Capitolo 1: Scappa.
“Presa!” Una
giovanissima ragazza dai capelli tagliati corti, ribelli e biondi, fece uno
scatto di corsa, e, presa una mela e il guadagno della giornata, si allontanò
velocemente, con un sorriso furbo stampato sulle labbra.
“Mi hanno derubato!
Prendetela! Maledetta furfante!” Un uomo sulla sessantina, grosso e che, visto
il suo peso, non poteva di certo correre dietro a quella lepre, urlò con tutto
il fiato che aveva in gola. Aveva le gote arrossate, per quanto era furioso. La
gente accorse numerosa, ma era troppo tardi: la giovane dai capelli d’oro e gli
occhi di ghiaccio era sparita già da un bel pezzo. I presenti si guardarono
tutt’intorno, scossi e stupiti da tale velocità.
Molti di
essi si dovettero stropicciare gli occhi più di una volta, per accertarsi che
quel che era successo era vero. “Basta! Non si può andare avanti così! Sono
anni che questi due maledetti furfanti ci derubano. Dobbiamo fare qualcosa per
liberarcene.” Esclamò il più deciso della folla, che aveva già stabilito il da
farsi. La massa, come fossero tante pecorelle smarrite, seguirono il loro
pastore nel suo folle disegno.
“No. State
attenti, ragazzi.” Sussurrò alla brezza serale una bambina, che da lontano
aveva osservato la scena, sentendo un groppo alla gola, e sul punto di piangere
a dirotto.
“Allora,
caro fratellino, sono stata brava questa volta?” La bionda, dopo una lunga
corsa, si era avviata per un fitto bosco, inalando a polmoni aperti l’aria
fresca di quel posto così lontano dalla città, così incontaminato, le
regalava.
Era giunta
sino ad una modesta grotta, e all’entrata aveva incrociato un ragazzo che ben
conosceva. Era buio, ma alla bella non serviva la luce per riconoscere il
gemello. Questi se ne stava in piedi, e, da quanto la ragazza ebbe intuito,
doveva avere un’espressione corrucciata e le braccia conserte. Brutto segno,
infatti ella sapeva che ciò significava che era arrabbiato o preoccupato.
Nell’animo
della maggiore prese sopravvento un senso di angoscia, misto a tristezza. Non
aveva mai litigato con l’unico essere umano che voleva avere vicino, e l’idea
la faceva stare male. Si avvicinò a passi lenti, sul volto era dipinta una
smorfia di disappunto e preoccupazione.
“Perché non
mi rispondi?!” Chiese ad un certo punto, strattonando il gemello per le
braccia, questo non si mosse, suscitando nella bionda un moto di rabbia.
“Fratello mio, rispondimi!” Esclamò con le lacrime agli occhi, cadendo sulle
ginocchia a terra.
Non avevano
nemmeno un nome, e non ne sentivano la necessità. La società imponeva nome e
cognome alla gente, ma loro non ne facevano parte. Erano solo due fratelli, e a
tal modo si chiamavano quelle rare volte che vi era l’esigenza. Non avevano
bisogno di sprecare molte parole, si capivano con un semplicissimo sguardo.
“Scappa, scappa,
più lontano che puoi.” L’ammonimento, appena percettibile all’udito, venne
colto subito dalla bionda, che osservò l’ombra del gemello con aria smarrita.
Era la prima volta che succedeva qualcosa di simile e lei non capiva nulla
circa cosa accadesse.
In quel
momento i passi di un’esile bambina riecheggiarono come quelli di mille uomini,
e dal suono i due capirono che si stava avvicinando. Erano ancora nella stessa
posizione di prima, lei inginocchiata a terra e lui in piedi, con gli occhi
chiari persi in chissà che punto. Ma la giovane dai capelli d’oro, alzato lo
sguardo, vide la luna piena, che illuminava una parte del volto del
gemello.
Il sangue
nelle sue vene ghiacciò. Il corvino sembrava perso nei suoi pensieri, e subito
lei capì che stava per cadere qualcosa di orribile.
Il moro era poco più giovane, ma da sempre il
suo protettore, ed ella intese perfettamente che lui aveva percepito il
pericolo prima di lei, e le chiedeva di andare, per salvarsi. Ma la bella dagli
occhi cerulei era determinata a coraggiosa, non si sarebbe arresa e non sarebbe
scappata come una codarda. Questa volta sarebbe stata lei a proteggere il suo
amato fratello.
“Ragazzi,
ascoltatemi, dovete scappare, la città vi sta dando la caccia … Mi mancherete
…” Una bambina dai capelli rossi, lunghi e folti, sbucò dalla fitta boscaglia,
e per prima cosa andò ad abbracciare colei che si era appena alzata in piedi, e
osservava qualsiasi cosa con terrore. Non
voglio morire. Maledetti.
“Ehi,
Roxane! Sei tu. Vattene. Ce ne stiamo andando, ma sta attenta ti prego, un giorno tornerò e verrai con noi, te lo
prometto.” Le bisbigliò nell’orecchio, sollevando alla piccola il morale. Anche
se, in cuor suo, si sentiva persa, quasi certa che forse non sarebbe riuscita a
mantenere la promessa. Osservò il fratello che aveva assunto un’espressione più
distesa e cordiale.
“Fa come ti
ha appena detto mia sorella. Va’ via. Torneremo presto.” Disse con tono di voce
amichevole, e col sorriso stampato sulle rosee labbra. Roxane sciolse l’abbraccio e corse incontro
al corvino, salutandolo con un caloroso abbraccio. Egli si chinò e portò via le
lacrime che aveva agli occhi, sorridendole sincero. “Dai.” Le sussurrò. La
rossa si mise sull’attenti, e si allontanò, voltandosi più di una volta, e
sentendo le lacrime premere per uscire ancora. Le trattenne; infatti i suoi due
amici le avevano insegnato a non piangere sempre a ogni difficoltà.
Grazie a
loro aveva imparato ad essere forte, prima era un’orfana che si piagnucolava di
ogni cosa, ma dal giorno in cui i suoi occhi verdi cangiante avevano incrociato
quelli di ghiaccio dei due gemelli la sua vita era cambiata radicalmente …