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INTRECCI DI UN
PASSATO CHE NON PUO' TORNARE
Per la prima volta
dopo tanti anni, la Foresta di Wayreth si preparava ad accogliere un nuovo
Concilio dei Maghi, e Ansalon e Krynn tutte fervevano di viaggiatori con le
vesti colorate delle tre tinte che rappresentavano gli ordini di coloro i quali
praticavano la magia, vegliati nel loro lungo peregrinare dalle luci delle tre
Lune nell'alto del cielo notturno.
E per la prima
volta, dopo tanti anni, nella città di Solace, e in particolare nella locanda,
si tornava a respirare la magia, che lasciava scombussolato e anche inquieto il
massiccio proprietario.
Caramon Majere non
era mai stato un vigliacco, anzi, era stato sempre molto più avvezzo alla vita
militare piuttosto che all'ozio del taverniere, e in particolare alla magia:
però essa richiamava alla mente troppi ricordi, tutti
dolorosi.
Eroe della Guerra
delle Lance, fratello gemello dell'arcimago più potente di tutti i tempi e padre
praticamente a tempo pieno, il robusto locandiere aveva stupito tutti per la sua
decisione, poco apprezzata tra i suoi concittadini, di offrire rifugio e ristoro
a tutti i maghi, fossero essi Vesti Bianche o Rosse piuttosto che Nere, in
viaggio verso la Foresta, permettendo loro di riposarsi dalle fatiche del lungo
viaggio e di recuperare le forze in vista della parte più dura e pericolosa
della loro avventura. A ciascuno di loro forniva tutto il necessario, il suo
passato gli permetteva di conoscere i bisogni degli operatori di magia, per poi
congedarli a ridosso dell'inizio del Concilio.
E ciascuno di
loro, consapevoli dell'identità dell'uomo che li ospitava, non mancavano mai,
chi prima di partire o chi appena arrivato, di recarsi in uno sgabuzzino nei
pressi della sala principale: perennemente chiuso, esso si apriva come una
voragine oscura per inghiottire il mago di turno venuto a recare omaggio alla
memoria di quello che forse era stato il più celebre e ammirato mago della
storia della magia su Krynn: Raistlin Majere.
Le storie al suo
riguardo venivano cantate da ogni bardo e in ogni luogo, non erano poche le
persone che lo avevano personalmente conosciuto ma, secondo Caramon, la fama del
fratello era stata ingigantita troppo, irritandolo perchè temeva che ne potesse
turbare il sonno eterno da redento.
Eppure, l'omone
aveva sempre tenuto quella Stanza, pur avendo ormai perso la speranza di
riaverlo con sè: si limitava ad accettarne la sorte, e di conseguenza
l'esistenza di quel luogo come una sorta di monito e memorandum continuo della
figura del gemello peraltro irrimediabilmente
irraggiungibile.
E fu proprio in
una calda notte estiva, quando l'odore delle patate speziate e della carne alla
brace arrostita nell'ampio camino della cucina si univano agli effluvi dei
wallenwood ricoperti di frutti, una notte in cui gli avventori abituali avevano
alzato parecchio il gomito malgrado l'arsura, che alla porta della locanda, così
tanto runorosa, aveva bussato la mano di un giovane, esausto per il viaggio che
dal sud aveva intrapreso fino a lì: ad una prima occhiata, confuso tra il fumo
delle pipe e il cicaleccio delle persone, sembrava molto più giovane dell'età
che doveva effettivamente avere, ma per un attimo, a Caramon, che era intento a
servire un tavolo e che aveva scoccato un'occhiata di sbieco verso la porta
spalancata, si mozzò il fiato e si bloccò il cuore in
gola.
Sbattè più volte
le palpebre, e i capelli che, in un primo momento, aveva visto candidi come
Solinari, si erano tinti di un nero intenso, la pelle dorata che sembrava lo
avesse abbagliato era in realtà di un tenue rosa pastello, appena arrossato
sugli zigomi per lo sforzo dell'arrampicata su per la lunga scala che da terra
portava lassù, tra le fronde del più grande wallenwood di Solace, e gli occhi a
clessidra della sua memoria erano stati rimpiazzati da un azzurro intenso come
il mare in primavera.
Ma di una cosa non
si era ingannato.
Quel ragazzo, che
doveva avere pressappoco l'età di Raist quando aveva intrapreso la Prova, aveva
indosso una Veste Rossa, era un devoto seguace di Lunitari, esattamente come lo
era stato lui, anche se forse, nel suo caso, non si poteva proprio
parlare di vera devozione.
Congedandosi con
poche parole dagli avventori per la fretta di correre ad accoglierlo, Caramon
non si accorse delle occhiate di disprezzo che questi avevano rivolto
all'indirizzo del nuovo arrivato.
"Mi scusi, devo
essermi incantato..." si giustificò Majere, andandogli incontro con una sorta di
timore e trattenuta tenerezza, anche l'espressione sperduta che aveva negli
occhi, assieme all'evidente stanchezza, ne rimandava continuamente i pensieri al
passato.
"Sono io a doverle
chiedere perdono," la sua voce sottile venne interrotta da un violento accesso
di tosse che lo fece piegare quasi sulle ginocchia per gli spasmi: "Ma mi
chiedevo se aveva una stanza, solo per stanotte..." riuscì infine a dire,
sollevando il viso arrossato e col fiato corto.
Sorreggendolo per
un braccio, Caramon gli bisbigliò all'orecchio alcune parole prima di scortarlo
in un angolo della grande stanza, giusto accanto al punto dove stava lo
sgabuzzino.
Poi, prese lo
zaino e la borsa del giovane e gridò a Tika in cucina di preparare un decotto
secondo la ricetta contenuta in un libro dal nome difficile, forse di origine
elfica, e di associare a esso un pranzo sostanzioso prima di rivolgere un
sorriso affettuoso all'indirizzo del mago e sparire su per le scale che
conducevano al piano superiore.
Visibilmente
affaticata, la Veste Rossa reclinò il capo sul tavolo, respirando il più
possibile a fondo nel tentativo di normalizzare il battito del proprio cuore:
era chiaro che il Prezzo che la Prova aveva preteso era stato, probabilmente,
una debolezza generale, il che lo rendeva, agli occhi del locandiere,
incredibilmente simile al mai dimenticato gemello.
Somiglianza che
però non lo avrebbe protetto del tutto.
Difatti, nel
mentre di tali avvenimenti, gli avventori che Caramon aveva lasciato per
accogliere il giovane, avevano continuato imperterriti a tracannare liquore,
fino al punto da essere troppo ubriachi per far funzionare adeguatamente il
cervello e abbastanza insolenti da alzarsi in piedi, ridendo sguaiatamente, e
additando il viandante con epiteti poco carini, che già avevano, a suo tempo,
rivolto all'allora Raistlin studente, quando vagava per la città con lo sguardo
torvo e l'aria saccente, pur se minato dall'ennesimo malanno di cui era
perennemente preda.
Debole com'era,
egli non poteva fare granchè, si limitava a incassare le ingiurie, mentre tutto
attorno la folla fomentava i tormentatori con crudele entusiasmo, e a ogni
insulto che piombava sulle fragili spalle del giovane, sobbalzavano ed
esultavano.
Più e più volte,
Tika aveva cercato di riportare la calma e di prendere le difese del ragazzo,
arrivando quasi al punto di impugnare la ramazza per scacciare quelle presenze
moleste, ma era incerta sull'agire: e se fossero diventati violenti e se la
fossero presa con entrambi?
A sorpresa, però,
la Veste Rossa si era alzata in piedi, con gli occhi che mandavano lampi, e
impugnando un piccolo scettro di platino: "Mia signora, stia indietro." sussurrò
lui con un filo di voce, reggendosi a malapena sulle gambe malferme, "Ci penso
io a persone come loro..." mormorò.
Per un attimo,
l'arma brillò di una luce intensissima, ma non accadde nulla, in realtà, e
nuovamente gli sberleffi presero piede, incattiviti dal
fallimento.
Preoccupata, Tika
afferrò il mago per la manica della tunica, sorreggendolo per un'improvvisa
debolezza che lo aveva colto e fu in quel momento che Caramon, forse richiamato
dal trambusto, forse da un'intuizione, aveva fatto la sua comparsa nella grande
sala e, resosi conto all'istante della situazione, semplicemente aveva
reagito.
Lanciando un grido
guerriero che nulla aveva di che invidiare rispetto a quelli che era solito
lanciare durante la Guerra o nel periodo in cui era mercenario, Majere si
precipitò davanti alla moglie e al giovane, controllando che stessero bene e
approfittando dell'attimo di pausa per strappare da uno dei rami che crescevano
all'interno, una fronda particolarmente robusta e
nodosa.
Con la mano
massiccia, afferrò il colletto di quello più insistente tra gli aggressori e
annodò con forza il ramo attorno al suo collo, facendolo ruzzolare a terra una
volta mollata la presa.
"Andatevene!"
gridò il locandiere con rabbia palpabile nella voce, nei modi e nello sguardo:
"Andate a smaltire la sbornia da un'altra parte e non infastidite le altre
persone!" sbottò, caricandosi poi il ragazzo in braccio per portarlo nella
camera a lui assegnata.
E in quel momento,
era stata un'impressione così vivida che molti degli avventori, i quali avevano
conosciuto i due gemelli fin da bambini, credettero per un attimo di essere
tornati indietro nel tempo, quando ancora la Guerra era lontana, loro erano più
giovani e il destino non aveva ancora contribuito a separare quelle due
anime.
Tika non poteva
fare altro che seguire il marito su per le scale con lo sguardo, rivolgendone
uno altrettanto carico di tenerezza e malinconia alla porta di legno dipinto
sigillata alla propria destra, ricordando la prima volta in cui aveva rivisto
quei ragazzi, che aveva sempre ammirato sin da bambina, dopo cinque lunghi anni
di lontananza e ben conscia che i legami che li tenevano stretti al passato,
benchè non potessero fare in modo di rimediare, di tornare indietro per mettere
qualche pezza a situazioni e rimpianti, avrebbero comunque unito a loro quel
pezzo di famiglia che, perduta nell'Abisso, aveva forse, sperava, trovato infine
la pace.
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