
I gemiti che sente provenire dall’interno della stalla non la
fanno adirare, tutt’altro, la divertono all’inizio,
così decide di avvicinarsi e di scoprire chi ha deciso di
approfittare di quel momento di pace come lei.
Si affaccia lentamente nella stalla, silenziosamente si avvicina e, dopo essersi sporta da un box, il suo cuore si ferma.
Riconoscerebbe quei capelli scarmigliati ovunque e sa che quella
cicatrice sulla schiena se l’è fatta in un torneo in suo
onore.
Henry è inconfondibile, basta vedere la passione che mette nelle sue spinte, come se stesse combattendo una battaglia.
Ma anche allora Giselle non fa nulla, si limita ad indietreggiare
piano, tornando nelle sue stanze, ma da quella mattina si mette ad
osservare il suo Capitano con molta, molta attenzione.
I suoi occhi lo seguono e quando non sono i suoi sono quelli di qualcuno pagato a peso d’oro.
Li vede, quando pensano che nessuno sia in giro, li segue nel giardino
alla LORO fontana, li osserva baciarsi con dolcezza, baci così
diversi dai suoi che qualcosa dentro di lei ricomincia a sanguinare.
Dovrebbe essere lei ad avere quei baci, dovrebbe anche lei avere la
possibilità di provare quell’amore così palpabile
da essere quasi visibile.
Ma lei non può, sa che non appartiene più a quei sentimenti, sa di essere troppo sporca per avere quel diritto.
Lei è la Regina, lei è legge, lei può tutto.
Se lei non può avere l’amore allora che neanche loro lo abbiano.
Non si rende neanche conto, poverina, che ciò che desidera
realmente è entrare a far parte di quel sentimento, provarlo in
prima persona, non certo distruggerlo.
Ormai, però, lei non conosce più altro che distruzione, e distruzione è ciò che porterà.
Segue la dolce coppia una notte, aspetta tra la neve, osservando con
distacco i morbidi fiocchi bianchi che cadono dal cielo, e quando Henry
esce lo blocca, con un sorriso più crudele di quelli di suo
padre.
Lo prende per il mento, costringendolo a guardarla, la fa inginocchiare
di nuovo, gli rammenta il suo giuramento e poi pronuncia l’ordine
che porterà tutti alla fine dei giochi del fato.
Sposami.
Gli dice, accarezzandogli una guancia.
Sposami o farò in modo che di quella servetta, che non è
neanche abbastanza donna da portare un vestito, non rimanga neanche un
osso da dare ai cani.
Ah, l’amore!
Un sentimento tanto bello e gioioso quanto orribile e triste.
Il povero Capitano non può far altro che chinare la testa al volere di Giselle.
Lui è un uomo leale prima di tutto, e prima di amare Claude ha
giurato fedeltà a Giselle, ha giurato di proteggerla e servirla
in ogni suo più piccolo capriccio.
Ridi ora, Dea Bendata? Ora che hai distrutto un vero amore e condannato alla sofferenza tre persone?
Perché ciò che nessuno sapeva era che Claude dentro di se
aveva una nuova vita, vita che sarebbe dovuta crescere senza
l’affetto di un padre, senza la sicurezza di una famiglia,
dall’amore rovinato di una donna.
Così Claude preferisce una soluzione più veloce, una
soluzione che sa farà soffrire il Capitano, ruba la sua spada
mentre lui non se ne accorge e, una volta nelle stanze di Henry si
butta sulla lama, uccidendosi sull’altare dell’amore.
Un uomo mangiato dal rimorso e dalla colpa, trattenuto dalla
lealtà e dall’odio, una donna triste, che voleva essere
solo amata, ma che non sapeva come fare, un regno in rovina.
Ride la Regina Cattiva, ma dentro di se piange lacrime amare, piange la
bambina che era e che non sarà mai più, piange la sua
colpa che ora, finalmente, riesce a comprendere, piange ciò che
aveva, ciò che ha distrutto e ciò che non avrà mai.
Ogni giorno porta gigli sulla tomba di Claude, chiedendo perdono, ogni
notte Henry li brucia e dopo va a fare l’amore con lei, la tocca
con mani rudi come quelle di suo padre e lei torna la bambina
spaventata che era.
Ma non fa niente, non dice nulla, è la sua punizione e l’accetta con eleganza.
Perché nessun sentimento è più elegante della
sofferenza e lei ne è la più bella delle schiave.
Giudizio di Marge:
Una favola incantata che diventa, in poche righe e con maestria, dura e tenebrosa come un pugno allo stomaco.
A) Lingua italiana: 8. Non ci sono errori abissali;
ho trovato solo il sé (pronome riflessivo) scritto in ogni
occasione senza accento (il “se” da solo è
congiunzione ipotetica). Inoltre ci sono qua e là delle
ripetizioni e delle virgole che andrebbero forse sistemate, ma non
è nulla di grave.
B) Padronanza ed esposizione dei contenuti: 8. Il tema è
sicuramente trattato in maniera originale. Ciò che più mi
ha colpito è il cambiare così drasticamente ma in maniera
coerente della protagonista; il suo percorso individuale è ben
delineato e ben descritto, mi è sembrato quasi di vederla
evolvere sotto gli occhi. Nessun elemento è lasciato al caso
(tranne gli accenni alla mascolinità dell’altra ragazza,
che sinceramente non ho capito, ho pensato fino alla fine si trattasse
di qualche accenno yuri).
Il prompt trovo sia stato utilizzato in maniera parziale; le ombre ci
sono, sicuramente, nella storia, ma forse si poteva fare qualcosa di
più specifico per la frase proposta.
C) Stile ed espressione: 8,5. Lo stile è a suo modo molto
efficace, anche se particolare; è raro trovare una storia di ben
tre capitoli senza neanche un dialogo virgolettato, ma nonostante
questo la storia non risulta affatto noiosa, e si snoda con leggerezza.
Ho trovato alcune ripetizioni eccessive, mentre altre funzionali come
se fossero un’anafora, e qualche frase dallo stile un po’
più immaturo, forse da sistemare. Trovo eccezionale la fine, e
tutti i titoli che hai scelto!
D) Originalità: 9. Sebbene il tema non sia originalissimo,
è sicuramente affrontato da un punto di vista nuovo; sicuramente
originale è l’ambientazione da favola ad un contenuto
così scottante, che oltretutto è stato trattato con
poeticità, per nulla pesante o volgare.
E) IC e coerenza interna: 10. Punteggio pieno per la caratterizzazione
dei tuoi personaggi, in particolare per la protagonista, che è
viva ed evolve in ogni frase, cresce coerentemente e si trasforma
proprio in ciò che non poteva non diventare. Anche gli altri,
sebbene solo di contorno, sono perfetti. Complimenti veramente!
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